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Autore: marthiachan    03/07/2014    4 recensioni
"Molly Hooper era un'affermata professionista, stimata e amata da chiunque avesse avuto la fortuna di conoscerla. Era competente, precisa, gentile e simpatica. Non sparlava mai dei colleghi e nessuno le aveva mai mosso una critica, professionale o non.
Ovviamente, a tutto c'è un'eccezione e, nel suo caso, l'eccezione si chiamava Sherlock Holmes.
Molly Hooper non aveva mai veramente odiato qualcuno in tutta la sua vita.
Non sino a che non aveva incontrato Sherlock Holmes."
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Molly Hooper, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Hello!
Siete sopravvissuti alla grande notizia? O state ancora saltellando per casa? Io sì, ma quando l'entusiasmo sarà finito piangerò perché manca ancora troppo tempo per rivedere i nostri amati Baker Street Boys.
Anyway, eccoci al quarto capitolo. Quello in cui succede di tutto e le cose cominciano a chiarirsi.
Non so se ho reso l'intreccio investigativo sufficientemente credibile o interessante. Ci ho provato. Spero vi piaccia.
Buona lettura.
 
 
Act 4
 
Molly non voleva andare a quella festa. Non era certo dell'umore giusto. Insomma, l'unico uomo che voleva vedere era attualmente in un letto d'ospedale. Certo, sembrava stare bene, ma comunque non sarebbe stato presente.
D'altra parte, lei non poteva mancare. Mary le aveva chiesto di essere la sua damigella d'onore, quindi era necessario che fosse presente accanto a lei. Questo però non smorzava la tristezza che provava. Ed era certa che tutti avrebbero percepito l'assenza di Sherlock allo stesso modo. In verità, era sorpresa che la festa non fosse stata rimandata.
Indossò comunque l'abito da sera grigio perla che aveva acquistato, si pettinò e truccò e mise i suoi tacchi alti. Lui non sarebbe stato presente ma lei si era fatta bella come se lo fosse. Voleva onorare almeno così l'uomo che si era scoperta ad amare nell'ultimo periodo.
Dopo un rapido saluto a Toby, ormai aveva deciso di chiamarlo così, uscì di casa e prese un taxi.
La festa era solo agli inizi e ancora mancavano degli invitati. Mary era già presente e così i suoi unici parenti in vita, i suoi zii. Alcuni colleghi dell'ospedale erano già arrivati e anche qualcuno dei parenti di John.
“Oh, Molly, eccoti!” esclamò l'amica felice. “Sono così nervosa, meno male che sei arrivata!”
“Non potevo mancare.” disse la patologa guardandosi intorno e ammirando l'eleganza della sala e il buon gusto che era stato usato nello scegliere l'orchestra. “Ma come avete potuto permettervi tutto questo?”
“Mycroft Holmes. Ha detto che era un regalo di fidanzamento e un ringraziamento per... alcuni favori che gli ho fatto.”
“Hai fatto dei favori a quell'uomo? Sai chi è, vero?”
“Sì, ma erano innocui. E credo che non ci sia da preoccuparsi, è un vero gentiluomo.”
Molly annuì, sperando che l'amica avesse ragione.
“E John?”
“Non è ancora arrivato. Probabilmente è andato a salutare Sherlock prima di venire.”
“Certo.”
“Sherlock è stato davvero fortunato, non credi? Poteva morire... Grazie a Dio non è successo. John è distrutto, non oso immaginare come avrebbe reagito al peggio.”
“Hai ragione.” annuì cominciando a sentirsi a disagio. “Vado a fare dei saluti e a farmi versare dello champagne.”
“Ottima idea, cara.”
La gente continuava ad arrivare e la musica a suonare. Si iniziò a danzare e sembrava di essere finiti all'improvviso indietro nel tempo. Molly ne era affascinata.
Era sufficiente socchiudere gli occhi per immaginare di essere in una serata di gala di quaranta, cinquanta, sessanta, cento anni prima.
“Forse dovresti ballare e non limitarti a osservare la pista.” le sussurrò una calda voce baritonale alle sue spalle.
Molly sobbalzò e si voltò a guardare l'uomo alle sue spalle.
“Ma... Tu dovresti essere in ospedale!” esclamò sorpresa nel riconoscere Sherlock.
“Mio fratello mi ha fatto ottenere un permesso di qualche ora per questo party, sotto la propria responsabilità. Questo mi fa sentire un po' come se avessi una balia, ma per stasera chiuderò un occhio.”
“Ma sei sicuro di stare bene?”
“Sì, anche se purtroppo non riuscirò a ballare. Non riesco a muovere bene il braccio sinistro. Un vero peccato.”
Molly incrociò i suoi occhi e capì a cosa si riferiva. Desiderava ballare con lei.
“Magari potresti ballare qualcosa di non troppo movimentato, senza muovere il braccio sinistro. Magari un valzer.”
Gli occhi di lui sembrarono illuminarsi.
“Non potrei comunque in mezzo a tutta questa gente. Rischierei di sbattere contro qualcuno e far saltare i punti.”
“Allora forse in un posto tranquillo... Magari in giardino.”
“Dovrei anche trovare una compagna che faccia attenzione a non farmi del male.”
“Se ti accontenti, posso accompagnarti io.”
“Sarebbe molto più che accontentarmi.” rispose lui prendendola per mano e guidandola verso una terrazza aperta.
Con attenzione, posò la mano sinistra sul fianco di Molly e con la destra prese la sua. Lei, per non rischiare di fargli del male, posò la destra sul fianco di Sherlock.
E poi, con un sorriso, lui iniziò a mimare i numeri con le sue splendide labbra.
Tre, due, uno...
Iniziarono a muoversi lentamente, un passo dietro l'altro. Lei sorrise mentre abbassava lo sguardo arrossendo. Stargli così vicina era inebriante e mantenere anche il contatto visivo con quegli occhi di giada era davvero troppo.
“Guardami, Molly Hooper.” la rimproverò lui. “Non è cortese distogliere lo sguardo dal proprio compagno. O hai forse paura di me?”
“Non ho paura di nessuno, tanto meno di te.” replicò lei con sarcasmo mentre rialzava il viso. “È solo che... È tutto così strano.” tentò di spiegare. “Ci siamo odiati per così tanto tempo e ora eccoci qui, a ballare un valzer in giardino. Quasi come... Come se noi due...”
“Come se fossimo innamorati?”
“Sì... In un certo senso.”
“Molly, io...”
L'interrompersi della musica e la voce di un uomo lo fermò. Era lo zio di Mary che presentava la coppia. Dopo un breve sguardo di imbarazzo, entrambi rientrarono nella sala.
Tutti gli invitati si erano assiepati ai lati della sala per lasciare il centro ai festeggiati e ai loro parenti.
“Sono felice che mia nipote Mary abbia finalmente trovato l’uomo della sua vita...” aveva iniziato l’uomo con un sorriso entusiasta.
“C’è qualcosa che non va.” Aveva sussurrato Sherlock con tono preoccupato.
“Cosa vuoi dire?”
“Guarda John.”
Molly distolse l’attenzione dalla sua migliore amica e guardò l’ex medico militare. Sembrava essere tutto meno che felice. Aveva lo sguardo basso, l’espressione dura e una postura rigida.
Prima che potesse commentare, Sherlock la prese per mano la guidò più vicino al centro, sempre cercando di proteggere il proprio lato sinistro da eventuali urti.
In poco tempo raggiunsero il lato di John, dove già erano presenti Greg, Mycroft e Anthea.
“Cosa succede?” chiese Sherlock ai tre.
“Non mi è ancora chiaro, fratellino. E l’Ispettore Lestrade non vuole condividere con noi le sue conoscenze.”
“Greg, cosa succede?” aveva domandato Molly sentendo una strana inquietudine avvolgerla.
“Niente che riguardi nessuno di voi.” Aveva replicato il poliziotto di Scotland Yard con il tono più gelido che gli avessero mai visto.
“Ma...”provò a obbiettare la patologa ma venne interrotta da un gran frastuono di passi di corsa.
Una decina di poliziotti armati entrarono nella sala e circondarono i festeggiati. A quel punto Greg fece un passo avanti e si posizionò verso la futura sposa.
“Mary Elizabeth Morstan, ti dichiaro in arresto per furto e tentato omicidio.”
“Ma cosa...” esclamò la donna mentre la ammanettavano. “John!” chiamò in aiuto il proprio fidanzato ma in cambio ricevette solo uno sguardo gelido.
“Ti ho amato dal primo momento che ti ho visto... Avrei fatto qualunque cosa per te... Come hai potuto?” rispose l’uomo con disgusto. “Hai quasi ucciso il mio migliore amico!”
“No!” esclamò la donna mentre Molly le faceva eco.
“John, come puoi accusarla di una cosa simile?”
“Ne ho le prove. Le ho consegnate a Scotland Yard stamattina, dopo aver passato più di una notte insonne cercando di convincermi che fosse un incubo. Ma non è così. Sei solo una spietata criminale.”
“No, John, te lo giuro...” urlò la donna mentre veniva portata via con la forza.
Molly tentò di seguirla ma fu trattenuta da Sherlock.
“Lasciami! Devo raggiungerla! Stanno facendo un errore!”
“Lo so!” replicò l’uomo senza allentare la presa. “Non è stata lei a spararmi, ma ora non possiamo fare nulla.”
“Non possiamo lasciare che la portino via così!”
“Miss Hooper, sistemeremo tutto.” La rassicurò anche il maggiore degli Holmes. “Chiamerò subito il direttore di Scotland Yard. Siamo andati all’Università insieme.”
“Ma...”
“Molly, ora calmati. Dobbiamo capire innanzitutto che prove hanno contro di lei e poi potremo sfatarle.” Aggiunse Sherlock. “Ma devi stare calma.” Concluse portandola nuovamente in giardino.
“Ma non possiamo stare fermi a guardare! Hanno portato via Mary! La mia migliore amica! Non posso credere che John le abbia fatto questo... La teneva in palmo di mano e ora... L’ha ripudiata e insultata davanti a tutti i suoi parenti e amici... E nessuno ha avuto il coraggio di obbiettare!”
“Molly, era un regolare arresto da parte di Scotland Yard. Non potevamo fare nulla, ma non significa che non faremo nulla. Mio fratello e la sua efficientissima assistente stanno facendo delle telefonate e intendo farmi affidare il caso.”
“Ma non puoi... tu sei la parte lesa!”
“Mio fratello troverà il modo.” Replicò lui alzando le spalle.
“Perché lo faresti?”
“Perché so che non è stata lei. Perché chiaramente John è stato ingannato. Perché voglio capire cosa ci sia dietro una simile macchinazione. E perché non sopporto di vederti così sconvolta.”
Molly fece un sospiro, cercando di trattenere le lacrime. Non era il momento di farsi distrarre dalle parole gentili di Sherlock. O dal suo sguardo così intenso.
“Non ho bisogno della tua pietà.” Replicò lei cercando di mantenersi lucida. “E nemmeno Mary. Quello di cui ha bisogno ora è di giustizia. E amicizia.”
“Ti darò la giustizia, Molly. E ti dimostrerò la mia amicizia.” Disse lui avvicinandosi a lei e fermandosi appena a qualche centimetro di distanza.
“Sherlock, non pensare a me. È Mary che...”
“Non c’è niente al mondo che io ami più di te. Non è strano?” la interruppe lui con voce roca.
Molly rimase pietrificata da quelle parole. Sherlock la fissava con un calore che la stordiva.
“Strano come tante cose che mi circondano e che non capisco. E potrei benissimo dire che anche io non amo niente al mondo più di te.” Mormorò stregata da quelle iridi ipnotiche. “Ma non credermi, anche se non sto mentendo. In questo momento sono confusa... Sono dispiaciuta per Mary.”
“Molly, tu mi ami?” le chiese lui circondandole la vita con le braccia. “Non mentire. Posso dedurlo dalle tue pulsazioni e da come si dilatano le tue pupille.”
“Ti sbagli. E smettila di studiarmi come se fossi una cavia da laboratorio!”
“Tu mi ami e sono disposto a scommetterci la vita!”
“No, ti prego!” esclamò lei chiudendo gli occhi e cercando di divincolarsi dalla sua stretta. “Oh, per l’amor del cielo, io...”
“Cosa, Molly?”
“Stavo per dirti che anche io ti amo...” confessò lei voltando il viso per non incrociare i suoi occhi. “Mi hai fermato giusto in tempo, e forse è meglio così.”
“No, Molly. Ti prego, dimmelo.” La implorò lui sussurrandole all’orecchio con la sua calda voce.
“Oh, Sherlock...”si arrese infine lei. “Ti amo così tanto che non mi rimane fiato per dirtelo.”
Lui le circondò il viso con le mani e la baciò con passione, assaporando il sapore salato delle sue labbra mentre la stringeva maggiormente a sé. Le sue gambe tremarono, minacciando di farla crollare, allora si aggrappò alle spalle di lui.
“Molly, amore mio... Farei qualunque cosa per te.” Sussurrò dolcemente lui al suo orecchio.
“Allora, uccidi John.”
Non intendeva dirlo davvero, ma non era riuscita a trattenersi. Era così arrabbiata con John Watson! Non poteva credere che non avesse avuto fiducia nella donna che amava...
“Molly, questa è l’unica cosa che non farò mai.” Rispose lui con sguardo perplesso.
“E allora smettila di parlarmi di amore e amicizia!” urlò lei allontanandosi di scatto da lui. “Tu parli, parli, parli ma i fatti sono un’altra cosa, vero?”
“Molly, in questo momento sei furiosa e preoccupata per Mary, quindi non terrò in considerazione le tue parole.”
“Posso anche essere completamente fuori di me, ma so quel che dico! E so che John deve pagare per il modo in cui ha trattato Mary!” urlò lei gesticolando in maniera confusa.
“Gli parlerò e lo farò ragionare, ma sono certo che sia stato ingannato. Se c'è una cosa di cui sono sicuro a questo mondo è che John Hamish Watson è un brav'uomo. Il migliore. Se ha agito così deve esserci stato un motivo e io lo scoprirò. E se qualcuno ha osato burlarsi di lui costringendolo a fare del male alle persone che amava e a se stesso, la pagherà cara.” dichiarò lui con tono serio e incredibilmente convincente, anche per una donna furiosa.
“Ti conviene aver ragione, Sherlock Holmes. Perché in caso contrario avrò la tua testa.”
“Se avrò torto potrai sezionarmi nel tuo obitorio.” replicò lui con un sorriso ironico.
“Sei disposto davvero a scommettere la tua vita su John Watson?”
“Lo faccio da anni, con ottimi risultati.”
“Quindi, anche se dici di amarmi, se dovessi scegliere tra me e lui...” ammise lei con un sospiro.
“Non sceglierei. Scegliere non è un'opzione. Lui è il mio migliore amico e tu la donna che amo. Non c'è motivo per cui le due cose debbano andare in conflitto.”
“Prega di aver ragione.” disse lei tirando su con il naso e allontanandosi da lui. “Vai e risolvi questa faccenda, Holmes. O non farti rivedere.” concluse raggiungendo la strada alla ricerca di un taxi.
 
Mary era in una stanza priva di finestre, seduta a un tavolo. Indossava ancora il suo abito da sera e piangeva, mentre il suo trucco le colava sul viso.
“Miss Morstan, per l'ultima volta, dove si trova la refurtiva?”
“Non lo so! Vi ripeto che non ho rubato niente! E non ho sparato a nessuno...”
“Miss Morstan, questo atteggiamento peggiorerà la sua situazione...” replicò la poliziotta seduta di fronte a lei. “Abbiamo delle prove. E un testimone l'ha riconosciuta.”
“Impossibile, perché io non ero lì!”
“Le mostro alcune foto.” disse il Sergente Donovan aprendo un fascicolo. “Questa è lei che fugge dal museo di arte moderna.”
“Il mio viso non si vede!”
“No, ma si vede chiaramente il tatuaggio che ha sul polso.”
“Che significa? Chiunque può avere lo stesso...”
“E in quest'altra foto abbiamo un immagine di lei che si toglie il passamontagna e i guanti. Quello è il suo profilo e quello è il suo anello di fidanzamento.”
“Non è possibile...”
“Miss Morstan, sarebbe tutto più semplice se confessasse.”
Mary scoppiò a piangere. Era tutto così assurdo. Cosa era successo alla sua vita? Perché tutto stava andando storto?
La porta della sala si aprì all'improvviso ed entrò l'Ispettore Lestrade.
“Donovan, ora basta. Miss Morstan verrà trasferita.”
“Ma...”
“Ordini dall'alto.”
“D'accordo!” esclamò infastidita la poliziotta mentre usciva dalla sala.
“Greg...” lo implorò la donna in lacrime. “Ci conosciamo... Siamo amici.”
“Mi spiace, Mary. Non c'è niente che possa fare per te.”
Subito dopo, un'ombra si affacciò sull'uscio e un uomo entrò nella stanza.
“Mi auguro che l'abbiano trattata bene, Miss Morstan. Ora però ci occuperemo noi di lei, può star tranquilla. Segua pure Anthea alla macchina.”
Un barlume di speranza si riaccese nel cuore di Mary quando riconobbe il maggiore degli Holmes e la sua assistente.
“Non capisco.”
“Lei è sotto la mia responsabilità sino a che non avremo chiarito la faccenda. Non avrà la libertà di andare dove desidera, ma le assicuro che starà meglio che in una fredda prigione.”
Anthea la raggiunse porgendole una giacca, la sua giacca, e poi la guidò fuori dalla sala degli interrogatori.
“Grazie, Mr. Holmes.” sussurrò passando accanto all'uomo.
“Dovere, Miss Morstan.”
 
Sherlock Holmes entrò nel suo salotto a Baker Street e, come immaginava, trovò John.
Era seduto in terra, con in mano una bottiglia di whisky economico ormai vuota.
“John, che cosa diavolo stai facendo?”
“La donna della mia vita è una criminale. Un'assassina. Il minimo che possa fare è ubriacarmi sino a perdere i sensi.”
Sherlock si chinò a fatica su di lui, con il timore di far saltare i punti, e gli strappò la bottiglia di mano.
“Ehi!”
“John Hamish Watson, non credevo che lo avrei mai detto, ma sei un patetico imbecille!”
“Oh, ti prego. Mi dici cose del genere continuamente...”
“Sì, ma questa volta lo credo davvero!”
L'ex medico militare si bloccò a guardarlo, arricciando le sopracciglia. Un'ombra di tristezza passò nei suoi occhi.
“Sì, è vero.” ammise con tono improvvisamente serio. “Sono un patetico imbecille per essermi fidanzato con quella donna e aver creduto che fosse quella giusta per me... E la cosa assurda è che la amo ancora. Disperatamente.”
“John, non è stata lei!” esclamò il consulente investigativo. “Come diavolo ti è venuto in mente?”
“Ho le prove! Me le hanno spedite!”
“Quali prove? Non hai pensato di consultarmi? È a me che hanno sparato!”
“Beh, tu eri in ospedale e non volevo disturbarti. E le prove erano così schiaccianti che non serviva il tuo genio per esaminarle...”
Prove schiaccianti? E perché avrebbero dovuto farle avere a te e non a Scotland Yard? E questo non ti è sembrato sospetto?”
“No... Mi è sembrato crudele, non sospetto.”
Sherlock fece qualche passo nella stanza scuotendo la testa. John era completamente sconvolto e non poteva certo aiutarlo.
“Dove sono ora queste prove?”
“Le ha Scotland Yard.”
“Oh, fantastico.” esclamò il detective con sarcasmo mentre prendeva il telefono e faceva partire una telefonata. “Sono io. Ho bisogno di esaminare quelle prove. Certo! Fratello, non costringermi a venirle a prendere con le mie mani...” minacciò con tono irato. “Tornerò in ospedale, ma ho bisogno di esaminarle. Portamele lì.” concluse chiudendo la conversazione.
Mise il cellulare in tasca e poi si voltò nuovamente verso John, dedicandogli la sua completa attenzione.
“Ascoltami bene, John Watson. Mary è innocente e io lo proverò. Tu ora sei completamente sconvolto e confuso dall'alcol. Quando avrai ritrovato la lucidità e sarai pronto a ragionare, vieni da me.”
Così dicendo, Sherlock Holmes uscì dall'appartamento, lasciando John Watson a piangere per lo sconforto.
 
Molly era rientrata a casa, aveva fatto una doccia e si era messa a letto, ma non riusciva a prendere sonno. Era terribilmente preoccupata per la sua amica e sembrava che nessuno volesse credere alla sua innocenza tranne lei e Sherlock.
Era rimasta a piangere stringendo a sé il piccolo Toby per qualche ora, quando suonò il campanello.
La giovane patologa guardò l'orologio preoccupata. Chi poteva essere a quell'ora?
Con passo silenzioso si avvicinò alla porta e sbirciò dallo spioncino. Sospirò quando riconobbe la persona sul pianerottolo e aprì la porta.
“Mi spiace per l'ora, Miss Hooper, ma Mr. Holmes vuole vederla.”
“Ora?”
“Sì, posso attendere mentre si veste.” disse Anthea con un sorriso gentile.
“D'accordo. Entra pure.”
L'assistente personale di Mycroft Holmes entrò nell'appartamento e subito gli si mosse incontro il gatto.
“Oh, tu devi essere Toby!” esclamò la donna prendendolo in braccio e accarezzandolo.
“Come sai il suo nome?”
“Ehm... Devo averlo sentito dire a qualcuno.”
Molly si accigliò, confusa, ma diede la colpa all'ora tarda e si recò subito a cambiarsi. Dopo aver indossato la prima cosa a portata di mano, fece una carezza a Toby e uscì di casa seguendo Anthea.
Ad attenderli in strada c'era una berlina nera e le venne fatto cenno di entrare.
La prima persona che vide all'interno dell'abitacolo fu Mycroft Holmes ma, guardando con più attenzione, riconobbe un viso familiare.
“Mary!” esclamò entrando nella vettura e raggiungendo l'amica. “Oh, cielo, sei libera! Come sono felice!”
“Mi spiace contraddirla, Miss Hooper, ma il nome di Miss Morstan deve ancora essere riabilitato. Tuttavia, ho ottenuto che possa passare il periodo di reclusione nella mia villa, dove sarà trattata con ogni riguardo, in attesa di risolvere la faccenda.”
“Oh.” esclamò con delusione. “Quanto è grave la situazione?”
“Le prove sembrano essere schiaccianti. Troppo, in effetti, e questo è sospetto. Mio fratello si è offerto di analizzarle durante la sua convalescenza e mi riferirà ogni indizio dovesse scovare. Nel frattempo, i servizi segreti stanno eseguendo delle indagini più approfondite.”
“Quindi, per ora, io resto una criminale per tutti... Anche per John.” commentò la donna in lacrime mentre l'amica la abbracciava per confortarla.
“Le assicuro che risolveremo in breve tempo. Forse la sua festa di fidanzamento è solo rimandata.” disse con gentilezza il maggiore degli Holmes mentre le posava una mano sulla spalla in un gesto di incoraggiamento.
 
Sherlock era seduto sul letto dell'ospedale, con in braccio il suo portatile, mentre guardava il video girato la notte in cui gli avevano sparato. Lo aveva già visto decine di volte, ma continuava a osservarlo alla ricerca di dettagli sospetti. E poi, all'improvviso, aveva notato qualcosa. Nella scena in cui la ladra si toglieva il passamontagna, c'era qualcosa di strano. La pelle del viso era lucida. Sembrava quasi essere... di plastica.
Il consulente si rizzò a sedere. Una maschera! Doveva essere una maschera! E, chiunque fosse la ladra, contava sulla scarsa qualità del video che non avrebbe reso possibile notare la differenza.
Fece partire nuovamente il video alla ricerca di altri dettagli che, oltre a scagionare Mary, avrebbero potuto aiutarlo a trovare la vera ladra.
Era impegnato nella sua ricerca quando bussarono alla porta.
“Sono occupato!” esclamò il detective voltandosi verso l'ingresso ma si bloccò immediatamente. “Oh. Dottor Watson.”
John era rimasto sulla porta, indeciso se avanzare o meno. Sembrava vergognarsi.
“Posso...?”
“Certo, accomodati.”
L'ex medico militare fece qualche passo e raggiunse la sedia accanto al letto e si sedette.
“Come stai?”
“Benissimo. La ferita sta cicatrizzando bene, ma ancora non mi lasciano andare via.”
“Devono prendere le dovute precauzioni.”
“Noiosi. Almeno mi lasciano lavorare in pace e sto facendo dei progressi. Guarda qui.” disse voltando il monitor verso l'amico. “Cosa vedi?”
John socchiuse gli occhi, come se il filmato gli ferisse gli occhi.
“Non farmelo vedere, ti prego.”
“Non essere sciocco, John. Mary è innocente e sto per provarlo. Guarda!”
“E va bene.” acconsentì l'amico aprendo gli occhi e sforzandosi di guardare. “Vedo... la ladra. Si sta togliendo il passamontagna e sembra essere proprio la mia fidanzata.”
“Guarda la sua mano.”
“La sua mano?”
“Sì, quella con il quale si toglie il passamontagna, è la destra o la sinistra?”
“La destra.”
“Mary è mancina, vero?”
“Questo non è...”
“E non è solo questo. Guarda qui, dove corre. Noti qualcosa nei suoi capelli?”
“Vuoi dire quell'ombra?”
“Non è un'ombra. È una ciocca scura. Ha una parrucca.”
“Oh.”
“E ora qua, quando raggiunge quella moto e corre via.” insistette il detective. “Vedi cosa fa?”
“No, cosa...”
“Si toglie i guanti e si sostiene per un secondo a quel palo. Sai questo cosa significa?”
“Impronte.”
“Esatto. Prove tangibili.”
“Ma chissà quante impronte ci saranno...”
“Non è detto. E, comunque, se solo riuscissimo a escludere Mary sarebbe già una vittoria, non credi?”
John sorrise, sembrava essere sollevato, ma dopo qualche secondo il suo sguardo ridiventò tetro. “Ma...”
“Ti stai chiedendo se Mary ti perdonerai mai per non aver creduto in lei.”
“Sì.”
“Beh, Dottor Watson, quello sta a te.”
 
La donna era in fila per il check in. Nonostante fosse sicura di non avere problemi, preferiva lasciare immediatamente la Gran Bretagna. Aveva consegnato la refurtiva al suo compratore e, su sua richiesta, aveva anche fatto in modo che fosse una donna innocente a venirne incolpata. Sia del furto che del tentato omicidio.
Era andato tutto alla perfezione e ora poteva godersi la sua ricompensa e delle meritate vacanze in Brasile. Certo, sempre che fosse riuscita a superare quella fila chilometrica.
Sbuffò e riprese a guardare la guida turistica che aveva in mano. Era così presa che non si accorse della guardia che si avvicinava con un pastore tedesco al guinzaglio.
“Miss, può uscire dalla fila, per favore?” chiese una voce maschile.
Incuriosita, si voltò a guardare ma non pensava che si rivolgessero proprio a lei.
“Io?”
“Sì, lei, Miss.”
“Ma devo fare il check in... Perderò il volo.”
“Non si preoccupi.” Disse la guardia con un sorriso. “Venga con me, per favore.”
La donna acconsentì e uscì dalla fila, seguendolo sino a uno stanzino della sicurezza.
“Può mostrarmi i suoi documenti?”
La donna glieli consegnò, senza aggiungere una parola.
“Miss Jane Hamilton. Nazionalità americana. Era qui per vacanza o lavoro?”
“Entrambi. Adoro Londra.”
“Di cosa si occupa, Miss Hamilton?”
“Sono una fotografa free lance.”
“Va bene, attenda qui, per favore.” Disse l’uomo uscendo dalla stanza con il suo passaporto.
Un minuto dopo rientrò con un agente donna.
“La collega la perquisirà mentre registro i suoi documenti.”
“Ma perché? Non capisco.”
“Solo un controllo a campione.” Spiegò l’uomo prima di uscire nuovamente.
La donna sbuffò e annuì, posizionandosi al centro della stanza con braccia e gambe divaricate.
La poliziotta la controllò con incredibile accuratezza, come se pensasse che nascondesse realmente qualcosa.
“Non sapevo faceste questi controlli a campione.”
“Nuova politica.”
“Ma perché? Per prevenire attacchi terroristici? E perché io? Vi sembro seriamente sospetta?”
“I controlli a campione non si basano su sospetti specifici. Sono casuali.”
“E ci vorrà molto?”
“Apra la borsa, gentilmente.”
Il controllo continuò in maniera capillare, per ogni singola tasca della sua borsa e controllando ogni oggetto in suo possesso. Dopo quindici minuti era ancora lì.
“Senta, io devo prendere l’aereo, non possiamo chiuderla qui?”
A quel punto, la porta della stanza venne aperta ed entrarono degli uomini.
“Miss Jane Hamilton, lei è in arresto con l’accusa di furto e tentato omicidio.” Disse l’uomo mostrandole un distintivo di Scotland Yard.
“Ma... In base a cosa?” protestò lei mentre l’ammanettavano.
“Abbiamo le sue impronte.” Replicò l’Ispettore con un sorriso sornione mentre la trascinava via.
   
 
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