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Autore: Some kind of sociopath    02/07/2014    2 recensioni
Anno 1769: Haytham E. Kenway, dopo il suicidio dell'amico Jim Holden e la morte della sorella Jenny è tornato a Boston alla ricerca di Tiio. Lei è sopravvissuta all'incendio del villaggio, nonostante il figlio non lo sappia, e Haytham ha intenzione di ricucire la sua famiglia, quella che non è riuscito ad avere nella propria gioventù. Ma non ha messo in conto gli altri Templari, il suo vecchio Gran Maestro Reginald Birch e la piccola e fastidiosissima Confraternita degli Assassini...
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Il testo dei primi due capitoli è stato rivisto e modificato. Mi farebbe piacere sapere che cosa ne pensate al riguardo e quale "versione" preferite, ;)
 
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Achille Davenport, Altro personaggio, Connor Kenway, Haytham Kenway
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
Capitoli:
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Non accadde nulla per mesi. Niente di niente, nemmeno l’ombra di qualcosa d’interessante. Connor andava e veniva insieme ai suoi adepti, ignorandoci completamente. Achille non cucinava nemmeno più, ormai andato in esilio volontario nella stanza segreta, per cui toccava al sottoscritto far mettere sotto i denti della squadra qualcosa che non fosse birra e gallette – il menù che Thomas Hickey aveva sottoscritto da quando le sue ossa erano state sviluppate a sufficienza per reggere un boccale –, riportando in vita la tradizione della cucina inglese.
No, sto scherzando. Cucinava Connor.
E, ovviamente, non perdevo l’occasione per sottolineare la sua indole da donnicciola. Avrei potuto anche cambiare argomento ed evitare di essere tanto monotono, ma ora dirò qualcosa che vi stupirà: alla tenuta non c’era niente da fare. Avevano già tutti i loro compiti, le loro stupide cosette di cui occuparsi. Ingannavo il tempo tirando di spada con Hickey, tanto per fare, ma la maggior parte delle volte finivamo col discutere, lui ribadendo che non aveva intenzione di uccidere più nessuno, io dandogli dell’idiota e mettendo in chiaro che, anche se non avesse più ammazzato – ed era impossibile – le circostanze lo avrebbero costretto almeno a difendersi. Buttare a terra la spada come un fottuto obiettore di coscienza non aveva senso e, soprattutto, lui non aveva l’abilità diplomatica necessaria per azioni di quello spessore. Meglio che continuasse a bere, sputare, palpare e sgozzare senza pietà per poi pentirsi ginocchioni in confessionale.
Quando gliel’avevo urlato contro aveva fatto per darmi un pugno in faccia. – Avresti potuto uccidermi, Thomas! – avevo risposto per sbeffeggiarlo. – I tuoi buoni propositi non durano nemmeno cinque minuti, eh?
Si era rifiutato di parlarmi, affondando il viso in un boccale di whiskey, roba importata direttamente dall’isola di smeraldo e pagata coi bigliettoni falsi di Tom. Motivo per cui il ragazzo si era rifiutato di dividere le proprie bottiglie con chicchessia, a meno che non pagasse profumatamente. Stronzetto.
– Tieni le labbra più attaccate a quell’affare che al corpo di una donna, complimenti – brontolai, entrando nella sala da pranzo per farmi un tè e vedendolo tracannare whiskey direttamente dalla bottiglia. Negli ultimi giorni era stato quasi sempre sbronzo.
La sbatté sul tavolo con stizza. – Trovami una donna degna delle mie labbra in questo buco del cazzo e t’accontenterò, Kenway – mi sibilò contro, pulendosi le labbra con la manica consunta della giacca. – Cristo santo. Se pensi che te ne offrirò sei un maledetto illuso, stronzo.
Scrollai le spalle, sedendomi di fronte a lui con una tazza fumante. – No, grazie, Tom. Non ci tengo a beccarmi un herpes fulminante o simili. – Era più forte di me.
– Fottiti – ringhiò sollevando la bottiglia nella mia direzione, come per brindare alla mia. – Hai qualcosa da dire?
– Ho pestato la merda di un qualche animale mentre rientravo, ieri sera – dissi con noncuranza. La notte mi piaceva uscire da quella maledetta casa e fare un giro nei dintorni. Cacciare un po’, magari. Al contrario di Thomas Hickey, passando del tempo senza uccidere sentivo il bisogno impellente di continuare a farlo. – Un maiale, forse, o un cavallo.
Thomas si fece salire del catarro in gola con un risucchio disgustoso, sputando sul fondo della bottiglia ormai vuota. – Non hanno neanche dei cazzo di stallieri come si deve, qui. – Parlava come fosse il più grande leader della storia, lui, che non era nemmeno riuscito a gestire un traffico di banconote false. – Se fossi il padrone di questo posto, li farei sgobbare per bene.
Sospirai. – Già, tu ci tieni alla pulizia, alla sicurezza – replicai con sarcasmo. – Quella ragazza con cui ti avevo visto anni fa… quella con la febbre gialla… Immagino la stessi accompagnando da un dottore, non è vero?
Roteò gli occhi. – Perché devi sempre essere così stronzo, Kenway? – disse, lamentoso.
Mi riesce facile, avrei risposto, ma in quell’istante la nostra amichevole chiacchierata venne interrotta da quella montagna di ragazzo che portava il nome di Connor: attraversò l’ingresso di corsa e piombò nella sala da pranzo come un toro, sbattendo sul tavolo un paio di fogli di carta con tanto impeto da farmi quasi versare l’intera tazza di tè bollente addosso.
Lo guardai con la fronte aggrottata. – Da’… Dateci un’occhiata – borbottò col fiatone. – È importante – precisò con una mano sul petto, riprendendo fiato. – Dico sul serio.
Thomas abbandonò la bottiglia al catarro e artigliò i fogli prima di me, un’espressione perplessa in faccia. – C’è una vecchia conoscenza, capo – esclamò con il suo solito sorrisetto. – Guarda qua.
Mi passò il plico, e mi chiesi se avesse mai imparato a scrivere. Sulla pagina c’era un ritratto terribilmente familiare, una copia veramente brutta ma che chiunque avrebbe riconosciuto, soprattutto se avesse visto Charles Lee tagliar via con la spada il viso di un vecchio amico sa quella stessa tela. Dall’originale. – Ben – dissi, stupito in una certa misura. – Che diavolo ci fa su questo… coso?
Due pagine, quasi tre, riempite da una calligrafia sottile e fitta. – Un periodico? – chiesi a Connor con aria sospettosa. Non vedevo un affare di quel genere da quando avevo lasciato l’Inghilterra. Londra era piena di gente che pretendeva di poter raccontare a destra e a manca avvenimenti importanti sotto forma di carta stampata, ma quella pareva più che altro un appunto, un’abbozzo di periodico.
– Una specie. Uno dei nostri conosce l’autore e me l’ha passato. È molto importante. – Sembrava un bambino imbottito di zucchero. – Ci credi? Non abbiamo notizie dei Templari da quasi un anno. È un mezzo miracolo.
Sollevai lo sguardo al soffitto e presi a leggere, quasi affamato. Benjamin Church, da quanto tempo non sentivo parlare di lui? Avevo incontrato Thomas un paio di volte, ero praticamente andato a sbattere contro William e per quanto riguarda John, be’, se n’era occupato Connor. Ben era stato una mina vagante per quasi dieci anni.
– Washington l’ha arrestato – proseguì il ragazzo, in visibilio. – Faceva parte dell’Esercito Continentale, capo dei medici. L’hanno messo in prigione per aver passato delle informazioni direttamente agli inglesi. – Fiero della propria capacità di sintesi, Connor mi guardò in cerca d’approvazione.
Non lo notai, ero ancora piuttosto sconvolto. Sollevai lo sguardo dalla stampa, cercando gli occhi di Thomas Hickey. Erano sgranati almeno quanto i miei, e teneva le mani occupate nel riempire la pipa di tabacco, come faceva sempre quando era nervoso e non aveva dell’alcool a portata di mano. Sul viso di entrambi gravava la stessa pesante accusa, ma nessuno dei due aveva il coraggio di pronunciarla.
Traditore.
Non era nel nostro interesse appoggiare l’uno o l’altro schieramento, non lo era mai stato. Aveva ficcato la mano in un vespaio e pretendeva di uscirne senza nemmeno una puntura. Stupido idiota. Era passato dalla parte sbagliata, aveva deciso che per far parte di un Ordine frammentario valeva la pena di uscirne per sempre. Forse pensava che fossi rimasto ucciso e che a nessuno fregasse più niente di lui.
Non aveva messo in gioco che io avevo intenzione di riportare i Templari all’antico splendore e non avrei permesso a dei traditori – o all’omicida di mio padre – di infangare l’organizzazione. Volevo tenere con me un dannato voltafaccia e l’assassino di Tiio, sì, perché era il male minore. Smettete di fare i moralisti, per l’amor di Dio.
Mi passai una mano sulla fronte, desiderando ardentemente una pipa come quella di Tom. Era sempre stato un uomo straordinariamente orgoglioso, Ben Church, credeva di avere sempre ragione e di non aver bisogno di nessuno. Mai.
– Non lo trovate ingiusto? – mi aveva chiesto la sera stessa in cui gli avevo permesso di assassinare Silas Thatcher, quel fottuto schiavista. – La maggior parte di noi è composta da inglesi e irlandesi. Se un uomo vuole una pistola va a comprarla, non può pensare di averla gratuitamente. Allo stesso modo riceviamo beni – braccia, menti, individui, non solo mere risorse materiali – dalla madrepatria e pretendiamo di non dare niente indietro. Non lo trovate ingiusto, signor Kenway?
Mi ero scaldato le scapole, facendo scricchiolare le ossa delle spalle. Stavo pensando a Tiio, a dire il vero, l’affascinante donna nativa che aveva liberato i propri compagni ed era fuggita riservandomi un sorriso soddisfatto e un po’ sarcastico, come se non si fosse aspettata un’azione del genere da parte di un uomo apparentemente rispettabile con la puzza del Tamigi ancora addosso. – Non è nei nostri compiti stabilirlo – avevo ribattuto, sovrappensiero. – Se hai abbastanza soldi da permetterti di pagare le tasse, Church, fallo. La vecchia isola non è messa bene come sembra.
Aveva sputato a terra, per contro. – Io sono del Rhode Island, signor Kenway. Dell’Inghilterra non potrebbe fottermi meno, passate sopra il francesismo. Eppure ritengo sia eticamente corretto porgersi il problema. – Ero riuscito a sentire il disprezzo nella sua voce.
Ero giovane, stupido, appena caduto tra le braccia di una donna – nonostante ancora non lo sapessi di per certo. Avevo risposto al disprezzo con la stessa moneta. – Allora ritieni eticamente corretto tutto il nostro operato, Benjamin? Liberare schiavi, uccidere soldati, dare la caccia a uomini intenzionati a ostacolarci. È eticamente corretto?
– Non ho una risposta, signore – aveva risposto. Aveva ritenuto corretto uccidere Silas, ovviamente, lo stava minacciando.
– Magari quel Thatcher aveva una famiglia. Figli, moglie, forse un cagnolino. – Se al posto di Ben ci fosse stato Thomas, avrebbe certamente colto il mio sarcasmo. Church era peggio di un fottuto prete quando si parlava dei suoi interessi. – E tu l’hai ucciso. La sua famiglia lo considererebbe corretto?
Benjamin aveva stretto le labbra in una smorfia. – Era solo un figlio di puttana – aveva replicato senza guardarmi negli occhi. – Non mancherà a nessuno.
– Mancheresti a qualcuno, Church?
Mi aveva guardato negli occhi, e vi avevo letto qualcosa di abbastanza convincente da farmi girare sui tacchi, rientrando al Green Dragon per una dormita, un gran sorriso che mi si allargava in faccia.
Terrore. Gli era passata per la testa la consapevolezza che avrei potuto ucciderlo, e io mi ero chiesto se avrebbe continuato a difendere la propria cazzo di etica anche con una pistola puntata tra gli occhi.
– Ben – ripetei sfiorando con i polpastrelli il suo brutto ritratto. – Un cane sciolto.
Thomas Hickey sbuffò dal naso. – Io direi un cane e basta, capo – grugnii. – Un maledetto bastardo traditore. – Ecco, finalmente uno dei due aveva avuto il coraggio di pronunciare quella parola.
Sospirai. – Va fermato.
– Concordo – disse Connor, finalmente in grado di intromettersi nella conversazione senza sembrare un imbecille. – Il problema per ora non si pone. Ci penserà Washington.
Roteai gli occhi. – È riuscito a tradire l’Esercito Continentale una volta, può farlo di nuovo. Scappare al loro controllo quando vuole. – Scagliai i fogli sul tavolo e unii le punte delle dita nel tentativo di assumere un’aria sicura. – Farà qualunque cosa sia in suo potere per aiutare gli inglesi.
Sul tavolo della sala da pranzo calò il silenzio. La caccia aveva inizio, un’altra volta, con altri obiettivi. – È ancora dentro, vero? – chiese Thomas. Pareva così disperato da poter tentare di mandare giù quel grumo di catarro nella bottiglia. Connor annuì. – Cazzo. Non ce ne facciamo niente. E in più quei bastardi dei patrioti ci stanno ancora attaccati al culo! – Si passò una mano in faccia, sbuffando.  
Scrollai le spalle. – Quindi dovrai lavorare da solo, per ora. – Immaginavo già Washington vedermi sollevare la mano con un sorrisetto al primo futuro incontro, prendere l’uccello tra le dita e pisciarmi sulla redingote. Ah, il mio grande amico George.  
– Ci metterò il triplo, Haytham.
– Non posso farci niente. Si fidano di te, d’altronde. – Non avete idea di quanto mi desse fastidio. Radunare persone fedeli dava soddisfazione, ma in fondo tutti e cinque erano solo benemeriti traditori, chi più e chi meno. Stanarne uno vero ne avrebbe data molta di più, ritenevo. – Hai altre idee?
Abbassò il capo come un cagnolino. – No.
Si alzò, raccolse i suoi fogli e uscì di casa, diretto chissà dove alla ricerca di notizie su Benjamin Church, traditore della sua stessa patria in favore della Corona.
Guardai Thomas, sospirando con sarcasmo e un briciolo di disprezzo per me stesso. Con quel cazzo di atteggiamento avremmo messo la depressione addosso anche allo scemo del villaggio. Sbuffai. – Credi che potremmo andare avanti così ancora a lungo?
– Che intendi, capo? – Hickey poggiò i piedi sul tavolo e spinse la sedia indietro, restando in equilibrio solo sulle due gambe posteriori. Bravo cagnolino, magari pensi che per questo giochetto vada a riempire il boccale al tuo posto, eh? Va’ a farti fottere. Si passò le mani in faccia. – Ho bisogno di bere.
– Tu hai sempre bisogno di bere – brontolai, le braccia incrociate dietro la nuca. – Sto parlando del nostro modo di fare, Thomas. Ci stiamo un po’ adagiando sugli allori.
Sollevò le sopracciglia, la sua tipica espressione interrogativa. Saltai giù dalla sedia e afferrai la sua giacca, facendolo alzare e trascinandomelo dietro lungo il corridoio e giù per le scale della cantina. – Dobbiamo pensare a un piano – ringhiai tra i denti. La vecchia stanza segreta non era cambiata di una virgola. Con un ampio gesto scaraventai sul pavimento le carte che ingombravano la scrivania spinta contro il muro e vi balzai sopra, picchiettando le nocche contro il ritratto di Ben. Si trovava proprio accanto a quello di Thomas, sotto Charles.
Il mio socio grugnì, le braccia incrociate in un cenno cocciuto e irremovibile. – Ti ho già detto di non voler più uccidere nessuno, capo.
– E io ti ho già detto che sarai costretto a farlo, prima o poi – replicai nella stizza.
Roteò gli occhi. – Perché non lasci che se ne occupi tuo figlio? Sarebbe un problema in meno. – Sbuffai. L’ultima cosa di cui avevo bisogno era un altro rammollito nella squadra già piuttosto scarsina di cui disponevo.
– Andiamo, Hickey, siamo seri. Sai benissimo perché non posso permettere loro di ammazzarlo – bofonchiai lanciandomi dalla scrivania. Per un attimo pensai che l’intera catapecchia mi sarebbe crollata sopra la testa, ma resistette, oltre ogni mia previsione.
Thomas fece un passo avanti con i denti scoperti come un mastino, abbaiando a due dita dalla mia faccia: – Allora sai anche che non ti aiuterò. Qualunque cosa tu voglia fare a Ben, la farai da solo.
Allargai le braccia. – Cosa? – Scoppiai amaramente a ridere. – È un traditore, l’hai detto tu stesso.
– Ma davvero non esiste un altro modo? – sussurrò, e sembrava sul punto di piangere. Quella storia ci stava mettendo davvero a terra, tutti quanti. Lanciai un’occhiata al mio moncherino, giusto per non doverlo guardare in faccia. – Non dirmi che è così, Haytham. Io so che c’è una maniera diversa di risolvere tutto questo.
Continuai a ridacchiare. – Santo cielo, Tom, non cercare di fare il mediatore, non ne sei capace. Sei sempre stato un uomo violento e senza scrupoli, se credi di poter cambiare rotta soltanto perché hai scoperto di avere una coscienza ti sbagli di grosso.
– Non è della mia coscienza che si sta parlando! – strepitò come un bambino capriccioso. – Sei tu quello con qualche problema, capo. – Fece roteare l’indice alla tempia, forse credendomi un po’ duro di comprendonio e pensando necessitassi di qualcosa di più incisivo delle sue parole.
Espirai, buttando fuori tutto il fiato che avevo in corpo e bloccava le mie parole come un masso in mezzo alla gola. – Sai una cosa, Thomas? – ringhiai voltandomi verso di lui all’improvviso, l'indice accusatorio puntatogli contro. Mi faceva incazzare. L'intero modo di gestire gli affari in maniera tale da farmi sembrare quello cattivo, assetato di sangue e senza scrupoli mi faceva prudere le mani. – Penso che a te piaccia uccidere poco meno di quanto ti piaccia infilare l'uccello in qualsiasi buco a tua disposizione e ingollare alcool fino a vedere triplo. Credevo avessi davvero un fottuto crollo psicologico, cazzo, ma guardati! Sei più sereno di un bambino, Thomas. E pensi di fottermi con questa storia della coscienza solo perché vuoi passare la vita in panciolle? Devi lavorare per ottenere le cose, Hickey. Hai mai sentito questo verbo, per caso?
Scrollò le spalle, non aveva alcuna intenzione di ascoltarmi. Era bloccato per bene nella sua convinzione di essere nel giusto, ma sapevo perfettamente quanto fosse sfaticato, maledizione, quanto bramasse la vita facile. – Fare una strage non è la cosa migliore – mugugnò con le mani nelle tasche. 
A quel punto scoppiai davvero a ridere. Piegato in due, colpito dall’ironia della situazione e ricordando ciò che lui aveva dimenticato, vittima della sua stessa ipocrisia. – Eppure è esattamente ciò che si fa con i traditori, non è vero, Tom? – Strofinai i palmi sulle ginocchia. Avevo riso a lungo e in maniera così compulsiva da avere le lacrime agli occhi. – Non mi pare che tu abbia proposto una maniera diversa di risolvere la faccenda quando mi hai issato su quello sgabello. Insomma – affondai le mani in tasca ostentando noncuranza, solo per far entrare meglio il concetto in quella testa di cazzo – non ti sei fatto tutti questi problemi quando ti sei scopato mia moglie, eh?
Lo vidi sbiancare, e in cuor mio non potei che esserne soddisfatto. Se lo meritava, cazzo. Lo meritava perché trovavo dannatamente facile fare il buon uomo quando pensi di avere il culo al sicuro. Aveva deciso di non sporcare più la lama solo da quando nella sua testa aveva preso piede l’impressione di essere protetto dalle forti braccia degli Assassini. Forse credeva che non ci avrebbero mai lasciati andare, che non mi sarei mai ribellato a quella politica da femminucce e fannulloni. Aveva mancato il bersaglio, totalmente. – La situazione è diversa – mormorò grattandosi i favoriti. Poi sollevò lo sguardo su di me, e vedendomi avanzare nella sua direzione fece un balzo felino indietro, le mani sopra la testa. – Non era tua moglie! – strillò di rimando. – Non era affatto la tua stramaledetta moglie!
Roteai gli occhi, sentendo la gola bruciare in una risata. – Ha importanza? Perché, Ben Church è tua moglie, per caso?
– Le persone cambiano, Haytham.
Sogghignai, scrollando il capo. – Pensala come vuoi. – Avanzai e gli artigliai la casacca. – Sei solo un fottuto ipocrita.
– Toglimi le mani di dosso – ringhiò Thomas cercando di spingermi via. – Hai capito? Toglimi le mani di dosso.
Quasi senza rendermene conto l'avevo spintonato giù con tutta la mia forza, facendogli sbattere la schiena a terra ed ergendomi sopra di lui come un dio punitore. – Allora è di questo che si tratta, sei cambiato, oh, povera anima in pena! – Affondai il primo cazzotto, dritto sul suo naso, con tutta l'ira che mi scorreva nelle vene.
– Un dannato, maledettissimo ipocrita – ripetei riempiendolo di pugni, la risata morente nel petto. Gli mollai un calcio sui denti e lo vidi raggomitolarsi in posizione fetale. Sapevo che non era giusto, ma non m’importava. Pensavo non si stesse difendendo per darmi l’ennesima dimostrazione di essere fedele ai suoi maledetti principi da novello santo. Per farmi un dispetto. Non pensavo di fargli davvero male.
Almeno finché non lo afferrai per il collo, chinandomi su di lui e schiacciandogli la trachea con i muscoli doloranti e gli occhi in fiamme. Non era nelle condizioni di dichiararsi innocente, non dopo quello che aveva fatto a Tiio. Si meritava la morte, l’agonia e tutto ciò che sarebbe venuto dopo.
Ma per un uomo come lui – un bastardo crudele e un vigliacco della peggior specie – anche il fottuto inferno, per come lo descrive la Bibbia, sarebbe stato troppo poco.
– Sei un maledetto figlio di puttana, Thomas Hickey – sibilai con le dita serrate sulla sua gola. – Un maledetto figlio di…
E d’un tratto fu come mettere le mani aperte tra le fiamme senza poterle ritrarre. Sentivo ogni parte del mio corpo bruciare, le cellule prendere fuoco e carbonizzare la pelle, lo stomaco, il cuore. Tutto quel caldo mi rendeva impossibile respirare, chiusi gli occhi di scatto e non riuscii più ad aprirli. – Non rischieremo di nuovo – sentii mugugnare dall’interno della scatola cranica.
A volte ritornano, eh? Mi sforzai di sollevare le palpebre, ma erano come due enormi sassi. – Ucciderlo non sarebbe la soluzione.
Strinsi i denti, sentendo lentamente le forze abbandonarmi. Non volevo ucciderlo, maledizione, pensai, le mani serrate intorno al nulla. Non ne avevo l’intenzione, Minerva. Posso giurarlo.
– L’avresti fatto – mugugnò quello spirito polemico. – E non possiamo permetterlo. Né io, né lei. Anche se non intenzionale, il suo omicidio avrebbe solo peggiorato le cose. Non puoi fare tutto da solo, servo della Croce. È un fardello troppo pesante, persino per la tua forza d’animo. Uno di noi appena lo reggerebbe, e voi non siete come noi. La vostra fragilità è palpabile, la carne è debole e dobbiamo fare affidamento sul sangue. – Minerva abbassò la voce fino a raggiungere lo stesso tono di uno sciamano salmodiante. Mohawk, magari. – Troppo pesante, servo della Croce, troppo pesante…
M’avvolse uno stato di torpore improvviso, e tutta l’ansia e la rabbia che avevano avvelenato il mio corpo furono come vaporizzati. Svaniti, depositati sul fondo del mio spirito come condensa impalpabile. – Non porrai fine alla sua vita.
Quelle parole, una dichiarazione d’intenti più che un semplice consiglio, mi ridestarono per qualche secondo. Ha ucciso Tiio!, gridai col pensiero. Se fossi stato cosciente sarei scoppiato in lacrime. Quel maledetto bastardo l’ha uccisa! E lui…
– Non lo farai – ripeté Minerva, categorica.
Il suo ordine invase ciò che restava del mio corpo in quello stato. No…
Non so dire se fosse una protesta o una risposta condizionata da quella specie di ipnosi del cazzo, ma fu dannatamente convincente. Come se fossi stato pronto a fare qualsiasi cosa per quel “no”; era il mio nuovo fine ultimo.
Ma col cazzo, avrei voluto pensare. Invece non ne avevo la forza.
Il lamento di Minerva mi cullò nell’oblio.
 
Mi svegliai di soprassalto, completamente coperto di sudore mentre Tom stringeva il mio polso sinistro e al tempo stesso mi tamponava la fronte con un panno fresco. Cazzo, spero che l’abbiano obbligato. Altrimenti è davvero una mammoletta. – Calmo, capo – biascicò con mio immenso sollievo. Era ubriaco. – Potrei anche farti bere. O forse no. Non ce n’è abbastanza per tutti e due. – Chissà perché, suonò un po’ come una minaccia. Battei le palpebre con stupore, mettendo solo a fuoco il suo pomo d’Adamo che saliva e scendeva. – Allora, hai cambiato idea? Vuoi ancora ammazzare Ben?
Diretto, Tom. Sospirai. Non era così difficile capire che volevo levarmelo dai piedi, e mi chiesi se avesse ragione o meno. Bramavo la sua testa o pensavo fosse solo la cosa più giusta da fare? Hickey si lasciò andare e ruttò, picchiettando con le dita il panno sulla mia fronte. – Tu vuoi che viva? – chiesi.
– Sono stufo di vedere tutti questi cazzo di cadaveri – ringhiò con una bottiglia alle labbra. – Church è  un traditore, ma cosa ne sappiamo davvero? Chi ci dice che Ben non si sia ravveduto durante questa vacanzina in gattabuia?
Il soffitto coperto di macchie d’umidità assunse una tonalità più vivida, più reale, e sbuffai. Hickey aveva ragione. Non avevo nemmeno pensato a quell’eventualità, semplicemente credevo che Ben dovesse lasciare questo mondo per non essermi stato costantemente fedele. Lui, nonostante tutti gli altri si fossero comportati allo stesso modo. Se Minerva e Giunone me ne avessero data la possibilità forse avrei ucciso sul serio Tom. La sete di sangue mi stava davvero consumando? Non potevo fermarla in qualche modo? – Forse hai ragione – mugugnai. – Ho bisogno di riposare. Per adesso… aspettiamo che faccia un passo falso.
Thomas rise. – E se non ne farà?
Chiusi gli occhi, percependo il sonno sul punto di avvolgermi. – Lo portermo qui e brinderemo allla salute l’uno dell’altro. – E avrò un altro uomo dalla mia parte per ammazzare Reginald, fu il mio penultimo pensiero cosciente.
Ammazzare qualcuno, questo fu l’ultimo. Alla fine si tratta sempre di ammazzare qualcuno. Sono davvero un mostro, un succhiasangue senza alcuna remora. Sempre di ammazzare qualc-…
 
Pensavo non ci fosse niente di faticoso quanto la convivenza tra nemici giurati, come Templari e Assassini. Era stato difficilissimo collaborare con quel manipolo di stupidi con la mente ottenebrata dalle loro credenze assurde e l’inclinazione all’agire per un bene superiore, eccetera. Le solite idiozie da perbenisti. Avevamo sempre trovato un pretesto per litigare e menare le mani, oppure ci eravamo andati tremendamente vicino. Sul serio credevo non vi fosse niente di peggio.
Finché gli Assassini non hanno dovuto ospitare anche Thomas.
Mi svegliai grugnendo perché il rumore della porta che veniva sbattuta con violenza m’aveva fatto sussultare, seguito da un fiume di imprecazioni urlate a pieni polmoni e il gorgoglio di Tom che mandava giù un qualche tipo di liquore. – Che cazzo succede? – sussurrai rigirandomi nel letto e facendo cadere a terra il panno che avevo ancora sulla fronte, asciutto come la mia lingua. Porca puttana, che razza di cure. Grazie, Thomas.
Connor aprì appena la porta e sbuffò quando mi vide sveglio. – Sempre al momento sbagliato – mi soffiò contro e piazzò una sedia davanti al letto. Al contrario, come al suo solito. Sollevai un sopracciglio. Forse pensava che solo le signorine sedessero come Dio comanda, con la schiena contro lo schienale. Lasciamo perdere. – Non può andare avanti così, Haytham.
Mi sistemai sulla schiena e evitai di guardarlo. Passando due dita alla base del naso mi sforzai di produrre un po’ di saliva. – Cristo santo – rantolai – dammi dell’acqua. – Ero pur sempre suo padre, maledizione. Non avevo voglia di parlare di Thomas, di quanto rendesse impossibile la pacifica vita da monache di clausura di Connor e compagnia bella, della sua irriverenza.
Il ragazzo si alzò e uscì dalla stanza. Con un sorrisetto, pensai che avrebbe accettato Hickey se fosse stato un Assassino. Ci scommetto tutti i soldi che mi restano. – E tu che vuoi? – sentii dire a Thomas, ma il mio bravo figlioletto lo ignorò. Mi ritrovai a scrollare il capo nella penombra della mia stanza. Avevo visto scoiattoli più aggressivi di quel bestione.
Tornò a sedersi mollandomi un bicchiere mezzo pieno – mi piace pensarla così – sul comodino con un gesto secco e stizzito. – Il tuo socio è fuori controllo.
Gli lanciai un’occhiata gelida e strinsi il bicchiere in mano. – Che intendi? – sussurrai dopo averne mandata giù una buona metà. – Non mi sembra abbia ancora ammazzato nessuno.
– Non fare lo spiritoso – sibilò puntandomi l’indice contro. Sto tremando. – La situazione è seria. Più di quanto sembri. Non fa altro che bere, fumare e stare tra i nostri piedi.
– Nello specifico? – Non volevo essere sarcastico, per una volta. – Non mi pare che voialtri abbiate chissà quali piani in atto per il futuro dell’umanità, no? E poi Tom sta attraversando un periodo di redenzione. Pare che lo abbiano castrato.
Mi guardò con un sopracciglio sollevato e scrollai la mano per cambiare argomento. – Allora, che combina?
Connor incrociò le braccia sopra lo schienale e si fece scrocchiare il collo. Tutto molto d’effetto, certo, sì. – Stiamo aspettando notizie dai patrioti per aiutarli in caso di necessità. Hickey…
– Ah, ho capito – lo interruppi sogghignando. – Non volete che sappiamo cosa avete in mente. Come avete fatto anche con William e John, dico bene? – Sospirai, scrollando il bicchiere e guardando l’acqua dondolare. Ero abituato a farlo con il vino, fu un gesto abitudinario e spontaneo. – Te l’ho detto, lui sta perdendo le palle. Non vuole più ammazzare nessuno, dice di averne avuto abbastanza, oh, povero piccolo.
Connor scrollò le spalle. – Sappiamo che non volete aiutare i patrioti e Washington.
– Non dovresti farlo nemmeno tu. Ha bruciato casa tua.
– Fammi finire – disse con la massima calma. Io mi sarei urlato contro, fossi stato al suo posto. – Non possiamo rischiare che sia vittima di un altro attentato. Se andasse per il verso giusto sarebbe una tragedia.
Ridacchiai, interrompendolo per l’ennesima volta. Devo ammettere che snervarlo mi divertiva. – Quindi credete che senza uno dei vostri al potere l’intero sistema crollerebbe su se stesso e non si raggiungerebbe l’obiettivo finale. Non siete poi così diversi da noi. – Ingollai ciò che restava dell’acqua. – Pensaci. Se Washington fosse in realtà fedele all’Ordine, e ti assicuro che non lo è, lo troveresti comunque un bravo generale? – Se sapessi che sto collaborando con l’uomo che ha stuprato e ucciso tua madre non mi butteresti immediatamente fuori di casa? Tornai a fissarlo. – Ospitate dei Templari ma pretendete di tenerli fuori dai vostri intenti? – Scrollai il capo. – Accidenti. Meritereste un premio per l’intelligenza, un attestato o qualcosa di simile, come minimo.
– Smettila – brontolò. Non sapeva dove andare a parare, quindi stava per giocare la carta del mio padre è tanto cattivo. – Dato che pretendi onestà, che cosa avete intenzione di fare voi? – Oh, mi sbagliavo. Aveva un asso nella manica, il piccolo bastardo.
– Aspettiamo un passo falso di Benjamin Church – ammisi. L’avrebbero scoperto ugualmente. – Ha tradito l’Ordine e io credo debba essere eliminato, ma Tom ha deciso di appendere i coglioni al chiodo e di scaldare una delle vostre sedie. Tutto qua.
Non rispose. Mi guardò come se cercasse di leggermi dentro. Era la verità, diavolo, avrebbe fatto meglio a tenersela stretta. – È un Templare, no? Lo volete fuori dai piedi anche voi, suppongo.
– Sono affari dell’Esercito Continentale. Non potete intromettervici – bofonchiò il ragazzo. Geniaccio che altro non era, lui. – Nemmeno noi, in fondo. Resta sempre una guerra, e il fatto che in passato abbia aiutato la Corona lo rende un nemico. Oltretutto essendo uno di voi è quasi lecito che sia nostro dovere ucciderlo. Credo.
Gli lanciai un’occhiata di sbieco e sorrisi. Riuscivo a leggere l’inquietudine nel suo sguardo, pareva essere tornato un bambino che vede la propria capanna bruciare e collassare su se stessa. Si strofinò le dita sulla fronte con un gran sospiro. – Perché credi?
– Perché tu sei vivo – ammise subito. – Se c’è qualcuno che dovrei uccidere per primo, sei tu.
– Ma non puoi – puntualizzai con il sorriso che si allargava. Non potevo non gioire di quel piccolo e così influente dettaglio.
– Ho già violato i patti una volta. Posso rifarlo.
Fischiettai per richiamare la sua attenzione e un po’ per sfotterlo. – E come pensi di entrare nel Grande Tempio? Con il mio cadavere? – Fece spallucce, ma non lo lasciai aprire bocca. – Non fingere che non ti interessi, ragazzo. Ne abbiamo parlato un bel po’.
Si grattò la testa. – D’accordo. Hai ragione. Mi importa. Questo non significa che Thomas Hickey debba invadere i nostri spazi.
– Vuoi chiuderlo nella stalla, per caso? – Sollevai lo sguardo al soffitto e mi tirai su, poggiando la schiena alla testiera del letto con un gemito, una fitta di dolore che affiancava la colonna vertebrale. – Non credo sia necessario. Se ne sapete quanto noi, allora…
– Ehi, figlio di puttana.
Scostai lo sguardo da Connor e vidi Tom aprire la porta, arrancando faticosamente all’interno della mia stanza e sedendosi ai piedi del letto. Aveva la bocca impastata e la faccia di chi non dormiva da un po’. – Quando pensi di alzarti, capo? Ho bisogno di scopare. – Roteai gli occhi. Il solito ubriacone. Sperai solo che, parlando di scopate, non si lasciasse sfuggire niente su Tiio. Già immaginavo la mia testa appena sopra il caminetto del soggiorno, buon Dio. – Sono due giorni che dormi.
Connor sbuffò. – E che ha fatto di male? – bofonchiai guardando Thomas. – Questo è il suo solito modo di fare. Almeno quando ha bevuto. È più intelligente di quanto possa sembrare, giusto, Tom? – Mi rispose con un rutto. Scoppiai a ridere guardando Connor che si alzava con i palmi al cielo, esasperato. Oltrepassò l’uscio e mi girai a osservare il mio vecchio amico, che rise battendosi un pugno sul petto. – Complimenti per l’interpretazione.
Il Templare balzò in piedi e scrollò le gambe. – Porca miseria, quello non mi ha mai visto veramente ubriaco – esclamò gaio. Si fece scrocchiare rumorosamente la schiena prima di proseguire con un sorriso. – Sai quanto ho bevuto, capo? Qualcosa come mezza bottiglia di vino. – Sollevai l’angolo della bocca, come per complimentarmi. – Mai mandata giù roba più schifosa. La fanno qui? – Sputò addirittura a terra, il mio socio. Di classe.
– Non lo so. Peggio il vino o i viveri?
– Il vino, cazzo!
Sollevai le spalle. – Solo perché è l’alimento base della tua dieta – puntualizzai lanciando via la coperta con un mezzo gemito. – Passami gli stivali.
– E che sono, la tua puttana?
Lo guardai con la fronte aggrottata e decisi di non tirare fuori la storia del suo improvviso pacifismo. Avrei lasciato correre, dato che l’avevo quasi fatto secco. – Non importa. A proposito, scusa.
Raccattò le mie scarpe dall’angolo della stanza e me le tirò contro. – Per cosa?
– Ti ho quasi strangolato, Tom. Te lo sei scordato? – Afferrai gli stivali a mezz’aria, infilando faticosamente il sinistro. – Non so che mi è preso. – Sì che lo sai, misero bastardo. Non sopporti che ti tolgano anche l’ultimo potere che fa di te un Gran Maestro. Diritto di vita e di morte sugli altri membri, dietro accurata giustificazione. Zittii quella ragionevole vocetta nella mia testa calzando anche l’altro stivale e provando ad alzarmi in piedi. – Tutto bene.
Thomas Hickey incrociò le braccia con aria noncurante. – Haytham, non preoccuparti per me. Avremo tempo per parlarne. Andiamo a puttane?
Sorrisi e gli diedi una spallata avviandomi verso la porta della stanza. – In un certo senso – replicai. – Devo scambiare due paroline con Achille.
– E poi usciamo. Giusto?
– Dipende.
Si passò una mano in faccia e sibilò disperatamente: – Oh, Gesù – seguendomi mentre scendevo le scale verso la stanza segreta.
 
– Che il diavolo mi porti.
Feci spallucce, appoggiandomi alla parete con la massima noncuranza. – Ho visto posti migliori, ad essere sincero. – Thomas sfiorò il manichino piazzato in mezzo alla stanza per le esercitazioni, sostituito decine, se non centinaia di volte dopo tutti quegli anni di allenamenti, come se non ne avesse mai visto uno. Probabilmente era così. Noi preferiamo fare pratica sul campo. – Il Green Dragon conserva sempre un certo fascino, non ti sembra?
Si passò le mani sulla nuca e continuò a girare in tondo. Vidi i suoi occhi vagare sulle armi appese alle pareti, i volumi di storia e strategia sugli scaffali, le mappe accavallate sulla scrivania e i quadri che occupavano la parete opposta alla scala. Scostò il colletto della camicia in un gesto teatrale e deglutì a vuoto. – Porca puttana – sussurrò. – Vogliono farci tutti fuori.
Tirai un calcetto alle assi polverose del pavimento, le mani in tasca. L’avevo già portato in quella stanza, neanche tre giorni prima, quando avevo cercato di ucciderlo. Forse i miei pugni gli avevano danneggiato la memoria, oppure era troppo brillo per far caso ai ritratti appesi alle pareti. Chi ci capisce qualcosa della testa di Tom? – No, buon Dio, no. – Lo raggiunsi e salii sulla scrivania ingombra senza curarmi delle carte. Segnavano la posizione delle truppe, roba che tutti noi conoscevamo. Se c’era qualcosa che non mancava alla tenuta, erano le venute di messaggeri con inutili notizie su quella maledetta guerra. – Volevano farci fuori tutti. Poi hanno avuto la brillante idea di salvarmi dall’impiccagione. – Scrollai il capo e passai le dita sul volto dipinto di Benjamin Church. – Fossi morto quel giorno ce l’avreste tutti quanti nel culo.
– Grazie, capo – grugnì Tom guardando il proprio ritratto con occhio critico. – Me lo ricordo, quello. L’aveva fatto una puttana. Diceva che le era sempre piaciuto dipingere ma non aveva potuto realizzare il suo sogno. Aveva usato una tovaglia come tela. – Abbassò lo sguardo, quasi si vergognasse. – Brutta troia.
Sorrisi. Era il ritratto di un Thomas Hickey un po’ più giovane, il cappello in testa, petto nudo e un grosso sigaro tra pollice e indice. D’importazione, sicuro. Lo sfondo era di un bel color panna e Tom sorrideva maliziosamente alla pittrice, lo sguardo illuminato. – Siamo rimasti solo io, tu, Ben, Charles e Reginald. Ne hanno… – Deglutii per non tradirmi. Thomas non era uno stupido, nemmeno dopo mezza bottiglia di vino. – Ne hanno già fatti secchi due. Ti tengono in vita solo perché hanno bisogno di me. Non possiamo fare errori.
Scavò nelle tasche interne della giubba ed estrasse pipa e tabacchiera, sue fedeli compagne di vita. Più delle puttane, aggiunsi tra me con un sorrisetto. – Perché mi hai portato qui? – chiese portando un cerino acceso al tabacco e aspirando una grossa boccata. – Non sono impressionato da… da questo. Anche io sono armato.
– Sei un uomo armato che non vuole uccidere. – Ridacchiai, lanciandogli un’occhiata di sbieco. Il suo petto si alzava e s’abbassava con violenza ogni volta che inspirava. – Commovente.
– Vuoi smetterla? – ringhiò facendo un passo indietro. – Posso sempre difendermi. E non tirare più fuori quella storia. So benissimo come sei fatto, Haytham. Ammazzeresti chiunque pur di dimostrare a Reginald che sei più forte di lui. Che il Gran Maestro sei ancora tu.
Balzai giù dalla scrivania sulle assi scricchiolanti e lo guardai negli occhi. – Quindi non è così? – sibilai. Non pensavo che quel ragazzo potesse leggermi dentro così facilmente, ma d’altronde avevamo lavorato insieme per anni. Mi conosceva bene. – Pensi che un Gran Maestro come si deve abbandonerebbe i proprio uomini per un bieco scopo personale?
– Non lo so! – Allargò le braccia in aria di sfida e mi morsi la lingua, rendendomi conto del casino che avevo appena combinato. Mi ero scavato la fossa da solo. Porco demonio! – Non mi pare che ti sia comportato meglio.
Deglutii. – Si trattava di mia sorella. – Stavo perdendo la pazienza, sentivo del fumo invadermi la testa. Dovevo controllarmi o la Prima Civilizzazione mi avrebbe reso di nuovo privo di sensi. In fondo non volevo uccidere Thomas, giusto?
Giusto? – Voi non ne sapete niente. Nessuno di voi può saperlo. – Strinsi i pugni e tesi le braccia lungo i fianchi per frenarmi dal prenderlo a pugni. Mi morsi convulsamente l’interno della guancia. – Tu che cosa avresti fatto? Che cosa avresti fatto se ti avessero detto che tua sorella era viva, rinchiusa a fare la schiava in un maledetto harem dopo vent’anni passati lontani l’uno dall’altra? Dopo vent’anni in un cui non sapevo che fine avesse fatto! Sapere che un dannato pezzo della mia famiglia era ancora intatto mi aveva dato speranza. – Abbassai lo sguardo, sforzandomi di non piangere. Non potevo crollare davanti a Thomas Hickey, quell’inutile stronzo. – Tu che cosa avresti fatto? – La mia voce era ridotta a un sussurro. Mi passai le mani in faccia, il moncherino dell’anulare che strusciava ruvido contro il naso. – Cazzo – sussurrai senza guardarlo. Non avrei potuto reggere.
– Capo – sussurrò Tom.
Lo sentii avvicinarsi a me e saltai indietro. – Allontanati, cazzo! – sbottai senza riuscire a trattenermi. – Stammi lontano, d’accordo? Stammi lontano.
Gesù, mi sentivo come il bambino di dieci anni cui avevano ucciso il padre davanti agli occhi e l’uomo con il cuore spezzato che aveva visto la propria sorella morire con una baionetta nella schiena. – Per favore – mormorò. Sentivo i suoi stivali rumoreggiare sul pavimento. Non volevo essere compatito dall’ubriacone bastardo che aveva sgozzato Tiio. – Haytham, non lo sapevo.
Scrollai il capo. – Non te ne è mai importato niente – risposi, acido. – Finché hai il culo al sicuro non ti importa di niente e di nessuno. Non è così?
Mi prese per le spalle e mi staccò a forza le mani dalla faccia, costringendomi a guardarlo. – È quello che facciamo tutti – sussurrò guardandomi negli occhi. Non mi era mai parso tanto sincero. Sembrava invecchiato di cento anni in un colpo solo. –È nella nostra natura, credo. – Prese fiato, poi lo ripeté. – È ciò che facciamo tutti.
Un attimo dopo ero crollato a terra, raggomitolato con la testa sulle ginocchia e le braccia attorno alle cosce, piangendo come un poppante. Come aveva detto Minerva? È un fardello troppo pesante, persino per la tua forza d’animo. Aveva ragione, maledizione. Non riuscivo a reggere il peso di tutto ciò che avevo vissuto.
Chiusi gli occhi sentendo il corpo di Thomas caldo accanto al mio. Mi si era seduto vicino e teneva un braccio attorno alle mie spalle. L’avevo quasi ucciso e nonostante tutto era lì. Una parte di me pensava me lo dovesse per ciò che aveva fatto a Tiio, un’altra non poteva fare a meno di notare quanto fosse un buon Templare. Aveva ragione. Nonostante volessimo fingere di fare gli eroi, i gentiluomini e i cavalieri, in fin dei conti eravamo solo cagasotto. Tutti quanti.
Lasciai che tenesse le braccia attorno al mio corpo e mi abbandonai ai ricordi. Ricordi tristi.
Ne avrei mai trovato uno felice, in quella maledetta vita?
 
– Signore? – So di essere egoista e crudele; mi sto interessando solo a me stesso quando dovrei aiutarlo, perché sta soffrendo anche lui. Non ha più i testicoli, diavolo, e ha comunque più palle di me.
Ma io non ho più nessuno. – Per l'amor del cielo, Haytham – Jim abbandona i convenevoli per un attimo, piazzandosi davanti a me con il cucchiaio pieno di zuppa. – Metti almeno qualcosa sotto i denti. – Fa per imboccarmi, e non potrei sentirmi peggio. Non solo non ho alcun voglia di mangiare, ma sento addirittura l'ira mista a senso di colpa invadermi il petto e serrarmi la trachea.

Sono furioso con me stesso, nonostante dall'esterno il mio viso sia una maschera di nulla, perché non posso nemmeno ricordarla. Sono incazzato nero perché questo dovrebbe essere il momento in cui mi rifiuto di mangiare la zuppa perché era il suo piatto preferito e mi ricorda Jenny. Invece, mi rendo conto torturando la tovaglia con le mani, io di lei non so niente. Un maledetto cazzo di niente. Qual è il suo colore preferito? Ha mai avuto un animale domestico? Amava Reginald? Era incinta? Le piaceva andare a teatro, aveva uno scrittore preferito?
Niente. Un maledetto cazzo di niente.
– Signore, per piacere. – Il tono di Jim Holden è sempre più lamentoso e preoccupato, ma ho altro a cui pensare.
Mi viene in mente un pomeriggio in cui eravamo a casa da soli e ho iniziato a starle sempre appiccicato, così, giusto per spirito di contraddizione. – Adesso basta! – aveva sbottato entrando in cucina con le mie gambette alle calcagna. – Per l'amor di Dio, Haytham, tu sei pazzo! Guardati! Ti sembra che gli altri bambini lo facciano? – Avevo inclinato la testa da un lato. Non avevo ancora parlato con Tom Barrett e il suo bulbo oculare. Chiuso tra le mura di casa come una bestia rara, non avevo mai rivolto la parola a un altro bambino. –  Vattene fuori di qui! Smetti di essere così inquietante! – aveva continuato a urlare con i pugni stretti lungo i fianchi. Fortunatamente eravamo soli in casa: papà e Reginald erano fuori per lavoro – col senno di poi, mi chiedo se non fossero lavoretti per gli Assassini – e mamma era uscita con Edith e Digweed per andare al mercato, mi pare. Completamente soli in casa, un’altra come le tante incastonate nella grande piazza dedicata alla Regina Anna. – Sei un mostro!

Non avevo replicato, se non scrollando le spalle. Ero abituato a prenderla con le molle, ma quell'esortazione a uscire aveva fatto battere il mio cuore più velocemente. Mi ero girato, dandole le spalle, ed ero corso in camera mia per recuperare le mie scarpe più eleganti, da buon bambino stupido. Me le ero orgogliosamente infilate senza il minimo aiuto da parte di Jenny, poi avevo spalancato la porta d'ingresso ed ero uscito, lasciandola sola nel silenzio della casa.
Diavolo se è bella, Londra. Ma all'epoca lo era ancora di più. O forse io ero più piccolo e facevo più caso ai dettagli. Più basso di molti ragazzini e garzoni, li guardavo con ammirazione e un pizzico d'invidia per il loro carisma – che col tempo scoprii essere nient'altro che strafottenza –, desiderando solo per un giorno di essere uno di loro.
Avevo attraversato strade aggrovigliate, vicoli bui, mi ero preso uno schiaffo da un barbone, un calcio nello stomaco da un ubriaco e una cinghiata in faccia da un uomo di mezz'età che voleva solo far provare un particolare tipo di uova e salsicce – ma soprattutto salsicce – alla prostituta lì accanto. Aveva minacciato di farmi ingoiare tutti i denti e non solo, quindi mi aveva colpito con la cintura. La fibbia mi aveva aperto un taglio sulla guancia e lui si era voltato, tornando alla sua puttana.
Uno strillone mi rubò le scarpe, un cane minacciò di mordermi e più di un soldato fece finta di nulla, pensando fossi solo un ragazzetto di strada lercio come tutti gli altri.
Jenny mi aveva ritrovato solo di sera, venendomi incontro e infierendo sulla guancia martoriata con un'altra sberla. – Sei pazzo, per caso? – aveva ringhiato stringendomi per le spalle. Aveva i denti scoperti, gli occhi sgranati e l'alito di alcool. Era forse la stessa espressione che aveva preso piede sul viso di mio padre ad ogni assalto di nave spagnola? Chi lo sa. Mi piace pensare di sì. E poi, che importa se non è la verità? Che diavolo importa?
– Non farlo mai più. – Il suo tono era minaccioso, senza accenni di affetto o reale preoccupazione. Non era mai corso buon sangue tra noi. – Hai capito, Haytham? Ora andiamo a casa.
– Non così in fretta.
Ecco, da dietro le spalle di Jennifer era spuntato un bandito, il coltellaccio splendente nella penombra e lo sguardo fisso su un punto a metà tra il mento e il seno. La medaglietta a forma di cuore da cui non si separava mai. Un giorno, per pura curiosità, l'avevo aperta, e dentro c'era il microscopico ritratto di una donna dai capelli rossi, la Caroline che nel mio sogno avevo confuso con l'avvenente Anne Bonny. Nell'altro spazio della collana, destinato a un ritratto di mio padre, non c'era niente. Vuoto. – Dammi la collana.

Lei vi aveva stretto la mano intorno. Un genio, mia sorella. – Corri, Haytham. Chiama le guardie. Fa' qualcosa. – Era paonazza, agitata e tremante. – Fa' qualcosa.
E va bene, dovevo fare qualcosa? Avrei fatto qualcosa, porco demonio.
Non l'avrei lasciata lì da sola, però. Mai. Mi sembrava scortese. Corsi oltre il bandito gridando ai soldati e ai passanti di accorrere, fermo all'imboccatura del vicolo in cui Jenny mi aveva trovato.
Un uomo in uniforme mi aveva scaraventato di lato, allontanando il malintenzionato con un colpo di moschetto – uno solo – mentre era a tanto così da affondare la lama nel collo liscio di Jenny.
Eravamo tornati a casa in silenzio, lei con gli occhi velati di lacrime, io eccitato e fiero di me per l'avventura vissuta. – Sei una stupida palla al piede – aveva ringhiato nuovamente. – Un idiota. Perché non riesci a evitare di cacciarti nei guai, Haytham? La tua curiosità ti farà appendere, un giorno o l'altro.
Avevo risposto scrollando il capo, sbeffeggiandola con un commento dei miei. Forse fu il primo. – Meglio morire che vivere con un’acida zitella timorata di Dio. – Stare in mezzo alla strada aveva ampliato il mio vocabolario, e non di poco. Jenny era avvampata per l'imbarazzo e l'umiliazione, poi mi aveva colpito.
Uno schiaffo. Sembrava che gli adulti non conoscessero altro modo per comunicare. Subito dopo si era morsa le labbra con insofferenza e avevamo varcato la soglia di casa insieme, andando verso le nostre stanze come due perfetti sconosciuti.
Non ho mai chiesto a Jenny se fosse felice, né se le piacesse Londra o il giallo fosse il suo colore preferito. Non me ne curavo, perché credevo di essere su un piano completamente diverso. Due linee parallele. Ci eravamo incontrati di nuovo una volta, solo una maledetta volta, a Damasco. Morta davanti ai miei occhi.
– Signore...
Scoppio a piangere. All'inizio sono solo singhiozzi incoerenti e lacrime che bruciano le guance e la pelle, la gola in fiamme nonostante non stia gridando, il dolore per un altro pezzo di passato che ha preso il volo per sempre. Ho un nodo in gola che non vuole saperne di sciogliersi o precipitare nello stomaco.

Sento uno strano calore e tra le palpebre socchiuse scorgo il tricorno e la giacca consunta di Jim Holden, che mi sta stringendo a sé come un padre mentre non sono in grado di fare niente.
Resto a farmi consolare nella sua stretta per un po', il capo affondato nella sua spalla e il fiato grosso.
 
I miei singhiozzi si fecero più simili a latrati e pensai che Jenny aveva ragione, che farei meglio ad impiccarmi e morire sulla forca prima che mi ci issino a forza. Un’altra volta. – È solo colpa mia – piagnucolai stringendo ora Jim, ora Thomas.
 
Non ce la posso fare, e lui lo sa. È intelligente, Holden, ed empatico. Sa di non potermi lasciar andare, altrimenti salirò di sopra, legherò una corda alla trave portante del soffitto, m'infilerò un cappio al collo e lascerò che l'ossigeno si fermi con tutta calma e mi faccia morire lentamente, come lo stupido bastardo quale sono merita per non averla salvata nemmeno in quel momento.
 
Sono sempre il solito porco individualista, è quello a far più male. Avrei potuto evitare anche la sua morte, sentivo che prima o poi sarebbe successo, ma io non sono un brav'uomo. Io ammazzo la gente per scopi privati e piuttosto futili, trapasso un uomo con la mia spada solo perché è di troppo, uccido chi un tempo chiamavo fratello solo perché mi sbatte in faccia la verità.
Io non merito di sopravvivere. Se mi facessi un esame di coscienza finirei per fare la fine di Holden, ma sarebbe una giustizia, nel mio caso.
Non merito di sopravvivere, ma è tutto ciò che mi resta, tutto quanto è in mio potere per tentare di espiare le mie colpe.
Lavare il sangue col sangue, come se servisse a qualcosa. 
Ma è meglio di morire, dico a me stesso. Perché so di non voler morire, perché sono egoista e voglio fare finta di possedere un minimo di coscienza.
Non mi mantengo in vita per uno scopo, ma perché sono un vigliacco che usa lo scopo come copertura.
Schiacciai i polpastrelli contro i condotti lacrimali, sforzandomi di recuperare un ritmo di respirazione costante mentre Thomas serra la presa su di me.  
Mi sarei dovuto uccidere tanto tempo fa. Avrei dovuto occupare lo spazio vuoto sulla corda accanto a Holden.
– Andrà tutto bene – grugnì Tom passando la mano sulla mia spalla. – Andrà tutto bene.
Non riuscivo a fidarmi di lui, a dargli ragione. Come potevo, insomma? Da quando in qua le cose andavano bene? Che razza di sogno. Uno stupido sogno, come tutti gli altri. Niente sarebbe andato bene. Nella mia vita non era mai andato bene nulla. Nemmeno la più piccola e insignificante briciola. Andava sempre tutto per il verso sbagliato. Mi passai le mani sotto gli occhi e strinsi il pugno tra i denti per non ricominciare a urlare.
– E voi due che ci fate qui? – Abbassai lo sguardo, scrollando mollemente il capo. Achille. Se non avessi avuto la bocca occupata dalle mie stesse nocche sarei scoppiato a ridere.
Thomas balzò in piedi. – Levati dai piedi, bastardo rottinculo! – sbottò facendo un gestaccio in direzione delle scale. Mi era mancata la sua violenza gratuita. Quando la porta della stanza si chiuse di nuovo e lui si voltò verso di me, stavo ridendo con le mani in mano, intento a farmi scrocchiare le dita. – Cazzo, capo, tutto a posto?
Non gli risposi. Non subito, almeno.
Semplicemente sollevai gli occhi su di lui e lo ringraziai con un sorriso e gli occhi ancora lucidi, morsicandomi l’interno delle guance per non ricominciare a piangere.
Tesi una mano verso di lui, e Thomas mi aiutò a rialzarmi.
Era tutto a posto?
No. Direi di no.
Porca puttana, però, non avrei continuato a piangermi addosso in quella maniera. Preferivo fingere che Hickey avesse ragione. Prima o poi tutto sarebbe andato per il verso giusto, ripetevo a me stesso. Prima o poi avrei raggiunto i morti per ricevere la mia punizione e passare l’eternità tra atroci sofferenze, oh, me tapino.
Non faceva tanta paura, confrontato con tutto ciò che avevo vissuto. Potevo sempre sperare che dopo non ci fosse altro che il maledetto nulla. Niente angeli e niente demoni. Non avrei mai rivisto mamma, papà, Jim, Jenny e tutti gli altri.
Il nulla. Sempre meglio del dolore.
Meglio dei ricordi tristi.
– Cazzo – mormorai con il palmo sinistro in faccia. Il corrimano sembrava voler scappare da sotto le mie dita, guizzante come un serpente mentre salivo quella scaletta per tornare in superficie, tra gli Assassini. Thomas mi precedeva lanciandosi sguardi furtivi alle spalle. Avessi una corda, pensai stringendo i denti. Avrei potuto davvero appendermi al soffitto. Avrebbero smesso di combattere, forse. Tutti quanti.
O mi sarei perso la più grande guerra del mio tempo. Io non sono Thomas Hickey. Arrivato a questo punto, un morto in più o uno in meno sul mio conto non faceva tutta questa differenza. Non per me. – Mi serve del grog – biascicai con la luce del sole che m’accecava.
Tom ridacchiò, tenendo la porticina aperta mentre lo sorpassavo. – Credi che abbiano del grog, capo? Ringraziamo se hanno del vino!
Cercava di distrarmi, il ragazzo. Gentile da parte sua. Gli rivolsi un sorriso triste. – Credimi, ce l’hanno. Se lo infilano nel culo pur di non cederlo, ma ne hanno. – Feci scrocchiare le spalle. Stavo facendo il possibile per non ricordare la crisi appena avuta. Volevo che il sangue sgorgato fuori dal corpo di Jenny si trasformasse in alcool, così tanto alcool da farmi annegare e trasportarmi giù.
Cos’aveva detto Tom? Non aveva più voglia di combattere? Be’, nemmeno io.
Non avevo più la forza di battermi contro i miei fantasmi. Preferivo lasciare che s’addormentassero. Godermi la calma prima del prossimo momento in cui sarebbero tornati a scuotermi le viscere e devestare la mia mente.
Forse, pensai varcando l’uscio della cucina e spalancando la credenza. Forse la felicità non esiste. È solo la pausa tra un ricordo devastante, un momento triste e il successivo.
Fottuti filosofi e le loro idee del cazzo. Afferrai una larga bottiglia coperta di polvere cacciata in fondo al mobile di legno. Quando la tirai a me, sul vetro spesso e scuro era rimasta l’impronta delle mie dita. Ci soffiai sopra con tutto il fiato che avevo e stappai, ingollando due o tre sorsi. – Bob – sussurrai staccando le labbra. – Dimmi se non è la firma di Faulkner – dissi con voce strascicata, e gli porsi la bottiglia di grog.
L’accettò – che mi aspettavo? – e bevve con tutto l’interessamento necessario al caso.
Aspettai il suo verdetto accasciandomi su una sedia e godendomi il silenzio.
– Sa di piscio.
– Grazie – risposi, scocciato. – Stavo cercando di sollevare un po’ l’atmosfera. Gesù.
Lui fece spallucce. – Se sa di piscio che ci posso fare? – brontolò sedendosi accanto a me e incrociando le gambe sul tavolo. – Quella roba è lì da chissà quanto tempo. Sei sicuro che non ci sia niente di niente da bere?
Sbuffai. Fuori dalla finestra potevo vedere Connor tirare di spada contro il nulla. Rivolsi un sorriso a Tom. – Vuoi divertirti un po’?
Per un attimo, lo sguardo dell’uomo che non aveva esitato a impiccare un bambino baluginò sul suo volto. – Ti avverto, dovrai sfoderare la spada. – Di nuovo, Thomas rispose sollevando le spalle. Con lo stesso ghigno sul volto, gli indicai il ragazzo intento ad impalare il suo nuovo amico immaginario. – Dimmi solo che lo umilierai come non hai mai fatto nella tua vita.
Hickey mi fissò negli occhi per qualche attimo. Sembrava colpito dal mio tono meschino. Poi spalancò la finestra, estrasse il pugnale dalla cintura e lo lanciò silenziosamente. La lama aprì uno squarcio nei calzoni di Connor e si conficcò nel terreno. Il ragazzo si voltò su se stesso come una ragazzina spaventata e Thomas incrociò di nuovo il mio sguardo. – Cominciamo bene.
Uscimmo dalla villa ridacchiando come due bambini. Pareva quasi che non avessi mai cominciato a parlare di Jenny, né a ricordare Holden o a piangere come una donnicciola durante una tragedia teatrale. Eravamo uomini.
O vigliacchi, come preferite. 

 


Angolo dell'autrice
*fa capolino* Ehilà! Come al solito mi faccio vedere solo una volta ogni morte di papa per puntualizzare le mie solite robette.
Tipo che il titolo di questi ultimi due capitoli – ma credo sia abbastanza intuibile – è preso da Estate, la canzone dei Negramaro.
Se devo essere sincera – e voglio un coro di "gran chissenefrega", lol – hanno fatto quella canzone alla radio mercoledì scorso, giusto prima che pubblicassi. Da lì l'idea.
Prendo anche spazio per ringraziare tutti quelli che recensiscono, leggono e continuano a farlo, io vi adoro.
A mercoledì!
Ah, un'ultima cosa. Mentre scrivevo questo capitolo ho avuto l'idea per la OS pubblicata su EFP, Coward's blood. Se non l'avete ancora letta potreste farlo, please?
Altrimenti ho le vostre bamboline voodoo pronte. Spilloni compresi. Lol.
Skos.
  
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