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Autore: Black Iris    03/07/2014    1 recensioni
//dal testo://
Eccomi, ci sono, apro le braccia, il vento che mi scompiglia i capelli, lo stesso che fa infrangere le onde sulla scogliera. Alzo la testa, voglio vedere il cielo. È nero, terribilmente nero. Lo adoro e adoro essere qui a vederlo, visto che sarà una delle ultime immagini della mia vita. Un cielo nero, pronto a scatenarsi sul mondo e su quel piccolo paese che lo attende perché irrighi i campi.
Genere: Dark, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I ricordi scorrono lenti davanti ai miei occhi. Non c’è niente di più bello che stare qua a vedere cosa succede. E chissà quanto tempo passerà prima che mi butti. Le onde si infrangono sulla scogliera bagnando di gocce il mio pallido viso. Questo mi piace e vorrei che non finisse mai. Eppure finirà. Tra poco, forse un paio d’ore a meno che non mi butti giù adesso. Sono molto tentata, l’acqua nera mi sta praticamente invitando. Chissà com’è morire sentendo i polmoni che si riempiono di acqua?
Spero che non faccia troppo male. In questi quindici anni ho sofferto anche troppo. Credo se io non ci fossi sarebbero tutti più felici, forse se non fosse stato per me, non sarebbero mai neanche stati tristi.
Spero di alleviare le loro pene scomparendo per sempre.
C’è qualcosa però che mi trattiene dal buttarmi. Quella voce dannata che mi dice che la vita è preziosa. Ma io non ci credo. Se la vita fosse preziosa perché mi sento così inutile? Perché non c’è nessuno qui adesso che cerca di fermarmi? Te lo dico io perché: nessuno mi vuole o mi ha mi ha mai voluta bene e anche se qualcuno adesso me ne volesse, non cambierebbe molto, non sarei sicura se lo dice veramente.
Mi guardo le braccia. I tagli ci sono ancora, vorrei che non si cicatrizzassero mai. Vorrei che stessero lì a dirmi che la vita fa schifo e che io non posso cambiarla.
Ho freddo. Me ne accorgo solo adesso. Magari posso morire così, nel freddo. Sarebbe un messaggio chiaro: nella mia vita c’è stata solo freddezza, perché la morte non dovrebbe essere tale?
Talvolta penso che la vita sia effimera. C’è un solo modo di vivere: respirando, in compenso ci sono molti più modi di morire. Si può morire per avvelenamento, e ci ho anche provato e ce l’avrei fatta se non fosse stato per quegli stupidi che hanno chiamato l’ambulanza. Poi si può morire sparandosi, forse quello però è il modo meno elegante per morire.
Io voglio un uscita di scena memorabile, così le persone si ricorderanno di me e quando mi penseranno diranno che io ero la ragazza che affrontò il mare.
Questa volta però ce la voglio fare, non posso deludermi da sola.
Eccomi, ci sono, apro le braccia, il vento che mi scompiglia i capelli, lo stesso che fa infrangere le onde sulla scogliera. Alzo la testa, voglio vedere il cielo. È nero, terribilmente nero. Lo adoro e adoro essere qui a vederlo, visto che sarà una delle ultime immagini della mia vita. Un cielo nero, pronto a scatenarsi sul mondo e su quel piccolo paese che lo attende perché irrighi i campi.
Forse per me è stata la stessa cosa. Forse io sono il piccolo paese e quel temporale in agguato è tutto il resto, da quell’odiosa casa famiglia fino a questi ultimi giorni di quelli che gli altri hanno chiamato vita. Per me, però la vita è un'altra cosa. Per me vivere vuol dire avere dei genitori che ti vogliono bene e non che ti prendono come fossi un giocattolo per poi riportarti da dove ti hanno preso con scuse tipo “è incontrollabile”, “è una persona difficile”, “non riusciamo a gestirla”. Ma certo, anche loro volevano la loro famiglia felice. Io non li rendevo felici. E loro, tutti loro, hanno finito per rendere infelice me. Si, me. è per me che vorrei una di quelle vite in cui si passano le vacanze al mare e i natali dai nonni. È così egoista desiderare di essere felici? E allora vuol dire che sono un egoista.
Ma perché nessuna mi ha mai capita? Volevo solo un’accarezza ogni tanto e la certezza che nessuno mi avrebbe mai più abbandonata, e invece…
E invece eccomi qui, pronta a buttarmi e perdere quello che sarebbe dovuta essere la cosa più preziosa della mia vita: la vita stessa.
Un tuono mi risveglia dai miei pensieri.
Sono pronta, allungo il piede verso il mare e mi lascio andare.
Sto cadendo. È strano, pensavo che avrei gridato, ma non ne ho bisogno. L’impatto con l’acqua è fortissimo. Sono dentro. Non sto trattenendo il respiro, e non sto cercando di riemergere. Sto scendendo piano verso il fondale. Là nessuno mi vedrà. Ma mi cercheranno, così come si fa tutte le persone scomparse. Non vedo l’ora che mi cerchino e scoprano che non esisto più. Forse così li renderò felici.
Ho la gola piena di acqua, acqua salata, acqua sporca, acqua rivoltante. Non riesco più a respirare.
Aiuto. Fa male, fa troppo male, vi prego aiutatemi. Non riesco a parlare. Mi dimeno, non ho molte energie.
Era questo che volevo: annegare. Perché ora voglio ritornare su. Lassù non c’è nessuno che mi aspetta o forse mi sbaglio. La mia vita è lunga, forse c’erano ancora delle speranze.
Ma non riesco a muovermi, ho i polmoni pieni d’acqua. Fa male, fa troppo male.
Soffro. Sapevo che avrei sofferto, ma non pensavo così tanto. La corrente nel frattempo mi sta trasportando via, lontano dalla riva. I miei capelli biondi ondeggiano sopra il mio viso. Mi bruciano gli occhi, il naso e la gola. Ma almeno ora so dove sto andando. No, mento, non lo so cosa mi aspetta. Ho paura di quello che ci sarà oltre.
C’è qualcosa che non va, ci sto mettendo troppo.
Sento qualcosa che mi stringe lo stomaco. Non era la corrente a tirarmi, era qualcos’altro. Forse qualcuno si è buttato. Dannazione, perché mi salva? Non gliel’ho chiesto!
Ma non ho la forza per ribellarmi. Mi si socchiudono gli occhi, sto perdendo conoscenza. Spero che non riesca a raggiungere la riva.
 
Buio.
Tanto buio.
 
C’è una luce, è fioca, ma c’è.
È una lampadina a risparmio energetico. Dove sono? Sembra una stanza d’ospedale. Non ci voglio stare qui. Provo a parlare, ma ho la gola secca e la voce mi esce bassa. Tiro il braccio. Male. Mi fa male. Ho una flebo, a che serve?
Comincio a prendere coscienza della realtà. Mi hanno salvata. Chi è stato? Che importanza ha. Fatto sta che ho di nuovo fallito nel mio intento.
Nella stanza entra un uomo, ha un po’ di barba.
-ti sei svegliata finalmente, Nancy!- esclama. Ma io non mi chiamo Nancy. Forse è il braccialetto che ho al polso. L’ho sempre avuto quel braccialetto, non so neanche chi sia Nancy.
-ci hai fatto molto preoccupare- continua a parlare da quando è entrato, ma non lo ascolto. Ha una tuta da guardia costiera. Peccato! Non ci avevo pensato alla guardia costiera.
Vabbè, se non è stata l’acqua, sarà il fuoco.  
 
  
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