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Autore: hane    25/08/2008    0 recensioni
[...] Ad ogni nota più grave della canzone che deformava l'aria e faceva vibrare le interiora, le sue dita si accanivano con più forza sul materiale duro del bancone e trasmetteva la scossa ai sottili bicchieri di cristallo che stavano su di esso - e chiudeva gli occhi, come sovrappensiero, come in preda ad un orgasmo improvviso e quasi indesiderato. [...]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PAROLE SOFFOCATE

Il Locale


Tamburellava ritmicamente le dita lunghe ed affusolate sul piano di legno chiaro e verniciato, seguendo un ritmo costante e snervante.

Nei suo movimenti macchinosi intravedevo la noia e la rabbia repressa, da lui trasmessa come una cacofonìa indistinta di suoni accodati uno dopo l'altro, tam tam tam - e ad ogni nota più grave della canzone che deformava l'aria e faceva vibrare le interiora, le sue dita si accanivano con più forza sul materiale duro del bancone e trasmetteva la scossa ai sottili bicchieri di cristallo che stavano su di esso - e chiudeva gli occhi, come sovrappensiero, come in preda ad un orgasmo improvviso e quasi indesiderato.

Sembrava realmente trarre sfogo da quel gesto tanto inconsulto e abituale - il muto sfogo che si concedeva solo in rari momenti, lo si capiva dal sorriso sghembo e compiaciuto che contraeva leggermente il suo viso affilato e, solitamente, inespressivo.

Non alzava mai il il volto dalla sua posizione arcuata per darsi un'occhiata intorno - non da quando lo conosco io.

Forse perchè quel locale lo conosceva troppo bene - dalle sedie in legno alte e sottili, ai camerieri impomatati che si aggiravano per la stanza, anche se, da quello che potevo intuire osservando i suoi movimenti convulsi (ma che ostentavano una logica e una coerenza indiscutibili), avrebbe desiderato trovarsi in tutt'altro posto.

Eppure era lì, seduto scompostamente, con le gambe incrociate e quell'espressione corrucciata intrisa di un appagato affanno, quasi amasse crogiolarsi in esso, gli occhi fissi sulle sue mani irrequiete - che, inconsciamente, trasmettevano ansia anche a me - a seguire il ritmo di una canzone ascoltata troppe volte. Ma che mai avrebbe rinunciato a riascoltare.

"Perchè mi porti sempre qui?" domandai sconcertato, sentendo la mia voce deformarsi a causa della musica - e alle mie orecchie stordite dal fracasso sembrò di cogliere una nota di disappunto che mai avrei colto in circostanze normali. Lui sembrò valutare attentamente la domanda, soppesare le conseguenze di una qualsiasi risposta e considerare tutto l'insieme, senza mai distogliere l'attenzione dai movimenti delle sue dita.

Il suo silenzio contemplativo fu attutito dai rumori di quel caotico - e vivo, vivo come non mai - locale. Il turbamento che aleggiava nell'aria ogni volta che rimuginava sulle mie parole - quel turbamento che riesce a confonderti i sensi e a trascinarti in uno sconforto senza fondo - ogni volta che mi rivolgevo a lui, era in qualche modo mutato in una statica attesa, come quando, senza troppe pretese, osservi una nuvola muoversi in cielo ed aggirare silenziosamente le altre - e non riesci mai ad identificarne la forma, ma continui a guardarla e ad aspettare qualcosa, qualsiasi cosa.

Alzò di scatto la testa e il suo sguardo illeggibile penetrò le mie iridi.

"Perchè no?" Fu il suo unico commento, sussurrato con una voce bassa, graffiata ed annoiata - annoiata dal mondo che lo circondava -, prima di tornare alla sua insolita attività, quasi pentito di aver distolto l'attenzione per un così futile motivo - perchè ogni mia parola era aria calda che andava ad intorpidire i suoi nervi tesi.

Non si voltò più per il resto della serata, nemmeno quando i miei baci andarono a stuzzicare la sue pelle bollente, liscia e glabra, color avorio, complici di promesse inesprimibili - solo l'inizio di una notte invisibile da sotto le coperte bianche di un letto.

Non si voltò nemmeno quando mi trascinò fuori dal locale, a passo svelto, stringendomi la mano saldamente - e sentivo le intense scosse di piacere graffiarmi la schiena, come il brivido di un'avventura che tanto hai temuto, ma che ti trovi ad affrontare con profonda soddisfazione e, al tempo stesso, un cupo disagio. Allora io capivo sempre cosa bramava da me, cosa avrebbe voluto possedere senza porsi troppe domande, come era solito fare. E quel silenzio non mi spaventava, perchè non c'era nulla che potessi realmente aspettarmi, se non ciò che presagivo già - e che mai e poi mai gli avrei negato, una muta promessa che accompagnava i nostri passi ovattati nella notte laconica - , qualcosa che nella mia mente era già stato plasmato, un dipinto dai tratti decisi e dai colori alienanti che stordisce la vista per infiniti attimi. Non c'entrava, ora, la forma delle nuvole.

Ma nonostante tutto io amavo la sua urgenza di me, brutale come una tempesta su un campo di papaveri, violenta come un pugno a mano serrata, ambigua nel sottintendere ed esplicitare, semplicemente, ciò che gli riusciva tanto difficile chiedere da sè.

Amavo i suoi sguardi fugaci ed incomprensibili, due pozzi dal cui fondo sembra di udire un brusio sconnesso - e quasi sconfortante - che ti chiama, un abbraccio irto di spine, ma che non ti nega mai il delicato sentore di rose - misto a quello denso del sangue.

Amavo, più di tutto, più del bene e del male, più del piacere e del dolore, più di baci e carezze e schiaffi e silenzi, la sua pericolosa amoralità.

  
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