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Autore: puffoletta    25/08/2008    2 recensioni
Ho peccato di superbia e non ho più pubblicato niente. Ho penato che fosse ora di ricominciare. Un raccontino senza troppe pretese che amo molto. Lascio tutto il resto nelle vostre mani.
Genere: Romantico, Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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GATTINI DI PORCELLANA

I gattini di porcellana la fissavano.

I loro occhi immobili e ipnotizzanti puntati su di lei, sulla sua pelle scura, la sua pelle di cioccolato, come lui la chiamava.

Gli occhi azzurri d’angelo la fissavano.

Cercavano di penetrarla, di spogliarla con lo sguardo, di conoscere le profondità abissali delle sue perle nere e luccicanti.

Il vapore del tè le aggredì il volto.

Tenne gli occhi puntati sulla tazzina, studiando con ostinazione la fetta di limone che galleggiava placidamente nel liquido ambrato.

Non poteva guardarlo.

Era peccato.

Dio punirà i lussuriosi ed essi precipiteranno nelle fiamme.

Sentiva i suoi occhi su di lei.

Era peccato.

I gattini di porcellana la fissavano.

Aspettavano una sua mossa, attendevano con maliziosa impazienza il momento in cui avrebbe ceduto al peccato. Il momento in cui si sarebbe persa nei suoi occhi di cielo.

-Grazie Madeleine.- sussurrò lui e nella sua voce profonda e vellutata c’era l’ombra di un sogghigno.

Si prendeva gioco di lei, dei suoi principi, del suo Dio, ma lo faceva in maniera deliziosa.

La croce argentata che pendeva dal suo collo ondeggiava lentamente tra i seni; il metallo, colpito a tratti dalla pallida luce lunare creava degli strani effetti ottici.

Immaginò il volto diafano di lui illuminato dalla luna, il suo ghigno malizioso tra le labbra rosee, e un brivido le percorse la schiena.

Solo una candela illuminava la stanza, la flebile fiammella tremula stava per estinguersi; lui aveva sempre preferito l’oscurità alla luce, forse -pensò Madeleine con un sorriso- perché risplendeva di luce propria.

Come Dio.

E gli esseri umani non possono ammirare la luce di Dio, perché ne morirebbero.

Con uno scatto rumoroso lui si alzò, la sopraveste di seta color porpora aderente al petto magro, i riccioli biondi che gli solleticavano il collo.

Madeleine indietreggiò di qualche passo con un sussulto, il capo chinato a fissare le mattonelle lucide.

Non poteva guardarlo.

La candela si spense.

A squarciare l’oscurità rimase la luce della luna che, stagliata imponente nel velluto blu del cielo, arrivava nella stanza dalla finestra spalancata, dalla quale il dolce aroma dell’erba si insinuava tra di loro.

-Bel ciondolo, Madeleine.- mormorò avvicinandosi alla giovane.

Tese la mano pallida verso il suo seno.

Lei era paralizzata.

Prese il gioiellino, rigirandoselo tra le dita lunghe e affusolate, studiandolo, mentre il luccichio del metallo si rifletteva nei suoi occhi azzurri.

Lasciò andare la croce, la quale ricadde sul petto di cioccolato di Madeleine.

-Madeleine, guardami. Lo so che non vuoi, lo so che ti faccio paura, ma tu sai che se non lo fai, ti picchio.

Sai che non voglio picchiarti, ma sai che non esiterò a farlo se mi disubbidisci. E so che non vuoi che ti rimandi nella piantagione. Preferisci avere tra le mani il mio cibo che il mio cotone.

Guardami. Te lo ordino, mia cara Madeleine.-

La ragazza rabbrividì.

Non poteva guardarlo.

Una schiava, né bianca né nera, figlia di una derelitta di colore e di un bianco respinto dalla società, educata al lavoro da schiavi e alla religione cristiana. Una nullità.

Come poteva guardarlo?

Il suo signore, il suo padrone, il suo amore, il suo terrore.

I gattini di porcellana attendevano con spasmodico e malsano interesse.

La luna li illuminava con la sua luce di latte, erano i protagonisti di una tragica commedia, la stanza il loro palcoscenico, i gattini di porcellana il pubblico.

E Madeleine non sapeva quale fosse la prossima scena, né quale potesse essere il suo ruolo nella storia.

Avvertì un tocco freddo sul mento, e, in un attimo, senza che avesse il coraggio di opporre resistenza, le dita sottili di lui le sollevarono delicatamente il volto.

Gli abissi incontrarono il cielo.

-Hai dei bellissimi occhi.- disse lui, le labbra dipinte in un sorriso soddisfatto che scopriva una serie di denti bianchi e perfetti.

E Madeleine poteva solo improvvisare.

-Monsieur d’Exue…- balbettò, la voce flebile e delicata.

-Chiamami Luis. Sono troppo giovane e immaturo per essere chiamato per cognome.- fece una pausa teatrale.

Il fruscio del vento che si insinuava tra le fronde degli alberi era l’unico suono udibile.

Madeleine rimaneva immobile, gli occhi puntati verso il vuoto, il respiro smorzato dalla tensione, solo l’uomo sembrava essere perfettamente a suo agio.

Persino i gattini di porcellana sembravano intimoriti.

La luce bianca e pallida della luna illuminava Luis, i suoi capelli d’oro, i suoi occhi azzurri, la sua pelle diafana, il volto distorto in un ghigno selvaggio, concedendogli un’aura sovrumana.

Faceva paura.

-Ora, Madeleine, ti ordino di non muoverti.-

Mosse lenti passi intorno alla giovane, fermandosi alla sue spalle. Lei avvertì la sue dita fredde sul collo, ma non si mosse.

Sapeva cosa voleva farle.

Non poteva avere due dei, doveva sceglierne uno.

Superbo, presuntuoso, orgoglioso, quell’uomo si credeva Dio, peccando in una maniera che Madeleine non riusciva nemmeno a concepire.

Eppure trovava una strana - e morbosa- logica in quello che faceva.

Eppure lo amava

-Non hai bisogno di questo.- mormorò Luis, mostrandole il ciondolo che le aveva tolto.

-Tutto ciò di cui hai bisogno è l’amore, Madeleine. Dio è per le donne brutte e gli uomini codardi. Tu non sei una donna brutta.-

-Dio è per tutti, Monsieur.-

-Non è affatto vero. Dio non è per me, eppure vivo benissimo; molto meglio di te, se mi permetti di dirlo. Cosa può darti Dio?-

-La salvezza.- e mai la voce di Madeleine era stata tanto ferma e determinata.

-Potrei dartela anch’io.- ribatté Luis con un gesto noncurante della mano bianca. La guardò negli occhi e per la prima volta il sorriso scomparve dalla sue labbra. -Io potrei darti l’amore.-

-La speranza.-

-La ricchezza.-

-Il perdono.-

-Il peccato.-

-La libertà dai peccati.-

-La libertà dalla schiavitù.-

-L’eternità del divino.-

-L’immediatezza della realtà.-

-L’anima.-

-Il corpo.-

Silenzio.

I gattini di porcellana aspettavano.

La macabra soddisfazione delle vittoria nel sorriso sottile di Luis.

L’espressione di turbato sbigottimento nelle labbra a bocciolo di Madeleine.

-Il piacere fisico, Madeleine… Dio te lo può dare?-

La bella schiava rimase in silenzio.

-La Bibbia dice: “Si è incarnato nel seno della vergine Maria”, non parla di “Dio e Maria si unirono fisicamente…”-

Le perle nere di Madeleine si illuminarono di una rabbia innaturale.

-Questa è una bestemmia, Monsieur!-

-E’ una bestemmia solo per chi ci crede, e io non ci credo.- replicò tranquillamente l’uomo, avvicinandosi nuovamente a lei.

Quando le solleticò le pelle di cioccolato, carezzandole dolcemente la scollatura poco sopra il seno, la giovane rabbrividì, e non poté fare a meno di sorridere, chiudendo gli occhi, per un istante isolata da ogni cosa che non fosse lui.

E Luis, estasiato dalla reazione di lei, si avvicinava sempre di più, le sue dita ad accarezzarle delicatamente la schiena.

Quando Madeleine si accorse che i lacci del suo corsetto si stavano allentando si ritrasse di scatto.

-Monsieur…-

-Suvvia, Madeleine. Non devi essere spaventata. Sono molto meno pericoloso del tuo Dio. Lasciati andare.-

-Non è vero. Siete molto più terribile di Dio.-

-Sono più spaventoso di Dio, ma meno pericoloso.-

-E la differenza dove sarebbe?-

-Le donne amano la paura, che è solo la simulazione del pericolo. Non amano il vero pericolo. La paura le eccita, il pericolo fa loro del male.-

-Questo è un discorso senza senso, Monsieur.- ribatté lei incrociando le braccia.

-Tutto di me è senza senso, ma cherié. E’ questa la cosa che più amo di me stesso.-

Madeleine sorrise:- Questo ha senso.-

-Lo so.- ammise lui, punzecchiandosi il mento, improvvisando un’espressione pensierosa; finse di riflettere per qualche istante, poi, con un tono civettuolo che non gli si addiceva, mormorò:- E dimmi, Madeleine, il padrone con la schiava… ha senso?-

Gli occhi dei gattini di porcellana si illuminarono di un luccichio di interesse.

Il fruscio del vento sembrò fermarsi, come volesse udire la risposta della giovane.

Silenzio.

Luis attese pazientemente, il suo solito ghigno ad illuminargli il volto.

-No, Monsieur. Non ha senso.-

Luis non si arrese:- Meglio così. Mi piacciono le cose senza senso.-

Madeleine non rispose alla provocazione.

Chinò il capo, chiuse gli occhi, recitò mentalmente una preghiera.

Era peccato.

Ma lei lo desiderava.

Era peccato.

Ma lei non resisteva.

Sentiva i suoi passi rimbombare nella sala, il fruscio della sopraveste farsi sempre più vicino.

Avvertì il calore del suo respiro del viso.

-Hai dei bei capelli, Madeleine. E’ un peccato che stiano nascosti nella crocchia, non credi?-

Un altro fruscio.

Una cascata di capelli morbidi le ricadde dolcemente sulle spalle.

Aprì gli occhi, incrociando lo sguardo malizioso di lui; le accarezzò i boccoli scuri, ammirandoli con occhi sognanti.

-Sei bella.- sussurrò.

Una frase semplice, ingenua, pronunciata con l’innocenza di un bambino, un ruolo che non si addiceva al giovane con il viso d’angelo e il cuore di diavolo.

Non rispose.

Madeleine non amava le parole.

Non le aveva mai amate, da quando, da bambina, le avevano insegnato che per lavorare non c’era bisogno di parlare.

E ora era davanti a Luis, a parlare con gli occhi, sperando che lui capisse, perché era l’unico modo con cui potesse comunicare.

Luis l’aveva capito.

Gli occhi scuri di Madeleine dicevano molto più di quanto lei immaginasse.

-Non avere paura dell’amore, Madeleine. L’amore non è peccato.- Deglutì a vuoto.

I gattini di porcellana capirono che mancava poco.

-Ne siete sicuro?- domandò con un filo di voce.

-Per quello che ho assaporato dell’amore, posso dirti che forse è una delle cose più pure al mondo.-

-Dov’è finito il mio padrone, quello cinico e insensibile?-

Luis sorrise.

-E’ ancora qui, ma credo si sia addormentato.- fece una pausa.

-Assaporalo, Madeleine. Assapora l’amore.-

E, un attimo dopo, senza sapere come, senza sapere perché, lo stava assaporando.

Il suo amore sapeva di tè.

Ed era peccato.

E non le importava.

Ed era peccato.

E le piaceva.

Le sue labbra contro quelle di Luis, oppure il contrario, le labbra di Luis contro le sue. Non lo sapeva.

Non aveva importanza.

Sentiva le sue mani fredde muoversi sul suo corpo, esplorandolo, stringendolo a sé, amandolo, il fruscio delle loro vesti che si scontravano come i loro corpi.

I boccoli di pece contro i riccioli d’oro.

La pelle di cioccolato contro quella di latte.

E la luna, sorridente, che illuminava il palcoscenico.

E il vento, che accarezzava le loro pelli.

E il profumo dell’erba, dei fiori, del tè.

E il loro amore, che per Madeleine non era più peccato.

E il loro amore, che per Luis aveva il sapore della vittoria. E un po’ di cioccolato.

Il loro amore, così dolce, così desiderato, così proibito e, per questo, così bello.

Il loro amore, a cui nessun altro avrebbe dovuto assistere, e che invece aveva occhi puntati addosso, occhi che non potevano chiudersi, ma che potevano solo guardare.

I gattini di porcellana arrossirono.

  
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