Storie originali > Favola
Segui la storia  |       
Autore: Beauty    04/07/2014    3 recensioni
Nel mondo delle favole, tutto ha sempre seguito un preciso ordine. I buoni vincono, i cattivi perdono, e tutti, alla fine, hanno il loro lieto fine. Ma le cose stanno per cambiare.
Quando un brutale omicidio sconvolge l'ordine del Regno delle Favole, governato dalla perfida Regina Cattiva, ad indagare viene chiamato, dalla vita reale, il capitano Hadleigh, e con lui giungono le sue figlie, Anya ed Elizabeth. Attraverso le fiabe che noi tutti conosciamo, "Cenerentola", "Biancaneve", "La Bella e la Bestia"..., le due ragazze si ritroveranno ad affrontare una realtà senza più regole e ordine, in cui niente è come sembra e anche le favole più belle possono trasformarsi nel peggiore degli incubi...
Inizia così un viaggio che le porterà a scoprire loro stesse e il Vero Amore, sulle tracce della leggendaria "Pietra del Male" che, se nelle mani sbagliate, può avere conseguenze devastanti...
Il lieto fine sarà ancora possibile? Riusciranno Anya ed Elizabeth, e gli altri personaggi delle favole, ad avere il loro "e vissero per sempre felici e contenti"?
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Angolo Autrice: Innanzitutto, mi scuso per il ritardo, ma ho avuto parcchio da fare, ultimamente. Seconda cosa: invece del capitolo su Salem ho ritenuto opportuno pubblicarne prima un altro, un capitolo flashback così come lo era stato Straw. E' molto breve e, anche se forse lo troverete noioso e inutile, vi assicuro che avrà un suo perché nel corso della storia, quindi abbiate la pazienza di leggerlo. Ho scelto di pubblicarlo ora per un problema organizzativo, mi sembrava inopportuno rimandare.

Grazie, e prometto che dal prossimo torneremo a Salem :).

 

 

 

Winter's Tale

 

La carrozza si era lasciata alle spalle la Foresta Incantata che già aveva iniziato a nevicare, ma se prima la strada che correva fra gli alberi spogli era semplicemente ghiacciata e fangosa, adesso un manto di neve candida copriva interamente le vie del borgo e i tetti delle casupole. I cavalli facevano sempre più fatica ad avanzare in mezzo a tutta quella distesa gelida e scivolosa: Lord Walter, stretto nel suo mantello di mediocre fattura, riusciva a udire anche dall'interno dell'abitacolo i nitriti nervosi dei due animali e i borbottii spazientiti del cocchiere che li incitava ad andare avanti. Pensò per un attimo di dire all'uomo di fermare la carrozza per far riposare i cavalli, ma poi si disse che, con quella neve e quel freddo, sarebbe stato solo deleterio, senza contare che non avrebbero neppure trovato un po' d'acqua per abbeverarli, in quelle condizioni. E poi, il castello era vicino: lì, nelle scuderie, sarebbero stati curati meglio...e lui non vedeva l'ora di essere a casa.

Si sporse un poco per vedere oltre una delle finestrelle della carrozza, stringendo fra le mani il pomo d'ottone del suo bastone. Le strade erano pressoché deserte, fatta eccezione per qualche raro artigiano di ritorno dal lavoro, e non c'era da stupirsene. Con la neve e il gelo tutte le poche persone che vivevano nel borgo vicino al maniero se ne stavano chiuse in casa, magari di fronte a un fuoco acceso o a una minestra calda. Sperava. Era uno dei crucci che l'avevano tormentato durante quel viaggio estenuante: non si fidava abbastanza dei ministri e dei funzionari di palazzo per essere certo che avessero eseguito i suoi ordini. Aveva dato istruzioni affinché tutte le famiglie avessero almeno venti monete d'oro a testa così che potessero procurarsi legna da ardere e qualcosa di caldo da mettere in tavola, lussi rari in quella stagione che era stata caratteristica dei Tempi Bui. La maggior parte di coloro a cui aveva delegato questo compito aveva protestato dicendo che non sarebbe stato appropriato, nella sua posizione, fare l'elemosina alla plebe, ma lui non aveva voluto ascoltare repliche.

Era un piccolo feudo, quello che re Stefano gli aveva affidato il compito di governare in qualità di suo vassallo e, come tutte le piccole regioni del reame, era ancora più soggetto di altre alla tirannia del sovrano. Non si poteva dire che re Stefano fosse un monarca che s'interessava dei suoi sudditi, tutt'altro: Lord Walter era stato spesso a corte, e ogni volta che la lasciava era sempre più disgustato dall'opulenza scialacquata che vi albergava. Forse perché non ci era abituato, forse perché era sempre stato solito a vivere con modestia nonostante fosse il vassallo di quel feudo, e avesse sempre insegnato a sua figlia il valore dell'umiltà. Fatto stava che la noncuranza di re Stefano nei confronti del suo popolo lo aveva sempre ripugnato, motivo per il quale cercava di non seguire il suo esempio, per quel che poteva.

Lord Walter forse peccava di superbia, ma si era sempre considerato un buon vassallo e un bravo signore per il suo feudo: s'impegnava affinché il popolo soffrisse meno la fame, specialmente in periodi di carestia come lo era l'inverno, cercava di amministrare i beni e la giustizia nel modo che gli sembrava più equo. Si rendeva disponibile qualora ci fossero lamentele o rimostranze da ascoltare, era contrario alla pena di morte, a meno che non si trattasse di un reato gravissimo...Faceva del suo meglio, o almeno ci provava.

Di certo, era a posto con la propria coscienza. Una coscienza che re Stefano probabilmente nemmeno possedeva.

Bussò con il manico del bastone contro il tetto della carrozza, al che il cocchiere rispose.

- Dite, mio signore...!

- Quanto manca al maniero?- domandò Lord Walter.

- Non molto, mio signore. Fra poco saremo arrivati.

- Bene. Sbrighiamoci...voglio vedere mia figlia...- aggiunse a mezza voce, sistemandosi meglio sul sedile della carrozza. Era più di un mese che mancava da casa e, sebbene sapesse che la sua bambina fosse in buone mani, protetta dalle cure della sua nutrice, aveva pur sempre dodici anni e certamente aveva bisogno di lui. E poi, aveva sentito la sua mancanza, come sempre quando si allontanava dal maniero, fosse stato solo per pochi giorni.

D'un tratto, la carrozza sobbalzò violentemente, e l'intero abitacolo venne scosso più volte. Lord Walter si resse al sedile, mentre all'esterno i cavalli nitrivano di spavento e le imprecazioni del cocchiere venivano coperte da un rumore sordo. La carrozza s'arrestò bruscamente, inclinandosi di lato. Lord Walter si guardò un attimo intorno, smarrito, quindi si rialzò aiutandosi con il bastone e arrancò fuori dalla carrozza inclinata. Affondò gli stivali nella neve, mentre alla sua destra il cocchiere borbottava maledizioni mentre cercava di far calmare i cavalli.

Lord Walter si guardò intorno alla ricerca della causa di tutto ciò, e le sue ipotesi non tardarono a venire confermate: una delle ruote si era staccata dal perno, e ora giaceva abbandonata in mezzo alla strada innevata. Alcune persone si erano affacciate sulla soglia delle loro case attirate dal rumore, e lo fissavano sgomente.

Il cocchiere si avvicinò a Lord Walter, sputando per terra, rabbioso.

- Quei due bastardi di Jacob e Wilhelm Grimm devono averci lanciato qualche maledizione...!- gracchiò.- Prima questa neve, e adesso anche...

- Pensate di riuscire a ripararla? Quanto ci vorrà?- domandò Lord Walter.

- Non meno di un'ora - rispose il cocchiere.- Aspettate qui, vado a chiamare alcuni miei conoscenti alla locanda. Mi aiuteranno a rimetterla a posto.

- Molto bene. Vi darò anche io un aiuto...- si offrì Lord Walter, ma il cocchiere scosse il capo in segno di diniego.

- No, voi attendete qui, mio signore. Non è un lavoro per nobili come voi, questo, e non è salutare per il vostro ginocchio. Penserò a tutto io, voi non crucciatevi...

Lord Walter non rispose, cedendo a malincuore mentre il cocchiere si allontanava. Prese a guardarsi intorno, indeciso sul da farsi. Faceva un freddo dannato, sembrava quasi che il Grande Inverno avesse deciso di sprigionarsi nuovamente su quella terra come all'epoca in cui regnavano i fratelli Grimm. Si strinse nel suo mantello liso, muovendo qualche passo in avanti aiutato dal suo bastone.

Il suo ginocchio gli doleva ogni giorno di più, man mano che si avvicinava alla vecchiaia – trentotto anni erano già molti, per un uomo come lui – e questa invalidità che lo costringeva a camminare appoggiandosi a un bastone non era altro che l'ennesimo ringraziamento che doveva a re Stefano.

Si allontanò dalla carrozza dove il cocchiere e altri tre uomini avevano cominciato a cercare di riparare la ruota, insinuandosi in uno dei vicoli laterali del borgo.

Il dubbio che i suoi ministri non avessero fatto ciò che aveva loro ordinato l'aveva assillato per tutto il viaggio: ora aveva tutta l'intenzione di verificare almeno in parte che le sue sensazioni non fossero solo tali.

 

***


Il freddo faceva male.

Questa era una delle poche ed essenziali cose che Lucy, nei suoi dieci anni di vita, aveva imparato per sopravvivere. Il freddo faceva male, era cattivo. Non c'era da stupirsi se l'inverno era la stagione in cui accadevano le cose più brutte. Se un neonato nasceva d'inverno, allora quasi sicuramente moriva; d'inverno faceva più freddo, e lei non aveva mai abbastanza vestiti per coprirsi o legna per riscaldarsi; d'inverno mancava sempre il cibo, e le persone si ammalavano. Era stato l'inverno con le sue stalattiti ghiacciate che aveva ucciso sua madre, e solo l'inverno scorso anche la nonna era morta. Sospettava che anche suo padre fosse morto d'inverno, anche se questo non l'aveva mai saputo.

Sin da quando ne aveva memoria aveva chiamato padre quell'uomo che, solo mezz'ora prima, ubriaco, l'aveva colpita all'altezza dello zigomo lasciandole un livido violaceo che ora pulsava caldo e furioso sulla sua faccia intirizzita. L'aveva sempre chiamato padre, così come la mamma le aveva ordinato di fare, e solo quando a otto anni la nonna l'aveva presa sulle sue ginocchia e le aveva spiegato che quello schiavo dei Grimm altri non era che il secondo marito di sua madre, Lucy aveva cominciato a comprendere parecchie cose di cui prima d'allora non era mai riuscita ad afferrare il senso: ad esempio, perché quell'uomo si ritraesse sempre imprecando quando lei cercava di abbracciarlo, o perché la picchiasse anche per cose sciocche, come versare un bicchiere d'acqua sulla tavola.

Un padre non avrebbe mai fatto queste cose. Lucy ne era sicura, adesso più che mai, con la certezza che quell'uomo non era altri se non il suo patrigno e il fatto che, ancora una volta, lei fosse sola di notte in mezzo a una strada, con il volto gonfio di botte e le lacrime che le scaldavano le guance.

Fila a lavorare!, le aveva gridato, un attimo dopo averle rifilato un calcio nei polpacci tale da farla ruzzolare giù dai gradini che davano accesso alla loro catapecchia in periferia. L'aveva afferrata per lo scialle e l'aveva trascinata di peso verso la porta, scaraventandola fuori. L'aveva picchiata di nuovo, anche se a questo Lucy ormai c'era abituata: quando era piccola chiedeva sempre che cosa avesse fatto di male e implorava di essere perdonata. Ora, invece, non lo chiedeva più. Sì, supplicava sempre di non essere picchiata, ma...aveva smesso di chiedere il perché. Non c'era nessun perché, o meglio, ce n'erano troppi.

Il suo patrigno la picchiava perché era ubriaco, perché era cattivo, o perché non c'erano più sua madre o la nonna a prendere le sue difese, o perché semplicemente gli piaceva farlo. Certo, lui le ripeteva sempre che era una bambina stupida e inutile, e questo Lucy lo sapeva: se fosse stata utile almeno un po', lei e il patrigno non sarebbero dovuti morire di fame come rischiavano di fare ogni giorno, perché avrebbe lavorato di più.

Lucy sapeva e non sapeva il perché di tutto, ma non cambiava la sostanza: quello che aveva creduto suo padre per quasi dieci anni continuava a picchiarla ogni giorno, e lei ogni giorno piangeva.

Cercava di non farlo – i mocci lo facevano arrabbiare ancora di più –, ma proprio non ci riusciva. Le faceva male, quando la picchiava, e i segni non facevano mai in tempo a guarire che subito venivano sostituiti da altri. E non importava quanto lei s'impegnasse per fare pena ai passanti, come le aveva sempre ordinato di fare lui: le monete che guadagnava erano sempre troppo poche, e andava a finire ogni volta allo stesso modo, con lui che la picchiava e la insultava dandole della scansafatiche, e poi si accaparrava il denaro che veniva speso solo in vino e in altri fiammiferi.

Lucy si asciugò con forza le lacrime calde che le bagnavano il viso coperto di lividi e graffi, gemendo di dolore quando sfiorò inavvertitamente l'ematoma violaceo all'altezza dello zigomo. Le poche gocce di sangue che le spillavano dal labbro inferiore fino a poco prima ora si erano ghiacciate a causa del freddo. La neve continuava a cadere, sferzandole il volto.

Lucy si strinse nel suo scialle liso e stinto, troppo leggero per proteggerla dal gelo, e affondò i piedini nudi nella neve. Non ricordava di aver mai posseduto delle scarpe, e ora i suoi piedi erano bluastri per il freddo e pieni di croste e geloni. Strinse al petto il cestino stracolmo di fiammiferi. Li aveva raccattati uno per uno da terra quando il suo patrigno l'aveva sbattuta fuori casa, facendola cadere giù dalle scale.

Fila a lavorare!, aveva urlato. E vedi di non tornare prima di aver venduto tutti quei fiammiferi!

Il solo ricordo le fece venire voglia di piangere di nuovo, ma si trattenne, e continuò ad avanzare nella neve. Aveva anche creduto che vendere fiammiferi, specialmente in una stagione gelida come quella, avrebbe anche potuto fruttare qualcosa. Non molto, magari, ma qualche moneta, quel tanto che bastava per mettere qualcosa sotto i denti. Aveva anche sognato di rubare qualche soldo al suo patrigno per entrare nella bottega del fornaio e comprarsi una pagnotta calda, ma la paura delle botte l'aveva sempre frenata. In ogni caso, si era sbagliata: la gente non aveva abbastanza denaro nelle tasche o sufficiente buon cuore per prestare attenzione a una piccola fiammiferaia che mendicava in un angolo della strada.

Lucy uscì dallo stretto vicolo in cui si trovava, solo per svoltare l'angolo e ritrovarsi in un'altra stradina ancora più stretta della precedente. Di solito il suo posto era la piazza principale, seduta accanto al pozzo o alla locanda, ma quella sera sarebbe stato inutile provare ad andarci.

Le strade erano deserte, a malapena all'interno delle case s'intravedevano ancora le luci delle candele. Non c'era nessuno, e nessuno le avrebbe comprato fiammiferi, quella sera.

Lucy si accorse di avere i capelli biondi ormai impiastricciati di neve, ma non fece nulla per scrollarsela di dosso. Si sedette in un angolino alla fine della via, in una piccola zona d'ombra. Si raggomitolò su se stessa, nel tentativo di arginare il freddo, con poco successo.

In fondo, sapeva che era inutile rimanere ancora lì, ma non aveva il coraggio di tornare a casa dal suo patrigno. Si sarebbe certamente infuriato quando avesse saputo che non aveva venduto nemmeno un fiammifero.

Forse stanotte morirò, pensò Lucy. Se non mi ammazza lui, lo farà il freddo.

L'idea di morire non la spaventava, tutt'altro. Anzi, quasi ci sperava. Aveva dieci anni, sapeva ancora poco del mondo, ma da quel che aveva visto non c'era nulla per cui valesse la pena vivere. Gli altri bambini della sua età ridevano e giocavano nella piazza principale, mangiavano dolci e leccornie e la sera tornavano a casa da una madre e un padre che volevano loro bene.

Lei no. Lei non aveva più nessuno a parte quell'uomo cattivo che la costringeva a vendere i fiammiferi. La sua mamma era morta, e anche la nonna. Quando qualcuno moriva, tutti dicevano che i fratelli Grimm se lo erano portato via; Lucy aveva udito tantissime storie su di loro, racconti paurosi che la terrorizzavano, ma adesso, pensava, se Jacob e Wilhelm fossero venuti a prendere anche lei, allora magari l'avrebbero portata dalla mamma e dalla nonna.

Le avrebbe riviste, sarebbe stata insieme a loro e non avrebbe più dovuto tornare a casa dal suo patrigno a prendere botte. Non sarebbe più stata la piccola fiammiferaia del borgo.

Sorrise a quel pensiero. Fino a poco prima aveva avvertito un lancinante dolore alle mani e ai piedi, ma ora non sentiva più niente. Anche il livido all'altezza dello zigomo aveva smesso di pulsare, e i tagli non bruciavano più.

Lucy prese un fiammifero dal cestino e lo strofinò contro la parete di pietra di una casa fino a che questo non si accese con una debole fiammella. Se quella notte avesse dovuto tornare a casa, allora non si sarebbe mai azzardata a rubare un fiammifero, ma doveva morire, adesso, e non voleva farlo al freddo.

Si sentiva il capo pesante, le palpebre chiudersi. Lucy poggiò la nuca contro la parete della casa, cercando di rimanere sveglia. Non sentiva più né braccia né gambe, ma le sue dita continuavano a tenere stretto il fiammifero acceso. Lucy fissò la fiammella danzare flebilmente di fronte ai suoi occhi.

Le girava la testa, e presto cominciò a vedere i guizzi della fiammella sdoppiarsi.

Di fronte a lei ora il fuoco stava formando delle immagini ora nitide e ora sfuocate, l'immagine di una bambina che non era lei, ma che le somigliava molto, con lunghi capelli biondi e un bellissimo ed elegante abito. Lucy riuscì a sorridere debolmente, con un enorme sforzo di volontà. Ormai le forze la stavano abbandonando sempre di più, ma lei voleva comunque tenere gli occhi ancora aperti per vedere la fiammella. La bambina era scomparsa, e la suo posto ora c'erano due uomini, uno più vecchio che insegnava a un ragazzino a combattere con la spada. Forse erano due cavalieri.

Era un'immagine molto bella, che le piacque ancora più della precedente, ma durò poco.

Le scene successive furono una peggio dell'altra.

Il fuoco creò prima l'immagine di una donna che bruciava viva, poi quella di un maniero in fiamme e infine di un esercito di scheletri ossuti che cercavano di agguantarla.

Lucy sentì che il respiro le si era mozzato in gola, ma non avvertiva più alcuna sensibilità alle dita. Non aveva la forza di distogliere lo sguardo che, peraltro, si stava facendo sempre più appannato, le palpebre sempre più pesanti.

- Chi sei tu? Cosa ci fai da sola qui fuori, con questo freddo?

Il fiammifero le scivolò via dalle dita, cadendo a terra e spegnendosi all'istante al contatto con la neve. Lucy scosse il capo con violenza, come se si fosse risvegliata da un torpore, ma non sentiva comunque le membra e tenere la testa dritta le costava uno sforzo immane.

Sbatté le palpebre più volte, lasciandosi sfuggire un gemito soffocato mentre cercava di mettere a fuoco chi le stava di fronte. Era un uomo, alto e robusto, con capelli e barba scuri, ma non riusciva a distinguerne chiaramente i tratti del volto, complice la neve e lo sguardo annebbiato per la stanchezza.

Lucy tossì, senza più alcuna sensibilità né controllo del proprio corpo.

- Per le forze del Bene, chi ti ha ridotto in questo stato?!- esclamò Lord Walter, chinandosi di fronte alla bambina. Si tolse di dosso il mantello, avvolgendoglielo intorno alle spalle per riscaldarla. Lucy avvertì la stoffa grezza e ruvida contro la pelle, a malapena, ma comunque abbastanza per comprendere che, sebbene quell'uomo avesse l'aspetto di un nobile, il suo abbigliamento non si confaceva affatto al suo stato. Mugolò qualcosa d'indistinto, lasciandosi cadere in avanti, priva di forze. Lord Walter la sorresse per le spalle.

- F-fiammiferi, signore...- soffiò Lucy, quasi senza rendersene conto. Era stata abituata a ripetere quelle frasi talmente tante volte di fronte alle persone, che adesso le veniva spontaneo pronunciarlo.- Volete comprare dei fiammiferi?

- Che i Grimm siano maledetti, tu hai la febbre alta!- constatò Lord Walter, premendole una mano sulla fronte. Lucy ormai teneva gli occhi completamente chiusi, si lasciava manovrare come una bambola di pezza.

- F-fiammiferi...- gracchiò, prima di ricadere nuovamente in avanti. Lord Walter le circondò le spalle con un braccio e le passò l'altro sotto le ginocchia, prendendola in braccio. Era incredibilmente leggera, molto più di sua figlia, si ritrovò a pensare. Lo scialle che indossava quella bambina era troppo leggero per proteggerla, gli abiti erano stracciati e bagnati di neve, e il gelo della pelle contrastava con le fiamme di cui ardeva la fronte.

Era magra, denutrita, infreddolita e malata, non c'era bisogno di essere un osservatore esperto per capirlo. Lord Walter le fece poggiare il capo contro la propria spalla. Lucy era ancora cosciente, ma non aveva più alcuna forza per opporsi o per muoversi. La sua testa avrebbe penzolato nel vuoto se l'uomo non l'avesse sorretta.

Quasi non si rese conto che il nobile la stava portando in braccio, in direzione di una carrozza, ma quando entrarono all'interno dell'abitacolo Lucy, ancora fra le braccia di Lord Walter, avvertì subito un calore che le scaldò il cuore, oltre alle membra.

- Partiamo!- ordinò Lord Walter.- Al maniero, veloce!

La carrozza iniziò a muoversi. Lucy socchiuse appena gli occhi, solo per vedere dalla finestrella dell'abitacolo il suo cestino abbandonato che si allontanava sempre di più, con i fiammiferi sparsi sulla neve candida.

 

***

 

La prima cosa che Lucy avvertì quando riaprì gli occhi fu il calore. Un calore non soffocante, ma piacevole, come di quelli che aveva provato solo quando la mamma l'abbracciava o la nonna la prendeva sulle sue ginocchia per narrarle una storia. Quasi stentò a credere che provenisse dal semplice fuoco che scoppiettava nel caminetto, invece che da un abbraccio.

Lucy mugolò qualcosa, riaprendo finalmente gli occhi. Si guardò intorno, smarrita: non era più dove ricordava che fosse, in un angolo di una strada buia a vendere fiammiferi, bensì in una grande camera da letto, distesa su di un materasso morbido sovrastato da un baldacchino a tende rosse, il capo poggiato contro dei cuscini e un cumulo di coperte e lenzuola gettate addosso. Aveva le dita delle mani e dei piedi ancora intirizzite, ma andava decisamente meglio rispetto a prima.

Sono morta, pensò. I Grimm mi hanno portata via...

Ma fu un pensiero fugace dal momento che, quando riconobbe nell'uomo appoggiato contro la colonna del baldacchino lo stesso nobile che aveva incontrato nel vicolo, tutto le tornò alla mente con chiarezza. Più o meno. Non era sicura di come fossero andate esattamente le cose, ma sapeva solo che non era più in mezzo a una strada, a morire di freddo.

Lord Walter le sorrise, abbandonando il suo posto accanto alla colonna e avvicinandosi a lei.

- Come ti senti, piccola?- le chiese.

Lucy arrossì vistosamente, scivolando ancora di più sotto le coperte. Si sentiva parecchio imbarazzata, da una parte perché, ora che ce l'aveva di fronte, aveva riconosciuto nel suo salvatore niente meno che il signore del borgo, e dall'altra perché nessuno l'aveva mai trattata con così tanta gentilezza. Era solo una piccola fiammiferaia, in fondo.

Lord Walter si sedette sul bordo del letto accanto a lei. Lucy trattenne il respiro e frenò l'impulso di ritrarsi quando lui allungò una mano grande e callosa verso il suo volto. Abituata com'era a ricevere pugni e schiaffi, si stupì non poco che il nobile le scostasse una ciocca di capelli sporchi e bagnati dagli occhi.

- Chi ti ha fatto questo?- le domandò; fece scorrere lo sguardo su tutto il viso paffutello della bambina: un occhio era semichiuso e lo zigomo gonfio e livido, mentre il labbro inferiore era spaccato.- Chi è stato?

Lucy deglutì nervosamente, reggendo le lenzuola con le mani. Parlare con Lord Walter la metteva parecchio a disagio, ma lui adesso era lì a guardarla, e aspettava una risposta. Doveva dire qualcosa, un attimo di esitazione in più e sarebbe stato scortese.

- Mio padr...- si bloccò appena in tempo.- Il mio patrigno, mio signore.

- Il tuo patrigno...- fece eco Lord Walter in un soffio.- E' stato il tuo patrigno a obbligarti a uscire, stanotte?

- Sì, mio signore. Io...vendo i fiammiferi - trovò il coraggio di aggiungere.

- E tua madre? Dov'è?

- I fratelli Grimm l'hanno portata via, mio signore...

- Come?

- E hanno portato via anche la nonna.

Dopo quest'ultima frase, Lord Walter comprese immediatamente tutto quanto. Guardò nuovamente la bambina: non doveva avere più di dieci anni, eppure era così piccola e magra che ne dimostrava sette o otto. I capelli biondi erano sporchi e arruffati, il viso paffutello coperto di lividi e graffi e le dita piene di geloni. Lo squadrava con due occhi castani grandi e attenti, molto simili a quelli di sua figlia. Sorrise, accarezzandole il capo.

- Come ti chiami?- le chiese.

- Lucy, mio signore.

- Lucy...- ripeté Lord Walter, pensoso. Che doveva fare, adesso? Rimandare quella bambina dal suo patrigno sarebbe stato come condannarla a morte. Era quasi morta assiderata quella notte, ed era stata una fortuna che si fosse accorto di lei prima di risalire in carrozza. Se l'avesse rispedita indietro, certamente avrebbe continuato a vendere fiammiferi per strada per sopravvivere, e non ci sarebbe riuscita. L'uomo che lei chiamava patrigno avrebbe dovuto essere rinchiuso nelle segrete del castello, ma facendolo arrestare c'era il rischio che la bambina finisse in un orfanotrofio, dove le cose sarebbero andate anche peggio.

Lord Walter sospirò: era una decisione avventata, la sua, poco riflettuta. Un gesto non da lui...ma quello giusto da fare.

- Lucy...- Lord Walter le sorrise, accarezzandole i capelli.- Ti piacerebbe restare qui?

- Oh, sì! Io...so cucire - buttò lì la piccola fiammiferaia. Non era vero, non sapeva cucire: la nonna aveva provato a insegnarle a lavorare a maglia, quando era più piccola, ma non ricordava assolutamente nulla di quanto aveva imparato. Ma aveva comunque sentito la necessità d'inventarsi qualcosa: nei suoi dieci anni di vita l'unica cosa che aveva sempre fatto era stata vendere i fiammiferi in mezzo a una strada, e certamente in un grande castello come quello in cui abitava Lord Walter non c'era bisogno di una piccola fiammiferaia. Doveva rendersi utile, dimostrare di valere qualcosa come sguattera, o lui l'avrebbe rispedita dal suo patrigno.

Inaspettatamente, Lord Walter si aprì in una risata.

- Beh, ne sono felice. Mia figlia ha a noia il cucito, forse tu potresti farglielo piacere un po', visto che sei così brava...ma non credo che sarai mai costretta a cucire, qui.

- So...so anche lavare i pavimenti...!- si affrettò a dire Lucy, con disperazione.

Lord Walter chiuse gli occhi e sospirò, scuotendo il capo.

- Non hai capito, piccola. Io non intendo tenerti qui come...

La porta si aprì all'improvviso, impedendogli di concludere la frase. Lucy sollevò lo sguardo: erano appena entrate due persone, una una donna anziana vestita da cameriera, e l'altra una bambina che doveva avere circa uno o due anni più di lei. La piccola fiammiferaia sgranò gli occhi: era la stessa bambina che aveva visto nella fiammella. Aveva un viso un po' pallido ma grazioso, i capelli biondi e lisci lunghi fino alla vita e gli occhi castani. Era magrolina, ma comunque aggraziata. Il vestito che indossava era semplice, verde scuro con le spalline a sbuffo e le maniche ricamate con fili dorati. Teneva fra le braccia una bambola, stringendola a sé come se fosse stata una neonata. Lord Walter sorrise, alzandosi in piedi. Le tese una mano.

- Vieni, tesoro...- sussurrò, invitandola ad avvicinarsi al letto. La bambina ubbidì, seria e anche un po' incerta. Posò la bambola su una poltroncina, e si avvicinò al bordo del baldacchino. Lord Walter si rivolse alla cameriera.

- Andate in cucina e dite ai domestici di preparare qualcosa da mangiare, qualcosa di caldo. In fretta, mi raccomando. Fate chiamare la sarta, questa bambina ha bisogno di vestiti. E dite al dottore che sembra stare meglio, ma che deve essere qui domani mattina. Tesoro, vieni più vicino...- aggiunse poi, di nuovo rivolto alla bambina, mentre la donna faceva un rapido inchino e usciva.

Lucy ci mise un attimo a comprendere che si trattasse di sua figlia, anche se non si somigliavano per niente. Lord Walter le avvolse un braccio intorno alle spalle.

- Lei da oggi starà con noi - le spiegò.- Mi raccomando, ha ancora un po' di febbre...non devi farla agitare e da qui in avanti devi prenderti cura di lei come se fosse una sorella, intesi?

La bambina impiegò qualche secondo prima di rispondere, quindi alzò lo sguardo su suo padre e annuì. Lord Walter le scostò una ciocca di capelli biondi dietro un orecchio.

- Brava. Io vado a controllare come procedono le cose in cucina...tu resta qui a farle compagnia, va bene?- le diede un bacio su una tempia.- Ci vediamo fra poco, Lucy...- aggiunse poi, prima di uscire dalla camera.

Lucy era perplessa: quindi, Lord Walter non intendeva tenerla al maniero come serva? A quanto pareva no. Ma allora...?

La piccola fiammiferaia guardò la bambina che le stava di fronte. Teneva le mani giunte in grembo, e la guardava di sottecchi. Lucy deglutì: le faceva una strana impressione rivedere in carne e ossa un sogno, e non sapeva spiegarsi come ciò fosse possibile. Il silenzio si fece velocemente teso, pesante. Lucy cominciava a sentirsi a disagio: chi poteva saperlo, forse la figlia di Lord Walter non era troppo entusiasta della sua presenza al maniero...

Rimasero a guardarsi in silenzio per un tempo che a entrambe parve infinito, quindi la bambina più grande si schiarì la voce e drizzò il capo.

- Papà ha detto che hai la febbre...- mormorò.- Come...come stai, adesso?

- B-bene - balbettò Lucy, tirandosi le coperte fin sotto al mento. Non stava troppo bene, a dire il vero: l'iniziale sensazione di calore era scomparsa, e ora lei era pervasa da brividi di freddo. Tentò di raggomitolarsi ancora di più sotto le coperte, ma servì a poco.

La bambina se ne accorse.

- Hai freddo?- le chiese.

Lucy annuì. La bambina esitò qualche istante, quindi si avvicinò al caminetto, chinandosi accanto a esso. Chiuse le mani a coppa, quindi le dischiuse leggermente, soffiandovi sopra. Lucy sgranò gli occhi dallo stupore quando vide uscire dalle sue mani una lingua di fuoco che si depositò sulle braci del camino, facendo scoppiettare ancora di più le fiamme.

- Meglio?- le domandò la bambina un attimo dopo, come se nulla fosse.

Lucy balzò a sedere.

- Come hai fatto?!- sbottò, incredula.

La bambina non rispose subito, ma nascose le mani dietro la schiena e si fece rossa in volto.

- Per favore, non ti spaventare - pigolò un attimo dopo.- Papà non vuole che lo faccia. Lo sappiamo solo io, lui e la mia nutrice, e lei è votata al silenzio. Ho pensato di dirlo anche a te perché...beh, perché fai parte della famiglia, adesso - quell'ultima frase ebbe il potere di distrarre momentaneamente Lucy da quanto era appena successo, ma subito tornò a prestare attenzione a ciò che diceva la bambina.- Per favore, non dirlo a nessuno!- implorò quest'ultima.- Papà non vuole che si sappia. Dice che non devo dirlo ad anima viva.

- Perché?- a Lucy venne spontaneo chiedere.

- Perché...ha paura per me.

- Paura?

- Sì, lui dice...dice che la gente è cattiva, e che se sapesse cosa so fare cercherebbe di farmi del male. E' successo anche a mia madre: lei è morta. Un re l'ha uccisa perché sapeva fare quello che faccio io. E papà dice che non sopporterebbe che mi facessero del male.

- Sono...poteri magici, quello che hai appena fatto?

- Credo di sì.

- Sei una fata?

- No.

- Sei una strega, allora?

- Io...non lo so.

Lucy non trovò nient'altro da chiedere: guardò quella bambina, il modo in cui cercava di giustificarsi. In fondo, pensò, se anche era una strega, che importava, se era buona? Non le avrebbe fatto del male...

- Non lo dico a nessuno - assicurò, guadagnandosi un sorriso di gratitudine. La bambina si avvicinò di nuovo al letto.

- Vuoi giocare un po' con la mia bambola?- propose, prendendo in braccio la suddetta che aveva prima lasciato su una poltroncina.

- Non...non so come si gioca - confessò Lucy.- Non ho mai avuto una bambola.

- Beh, è facile - assicurò la figlia di Lord Walter, sedendosi sul letto accanto a lei.- Puoi farla parlare...puoi cullarla facendo finta di essere la sua mamma...e quando sono in tante puoi fare anche una recita...oppure puoi pettinarla. Guarda: così!- si sporse a prendere una spazzola posata su una cassapanca, e iniziò a pettinare con delicatezza i riccioli della bambola.

Lucy osservava la scena incantata, praticamente dimentica di tutto ciò che era successo un attimo prima. La bambina sorrise, porgendole la bambola.

- Vuoi provare tu?

La piccola fiammiferaia prese la bambola fra le braccia con attenzione, e cominciò a spazzolarle piano i riccioli. Sorrise contenta.

- Mi piace giocare con le bambole!- esclamò.- E poi, che altro si può fare?

- Beh, puoi dormire insieme a lei...guarda...- la figlia di Lord Walter prese la bambola dalle mani di Lucy e la sistemò accanto a lei, sotto le coperte. La piccola fiammiferaia si accoccolò sul materasso, abbracciando il pupazzo.

- Se vuoi, puoi dormire insieme a lei, stanotte - propose la bambina.- Così, ti abitui a stare qui. La puoi abbracciare...a me aiuta sempre, quando non riesco a dormire.

- Grazie, ma...è tua!- provò a obiettare Lucy.

- Non fa niente. Te la presto volentieri. Poi, domani mattina ti faccio vedere le altre, così giochiamo insieme...- disse la bambina con un gran sorriso. La piccola fiammiferaia annuì, grata, quindi si tirò su a sedere le tese una mano.

- Comunque, io mi chiamo Lucy - si presentò.

La figlia di Lord Walter ricambiò la stretta di mano, sorridendo.

- Piacere, Lucy. Io sono Carabosse.

 

 

 

 

 

 

 

Angolo Autrice: Come vi avevo anticipato, è un capitolo molto breve e con ben poca azione, ma spero davvero che non vi abbia annoiati troppo. Forse vi sembrerà un flashback inutile, ma sarà indispensabile per parecchie vicende future che vedranno coinvolti i personaggi di questo capitolo.

Un grazie per la pazienza e a tutti coloro che leggono e recensiscono. Prometto che tornerò il più presto possibile con qualcosa di interessante.

Un bacio,

Beauty

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Favola / Vai alla pagina dell'autore: Beauty