I’ll get you
Capitolo 12: “You’re gonna
lose that girl”
Lo squillo del telefono risuonò nella stanza, facendo
sussultare Paul nel letto. Lui si limitò a brontolare infastidito e rigirarsi
dall'altra parte.
Che squilli pure quanto vuole, pensò
chiudendo gli occhi. Cosa gli importava ormai di rispondere?
Il telefono di casa non faceva altro che squillare da un
paio di giorni a questa parte, ma lui non aveva mai risposto. Sapeva chi
avrebbe trovato dall'altra parte della linea: Jane, colei che Paul credeva
essere la sua fidanzata.
Un pensiero che evidentemente non apparteneva più solo a
lui, dal momento che la giovane e bella attrice era stata sorpresa con un altro
uomo, uno molto diverso da Paul: alto, biondo, una folta chioma dentro cui Jane
poteva tuffare le sue dita sottili, e poi gli occhi verdi e un fisico davvero
niente male.
Insomma, l'esatto opposto di Paul.
Tuttavia la cosa davvero rilevante era che Jane l'avesse
tradito, e chissà da quanto tempo andava avanti ormai quella storia. Stranamente
era un particolare che interessava a Paul, molto più del motivo per cui Jane
l'avesse fatto.
Forse Paul avrebbe potuto scoprirlo se avesse risposto a
una delle centinaia di telefonate che Jane provava a fargli sia sul telefono di
casa sia sul cellulare. Eppure Paul proprio non aveva voglia di rispondere, appena
riconosceva il numero del suo cellulare sul display, rifiutava la chiamata: non
si sentiva pronto a sorbire i suoi 'lasciami spiegare, mi dispiace,
perdonami...'
Erano parole inutili perché ovviamente non poteva essere
dispiaciuta per qualcosa che le aveva dato piacere, e sicuramente non c'era
alcuna spiegazione che potesse giustificare un tale comportamento. Anche perché
dalle foto che Paul aveva potuto osservare praticamente dappertutto, si vedeva
che Jane era molto diversa rispetto a quando stava con lui.
Il giorno prima Paul era uscito come al solito per andare
a lavoro, e passando davanti l’edicola aveva intravisto una serie di giornali
scandalistici che solitamente lui ignorava, ma proprio quel giorno era stato
costretto a fermarsi e comprarne uno. Le foto di Jane e… com’è che si chiamava?
Daniel? Darren?
David, certo, si chiamava David.
Beh, le foto di Jane e David erano dovunque ormai, e Paul
voleva esaminarle bene, nella tranquillità della sua casa.
La sua giornata lavorativa era stata uno strazio, tutti a
chiedergli ‘Come stai? Hai bisogno di qualcosa?’, e lui, pur apprezzando
l’interesse e la preoccupazione, aveva risposto di non aver assolutamente
bisogno di nulla e di stare bene. Naturalmente era una bugia bella e buona, ma
cos’altro poteva dire? Non era proprio come se lui potesse mostrarsi
vulnerabile e sofferente di fronte a loro. Il luogo di lavoro, soprattutto quel
tipo di lavoro, prevedeva che lui fosse sempre in forma, sempre sveglio,
attivo, forte.
E ora che la sua forza era crollata, Paul aveva dovuto
indossare quella maschera solo per poter andare avanti almeno nel suo lavoro.
Era una maschera pesante e fastidiosa, ma non poteva permettere che quella
storia rovinasse il suo lavoro. Lui sapeva di essere ancora bravo in quello che
faceva. Non aveva ancora arrestato Hermes, ma era ancora sicuro che ce
l’avrebbe fatta. Certo, era stato richiamato per averlo praticamente lasciato scappare
e probabilmente qualcuno alla stazione di polizia cominciava a dubitare della
sua bravura, ma Paul non si sarebbe lasciato abbattere, non in questa parte
importante della sua vita. C’era ancora chi credeva in lui: prima di tutto se
stesso e poi alcuni colleghi che sembravano aver capito il suo gesto nei
confronti del ladro. E anche John, naturalmente. John gli aveva sempre riservato
parole di incoraggiamento, e Paul doveva ammettere che si aggrappava spesso
alla fiducia che lui gli mostrava, era un buon appiglio su cui fare leva per
risollevarsi nei momenti di totale sconforto.
Anche ora, ora che era sdraiato a letto, totalmente senza
forze.
Non aveva chiuso occhio quella notte, dopo aver letto il
giornale che aveva comprato, ma Paul cercò comunque di mettersi a sedere,
appoggiandosi con la schiena sui cuscini. Afferrò di nuovo il giornale, che la
sera prima aveva abbandonato incurante al suo fianco, e lo sfogliò, tornando
sull’articolo principale.
Il titolo era riportato in caratteri molto grandi,
diceva, ‘Jane Asher, scene da La vie en rose’. Sotto vi era una sequenza
di foto che ormai Paul sapeva a memoria, ma stranamente sembrava trovare
qualcosa di diverso in Jane ogni volta che le guardava: una nuova fossetta
sulla guancia, le mani intrecciate dei due amanti, la braccia di lei avvolte
con passione intorno al collo di lui…
Quella non era Jane, o almeno non era la ragazza che
aveva conosciuto lui, riservata, timida, dolce. Questa ragazza ora era
cambiata, cresciuta, era una giovane donna sicura di sé, che sapeva di avere un
futuro brillante davanti a sé, e soprattutto che sapeva di non amare più l’uomo
lasciato a Londra. Perché sì, era evidente che Jane non lo amasse più. Era
quella teoria che molte volte era passata nella sua testa, ma che Paul aveva
sempre rifiutato di considerare a fondo, troppo attaccato a ciò che erano
stati, troppo attaccato al passato. Ora, come mostravano quelle foto, ora Jane
stava lasciando andare la ragazza insicura che era stata, stava lasciando
andare il suo passato, e chissà che Paul non dovesse fare altrettanto.
Forse anche Paul era pronto a compiere quel passo. Non
sapeva cosa gli avrebbe riservato il futuro, ma di sicuro Jane non vi avrebbe
fatto parte.
Era doloroso? Sì, molto.
Era difficile? Sì, ovviamente.
Ma più di tutto era giusto.
****
Cinque, sei, sette e… caspita, ma quanti erano?
Una decina di paparazzi solo per Paul?
Quando John quella mattina si era svegliato, di certo non
si aspettava di trovare sotto casa del suo vicino, una serie di giornalisti e
fotografi pronti a cogliere di sorpresa Paul nel momento in cui fosse uscito di
casa.
Li aveva notati mentre preparava Julian per l’asilo
estivo, e anche Pattie fu particolarmente sorpresa quando arrivò per prendere
il bambino.
"È proprio come una principessa rinchiusa in un
castello, prigioniera di un drago cattivo." aveva detto la ragazza,
facendo ridere Julian.
Ora John fissava pensieroso dalla sua finestra,
domandandosi se Paul, la principessa, avesse già visto quei fotografi e
soprattutto se stesse bene. Il giorno prima l’aveva intravisto mentre usciva di
casa, ma non aveva fatto in tempo a parlargli. Il problema era che non sembrasse
particolarmente sconvolto, come John si aspettava. Sembrava invece che per Paul
quello fosse un giorno qualunque, e non quello in cui doveva affrontare il
tradimento della sua fidanzata.
E forse era questo che preoccupava maggiormente John,
perché sì, era preoccupato, era molto preoccupato, così tanto, in effetti, che
non pensò molto quando prese il cellulare e cercò nella rubrica il numero di
Paul, inoltrando subito dopo la chiamata.
Il segnale di libero risuonò nel suo orecchio per diversi
istanti e John aspettò pazientemente che Paul rispondesse, ma l’uomo sembrava
non avere intenzione di farlo, o forse stava semplicemente dormendo ancora.
John sospirò e stava quasi per interrompere la chiamata,
quando, finalmente, Paul rispose.
“Pronto?”
La sua voce era profonda e stanca, ma fece sussultare
John con gioia.
“Non uscire di casa.” gli disse subito John.
“Ma cosa? John, che stai dicendo?”
domandò Paul, perplesso.
“Hai visto i paparazzi fuori casa tua?”
Paul esitò un istante prima di
rispondere, “Paparazzi?”
“Sì, sono qui pronti a sorprenderti appena metti piede
fuori casa.”
“Oh cazzo, no.” imprecò
Paul, con un verso di totale frustrazione, “Ma io volevo uscire stamattina.”
Lo sconforto di Paul arrivò a lui, e anche John in quel
momento riuscì a vederlo come una principessa imprigionata nella torre più alta
di un castello. E lo sanno tutti di cosa abbia bisogno una principessa, in
questi casi…
“Beh, forse potrei aiutarti io.” propose John titubante.
Si sentiva molto come un principe, quel giorno. Non aveva
certamente l’armatura scintillante né il mantello azzurro, né tanto meno un
cavallo bianco, ma aveva il coraggio e la voglia di salvare la principessa in
pericolo.
“E come?” domandò Paul, evidentemente poco convinto che John potesse risolvere la
situazione.
Tuttavia John non si fece
scoraggiare e si lasciò scappare una risata, “Sono sicuro che
riuscirò a inventarmi qualcosa.”
"Tipo?”
“Oh, non saprei, devi per caso andare a lavoro?”
“No, oggi ho preso un giorno di ferie: volevo
solo uscire di casa per…” spiegò Paul,
il tono della sua voce divenne all’improvviso più triste e flebile, “Sai,
per non sentire il telefono.”
“Certo.” rispose John, comprendendo appieno la
situazione, “Quindi pensi che lì, alla stazione di polizia, saranno molto
arrabbiati se li mando da loro?”
Ci fu silenzio per un istante dall’altra parte della
linea, e poi John sentì qualcosa che in qualche modo lo tranquillizzò e che lo
incoraggiò ulteriormente: la risata di Paul.
“No, andrà bene.”
“Perfetto, allora lascia fare a me e se vuoi…” disse, e
questa volta, per qualche strano motivo, fu lui ad abbassare la voce, “Dopo
potremmo…”
“Cosa?”
“Beh, se hai bisogno di qualcuno per parlare o solo per
distrarti…” iniziò a spiegare John, cercando di trovare comunque la voce per
parlare, “Ecco, io volevo farti sapere che puoi contare su di me.”
Ancora silenzio, e John non seppe bene come
interpretarlo, ma qualcosa in lui sperava, e forse ne era davvero convinto, che
Paul stesse sorridendo, solo un po’, grazie a lui.
“Ti ringrazio, John, ma per ora vorrei solo
stare da solo.” fu la risposta di
Paul, e John fece di tutto per nascondere la sua delusione.
“Ma certo, sì, capisco, non ti preoccupare. Era solo per
fartelo sapere.” si affrettò ad aggiungere.
“Lo terrò a mente.”
“Bene, allora vado in missione.”
“Buona fortuna, John.”
“Buona giornata, Paul.”
Poi il segnale di occupato gli comunicò che Paul avesse
interrotto la chiamata.
John osservò il cellulare un istante, mordendosi il
labbro. Sperava davvero che Paul volesse vederlo, ma evidentemente non aveva
bisogno di lui quanto John avesse bisogno di controllare di persona che stesse
bene. E il pensiero per qualche motivo lo rattristò, oltre che turbò. Non era
normale e non solo perché Paul era tuttora la sua nemesi. C'era qualche altro
motivo che John non poteva ben identificare: era qualcosa che gli stringeva il
cuore all'idea di Paul che soffriva, lo stesso qualcosa che scioccamente gli
fece alzare la testa verso la finestra di Paul quando John uscì di casa. Fu un
gesto totalmente inutile e stupido perché John sperava di vederlo, anche solo
per un istante, ma sapeva che fosse impossibile perché ora che era stato
avvisato dei paparazzi, Paul non avrebbe mai e poi mai rischiato di farsi
vedere.
Allora perché stava cercando inutilmente il suo viso dietro
quelle tende bianche?
Perché voleva che assistesse alla sua performance da
bugiardo professionista, ecco perché. Doveva essere per questo motivo e in
fondo, era ciò che rappresentava al meglio John: un bugiardo che stava
costruendo questo nuovo rapporto solo sulla menzogna, e lui non avrebbe mai
pensato che una menzogna potesse trasformarsi in qualcosa di così vero. Eppure
era successo e-
E finiscila, John, quante cazzate stai
sparando.
John sospirò e solo in quel momento si accorse del ritmo
lievemente accelerato del suo cuore. Oh, sapeva che stava entrando
inevitabilmente in qualcosa più grande di lui, che non sapeva gestire e neanche
cosa fosse; tuttavia non era davvero il momento di pensarci. Ora come ora
contava solo salvare la principessa prigioniera nel castello.
Così si avvicinò al gruppo di giornalisti e fotografi e
si schiarì la voce.
"Se cercate l'ispettore McCartney, non lo troverete
di certo a casa."
Il gruppo di uomini e donne si voltò immediatamente verso
di lui, qualcuno riuscì anche a fotografarlo, cogliendolo di sorpresa con il
flash. John socchiuse gli occhi, infastidito, alzando una mano per ripararsi da
altri eventuali scatti.
"Lei chi è?" domandò una donna, che subito
recuperò un piccolo registratore dalla tasca e lo rivolse verso di lui.
John la guardò con una smorfia infastidita, "Il suo
vicino di casa.”
"Quindi dice che il signor McCartney non c’è in
questo momento?"
“Esatto. Penso che lo troverete al lavoro."
"Sa indicarci dove?" insistette un uomo.
"Certo.” esclamò John, sorridendo perché stavano
davvero credendo a quello che diceva lui, “Alla stazione di polizia in Walton street."
"Grazie." disse qualcuno e subito tutto il
gruppetto trotterellò verso la strada principale, scomparendo dietro l'angolo.
"Grazie a voi." mormorò John, ridacchiando
divertito.
Ce l’aveva fatta. Non che non pensasse di riuscirci, ma
insomma, era stato più facile del previsto.
Soddisfatto di se stesso, John si voltò pronto per andare
ad aprire il suo negozio, ma si fermò quando sentì dei colpi lievi alla
finestra. Guardò verso l'alto e quando scorse il viso di Paul dietro una tenda,
il suo cuore fece una piccola capriola all'indietro.
Paul lo salutò con la mano, sorridendogli e
ringraziandolo con un cenno del capo, e John ricambiò il saluto esattamente
allo stesso modo.
Quando aprì il suo negozio pochi minuti più tardi, sentì
di essere sollevato e felice.
Salvare una principessa era un buon modo per iniziare la
giornata.
****
Il tempo in quei giorni era stranamente benevolo.
Regalava giornate splendide, con il sole alto nel cielo che splendeva e
riscaldava, il cielo terso, senza neanche una nuvola all’orizzonte e una
temperatura ideale per camminare.
Paul quella mattina, dopo essere stato liberato da John dalla
sua prigionia, era uscito dal suo appartamento e aveva preso il primo treno
della metropolitana verso il centro. Non sapeva esattamente dove volesse
andare, l’unica cosa certa era che volesse allontanarsi più che poteva da
Chelsea e da quei giornalisti da strapazzo. Così era sceso dalla metropolitana
a Westminster, e uscito dalla fermata, ecco che si ritrovò proprio sotto
l’imponente Big Ben.
Faceva davvero un grande effetto, vederlo da quella
posizione: si stagliava maestoso sullo sfondo del cielo limpido, e dietro di
lui si allungava l’edificio del Parlamento inglese.
Quante volte Paul era stato lì, ma senza apprezzarlo
davvero? L’ultima volta era andato con
Jane, e si erano divertiti molto, ma comunque aveva dovuto accontentare i suoi
desideri. Ora invece poteva fare il turista solitario scegliendo cosa vedere,
quando andare via, cosa mangiare e tutto ciò che nelle sue precedenti visite a
Londra non aveva mai potuto stabilire, perché con lui c’era altra gente.
Come per esempio, la ruota panoramica che era proprio
opposta al Big Ben. Ecco, Paul non era mai salito sul London
eye. Jane non aveva voluto sentire ragioni a
riguardo, perché soffriva di vertigini. Eppure per Paul sembrava così
dannatamente eccitante, con quella posizione così sporgente sul fiume e
quell’altezza… Dio, era molto alta, era vero, ma Paul non aveva paura. Era un
poliziotto, dopotutto.
Così attraversò il ponte sul Tamigi e raggiunse la ruota
panoramica. Comprò il biglietto, e prima di salire sulle cabine che, a quanto
pareva, erano sempre in movimento, si sistemò gli occhiali da sole sul naso.
Non voleva certamente essere accecato dal sole che picchiava forte quel giorno.
Le cabine della ruota panoramica si muovevano lentamente,
salivano sempre di più e Paul restò per tutto il tempo vicino alle pareti di vetro,
così da poter vedere la terraferma sotto di lui che si allontanava e diventava
più piccola. Le persone sul ponte sembravano così piccine, come tante
formichine che camminavano una dietro l’altra. Paul ridacchiò e si voltò verso
destra. Fu un gesto inconscio, quasi non se ne accorse di farlo, ma sapeva che
stava cercando qualcuno accanto a sé, per condividere il suo pensiero.
Stava cercando Jane.
Ma Jane non c’era, Paul l’aveva persa ormai.
Sospirò rassegnato, pensando al futuro che lo aspettava:
sarebbe stato sempre così, Paul non avrebbe più potuto condividere alcunché con
Jane. Arrossì sia per rabbia, sia perché un gruppo di ragazzine stavano
guardando nella sua direzione e ridacchiavano scioccamente, perciò decise di
tornare a guardare fuori dalla cabina.
Forse una romantica ruota panoramica non era esattamente
il posto migliore per dimenticare una storia d’amore ormai arrivata al
capolinea.
Forse avrebbe dovuto provare altro.
Decise di andare verso Piccadilly.
Era una zona unica e piena di vita di giorno e soprattutto di notte, con tutti
i teatri e i locali che offrivano divertimenti. Certo, essendo estate, era
anche piena di turisti, di quelli veri, che venivano da paesi lontani per
visitare quelle zone, e non dal quartiere accanto come Paul. Tuttavia il
vantaggio c’era: infondevano molta allegria, facevano sentire Paul meno solo,
in quel momento e gli impedivano di pensare troppo ai suoi problemi.
Aveva scelto il posto giusto.
Il giovane uomo osservò le vetrine dei negozi,
lasciandosi contagiare dall’entusiasmo dei turisti che si affollavano per
spendere tutti i loro risparmi, e poi le insegne luminose dei teatri, gli
annunci dei prossimi spettacoli e… cazzo!
No, non poteva essere.
Che ci faceva lei qui?
Lei, Jane Asher, sempre e solo lei.
Paul chiuse gli occhi per un istante, cercando di
calmarsi, e poi li riaprì lentamente. Per fortuna Jane non era davvero lì,
davanti a lui, in carne e ossa. No, altrimenti Paul sarebbe impazzito.
Jane era in una locandina cinematografica.
Passeggiando distrattamente, Paul non si era accorto di
essere arrivato di fronte al cinema Odeon,
famoso per ospitare le anteprime dei film, e anche ora sembrava che avessero
scelto proprio quel cinema per la prima del nuovo lavoro di Jane. Era
tappezzato di locandine dove la sua-
No, dove Jane
si trovava in mezzo ai suoi co-protagonisti. Era
vestita di nero, i lunghi capelli rossi risaltavano rendendola così bella e il
suo sorriso era dolce e insieme sfacciato. Era quel sorriso che faceva sempre impazzire
Paul. La ragazza nella locandina stava recitando, il che gli fece dubitare
anche dei sorrisi che rivolgeva a lui. Era mai stata sincera con lui, o aveva
recitato anche con Paul?
Ma che cosa stava pensando? Era un pensiero ingiusto,
dettato solo dalla rabbia e dalla solitudine di quel momento.
Uscire per fare il turista si era rivelata una pessima
idea. Non era divertente, visitare tutti quei bei luoghi, se non poteva
condividerli con qualcuno. Così, a malincuore, decise di tornare a casa. Almeno
a casa c’era Pepper a fargli compagnia. Era una bella distrazione, quel
gattino. Era così vivace e curioso, ma anche affettuoso e pieno di calore. La
vita con lui in quella casa silenziosa era molto più interessante.
Prima di tornare, Paul si fermo a comprare un po’ di latte per il cucciolo. Pensare a lui gli
aveva fatto ricordare che quella mattina era finita l’ultima bottiglia; poi
finalmente si avviò verso casa. Fortunatamente non c’erano paparazzi.
La trovata di John aveva funzionato, pensò sorridendo,
mentre entrava in casa. Si avviò verso la cucina, richiamando Pepper e-
"Ciao, Paul."
Paul sobbalzò ancora nell'ingresso e si voltò verso il
salotto, notando Jane, proprio Jane Asher seduta sul divano.
Probabilmente le rivolse uno sguardo sconcertato che le
disse, 'Che diavolo ci fai qui?', perché lei sorrise intimorita e
sollevò la mano che stringeva un mazzo di chiavi. Paul alzò gli occhi al cielo,
imprecando fra sé: era stato lui a darle le chiavi del suo appartamento, quando
era venuta a trovarlo.
"Mi dispiace di essere entrata così." disse
lei, alzandosi in piedi, "Ma ho intravisto dei paparazzi nei paraggi e
sarebbe stato rischioso restare fuori ad aspettarti."
"Rischioso?” sbottò Paul, ridendo senza alcun
divertimento, “Mi sembra che ormai tu abbia già corso il rischio più
grande."
Jane arrossì vistosamente e Paul esultò in silenzio,
malignamente. Non si era mai sentito così, come se volesse dirle le cose
peggiori che potesse pensare di lei, come se volesse farla soffrire nello
stesso modo in cui lei stava facendo con lui.
Paul conosceva il motivo per cui Jane fosse a casa sua
ora: aveva temuto quel momento da quando aveva appreso della sua relazione
segreta con un altro uomo. Lo temeva perché sapeva cosa sarebbe successo, cosa
avrebbe detto lei e quanto più grande e insopportabile potesse diventare il suo
dolore.
"Paul, ti prego.” sospirò Jane, frustrata ancor
prima di iniziare a spiegare, “Sono qui per discutere in modo civile."
Il sorriso sardonico sul volto di Paul sparì di fronte a
tali assurde affermazioni e lui si lasciò andare all’unica cosa che voleva
mostrarle ora: la rabbia.
"Oh vaffanculo, Jane, non c'è assolutamente niente
di civile in questa storia. Mi hai tradito! Mi hai fottutamente tradito.”
ripeté infine Paul, così, forse perché Jane non aveva ancora ben compreso la
gravità del suo gesto.
“Lo so, ma-” iniziò a dire lei, ma Paul non sembrava
avere alcuna intenzione di lasciarla parlare.
“E la cosa più assurda di questa cazzo di storia è che
l’hanno sbattuto in prima pagina.” esclamò Paul, alzando la voce, mostrando
tutto il suo risentimento perché il mondo intero ora sapeva che era lui quello
tradito dalla bellissima Jane Asher, “Lo sai che l’ho scoperto per caso in
televisione? Lo sai cosa si prova a scoprirlo così? Come se contassi meno di chiunque altro?”
“Mi dispiace, stavo per parlartene.” spiegò lei, cercando
di avvicinarsi a lui.
Sembrava dispiaciuta e sincera, ma come poteva Paul
credere a tutto questo, quando ormai aveva perso la fiducia che aveva riposto
in lei nel momento in cui si era accorto di amarla?
“Ah, e sentiamo, quando l’avresti fatto?”
Jane, presa in contropiede, abbassò lo sguardo, “Io…. Io
non lo so, ma ti giuro che avevo deciso di dirtelo.”
“Beh, non me ne faccio nulla delle tue decisioni.” sbottò
lui, incrociando le braccia sul petto.
“Smettila di fare così, Paul.” lo pregò Jane,
implorandolo con gli occhi, “Posso almeno spiegarti?”
“C’è davvero da spiegare qualcosa? A me sembra abbastanza
chiaro. Quelle foto hanno detto tutto il necessario.”
“Non è vero, c’è molto da spiegare. Per favore, Paul,
siediti un attimo.”
Paul, pur percependo il proprio volto in fiamme e
soprattutto, sapendo di non avere alcuna intenzione di conoscere i dettagli di
quella storia, decise che sarebbe stato saggio fare ciò che gli stava chiedendo
Jane. Forse per l’ultima volta.
Così si accomodò sul divano e Jane si sedette accanto a
lui, voltandosi completamente per guardarlo; e mentre lei sceglieva con
attenzione le parole giuste per spiegare quanto accaduto, Paul le rivolse un’espressione
di attesa, con un sopracciglio alzato, quasi a volerle dire, ‘E allora?’
“Ho conosciuto David sul set del film, a New York.”
iniziò a spiegare con un profondo sospiro.
“Sì, questo lo so, so tutto di lui ormai.” sbottò Paul,
“Da quanto va avanti?”
“Un paio di mesi.”
“Un paio di mesi?” ripeté Paul, sorpreso e sconcertato,
“Cazzo, Jane, ma…Perché?”
“Perché sono innamorata di lui.”
Una parola importante, innamorata.
E normalmente Jane l’avrebbe associata al nome di Paul.
Ma ora… ora Jane era lì, di fronte a
Paul, a parlare del suo amore per un altro uomo, mentre il cuore di Paul
sembrava essersi ridotto di tre taglie ed essere ora una piccola pietra, dura,
che non riusciva più a battere e tenerlo in vita.
Il peggiore incubo di Paul si era infine avverato, aveva
perso Jane perché non aveva saputo custodire il suo amore. E ripetere quanto
lei avesse appena detto non avrebbe risolto nulla, ma Paul non poté fare altro.
“In…Innamorata?”
“Sì, io… Paul, mi dispiace, ma è stato più forte di me.”
confessò impotente, continuando a guardarlo negli occhi, “Non scegliamo noi di
chi o quando innamorarci, ed è proprio quello che è accaduto. Lui era così
divertente e mi faceva stare bene.”
“E io no?” domandò lui, profondamente risentito dalle
ultime parole di Jane.
“Non ho detto questo.” si affrettò a chiarire Jane, “Ma
tu eri lontano, non riuscivamo più a vederci spesso. All’inizio sentivo la tua
mancanza disperatamente, ma poi ho cominciato ad abituarmi e nonostante sapessi
che era un brutto segno, sono andata avanti così, fino a quando lui non ha
cominciato a interessarsi a me.”
“E tu hai accettato le sue attenzioni.” terminò Paul, in
modo abbastanza scontato.
Jane sospirò e annuì lentamente, “Sì, e prima che me ne
rendessi conto, ero perdutamente innamorata di lui.”
Paul chiuse gli occhi un istante, la stanza aveva
cominciato a vorticare e lui non lo sopportava, così come non sopportava gli
occhi di Jane, che continuavano a guardarlo, con decisione, con fermezza, uno
sguardo che non vacillò mai mentre parlava di quel nuovo sentimento nato in
lei. Forse era questo che, più di tutto, fece soffrire Paul. Jane era
innamorata persa di un altro ed era sicura che quella fosse la cosa migliore
per lei ormai. Questo significava solo che non c’era più speranza per Paul.
Il suo cuore era come stretto in una morsa dolorosa, che
non aveva alcuna intenzione di allentare la presa. Faceva davvero male, così
tanto che Paul, per la prima volta dopo la morte di sua madre, sentì il
desiderio di piangere.
“Paul, mi dispiace così tanto, ma dovevo dirti la
verità.” mormorò Jane, sporgendosi verso di lui, cercando di appoggiare una
mano sulla sua spalla, “Non si tratta di una semplice scappatella. È una
relazione seria, e avevo bisogno di fartelo capire, prima di lasc-”
Paul sollevò una mano per zittirla e allontanare il
braccio da se stesso, “Ti prego, vattene ora.”
“Ma, Paul-” protestò lei, tentando ancora una volta di
toccarlo.
“Cazzo, Jane.” esclamò l’uomo, e la scostò come se si
fosse appena scottato, “Vattene.”
Jane si morse il labbro, profondamente contrita, poi si
alzò in piedi, “Spero che un giorno potrai perdonarmi.”
Paul non si prese il disturbo di rispondere, non poteva;
rimase in silenzio mentre la sentiva uscire dalla casa e chiudere la porta
dietro di sé.
E solo in quel momento, il giovane uomo sentì davvero la
solitudine, che era tornata prepotentemente nella sua casa. Era sempre fredda e
troppo silenziosa. Rendeva l’aver perso l’amore di Jane ancora più straziante.
Paul non poteva sopportarlo. Non da solo. Era sul ciglio
di un burrone in cui stava scivolando lentamente, e solo quella sera aveva
scoperto che era in quella situazione da molto tempo.
Aveva bisogno di una mano che lo portasse al sicuro.
Aveva bisogno di essere salvato.
****
John sospirò, leggendo il giornale che aveva comprato
quella mattina.
Ogni giorno ormai ne capitava una, ma in effetti il vero
motivo per cui John l'avesse comprato era perché sperava di trovare qualcosa di
interessante riguardo la fidanzata di Paul. Sicuramente sarebbe stato più
semplice comprare un giornale scandalistico, ma lui si vergognava troppo. Non
che all'edicolante sarebbe potuto importare molto di cosa leggesse uno dei suoi
clienti, ma John non voleva correre rischi. E poi lo sapevano tutti che la
stampa inglese, di qualunque genere fosse, era assetata di gossip.
Difatti, nella pagina degli spettacoli c'era un piccolo
trafiletto dove era riportata la foto di Jane con il belloccio in questione.
Nell'articolo non c'era scritto molto di più di quello che John già sapesse,
eppure qualcosa riuscì a catturare la sua attenzione.
"... Inoltre il signor Donovan sarà a
Londra, la settimana prossima, per l'inaugurazione di un museo del cinema,
vicino alla National Gallery. Il museo è stato curato personalmente dal produttore
cinematografico e raccoglie alcuni dei cimeli della storia di Hollywood e non
solo. Per maggiori informazioni consultare il sito ecc..."
John aggrottò la fronte pensieroso. Un museo del cinema?
Non aveva molto a che fare con il suo ambito, però poteva
sempre provare a fare delle ricerche. Se era fortunato, avrebbe potuto trovare
qualcosa di interessante.
E poi? L'avrebbe rubato?
Sì, ovvio.
Ma perché? Perché si stava preoccupando tanto di cercare
qualcosa di interessante da rubare a quell'uomo?
Perché rubare era il suo mestiere. No?
O forse aveva a che fare con il collegamento fra Paul e
quell'uomo?
Ma no, no, assolutamente no. Non era affatto così. Non
era possibile. Non era-
Il trillo del cellulare lo fece sobbalzare sul divano. E
quando vide chi lo stava chiamando, anche il suo cuore sobbalzò.
Paul.
Pensava che non l'avrebbe più sentito almeno per quella
giornata, invece... Eccolo lì! John era così curioso del perché lo stesse
chiamando che si affrettò a rispondere.
"Pronto?"
Un breve attimo di silenzio che John interpretò come
esitazione, e poi finalmente la voce di Paul, "È ancora valido
quell'invito?"
John non se ne rese conto, ma era rimasto letteralmente a
bocca aperta.
"Certo."
"Allora, pensi che possiamo vederci
stasera?"
"Sì.” rispose John, forse troppo rapidamente, “Lascia
che mi organizzi per affidare Julian a George e Pattie, e poi possiamo andare
dove vuoi."
"Grazie, John." disse lui, il tono dolce e insieme sofferente.
"Figurati. Ci vediamo dopo."
"Sì. A dopo."
John terminò la chiamata e sospirò. Santo cielo, non
aveva davvero trattenuto il respiro per tutta la durata della telefonata, vero?
Eppure ora aveva il respiro corto e il cuore che batteva un po’ più
velocemente.
Doveva assolutamente darsi una calmata e ragionare con
lucidità su quanto fosse appena accaduto: Paul l’aveva chiamato per chiedergli
di uscire e la sua voce era sembrata così contrita, che ora John voleva solo
assicurarsi che lui stesse bene. Doveva essere successo qualcosa di importante,
dal momento che quella mattina Paul aveva parlato con lui in modo molto
diverso, aveva anche riso.
Quindi, sembrava proprio che la principessa avesse
nuovamente bisogno del suo aiuto. E John, inutile negarlo, era più che felice
di darglielo.
Guardò Julian che giocava tranquillamente sul tappetto
con le macchinine e sorrise, “Ehi, piccolo, ti piacerebbe se stasera venissero
George e Pattie a stare con te, mentre papà esce?”
“Dove vai?” domandò distrattamente il bambino, senza
distogliere gli occhi dai suoi giochi.
“Esco con Paul.” rispose lui, alzandosi dal divano e
andando a sedersi accanto al figlio, “Sai, è un po’ triste in questi giorni.”
A quel punto, Julian si voltò verso di lui per
rivolgergli uno sguardo incuriosito, “Perché?”
“Perché la sua fidanzata gli ha detto una bugia.”
“E tu lo fai stare meglio?”
“Ci provo.” rispose John, “Quindi per te va bene, se
stasera non ci sono?”
“Va bene, ma prima devi giocare con me.” esclamò il
bambino, cogliendo di sorpresa John e buttandosi tra le sue braccia.
John rise un po’ e si sottomise volentieri al desiderio
di suo figlio, giocando con lui. Fecero una gara con le macchinine e ovviamente
vinse quella di Julian, ma John si vendicò, prendendolo tra le braccia e
facendogli il solletico, e la risata spensierata di Julian riempì la stanza.
Poi, mentre il bambino si lavava le mani per la cena,
John chiamò George per chiedergli se lui e Pattie potessero badare a Julian
quella sera, e se George potesse anche indagare su quel museo del cinema di cui
aveva letto nel giornale. George accettò, anche se rimase perplesso dall'ultima
richiesta di John, il quale lo tranquillizzò dicendo che gli avrebbe spiegato
tutto a tempo debito.
Quando John e Julian cenarono in tutta tranquillità in
cucina, l’uomo cominciò a sentirsi stranamente agitato. Il motivo doveva
sicuramente avere a che fare con Paul, ma John non capiva perché. Dopotutto non
era la prima volta che usciva con Paul per bere qualcosa, ma stavolta era
diverso.
Era pericolosamente diverso.
****
Paul non aveva per niente
una bella cera.
John l'aveva notato solo
quando era uscito dal suo appartamento. Aveva le occhiaie ben evidenti e la
barba di almeno due giorni, che creava un effetto particolare sul suo viso: sembrava
essere in contrasto con quei lineamenti delicati e quegli occhi dolci, ma anche
perfettamente abbinata alla bellezza del suo volto.
Era comunque inutile dire
che non stesse passando un bel momento. Quella gioia che John aveva visto solo
la domenica prima, si era come spenta e ora vi erano solo ombre. John aveva
preferito non dire nulla a riguardo, fino a quando Paul non l'avesse fatto lui
in prima persona.
Così avevano raggiunto a
piedi un pub non molto lontano dalle loro abitazioni, e seduti a un tavolino,
avevano iniziato a bere birra e parlare. Paul gli raccontò dei bei giri
turistici che aveva compiuto quella mattina e John ascoltò interessato, sapendo
perfettamente che non era quello il motivo per cui Paul avesse espresso il
desiderio di vederlo.
Quando le birre consumate
cominciarono ad aumentare, la situazione cambiò e Paul decise di passare a
tutt'altro tipo di bevanda. Qualcosa di più forte, un po’ di whiskey, quello potente,
così tanto da fargli dimenticare il suo stesso nome. John tentò di fermarlo, ma
Paul non aveva alcuna intenzione di rinunciarvi, neanche quando uno strano
colorito rossastro cominciò a diffondersi sulle sue guance paffute e gli occhi
si annebbiarono.
Come se quella potesse esser
la soluzione a tutti i suoi problemi.
Tuttavia John sapeva di non
potergli dire banalità del genere, avrebbe solo peggiorato la situazione perché
quando qualcuno inizia a ubriacarsi, diventa totalmente insofferente verso
qualunque cosa. E quando qualcuno che tenta di affogare i propri dispiaceri
nell’alcol, si ubriaca, beh, allora tutto diventa imprevedibile. Così John aspettò
e guardò mentre anche i bicchierini di whiskey ordinati aumentavano sul tavolo
e Paul cominciava a parlare a vanvera.
“Io lo sapevo, sai?” sbottò
a un certo punto Paul, e la risatina che seguì fu la prova che fosse ormai
ubriaco.
“Cosa?” chiese dolcemente
John.
“Che prima o poi sarebbe
finita con Jane, che altro?"
John sospirò, intrecciando
le mani sul tavolo. Beh, lui sapeva che sarebbero arrivati a questo argomento,
prima o poi, durante la serata.
"Perché?"
"Eravamo ormai come
fratelli, fratelli che scopavano.” esclamò Paul e scoppiò a ridere con un
brusco movimento del suo corpo che fece rovesciare un bicchierino di whiskey
sul tavolo.
“Paul, cazzo.” imprecò John,
affrettandosi a recuperare dei tovaglioli per asciugare il pasticcio che aveva
combinato Paul.
“Cosa? È vero, sai? Anche se
non c'era più la stessa passione e comprensione dell'inizio.” mormorò
calmandosi all’improvviso, e fece incrociare le braccia sul tavolo, “E sapere
che lei si sia addirittura innamorata di un altro, è troppo difficile da
accettare."
John batté le palpebre,
guardandolo ora con evidente sorpresa, "Innamorata?"
"Sì.” sospirò Paul e
abbandonò la testa sulle sue braccia, “Me l'ha detto lei."
"Quando?"
"Non te l'ho detto? No,
ovviamente no, che stupido che sono.” esclamò dandosi uno schiaffo sulla
fronte, prima che John potesse fermarlo, “Si è fatta trovare a casa al mio
ritorno."
“Oh, una gran bella
sorpresa.” commentò John, e Paul rise debolmente.
“Puoi dirlo forte.”
“Quindi ti ha spiegato
tutto?”
Paul annuì distrattamente,
mentre con un dito tracciava degli invisibili cerchi sul tavolo, “La lontananza
e il nostro rapporto che si era raffreddato, l’hanno spinta tra le braccia di
un altro.”
“Mi dispiace, Paul.” gli
disse John, portando una mano sull’avambraccio di Paul
“Io pensavo che sarebbe
durata per sempre.” e John non sapeva se attribuire il singhiozzo che seguì al
troppo alcol o alla troppa sofferenza di Paul.
In qualunque caso, era
terribilmente sconfortante, vederlo ridotto in quello stato, sapendo quanto
fosse felice fino a pochi giorni prima. E altrettanto sconfortante era il fatto
che John non potesse provare parole adatte per rincuorarlo, era totalmente
impotente di fronte a lui, perciò disse la cosa più banale che gli passò per la
testa.
“Non possiamo mai prevedere
quello che ci riserva la vita.”
Paul singhiozzò e guardò la
mano appoggiata sul suo avambraccio, sembrava trasmettergli una sorta di
dolcezza che voleva solo consolarlo, vederlo stare meglio.
Tuttavia, era una sensazione
troppo lieve per poter lenire tutto quel dolore che lo stava divorando
dall’interno come se fosse senza fine, come se Paul dovesse soffrire per
sempre, e non ci fosse alcuno spiraglio di salvezza.
“Dannazione, sta andando
tutto a rotoli, tutto.” esclamò, nascondendo il volto tra le mani con un gesto
frustrato.
“No, no, non dire così, non
è vero.” protestò John, ma non era pronto a subire la reazione di Paul.
“Cosa ne sai tu?” sbottò il
giovane uomo, scrollandosi di dosso la mano di John, “Jane è stata la mia prima
storia importante. Sai cosa vuol dire, quando pensi che durerà per sempre, e
invece tutto crolla come un castello di carte e tu non puoi fare assolutamente
nulla?”
John si morse il labbro,
nervosamente, e abbassò lo sguardo. E come poteva non saperlo lui? Lo sapeva
eccome, lo sapeva bene tanto quanto Paul.
“Sì.” mormorò
tranquillamente.
Solo in quel momento, con la
sua risposta, con la sua calma che contagiò anche Paul, lui capì che John
sapeva meglio di chiunque altro ciò che provava. E sempre in quel momento, Paul
provò vergogna.
“Scusa, John, io… non
volevo, mi disp-”
“Non importa, sei ubriaco e
la tua ragazza ti ha fatto le corna, penso che tu sia giustificato. Solo per
adesso, si capisce.” commentò John, sorridendo e facendogli l’occhiolino.
Paul rise, ma l’azione gli
fece girare la testa, “Oh-o.”
“Cosa?” domandò John,
improvvisamente allarmato.
“Mi viene da vomitare.”
“Oh no, non ci provare, non
qui.”
Non appena John disse
questo, lo afferrò per il braccio e lo trascinò fuori. Paul lo seguì
barcollando pericolosamente, e quando fu all'esterno John lo condusse nel primo
vicolo che trovò sul suo cammino, giusto in tempo affinché Paul potesse
rimettere anche l'anima. Ecco, ora con tutto quel veleno, in forma di dolore e
di alcol, fuori dal suo corpo, Paul sarebbe stato decisamente meglio.
John rimase accanto a lui
per tutto il tempo, mentre i conati di vomito scuotevano il suo corpo
violentemente, e quando il peggio passò, Paul si accasciò a terra con la
schiena contro il muro. Abbandonò la testa all'indietro e chiuse gli occhi.
"Mi gira la
testa."
"Lo spero bene. Con
quello che hai rimesso." gli disse amaramente John, notando quanto fosse
pallido ora in viso e le lacrime che avevano bagnato le guance, durante lo
sforzo di pochi istanti prima.
Paul mormorò, mentre si
portava una mano sulla fronte, “Oh, mi sento uno schifo.”
“Domani starai meglio. Te lo
prometto.” lo rassicurò John, accovacciandosi di fronte a lui.
“Io vorrei stare meglio
ora.”
E in quel momento sembrò
così innocente, con le labbra dischiuse in un’espressione di totale sconforto e
gli occhi che brillavano con le lacrime intrappolate nelle lunghe ciglia, che John sentì il proprio cuore stringersi
dolorosamente.
Era una sensazione troppo
insolita per John, e ne ebbe la conferma quando la sua mano si allungò per
asciugare una delle sue guance paffute e umide.
“Ora non puoi, Paul.” spiegò
John, sospirando tristemente, “Devi solo sopportare.”
“Ma fa male.”
“Lo so, ma è necessario.”
“Perché?” domandò frustrato
Paul, mentre John si sedeva accanto a lui.
“Perché il dolore è la
condizione necessaria per guarire.”
Paul batté le palpebre,
confuso, e nello stesso momento il suo corpo fu scosso da un ultimo singhiozzo,
“Cosa significa?”
“Significa che… ecco, non so
spiegartelo bene, però è come quando hai la febbre.” disse John, ricevendo uno
sguardo di puro scetticismo da Paul, “La febbre ti fa stare male, è vero, ma
permette al tuo corpo di combattere l’infezione. È la stessa cosa in questo
caso.”
“E tu come fai a sapere
queste cose?” chiese Paul, aggrottando la fronte.
“Ho un bambino di quattro
anni, ricordi?” rispose John, dandogli una lieve gomitata nel fianco, “Vado dal
pediatra almeno una volta al mese.”
Paul rise leggermente, “Ah,
capisco, ora è tutto chiaro.”
La sua risata, per quanto
lieve, fu ciò che mostrò a John che Paul stesse un po’ meglio e che forse era
proprio ora di tornare a casa, “Coraggio, andiamo.”
“Dove?”
“Che domanda è? A casa,
idiota.” rispose lui, balzando in piedi, “Ce la fai ad alzarti?”
“No.” rispose sinceramente
Paul, guardandolo imbronciato.
“Oh, dai, vieni, ti aiuto
io.” sospirò John e gli porse una mano.
Paul la guardò un istante
prima di afferrarla ed essere portato in piedi dall’amico.
“Ecco qua.”
John mantenne la mano di
Paul ben salda nella sua, ma quando vide che Paul barcollò leggermente
all’indietro, verso il muro, fece scattare l’altro braccio in avanti per
sorreggerlo dal fianco.
Paul rise divertito, “Ops, c’è qualcosa che non va.”
“Direi proprio di sì.”
“Non posso tornare a casa
così.”
“Non possiamo neanche
restare qui, se per questo.” gli fece notare John, prima di far scivolare un
braccio attorno alla sua vita e attirarlo a sé, “Coraggio, tieniti a me e
andiamo.”
Paul obbedì docilmente e
fece passare un braccio sulle sue spalle per sorreggersi meglio. Poi John
cominciò a portare entrambi verso casa, facendo sempre attenzione che Paul non
inciampasse e quindi facesse cadere entrambi a terra.
Il giovane ispettore lasciò
che John lo guidasse e sostenesse, perché in quel momento Paul non aveva
bisogno di altro. Non si era mai sentito così sperduto, così debole e apatico.
Sapeva a cosa fosse dovuto e se avesse voluto, avrebbe potuto contrastarlo, ne
aveva tutte le capacità. Eppure questa volta si trattava di qualcosa più forte
di lui, una sensazione di totale smarrimento, e Paul non voleva combatterla,
aveva bisogno di lasciarsi andare a quest’emozione, perché John aveva ragione,
soffrire ora gli avrebbe permesso di stare meglio dopo, magari anche il giorno
successivo.
Quando arrivarono nella loro
via, John invece di portarlo verso l’appartamento di Paul, lo condusse verso
casa sua.
“John, io devo andare di
là.” disse, cercando di guidarlo dalla parte opposta, ma John lo fermò.
“Non credo proprio.”
“Ma io-”
“Ma niente, credo sia meglio
che stanotte resti da me, ok? Non vogliamo che ti capiti qualcosa, da solo a
casa, in questo stato.” spiegò John, sorridendo dolcemente.
Paul protestò vivacemente,
scuotendo il capo, “No, no, no, è troppo disturbo.”
Tuttavia il gesto peggiorò
la situazione e i giramenti di testi aumentarono quel tanto da indurlo ad
aggrapparsi con più forza a John.
“Come no. Chiudi quella
bocca, ora, e vieni con me.” ordinò John divertito.
Paul sorrise, gli occhi
annebbiati e lievemente socchiusi, e seguì John quando aprì la porta con la
chiave e lo trascinò nel suo ingresso.
“Eccoci qua.” esclamò l’uomo,
mentre Paul si abbandonava un po’ più su di lui e mormorava distrattamente.
Stava cominciando a essere
pesante, e John doveva portarlo su qualcosa di morbido prima che si
addormentasse addosso a lui. Non si sentiva proprio di sollevare quel ragazzo
di quanto? Un metro e ottanta?
Così si avviò verso il
salotto dove George balzò in piedi dal divano, “John, che succede?”
“Un bicchierino di troppo.”
commentò John, “Aiutami a metterlo sul divano.”
George obbedì e raggiunse
Paul dalla parte opposta rispetto a John, sorreggendolo con un braccio intorno
alla vita. I due trascinarono Paul sul divano, dove lo fecero sdraiare e una
volta comodo, Paul strizzò gli occhi, stiracchiandosi con una smorfia sul viso.
“Mm… John?”
“Sono qui, Paul.”
“Mi fa male la testa.”
sbiascicò, portandosi una mano sulla fronte, “Non lo sopporto.”
“Ti porto un’aspirina.”
Poi, mentre Paul borbottava
qualcosa simile a un grazie, John afferrò il braccio di George e lo trascinò
con sé, salendo su per le scale.
“Si può sapere che cazzo gli
è successo?” sbottò George, incuriosito.
“La ragazza di Paul l’ha
tradito e lui s’è ubriacato, tutto qua.” spiegò rapidamente John, “Julian?”
“Pattie lo sta facendo
addormentare.”
“Bene.” esclamò John,
guardandosi indietro alle spalle, come un riflesso incondizionato di protezione,
“Allora, hai scoperto qualcosa?”
George annuì, diventando
improvvisamente più serio, “Sì, in effetti c’è qualcosa che ci può
interessare.”
“Ovvero?”
“Si tratta di un’originale
maschera del film The Wall.” esclamò George,
mentre John si infilava nel bagno per recuperare un’aspirina.
“Quello sull’album dei Pink
Floyd?” domandò John, con tanto entusiasmo da chiudere troppo velocemente
l’armadietto dei medicinali e provocare un rumore molto forte.
“Proprio quello. Ma, John,
ci saranno molti poliziotti e sistemi di sicurezza molto difficili da crackare. È pericoloso.”
“L’avevo immaginato.”
“Perciò, pensaci bene prima
di decidere. Prova a parlarne anche con Jim.” gli disse George, abbassando la
voce.
“No, Jim non vuole più
essere coinvolto da quando c’è… sì, insomma, lo sai.” tagliò corto John,
scrollando le spalle.
“Ho capito, ma-”
“E io rispetto la sua
decisione, chiaro?”
“D’accordo, John.” sospirò
George, rassegnato, “Ma cerca di non essere avventato.”
“Ci proverò, grazie per le
informazioni.”
Dopodiché si portò un dito
sulle labbra per dirgli di fare silenzio, prima di entrare nella cameretta di
Julian: la luce soffusa dell’abat-jour illuminava debolmente la stanza, mentre
in sottofondo si sentiva una dolce nenia che proveniva da un carillon. Pattie
era accanto al letto del bambino, guardandolo dormire. Il suo sguardo era dolce
e malinconico, John lo notò subito perché non era la prima volta che lei lo
rivolgesse proprio a Julian.
Quando la ragazza si voltò
verso di lui, John le sorrise e lei ricambiò subito, mentre l'uomo si
avvicinava al bambino per osservare la sua espressione tranquilla, con gli
occhi chiusi, le labbra dischiuse e il respiro profondo. Gli baciò dolcemente
la fronte, cercando di non farlo svegliare, e gli sistemò la coperta leggera,
mentre si chiedeva come facesse Julian a non soffrire il caldo dormendo
abbracciato a quel peluche a forma di sottomarino giallo. Era un mistero. Quel
peluche era una sorta di angelo custode e Julian ormai non poteva dormire
senza. Ma erano in piena estate ormai.
Poi, mentre Pattie usciva
dalla cameretta, John si avvicinò all'armadio, lo aprì e ne estrasse una
coperta. Con delicatezza chiuse la porta della camera di Julian dietro di sé e
si rivolse ai due giovani di fronte a lui.
"Non so come ringraziarvi
per stasera."
"Figurati. Tu eri
impegnato a far ubriacare lo sbirro." commentò George.
"Ha fatto tutto da
solo. Io mi sono limitato ad ascoltare le sue lagne e portarlo a casa sano e
salvo." spiegò John.
Non sapeva perché stesse
cercando di sembrare annoiato, ma qualcuno comunque non credette alla sua
piccola messinscena.
"Ti ci stai
affezionando, vero?" domandò improvvisamente Pattie.
"Cosa?” esclamò John,
sorpreso e indignato, “Sei fuori strada, mia cara."
Tuttavia Pattie non aveva
proprio intenzione di credergli e continuò a guardarlo con un sorriso
malizioso, "Dici? In fondo fai cose che solo un amico farebbe."
"È così, John?"
chiese George preoccupato, e lo sguardo che gli rivolse fu uno dei più
eloquenti, quasi volesse dirgli, 'Non
t'azzardare'.
"Ma no. Non è così!”
protestò John, “Siamo solo due conoscenti, due vicini di casa che ogni tanto si
vedono per suonare e fare due chiacchiere. Lui sta passando un brutto momento e
io sono l'unica sua conoscenza qui, è ovvio che si rivolga a me."
"Se lo dici tu..."
commentò George, scrollando le spalle e avviandosi giù per le scale.
Pattie lo seguì non prima di
aver rivolto a John l’ennesimo sorriso che sembrava sapere che John avesse
mentito, che sembrava avere una profonda conoscenza dei veri sentimenti di
John.
John, dal canto suo, non
sapeva bene cosa gli stesse accadendo. Aveva mentito, questo sì, a George per
di più, il suo migliore amico. Perché gli aveva mentito? Perché non aveva
potuto dirgli che stava imparando a considerare Paul come un amico, anzi, che
lo considerasse ormai più come un amico, che come un nemico?
Quando salutò e ringraziò
ancora George e Pattie per l’aiuto, John decise che non voleva sapere il perché
di tutte queste cose. Non ancora.
Eppure l’immagine che John
vide pochi minuti più tardi, di Paul che sonnecchiava sul suo divano, gli disse
che non doveva preoccuparsi, che era giusto che andasse tutto così. Sospirando
impotente, John si sedette sul tavolino di fronte al divano e scosse lievemente
Paul.
“Paul?”
Il giovane ispettore protestò
con un borbottio infastidito, prima di voltarsi dall’altra parte. John rise, ma
provò di nuovo a svegliarlo.
“Dai, Paul, svegliati solo
un attimo.”
Paul sospirò e tornò a
guardare John, gli occhi socchiusi proprio non ce la facevano ad aprirsi completamente.
“Tieni! Un'aspirina e un po'
d'acqua, così domani sarai come nuovo."
Paul guardò il bicchiere che
gli stava porgendo John, e la promessa dell’amico lo convinse a sollevarsi un
po’ per afferrarlo: era riempito a metà e nell'acqua c'erano bollicine
spumeggianti che indicavano la presenza del farmaco oramai disciolto. Bevve
tutto in un sorso, lasciandosi sfuggire una smorfia per il cattivo sapore.
John gli tolse il bicchiere
dalle mani, prima di farlo sdraiare sul divano e coprirlo con la coperta leggera
appena recuperata. Anche in questo caso Paul lo lasciò fare e quando la sua
testa si appoggiò sul cuscino, il sonno minacciò di sopraffarlo nuovamente.
Eppure c’era ancora una cosa che doveva chiedere a John, perché lui, come
persona ormai vicina a Paul, doveva conoscere la risposta a quella domanda.
"John, perché le
persone mi tradiscono e abbandonano?"
John sussultò a quella
domanda, e insieme a lui anche il suo cuore fece un piccolo salto, "Cosa?"
"Perché lo fanno?”
insistette Paul, senza agitarsi, solo con tutta la tranquillità che il breve
sonnellino di poco prima gli aveva infuso, “Prima mio padre e ora Jane. Forse
sono io che li ho allontanati da me."
"No, Paul, non è colpa
tua. Non devi pensarlo mai.” esclamò John, scuotendo vigorosamente il capo,
“Tu… tu sei una persona bellissima. Nessuno vorrebbe davvero allontanarsi da
te."
La risposta di John fu
ancora una volta delle più banali, e la successiva domanda di Paul fu più che legittima.
"Allora perché loro
l'hanno fatto?"
"Io non lo so.” sospirò
John sconfitto, “Ma so per certo che non è colpa tua."
Paul chiuse gli occhi,
l'espressione era ancora sofferente, ma più rilassata. Come se stesse ormai accettando
quella sofferenza.
"Grazie, John, sei
davvero il migliore amico che abbia mai avuto."
John lo guardò, mordendosi
il labbro e sentendo ancora quel senso di colpa che tornava di tanto in tanto,
anzi spesso ormai, a palpitare in lui.
"Non c'è di che."
rispose, la voce rotta, sopraffatta da tutte le emozioni di quella giornata.
La vista di Paul
completamente perso e vulnerabile, come non lo aveva mai visto, era stato troppo
per lui. John non pensava che Paul potesse davvero ridursi in questo stato. Paul
così composto, così sorridente, Paul così speciale.
E allo stesso modo, John non
pensava di poterne essere tanto colpito. Dio, John sapeva di voler fare
qualcosa, qualunque cosa per quella principessa che continuava a essere nei
guai, e si maledisse perché non poteva fare molto.
O forse…
Forse qualcosa c'era.
"Buonanotte,
John."
Poteva rubare la maschera.
"Buonanotte,
Paul."
Poteva vendicare Paul.
Note
dell’autrice: bene, eccoci qua, aggiornamento anticipato,
un po’ per cercare di avvicinarci velocemente alla svolta della storia e un po’
perché il 6 volevo pubblicare una cosa, se riesco, per l’anniversario di John e
Paul. :3
Allora, John riuscirà a
vendicare Paul?
Lo scopriremo nel prossimo
capitolo, “I’ve got a
feeling”, mercoledì prossimo.
Intanto grazie a kiki per la correzione, ringostarrismybeatle
perché sopporta le mie paturnie, e ChiaraLennonGirl, Flaw, lety_beatle e GaaraIstillloveyoubaby.
A presto
Kia85