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Autore: Kiki87    04/07/2014    6 recensioni
Sebastian e Kurt sono coinquilini da quasi un anno e la loro quotidianità è una piacevole routine a cui il primo non è tanto disposto a rinunciare. Soprattutto quando Kurt annuncia il suo inaspettato fidanzamento con Blaine.
Tra machiavellici tentativi di sabotaggio e sporadiche sbronze al solito pub, Sebastian si lascia andare ai ricordi della loro convivenza. Ma sarà disposto ad ammettere che i sentimenti di Kurt non siano i soli in gioco, prima che sia troppo tardi?
“Kurt si sposa”, si sentì dire, dopo aver rilasciato il respiro.
Non era stato volontario, ma bastò pronunciare quelle parole perché fluttuassero tra loro così perentorie. Dannatamente reali. E definitive.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kurt Hummel, Sebastian Smythe
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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capitolo 1
Ti conosco,
ma chi sei tu adesso?
Guardami negli occhi, se non lo ricordi.

Non sarò più lo stesso,
sono perso dentro i ricordi.
Non posso semplicemente andarmene,
perché dopo averti amato,
non sarò più lo stesso.

Come potrei fingere,
di non averti mai conosciuto?
Come se fosse stato solo un sogno.
So che non dimenticherò mai,
il modo in cui mi sono sempre sentito
con te accanto.

Mi lasci qui,
ti guardo scomparire.
Lasci questo vuoto dentro,
e non posso tornare indietro
(nel tempo).

Non posso lasciarti andare.1

(Never be the same – Red)



Capitolo 1.


Al suo risveglio, le tempie pulsavano come se tanti piccoli martelli stessero cercando di penetrare nella scatola cranica. Emise un mugugno, gli occhi ancora serrati spasmodicamente e qualche pensiero suicida nel vano tentativo di recuperare il pieno possesso delle sue facoltà mentali.
Allungò pigramente il braccio verso l’altra estremità del letto: un’espressione di disappunto apparve sul volto, quando si rese conto che Kurt si era già alzato. La breve parentesi, ottenuta in virtù della sbronza da record del mese, era terminata.
Sbuffò e schiuse gli occhi lentamente: si scostò i capelli scombinati dalla fronte, imprecando contro il figlio gay di Ippocrate (perché avessero tirato in ballo Ippocrate non riusciva a ricordarlo), prima di rimettersi in piedi.
Si sostenne la fronte, lo stomaco sottosopra (se per fame o per nausea non era ancora comprensibile), uscì dalla camera la cui essenza di vaniglia sembrava ancora dominante, malgrado la sua personale aggiunta di una goccia di “colonia da osteria”.
Con gli occhi nuovamente semichiusi, cercando di schermarsi dai raggi del sole (“Fanculo alle tende gay”), camminò verso il soggiorno.
Kurt era già vestito di tutto punto nel suo look formale ed elegante (sì, nella sua cabina armadio i vestiti erano catalogati con etichette per distinguerli per tessuto, occasione d’uso, colore e stagione ideale) da studente e tirocinante di Vogue.com.
Lo aveva sorpreso in più di un’occasione, mentre affrontava dilemmi da Amleto/Valentino su quale foulard, camicia, pochette (il fatto che Sebastian sapesse che "pochette" era solo una parola snob per indicare il fazzoletto da taschino, doveva interpretarsi come un segno nefasto della presenza di Kurt nella sua vita) abbinare alla mise del giorno.
Se non altro, ed era un parere spassionato il proprio, quei pantaloni gessati di quella tonalità di grigio (ma valeva anche per i red hot pants, nonché quelli color vomito) rendevano il suo fondoschiena una meraviglia da contemplare e la migliore garanzia per un buon risveglio.
Stava tranquillamente cicalando al telefono, Kurt, mentre allineava dei pancakes, anche se poi lui si sarebbe limitato ad un tost o ad uno yogurt (doveva solo trovare la foto del suo passato da obeso perché la propria teoria fosse confermata), ma lo fece sorridere soddisfatto l’idea che stesse cucinando per lui. Un compiacimento che ne fece scintillare le iridi e increspare le labbra del suo tipico sorrisetto beffardo, tanto più che la piacevole fragranza stava risvegliando un discreto languorino. Dunque il suo sistema immunitario era ormai avvezzo a domare la nausea post sbronza.
Era da tempo che il suo coinquilino non sorrideva così, constatò dopo aver preso posto di fronte al bancone della cucina.
Kurt, evidentemente ancora ascoltando l’interlocutore, si limitò a passargli un bicchiere d’acqua nella quale si stava sciogliendo l’aspirina effervescente, oltre ad un piatto con una pila di frittelle. Continuò ad annuire per poi emettere quella risatina più vezzosa (e Sebastian aveva alzato gli occhi al cielo, improvvisamente immusonito nell’avere una conferma più che palese sull’identità del chiamante) ma si voltò nuovamente, dandogli così una gratuita panoramica del “bel paese”.
Ma l’effimero diletto lasciò spazio ad un nuovo irrigidimento, mentre, molto lentamente, la sua mente processava ciò che era accaduto la sera precedente.
Il bicchiere d’aspirina restò fermo a metà traiettoria, mentre Kurt rideva nuovamente e allungava la mano sinistra davanti a sé: “Oh, non smetterò mai di guardarlo”, cinguettò. Quasi come una macabra conferma (con tanto di musica horror in sottofondo) la luce del sole illuminò il brillante al dito e Sebastian si accigliò.
Si schiarì rumorosamente la gola a ricordargli d’essere, suo malgrado, innocente spettatore di quella stucchevole conversazione telefonica.
Dovette aver raggiunto il suo intento perché Kurt si premunì di abbassare la voce: “Adesso devo andare”, annunciò, “Sì, ti amo anche io: ci sentiamo questa sera, buona giornata”, aveva concluso con lo stesso tono più delicato, quello con cui aveva pronunciato il suo nome poche ore prima, inducendolo a rilassarsi.
L’appetito sembrò dimentico all’idea che quell’unico momento piacevole fosse appena stato smentito ed annullato. No, non era stato un sogno ai limiti dell’insulsa romanticheria, realizzò.
Ingoiò il contenuto del bicchiere con la stessa foga con cui si era stordito di alcol la sera precedente. Fissò la parete di fronte a sé, mentre cercava di ricostruire gli eventi e quel dialogo tra le lenzuola del letto di Kurt, quasi cercando una promessa di quest’ultimo, una frase che potesse lasciargli l’appiglio ad una speranza. Un gesto o un vezzo che potesse tradursi con qualcosa di personale e volto soltanto a lui.
Non si era accorto del movimento con cui Kurt, invece, un sorrisino più furbo, dopo aver circumnavigato il tavolo ed essergli arrivato alle spalle, si era sporto al suo orecchio. Emise, in un falsetto incredibilmente stridulo, un allegro: “Buongiorno!”.
Trasalì, gli occhi sgranati, il cuore in gola e la tempia pulsante per il suono acuto ed improvviso che gli aveva appena trapanato il timpano.
“Fanculo”, borbottò, mentre il ragazzo ridacchiava con aria fintamente innocente, scivolando sullo sgabello accanto al suo, ma appoggiando la schiena al bancone.
“Ops”, simulò un’espressione contrita, “vuoi che parli più piano perché hai mal di testa?”, lo chiese con tono beffardo che sembrava equivalere al famigerato « te lo avevo detto ».
Non gli concesse risposta, ma infilzò la prima frittella come se desiderasse accoltellarla.
Le labbra erano ancora contratte in una smorfia: “Già sente la tua mancanza?”, gli chiese e si odiò perché il suo tono sembrò tradire una reale stizza, malgrado stesse cercando di apparire ironico.
“Non ha pensato ad installare una web cam nell’anello?”, aggiunse, rivolgendogli un sorriso impertinente che cancellò quello sul viso di Kurt.
Questi sospirò, ma accavallò le gambe e lo guardò di sottecchi: “Non raccolgo provocazioni dopo un’intensa pulizia del viso”, ribatté con aria pacata che infastidì persino di più Sebastian.
“Ma ti ricordo,” si era premunito di alzare leggermente la voce, ad attirarne l’attenzione, quasi ne intuisse lo sdegno interiore, “che è il tuo turno di fare la spesa e, per favore, questa volta presta attenzione alle etichette degli ammorbidenti e… mi stai ascoltando?”.
No, non lo stava ascoltando. Che lui, Sebastian Smythe, fosse propenso ad evitare un argomento, era più che comprensibile per il naturale riserbo (che aveva lo spessore della muraglia cinese) entro cui celava i suoi reali sentimenti; ma che Kurt svicolasse così palesemente, sembrava soltanto confermare che la decisione era presa, a prescindere dalla sua opinione.
Il riferimento a qualcosa di così quotidiano, come le spese per la convivenza, aveva un sapore dolce amaro. La sua mente, tuttavia, era ancora troppo annebbiata per cercare di trarne una conclusione piacevole.
Si era sporto verso di lui, Kurt: gli occhi dal sottostrato azzurro e di sfumature fuggevoli e variegate, lo stavano contemplando con tale attenzione che Sebastian si riscosse.
Un sorriso ne increspò le labbra nell’avvicinarsi lui stesso al suo volto: “No, ” rispose con una scrollata di spalle, “ma il mio coinquilino al piano di sotto si è appena svegliato”, lo informò in tono suadente, le labbra increspate in quella piega più sardonica e maliziosa.
Sgranò gli occhi, Kurt, e un delizioso color pesca ne tinse le guance, ma si scostò con quell’aria imbarazzata e sdegnata da "verginello" che non si sarebbe mai stancato di contemplare. Tanto meno di provocare ed esserne artefice.
“Vorrà dire che ti tempesterò di telefonate, mentre sarai al supermercato, peggio per te”, si era sforzato di recuperare quella verve polemica. Evidentemente non contento, le braccia incrociate al petto in quella postura difensiva (quasi non potesse rilassarsi di fronte alle sue provocazioni neppure dopo un anno di convivenza), aggiunse anche: “Stasera cucinerai tu!”.
“Sì, amore”, sospirò con aria teatralmente afflitta, perfetta imitazione di un marito succube delle angherie di una moglie nevrotica ed in perenne fase premestruale.
Scosse nuovamente il capo, Kurt, prima di aggiungere, il tono guardingo nello scrutarlo di sottecchi: “Così… potremmo riprendere la conversazione di ieri”.
Una sorta d’allarme risuonò nella mente di Sebastian. Dunque l’intenzione di Kurt non era stata quella di evitare del tutto l’argomento, quanto piuttosto concedergli una pausa che gli donasse un falso senso di sicurezza, prima di tornare a sferrare un attacco. Che potesse usare la sua sbronza a proprio vantaggio, gli era insopportabile, soprattutto con lo svantaggio di non ricordare quanto si fosse reso patetico.
“Se con ciò intendi che io assaggerò il vino e insulterò Mezza SegAnderson, mentre tu ti lamenterai della spesa e del take-away e poi mi ricorderai quanto lo ami, con tanto di ricordi e descrizioni che mi indurranno ad insultarlo ancora di più e quindi a farti andare via indignato; allora sì, non vedo l’ora”, concluse senza neppure cercare di celare il sarcasmo di cui grondavano quelle parole.
Aveva sospirato, Kurt, l’espressione più contrita. “Non puoi provare ad essere felice per me?”, gli aveva chiesto in un sussurro che normalmente avrebbe innescato in Sebastian un automatico (ed insensato) self control e un conseguente limite alle dosi d’ironia d’ogni risposta.
Ma non in quel frangente.
“Me lo chiederesti, anche se ti vedessi con una pietra e una fune attaccata al collo, mentre ti getti dal ponte di Brooklyn?”, chiese con un sorriso affettato.
Kurt s’irrigidì e si alzò in piedi. Sollevò le mani in segno di resa e scosse il capo.
“Hai ragione: è ottimistico fino allo svenevole sperare che tu invochi il romanticismo”, si voltò a guardarlo, le mani ai fianchi e il viso inclinato di un lato.
Aggiunse: “Io ti sosterrei e cercherei di farti sentire la mia vicinanza, se tu provassi il desiderio di cambiare la tua vita con una relazione stabile. Mi fiderei di te, malgrado i tuoi precedenti”.
Aveva simulato un’aria sorpresa, Sebastian, finendo di ingoiare la frittella, prima di guardarlo con il viso inclinato di un lato e le sopracciglia inarcate: “Sembra quasi che tu non mi conosca”.
Se soltanto Kurt avesse avuto il minimo sospetto che non si riferisse alla conclusione più ovvia.
Aveva roteato gli occhi al cielo, Kurt: “Non ho tempo adesso”, aveva abbassato le mani lungo i fianchi in un gesto di momentanea amnistia, mentre si affrettava ad indossare il cappotto per poi ordinare i fogli e i libri nella sua borsa a tracollo.
“Hai visto le mie chiavi?”.
Sospirò, Sebastian, non molto soddisfatto di quel primo approccio, ma accettando di buon grado di poter sospendere la conversazione (se proprio fosse stata ripresa), nella speranza che le prossime ore gli riportassero un po’ di lucidità.
Allungò la mano a prendere il portachiavi abbandonato su una pila di riviste che Kurt era solito leggere, mentre sorseggiava il caffè.
Lo sguardo fisso sull’iniziale del nome del ragazzo, costellata di strass. Fece tintinnare le chiavi, un vago sorriso, mentre la mente vagava già nei meandri del ricordo che era sovvenuto.


Non era stato difficile trovare un locale che avrebbe potuto accontentare le sue esigenze. Era piuttosto soddisfatto della scelta: il loft era ampio, in una zona tranquilla ed aveva una buona visuale dello skyline di Manhattan. Vi era persino un’altra camera da letto che avrebbe potuto facilmente convertire in una sala giochi, inserendo un tavolo da biliardo o una sala tv personale.
Aveva già collocato gran parte dei suoi bagagli, restava soltanto l’incombenza di arredare il posto (non che fosse particolarmente esigente: aveva ben altri e più piacevoli modi di passare il tempo) e di riempire il frigorifero, anche se già sapeva che avrebbe passato molte serate ricorrendo al take-away o cenando fuori, soprattutto se ciò gli avrebbe permesso di trovare un dessert particolarmente interessante per i suoi canoni.
Stava ancora rimuginando al riguardo, quando si fermò alla vista di una caffetteria di fronte al Prospect Park.
Sì, era decisamente il momento adatto per una pausa, si disse, ed entrò. Tra le voci della lista di cose da fare a Brooklyn, vi era decisamente quella di trovare una caffetteria che non gli avrebbe fatto (troppo) rimpiangere il caffè parigino, corretto col cognac.
Lasciò scorrere lo sguardo sulla clientela e scelse uno dei posti liberi: era di fronte alla vetrata che dava l’ampia visuale del parco. Un posto come un altro per cominciare a conoscere il sobborgo e integrarsi completamente in quella nuova vita.
Sfilò il cappotto e si accomodò con aria svogliata, cercando di intercettare lo sguardo di qualche cameriere: probabilmente attratto da un fondoschiena particolarmente piacevole alla vista e stretto nei pantaloni della divisa, ne scorse uno intento a sparecchiare il tavolo alla sua sinistra.
Il rumore che stava producendo, riponendo le stoviglie sporche in un catino per piatti, era un sottofondo appena percepibile alla chiacchierata che stava intrattenendo con la ragazza seduta al tavolo. Dal grado di confidenza, intuì che era una cliente abituale.
Credevo che il tuo progetto fosse di convivere con Rachel a New York”, disse la giovane, scrutandolo con espressione confusa.
Lo so”, replicò l’altro con un sospiro.“E adoro Rachel, soprattutto quando dorme e quando non provo il desiderio di raderle la testa per le sue manie da diva, ma da quando Finn è tornato e vivono insieme-”.
E’ tuo fratello, ” ribatté dolcemente l’altra, guardandolo con il viso inclinato di un lato, ma lo sguardo acceso di divertimento. “Non credi di potergli parlare apertamente e trovare un compromesso che vada bene per tutti?”.
Il ragazzo scosse il capo, ma le sorrise con aria paziente: “Si vede che non conosci i loro trascorsi, Tiffany. In confronto l’amore tormentato tra Peter Bishop e Olivia Dunham2 è stato soltanto una serie di piccoli equivoci, con la modesta aggiunta di una scorribanda continua tra diverse linee spazio temporali”. Lo sguardo azzurro si perse in un punto indefinito e annuì tra sé, quasi stesse cercando di motivarsi e convincersi: “Devo trovare un altro loft, possibilmente in una zona meno famigerata e che possa permettermi senza vendermi il sangue o-”.
I prodotti di bellezza!”, conclusero all’unisono e si concessero una risatina complice.
Chiedo scusa”, esordì Sebastian, schiarendosi la gola con tono tutt’altro che dispiaciuto, a giudicare dal sorrisetto sferzante e dallo sguardo di smeraldo che stava ancora analizzando quel meraviglioso fondoschiena, dondolandosi sulle gambe posteriori della sedia.
Mi rincresce interrompere una storia dagli evidenti risvolti drammatici, ma vorrei ordinare”.
Le gote del cameriere sembrarono tingersi di una tonalità più scura: se l’imbarazzo fosse causato dalla realizzazione del suo mancato dovere o dal sospetto di essere stato ascoltato, era difficile a dirsi.
Sebastian lo sentì sospirare, ma fu lesto a voltarsi in sua direzione e premunirsi di non apparire seccato dall’interruzione e, soprattutto, fingersi affabile con un nuovo cliente.
Il primo pensiero di Sebastian fu che aveva qualcosa di elfico: forse era la sua corporatura sottile e slanciata, forse la purezza e il candore della sua pelle (sì, se si era amanti di Legolas3 insomma) o forse le sfumature indefinite di quegli occhi che parevano catturare la luce del giorno e farne rilucere diversi riflessi.
I capelli erano color mogano con qualche ciocca più chiara a lasciar intendere che dedicasse non poco tempo alla cura di se stesso, persino rivolgendosi saltuariamente ad un parrucchiere. Aveva un’aria così genuina da apparire quasi finto, anch’egli un personaggio tratto da chissà quale romanzo fantasy.
Evidentemente riuscì a placare quel moto di stanchezza che aveva notato nel suo irrigidimento iniziale, perché si schiarì la gola: “Che cosa posso portarle?”. Estrasse dal taschino della camicia una penna, il block notes già in mano.
Un caffè con una goccia di cognac”.
Assunse un’aria di rimprovero, il cameriere, (aveva persino avuto l’ardire di controllare l’ora, suscitando a Sebastian un verso di divertimento e uno scintillio sbarazzino nelle iridi, mentre scriveva l’ordine. “Qualcosa da mangiare?”, gli chiese con tono perfettamente neutrale.
No”, scrollò le spalle.
Per la gioia del tuo fegato”, aveva borbottato (oh, se solo avesse saputo quanto avrebbe cantato il suo fegato da quella sera in poi!) per poi sorridere con la stessa aria professionale e formale: “Torno subito”.
Attendo”, gli aveva rivolto un sorriso insolente e l’aveva scrutato con aria interessata, appoggiandosi sul gomito per osservarne l’incedere verso il bancone. Evidentemente attirato dal suo sguardo, il cameriere si volse e si avvide che lo stava osservando tanto minuziosamente. Arrossì, ma distolse il proprio sguardo e tornò ad occuparsi della macchina del caffé.
Il sorriso di Sebastian sembrò persino ampliarsi. Timido ed incerto, se solo avesse potuto sperare che fosse ancora vergine (che fosse gay sembrava implicito per il suo radar, ma comunque non era necessario: non sarebbe stata in quell'occasione che avrebbe assunto un atteggiamento discriminante).
Si abbandonò a quei piacevoli pensieri fino a quando non tornò al suo tavolo, premunendosi di non incrociarne lo sguardo, mentre depositava la tazza di fronte a lui: “Ecco qua”.
Grazie, Kurt”, si premunì di pronunciarne il nome (che aveva letto dalla targhetta sulla camicia) con intonazione morbida ed allusiva, accompagnata dallo stesso sorriso impertinente che lo fece ulteriormente irrigidire.
Le porto altro?”, chiese soltanto per trarsi d’impaccio ed avere una scusa legittima per allontanarsi, senza rischiare di offenderlo o contrariarlo.
Scrollò le spalle, Sebastian, che parve rifletterci sopra, prima di schioccare la lingua sul palato, l’aria evidentemente compiaciuta: “Se vuoi saltare i preliminari, puoi sempre portarmi il tuo numero”.
Sbatté le palpebre, Kurt, le labbra schiuse, quasi non riuscendo a credere di aver davvero sentito una simile e beffarda proposta. Evidentemente non doveva essere abituato ad avere a che fare con il pubblico, o forse non era neppure consapevole di poter essere oggetto di quel tipo di attenzioni. Aveva la vaga idea che oltre ad essere introverso e poco sicuro di sé, non fosse originario di New York.
Tuttavia, di fronte al suo sguardo sfacciatamente prolungato, strinse le labbra e assunse una postura più rigida, incrociando le braccia al petto: “Sono fidanzato e se anche non fosse, sappia che questo non è quel tipo di locale. Ora se vuole scusarmi, ho clienti più educati da servire”.
Non attese una risposta e si voltò, camminando con aria più impettita verso la zona opposta del locale.
Ridacchiò, Sebastian, ignorando volutamente lo sguardo di rimprovero di quella Tiffany. Continuò a studiarlo durante lo svolgimento delle sue mansioni mentre, appoggiato indolentemente allo schienale della sedia, sorseggiava lentamente il suo caffè.
Malgrado avesse ostentato quell’aria scandalizzata, il cameriere non aveva mancato di voltarsi in sua direzione di tanto in tanto (evidentemente sperando di coglierne il tavolo vuoto) e prontamente, ogni singola volta, Sebastian aveva sollevato la tazzina quasi a dedicargli un brindisi.
Consumata la sua ordinazione, si alzò e lasciò una banconota per pagare (mancia inclusa) e un piccolo involucro.
Sorrideva con evidente trepidazione, mentre, in ampie falcate, percorreva il salone: “Arrivederci, Kurt”, lo salutò e lo scrutò con la coda dell’occhio, mentre si dirigeva alla sua postazione (senza rispondere al saluto).
Ghignò a vederne la reazione sconvolta, ma s’incamminò con gelida calma.
Contò mentalmente: cinque, quattro, tre, due, uno…
Ehi, ehi, aspetta!”.
Ne ignorò il richiamo, un sorriso ancora più soddisfatto ad incresparne le labbra, ma si voltò soltanto quando lo sentì arrancare alle sue spalle.
Si voltò con lentezza, fingendosi sorpreso. “Oh, ciao, Kurt”, lo salutò nuovamente, il viso inclinato di un lato e le mani conficcate nelle tasche dei pantaloni. Sorrise con aria piuttosto lusingata, quasi il ragazzo lo avesse volontariamente seguito per propria iniziativa: “Non riuscivi proprio a resistere all’attesa del mio ritorno?”, gli chiese con voce modulata in una tonalità più rauca e sensuale.
Ricevette di nuovo uno sguardo colmo di disapprovazione, mentre estraeva dalla tasca una sigaretta che s’insinuò tra le labbra.
Che significa?”, aveva schiuso il pugno a rivelare una chiave d’ottone, contenuta nella busta che aveva lasciato sul tavolo.
Scrollò le spalle, Sebastian, quasi la risposta fosse ovvia e sperasse in tutt’altra conversazione, ma accese la sigaretta e rilasciò una nuvola di fumo.
Ho una camera in più e un affitto può far comodo, così qualcuno che mi sappia preparare un buon caffè”. Dall’aria allusiva con cui aveva pronunciato quelle parole, sembrava che facesse riferimento a ben altre qualità.
Sì, vivo a Brooklyn, ” aggiunse nel ricordare la sua speranza di trovare una nuova sistemazione in un quartiere più sicuro. “Ma è una bella zona e non mi piacciono i pregiudizi4”.
Lo scrutò incredulo, Kurt, boccheggiando e sbattendo le palpebre, quasi si aspettasse di scoprire che si trattasse di uno strano scherzo: “Ma non ha senso, non sai nulla di me”, lo specificò con voce più stridula.
Oh”, Sebastian assunse un’espressione fintamente contrita, “e io che speravo che quello di prima potesse definirsi un appuntamento platonico”. Inclinò il viso di un lato ad osservarlo con aria piuttosto esplicita: “E qualcosa in te mi ha colpito dal primo sguardo”, precisò con la stessa intonazione. Omettendo che stesse parlando del suo dèrriere. Meglio mantenere un po’ di mistero.
Un rossore ancora più diffuso sul volto di Kurt che sembrò indietreggiare.
Scosse il capo: “Ho un ragazzo”, ripeté, quasi ciò fosse un dettaglio vincolante.
Scrollò le spalle, Sebastian: “Non importa a me, se non importa a te”, lo disse con l’aria di chi aveva già usato quell’argomento a proprio vantaggio, in molteplici occasioni dai risvolti ben più accesi.
Ciò, anziché farne desistere le resistenze, sembrò persino offenderlo perché strinse il pugno libero contro il fianco, l’altra mano ancora aperta per rendergli la chiave. “Non verrò a vivere con un estraneo”, lo pronunciò con la stessa gravità con cui lo avrebbe definito un maniaco sessuale. Probabilmente rientrava nella sua definizione di “estraneo”, a ben pensarci.
Continuò a sorridere, Sebastian. “Una settimana di prova: prendere o lasciare. Ti farò un buon prezzo, a patto che pensi tu al caffè, questo non è negoziabile”.
Qualcosa sembrò vacillare nel ragazzo: riuscì a comprendere dal cipiglio sulla fronte che l’offerta lo stava, nonostante i suoi principi, tentando. Evidentemente era davvero esasperato della sua condizione attuale. Scosse il capo e si morsicò il labbro: sembrò quasi cercare di convincere se stesso nell’una o l’altra risoluzione possibile.
Non so neppure come ti chiami”.
Lo interpretò come un segnale d’evidente cedimento. Sorrise e si scostò la sigaretta dalle labbra: “Sebastian”, rispose di riflesso per poi indicargli con un cenno del mento la busta che teneva tra le mani, “non perdere l’indirizzo. Ci vediamo, Kurt”.


Stava ancora cercando le chiavi tra le suppellettili con movimenti agitati e l’aria afflitta: “Perderò la metro”, piagnucolò, perlustrando anche le tasche laterali ed interne della borsa.
Sebastian sorrise e si drizzò dallo sgabello per poi raggiungerlo: gli prese la mano e vi lasciò cadere il portachiavi con un tintinnio.
“La tua voce stridula mi sta violentando i timpani e ora sparisci”, gli aveva indicato l’uscio, ma c’era un sorriso complice sulle labbra.
Evidentemente sollevato, Kurt l’aveva subito riposta al sicuro (non c’era da meravigliarsi che rischiasse l’infarto ad ogni momentaneo smarrimento: il mazzetto capiente comprendeva anche le chiavi dell’ufficio della sua datrice), ma prima di uscire, lo aveva ammonito con lo sguardo. “Ricordati la spesa e cucina qualcosa di commestibile”.
Ridacchiò, Sebastian, l’aria beffarda: “Sai benissimo che non farò né l’una né l’altra cosa”.
“Sebastian!”, lo sgridò nuovamente sulla soglia dell’uscio.
Stava ancora ridacchiando, quando la porta si chiuse alle sue spalle. Sbadigliò e si strofinò il viso: era decisamente necessaria un’altra siesta. Ignorò il letto intatto della propria camera e si gettò su quello ancora sfatto del coinquilino, aspirandone il profumo alla vaniglia (che sembrava ormai aver intriso ogni oggetto in quella camera) e ricadde nell’oblio.
Solo una lieve contrazione delle palpebre, un ultimo pensiero nefasto alla constatazione che al suo risveglio, sarebbe dovuto tornare a riflettere su una questione di vitale importanza. Ma, soprattutto, cominciare ad imbastire un piano d’azione.

~

Controllò un'ultima volta la disposizione del tavolo: per quanto spesso lo si potesse accusare di essere fin troppo indolente e pigro, doveva essergli riconosciuta non poca cura nei dettagli e nello stile, quando di buon umore. Aveva persino collocato un mazzo di fiori a centrotavola.
Stava ancora finendo d’impiattare con il cibo tratto dalle scatole del fast food, quando sentì la chiave girare nella toppa e Kurt fece la sua comparsa.
Si fermò sulla soglia ad inspirare il profumo, un dondolio di spalle puerile a sancirne un'aria soddisfatta, mentre si spogliava del soprabito: “Che buon profumino”, commentò. Sbottonò i polsini e si rimboccò le maniche della camicia prima di avvicinarsi alla zona pranzo.
Sebastian scrollò le spalle: “Almeno non mi bercerai contro perché non sono andato a fare la spesa”, replicò in tono suadente.
Sollevò gli occhi al cielo, Kurt, indicando una busta di nylon lasciata sul divano insieme alla borsa: “L'ho fatto io. Non voglio rinunciare al mio latte di soia, ma non ho comprato nulla per te”.
Sogghignò, Sebastian, le braccia incrociate al petto. “Così meschino e vendicativo: dove ti sei nascosto finora?”, chiese, portandosi stoicamente una mano al petto.
Ridacchiò, Kurt. “Mi lavo le mani e sono subito da te: odio la metro e chi crede che emanare un buon profumo sia un optional”.
Raggrinzò il naso, Sebastian, per l'immagine tutt'altro che allettante prima della consumazione del pasto. Inclinò il viso di un lato, l'aria sardonica: “Non tutta New York va in giro con un arsenale da parrucchiere e centro estetico incorporato in borsetta”.
“Touché”.
Quando si avvicinò per aiutarlo a finire di deporre le posate, Sebastian notò l'aria stanca sul suo volto.
“E' stata una giornata infernale”, confermò i suoi pensieri e si lasciò scivolare alla sua postazione.
Aveva inarcato le sopracciglia, Sebastian, imitandolo: “E tu stai per raccontarmi ogni singolo ed insignificante dettaglio. Per fortuna non manca mai il vino”.
“A meno che tu non preferisca cenare coi tuoi libri di diritto ancora incartati”, replicò con aria sferzante e le sopracciglia inarcate in un'espressione di pacato rimprovero.
Si strinse nelle spalle, evidentemente non preoccupato. “Supererò la sessione estiva: ho un'ottima memoria fotografica e le insegnanti mi adorano”.
Aggrottò le sopracciglia, Kurt: “Credevo ti piacesse l'idea di passare la tua vita pronunciando arringhe machiavelliche, smontando la difesa altrui con ogni cavillo o mezzo al limite della legalità”.
Sorrise. “Mi piace, infatti”, non aveva battuto ciglio mentre cominciava a servirsi, “ma odio memorizzare articoli su casi improponibili e noiosi”.
“Non c'entra nulla il fatto che tuo padre ti abbia... incoraggiato?”.
“Tutti mi ritengono un raccomandato, Kurt, puoi dirlo: non mi scandalizzerò e non scoppierò in lacrime”, commentò, come sempre divertito dalla pacatezza, persino in quell'ambito.
“Non lo penso”, lo guardò intensamente, “credo che diventerai un brillante avvocato, se è ciò che desideri davvero”.
“Mi hai abbastanza ammorbidito e indurito altrove”, rise della sua espressione schifata e del rossore che gli aveva colorato le guance, mentre ne pronunciava il nome con tono stridulo.
“Allora, cosa succede nel mondo di Lady Hummel?”.
E così Isabelle Wright lo aveva chiamato per informarlo di essere rimasta impressionata da una sua bozza e che aveva deciso di includere le sue idee nella stagione autunnale (evento più che raro per un tirocinante), poi avrebbe dovuto preparare un monologo shakespeariano per la Nyada e infine...
“Rachel è venuta in caffetteria a tormentarmi”, raccontò con aria rassegnata, “avrei preferito trovarmi di fronte cinque copie di te”.
Schioccò la lingua sul palato, Sebastian, sorseggiando il vino dopo aver fatto roteare il calice. “Buongustaio insaziabile”, ammiccò, guadagnandosi un'altra occhiataccia di rimprovero. “Allora, che cosa voleva Berrysterica?”.
Si era fatto serio, Kurt e si era raddrizzato sulla sedia: sembrò soppesare quegli istanti di silenzio, quasi le parole successive sarebbero state decisive per il tipo d’atmosfera che si sarebbe creata per la conclusione della cena. Quasi fosse consapevole che ciò avrebbe potuto compromettere tutto e volesse prima comprenderne lo stato d'animo.
Inarcò le sopracciglia con aria interrogativa, Sebastian, esortandolo silenziosamente a rispondere alla domanda.
“Mi ha chiesto se Blaine ed io abbiamo già pensato ad una data per il matrimonio”.
Puntuale e silenziosa, percepì una stretta all'altezza del petto: sembrò che il suo cuore fosse stritolato e che il respiro gli mancasse per un breve istante. Distolse lo sguardo, serrò la mascella, ma non fece alcun commento. Lo sguardo cadde nuovamente sull'anello che aveva ignorato fino a quel momento. Inutilmente.
Avrebbe quasi desiderato essersi sgolato qualcosa di più forte di un vino da tavola, qualcosa che gli annebbiasse abbastanza la mente da non fargli cogliere le implicazioni in tutta la loro serietà e, soprattutto, che lo lasciasse agire senza rimpianti. E senza ricordi nitidi di un'eventuale umiliazione.
“Sarà meglio che lavi i piatti”, si sentì dire dopo un lungo e teso silenzio. Si drizzò in piedi e percepì chiaramente il sospiro dell'altro.
“Eviteremo l'argomento fino al giorno stesso?”, chiese senza biasimo. La sua voce era soffice e modulata, quasi volesse premunirsi che le parole che sarebbero sgorgate dalle sue labbra non dovessero arrecargli qualsivoglia fastidio. Un alone di premura e di delicatezza che era parte di sé, ma che non facilitava affatto le cose.
Si strinse nelle spalle. Dopo aver impilato le stoviglie sporche, camminò verso il lavello, senza voltarsi: “Soltanto fino a quando non capirai di star facendo una cazzata, dipende da te”.
Non avrebbe faticato ad immaginare l'espressione stanca di Kurt, ne sentì i passi alle sue spalle, ma finse di concentrarsi sulla lavastoviglie che cominciò a riempire, giusto per tenere le mani occupate. Curioso come, persino in un'azione tanto banale, riuscisse a ricordare ogni ammonimento della versione “desperate housewife” di Kurt: dal non sovrapporre le stoviglie allo scrostare a mano i piatti più sporchi, prima di inserirli nell'elettrodomestico. Sembrava una conferma che ormai era presente in ogni singolo aspetto della sua vita, anche il più irrilevante, e quell’evidenza cozzava con naturale bisogno di evitare coinvolgimenti emotivi.
“So che Blaine non ti è mai piaciuto e di sicuro il vostro primo incontro, dopo la nostra rottura, non ha giovato, ma-”.
Si era voltato, Sebastian, le braccia incrociate al petto: “Ma cosa?”, seppur si sforzasse di non alzare la voce ed evitare una reazione esacerbata come quella della sera precedente, non poté evitare di sentire nuovamente quell'arsura farne alterare i battiti, irrigidire le membra. Già pronto a difendersi da ogni parola che sarebbe sgorgata dalle labbra di Kurt e contrattaccare, demolendo la presunta logicità delle sue convinzioni.
Allargò le braccia. “Sei partito per andare a trovare tuo padre e sei tornato con un anello di fidanzamento: piuttosto improvvisa come decisione, soprattutto dopo l'ultimo anno post rottura”.
“Lo so”, aveva sospirato Kurt, annuendo. “E hai ragione: ero sorpreso più di chiunque altro, credimi”.
Sollevò gli occhi al cielo, Sebastian: se avesse osato propinargli un filmato o una fotografia della brillante proposta di matrimonio, non sarebbe stato certo di poter controllare le proprie reazioni. “E ciononostante non ti sei preso molto tempo per pensarci sopra”.
Avrebbe voluto che la sua voce non avesse quel tono risentito, quasi tale reazione fosse stata un torto personale. Avrebbe voluto mostrargli il futuro e brillante avvocato di cui avevano discusso poco prima e poter argomentare la sua causa con la stessa arguzia.
Si era morso il labbro, Kurt, ma lo aveva guardato intensamente: “Non si smette d’amare qualcuno come io ho amato Blaine, neppure se lo si desidera”.
Un sorriso amaro serpeggiò sulle labbra di Sebastian che distolse lo sguardo e scosse il capo tra sé e sé. Era consapevole che, per quante ragioni potesse addurre (e non avrebbe neppure dovuto sforzarsi di elencargliele), quello era un punto che nessuno avrebbe potuto negare. Neppure lui, neppure per l'intensità di tale desiderio.
“Forse”, si strinse nelle spalle perché ammetterlo sarebbe equivalso ad una resa anche da parte sua.
“Si può comunque scegliere se stessi ma, come sempre, tu hai scelto Blaine e d’essere chi lui vuole che tu sia”.
Aveva aggrottato le sopracciglia, Kurt e sembrò essere sbiancato: “Questo non vero!”, aveva ribattuto con voce più stridula. “Lui mi ama per come sono e-”.
“Non sei lo stesso che è partito per l'Ohio, lo stesso che si era giurato che non avrebbe commesso lo stesso errore per un capriccio romantico o lo stesso che aveva perso totalmente la fiducia in lui!”.
“E' vero”, aveva levato le mani, Kurt, in gesto di resa. “Mi ha ferito come nessun altro, ma ciò non significa che non siamo in grado di superarlo o che io non l'abbia già perdonato”.
Scosse il capo, Sebastian. Dubitava che, al posto di Blaine, sarebbe stato in grado di perdonarsi tanto facilmente o anche solo pretendere di poter vincolarlo a sé per tutta una vita e in modo ufficiale e definitivo. Ciò che sarebbe sempre stato un mistero ai suoi occhi, era il modo in cui Kurt non riusciva a contemplare seriamente l'idea che qualcuno potesse amarlo come e più di quanto la mezza SegAnderson fosse in grado di fare. Perché, per quanto si ostinasse a difendere il loro rapporto (soprattutto l'idilliaco passato), la motivazione più profonda, sarebbe sempre stata la sua infondata paura di restare solo.
Corrugò le sopracciglia: “Perché tanta fretta, in ogni caso?”. Inclinò il viso di un lato, recuperando una parvenza d’arroganza: “Ha paura che tu possa svicolare troppo dal suo controllo?”.
Parve colpito da quelle parole, Kurt. Lo vide sbattere le palpebre e le labbra ebbero un tremito che lo fece pentire silenziosamente di quell'atteggiamento più sferzante. Ebbe la certezza di essersi spinto oltre, persino prima di sentirne la voce più rauca:
“Credi che io valga così poco?”, aveva chiesto in un sussurro quasi angosciato.
Si era affrettato a scuotere la testa, Sebastian e si era avvicinato rapidamente: “No, Kurt”, sentì la sua voce assumere una tonalità più morbida, quella che soltanto lui sapeva strappargli, persino contro la sua volontà. “Sei tu che non credi in te stesso ed è proprio per questo che non posso fingermi felice per la tua decisione”.
Seppur in qualche modo il suo dolore fosse stato placato dalla certezza che non volesse ferirlo, Kurt non poté che sospirare. Era evidente che, nonostante tutto, avrebbe desiderato riuscire ad ottenerne l'appoggio o un voto di fiducia che da lui si estendesse alla certezza della giusta decisione.
“D'accordo”, sembrò voler cercare un compromesso ragionevole, “forse con il tempo, quando Blaine verrà a New York, potreste-”.
“Sarà mia premura evitarlo”, la sua voce assunse nuovamente quell'intonazione più beffarda, quasi soltanto a voler nuovamente alleggerire l'atmosfera.
“Sebastian”, Kurt ne aveva trattenuto il braccio, “vorrei soltanto sapere che ci sarai per me”.
“A raccogliere i tuoi cocci?”, indagò con un'occhiata eloquente.
Sorrise, Kurt, scuotendo appena il capo, ma continuando a stringerne la pelle sotto il proprio palmo: “Ad essere te stesso”, lo rassicurò per poi osservarlo di sottecchi, quasi a voler nuovamente prevederne le possibili reazioni.
“E poi sarebbe carino se il mio testimone mi desse il suo consiglio non richiesto su ogni cosa che riguardi il matrimonio e la mia vita”.
Uno strano singulto in petto e boccheggiò per l'eccezionale richiesta. Ci vollero diversi secondi perché sembrasse riprendersi.
Sorrise amaramente, l'attimo dopo. Pur consapevole che quella nomina doveva corrispondere ad un grande onore, frutto dell'affetto e della stima dell'altro, ciò non rese quell'idea dissimile ad una beffa.
Scosse il capo: “Non si suppone che i testimoni debbano essere favorevoli all'unione?”.
“Voglio una persona di cui mi fidi e che non abbia remore a dirmi ciò che pensa. Sei mio amico e la persona che voglio vicino in tutte le mie decisioni, anche se non approvi quella più importante”. E non vi erano dubbi sulla veridicità di tali parole, su quanto lo sentisse vicino e quanto intenso fosse il legame che avevano instaurato e che Kurt non si faceva cruccio di dichiarare.
Lo osservò a lungo, Sebastian. Provò ad immaginare come avrebbe potuto accogliere quelle parole, quell'attestato di fiducia, quel bisogno esplicito della sua presenza nei momenti più importanti. Come tutto sarebbe stato perfetto, senza quel matrimonio che sembrava essere sempre più reale e incombente.
“Non lo farò, Kurt”, sussurrò e parve lui stesso addolorato nel pronunciare quelle parole: “O sarò io a non poter più guardarmi allo specchio, sapendo ciò che ti ho fatto”.
Contrasse le labbra, Kurt, che ne strinse maggiormente il braccio: “Neppure per me?”.
“Soprattutto per te”, fu l’apatica risposta, evitandone di incrociarne lo sguardo, le braccia serrate al petto.
Aveva sospirato, Kurt, ma aveva mollato la presa, a testimonianza della sua evidente intenzione di non insistere.
Avrebbe voluto rassicurarlo, Sebastian, promettergli che non prendere apertamente parte a quella follia, non sarebbe equivalso a trarsi fuori da ogni cosa. Che sarebbe stato più che mai presente ed attento ad ogni fase di quel fidanzamento. Che non lo avrebbe lasciato andare come credeva che fosse possibile.
Ma nessuno di quei pensieri si tradusse in suono.
“Allora, avete deciso la data alla fine?”, si sentì invece chiedere, quasi stesse contemplando la scena dall'esterno.
“Marzo”, rispose Kurt con voce ovattata ma anche lui sembrava ormai distante.
“Primavera?”, indagò con un sopracciglio inarcato.
Un vago rossore sulle gote di Kurt che probabilmente avrebbe preferito non rispondere: “Primo bacio5”.
“Meraviglioso”, si odiò per quella decantata formalità.
Odiò il modo in cui Kurt sembrò non cogliere la frecciatina, nonostante lo stesse scrutando attentamente, ma colse il pretesto della fine dell'argomento per preparare il caffè.
Odiò guardarlo entrare nella sua camera, mentre accennava all'idea di gettare su carta qualche schizzo nuovo per Isabelle, prima di andare a dormire.
Odiò non riuscire a non pensare che stesse allontanandosi volontariamente da lui.
Odiò restare dall'altra parte dell'uscio e non fare assolutamente niente.

~

Si era fatto largo tra la folla, una smorfia sul volto nel sentirsi travolgere da una nube nauseabonda d’odori e fragranze miscelati tra loro.
Si fermò di fronte al bancone, gettando un'occhiata annoiata al barista che, avendo evidentemente smaltito l'abbandono, aveva atteggiato il viso in quel sorrisetto flirtante, mentre chiacchierava con quella che aveva l'aria di essere una di quelle avventrici non troppo difficili da sbottonare.
Alzò gli occhi al cielo e si avvicinò ad entrambi, accomodandosi sullo sgabello e sorridendo alla giovane con aria affettata.
“Sebastian!”, lo aveva accolto Hunter. Lo conosceva abbastanza da sapere che quel tono enfaticamente entusiasta corrispondeva ad un più esplicito: “Fuori dalle palle”.
Finse di non coglierne l'allusione e sorrise ad entrambi, tambureggiando con le dita sul bancone: “Buonasera”, improvvisò un sorriso amabile.
La ragazza ne ricambiò il sorriso, guardando il barista quasi aspettandosi le dovute presentazioni. Quest'ultimo si premunì di mantenere il sorriso sferzante, parlando senza scandire le parole con le labbra e continuando a guardare la ragazza: “Serviti da solo, arrivo subito”.
All'immobilità di Sebastian, aveva sollevato gli occhi al cielo per poi sorridere alla squinzia con aria di scuse: “Torno subito”.
Fu allora che Sebastian allungò la mano verso la giovane: “Sebastian”.
“Lindsay”, si presentò la ragazza, sbattendo vezzosamente le palpebre.
Sorrise, Sebastian, con aria piuttosto compiaciuta (classificandola come “zoccola facile che la svende al primo offerente”), prima di inclinare il viso di un lato: “Scusami se mi sono avvicinato sfacciatamente, ma il tuo cappotto è di un rosa così delizioso che sembrava quasi che mi chiamasse”, aveva cercato di imitare il tono entusiasta di Kurt di fronte ad una sfilata alla tv.
La ragazza parve subito perdere l'interesse civettuolo (era comunque una conferma che se fosse stato etero, il povero barista avrebbe avuto ancora meno probabilità di riuscita), ma continuò a sorridere: “Ti ringrazio, è di Chanel”, lo disse come se ciò spiegasse tutto.
Sebastian si finse incapace di distogliere l'attenzione, mentre lei parlava del suo guardaroba, evidentemente convinta di essersi appena conquistata “l'amico gay” che ogni donna avrebbe dovuto avere. Sì, come il cucciolo di chihuahua nella borsetta.
Aveva sospirato per poi aggiungere: “Lo dico sempre al mio ragazzo che « il gusto è di tutti, ma il buon gusto è di pochi »”, recitò sfacciatamente uno dei motti preferiti di Kurt. Si volse verso il barista che li stava guardando con aria interrogativa (probabilmente domandandosi quali imbarazzanti aneddoti stesse raccontando su di lui) e gli rivolse con un saluto enfatico con la mano, prima di voltarsi verso la giovane. Lo indicò con aria trasognata.
“Glielo dico sempre che quella canottiera accentua troppo l'aria da muratore, mai che mi desse ascolto: non capisco questo bisogno di mettere in mostra le sue spalle”, sospirò con aria fintamente melodrammatica. “Insomma”, si sporse in sua direzione con fare confidenziale, “è evidente che sia ben dotato, non so se mi spiego”.
Fu soltanto grazie alla sua innata abilità, se non scoppiò a ridere alla reazione della giovane e al modo in cui era letteralmente sbiancata. Aveva sgranato gli occhi, boccheggiando e guardando da lui al barista e dal barista a lui per non meno di trenta secondi. Gli sembrò quasi di percepire il suono degli ingranaggi del suo cervello in movimento. Un colorito rossastro si diffuse sul suo volto, ma sbatté le palpebre, evidentemente nel tentativo di tornare in sé.
Gli sorrise, cercando di celare lo strano tic all'occhio e il tremito delle mani.
“Il tuo ragazzo?”, riuscì a chiedere con voce evidentemente stridula che Sebastian finse di non notare, mentre annuiva.
Cercando di ignorare lo sbuffo ironico che Santana Lopez aveva soffocato nel suo drink, aveva improvvisato un'espressione sognante, il gomito puntellato sul bancone e la mano a sostenersi il mento.
“Un anno insieme, chi l'avrebbe mai detto”, aveva sospirato, mentre Hunter ricompariva con un sorriso tutto dedicato alla giovane.
“Ecco qua”, gli porse una birra senza neppure guardarlo.
Scemotto”, lo aveva blandito Sebastian, dandogli una pacca sul braccio, premunendosi di carezzarlo con eccessiva stucchevolezza. “Non scherzare! Dov'è il mio Shirley Temple con la cannuccia rosa?”, aveva chiesto in tono cinguettante.
L'espressione perplessa sulla faccia del barista, lasciò presto spazio alla comprensione: boccheggiò e si scostò bruscamente. Già pronto a formulare chissà quale mirabolante autodifesa, si voltò verso Lindsay.
Giusto in tempo perché la ragazza, i cui capelli rossi sembrarono prendere letteralmente fuoco, allungasse la mano a colpirlo con un sonoro schiaffo che sembrò risuonare come uno sparo nel silenzio attonito degli avventori vicino al bancone.
Porco!”, gridò con voce stridula. Si voltò e camminò con incedere furioso verso il tavolo intorno al quale erano sedute le amiche.
Sebastian ridacchiò, sollevando la mano a ricevere l'high five offertogli da Santana Lopez che, seduta in grembo al ragazzo dall'aria da golden retriever, aveva assistito alla scena e stava ora sottolineando con un fischio la camminata della ragazza.
“Povero MasturbHunter”, lo blandì con aria fintamente dispiaciuta: “Ti mostro cosa sia una vera donna”, gli aveva proposto a mo' di consolazione e, dopo aver baciato il ragazzone di cui Sebastian ignorava/dimenticava puntualmente il nome, si avviò verso il palco per il suo numero.6
L'espressione inebetita, la mano appoggiata sulla guancia lesa, Hunter sembrò incapace di distogliere lo sguardo dal suo bersaglio mancato. Sembrò non riuscire a metabolizzare cosa era esattamente accaduto da quando Sebastian era arrivato.
“Bene, ora che ti sei liberato, passiamo alle cose serie”, commentò quest'ultimo con aria pragmatica, una volta che il suo divertimento sembrò esaurito.
Soltanto allora lo sventurato sembrò tornare in sé, perché gli scoccò un'occhiata rabbiosa, la mascella serrata: “Sei un gran bastardo, lo sai?”, stava letteralmente ringhiando.
Cercò di non scoppiare impietosamente a ridere di fronte alla vena che stava pulsando sul collo o il modo in cui le iridi verdi erano sgranate, facendolo somigliare ad una caricatura da cartone animato.
Si strinse nelle spalle, Sebastian, che con aria non curante afferrò la birra che gli aveva portato e ne bevve un sorso dalla canna: “Non hai bisogno di me per fare cilecca, credimi”.
Ci vollero diversi secondi perché il barista sembrasse tornare in sé: lo aveva visto appoggiare le mani sul bancone e socchiudere gli occhi, probabilmente recitando qualche mantra o facendo ricorso a qualche tecnica di rilassamento imparata in qualche altro patetico tentativo d’abbordaggio di uteri.
“Ti stai disintossicando?”, gli chiese poi con aria serafica, osservando la bottiglia, probabilmente sperando che il karma gli concedesse una rivincita. “O hai la sclera gialla? Perché in quel caso il tuo fegato-”.
Aveva sollevato la mano, Sebastian. “Tieniti i tuoi discorsi d’anatomia per le donne, sempre che tu riesca ad avvicinarne una, dopo che la notizia si sarà diffusa”. Indicò con un cenno del mento la ragazza dai capelli rossi che stava parlando con le altre giovani al suo tavolo: quasi come una coreografia, una alla volta si volsero tutte a lanciare al barista occhiate sprezzanti. Sebastian sorrise, lanciando un bacio enfatico al tavolo.
Si fece scuro in volto, Hunter, ma fissò Sebastian, le braccia incrociate al petto e l'aria disgustata: “Ricordami perché ti rivolgo ancora la parola”.
“Non tempo per compiacermi di me stesso”, aveva estratto dal soprabito una voluminosa agenda che aveva poi posato sul bancone. Dalle estremità sbucavano almeno una ventina di segnalibri colorati.
Lo fissò accigliato, l'altro: “Qualunque cosa sia, la risposta è no”.
“Parli come se avessi scelta”, lo canzonò Sebastian prima di tornare serio. “Questa è l'agenda di Kurt: l'ha comprata per il matrimonio presumo, visto che oggi è apparsa per la prima volta. C'è una lista di stronzate per colore diverso. Invitati, bozze dei menù, idee per l'abito, fiori, location, partecipazioni. Sembra che lo stia progettando da tutta una vita”, aggiunge tra sé e sé e l'intensità di quella credenza gli tolse il respiro.
“Tralascerò l'inquietante immagine di te che fai l'inventario degli oggetti personali di Kurt”, esordì il barista che si strofinò la mano sulla tempia, “oddio, dimmi che non lo stai facendo”, pareva realmente sconvolto.
“Tecnicamente non sto ancora facendo nulla, ma fotocopierò tutto e la controllerò settimanalmente. Visto che non vuole ascoltarmi, a mali estremi...”.
“Quale sarebbe il tuo piano? Mandare a tutti lettere di scuse per il matrimonio annullato? Cancellare la prenotazione al ristorante, quando lo avrà scelto, oppure il più semplice: sparare al tuo rivale? Altrimenti ci sarebbe anche il trucco piuttosto vecchio ma efficace: rapire Kurt in occasione della festa d’addio al celibato e magari nel frattempo sposarlo in un altro stato, così che il precedente matrimonio gli impedisca di sposarsi con il fidanzato”.
Lo aveva scrutato con aria evidentemente perplessa, Sebastian: “Tu guardi troppe commedie romantiche e scommetto che neppure ti fruttano nulla”, sospirò quasi fosse realmente dispiaciuto per le sue condizioni.
Scosse il capo. “Fingerò di apprezzare lo sforzo. In realtà pensavo di complicargli un po' le cose, mentre rinsavisce. Se sono fortunato penserà che il destino gli stia mandando dei segnali nefasti: è così melodrammatico che potrebbe funzionare”.
“Temporeggiare, quindi”, ribatté Hunter sollevando a sua volta una bottiglia di birra con l'aria di chi ne avrebbe bevuta parecchia per dimenticare l'infausto avvenimento. “Sperando che il suo fidanzato finisca giù da un dirupo?”, precisò poi asciugandosi le labbra con il palmo della mano.
“Willy il coyote?”, gli chiese senza neppure sollevare lo sguardo dalla grafia di Kurt.
“Quello che voglio dire, ” sospirò il barista con aria evidentemente stanca, “è che per quanto ti sorrida l'idea di torturare Kurt in modo subdolo ed anonimo, sai che dovrai fare alla fine, no?”.
“Potrei corrompere l'officiante”.
Sollevò gli occhi al cielo, Hunter. “Sebastian perché non gli dici semplicemente la verità?”.
“Se stai per ripetere un discorso alla Hugh Grant, sappi che t’infilerò questa bottiglia su per il canale e ti farò un filmato in cui i tuoi gemiti sembreranno di piacere per ben altra penetrazione e lo renderò di dominio pubblico entro stanotte. Sono stato chiaro?”.
Seppur evidentemente schifato dalla proposta, Hunter sospirò e scosse il capo, ma non parve prenderlo sul serio. Non troppo almeno. Non dopo aver già ricevuto un assaggio della sua perfidia. Neppure Sebastian poteva essere così subdolo, non in una sera soltanto almeno.
“E' evidente che Kurt sia convinto della sua decisione. Quindi, anziché sperare che le cose tra lui e il suo fidanzato vadano male o boicottare ogni fase dell'organizzazione, ” esordì con insopportabile tono calmo e razionale, “non sarebbe più efficace dargli qualcosa di più serio e concreto su cui riflettere? Per qualche motivo che l’umanità non è pronta a conoscere, tu sei importante per lui: non resterà indifferente”.
Un cenno distratto della mano. “Non ti sto ascoltando: nessuna idea per la location o per il ristorante,” constatò sfogliando le pagine, “scommetto che sarà la mezza sega a mettere la proboscide nella scelta, magari facendosi qualcuno tra una cosa e l'altra”.
Sbuffò, Hunter che ingollò un altro sorso di birra e schioccò la lingua sul palato, scuotendo il capo. “Tu e Kurt vi meritate a vicenda: vi aggrappate all'idea di fare qualcosa per non esplorare il vostro stato d'animo, illudendovi che il resto si risolverà da solo”, sentenziò con aria rancorosa.
“Se avessi voluto sentire una predica, sarei rimasto da Kurt: i tuoi bicipiti non mi eccitano quanto il suo culo”.
Sollevò gli occhi al cielo, Hunter: “Come se ci fosse una parte del corpo di Kurt che non ti eccita”, ribatté con aria annoiata. Stava osservando Santana Lopez ricongiungersi (letteralmente) al suo biondino scodinzolante e ciò parve affliggerlo ancora di più.
“Fottiti”, rispose Sebastian senza neppure guardarlo.
Sorrise con aria affettata, Hunter, contemplando la bottiglia che ancora teneva in mano. Le labbra si contorsero in un sorriso diabolico, probabilmente immaginando di spaccargliela sulla nuca e guardarlo contorcersi sul pavimento.
Sbatté le palpebre, serrando la mascella: “Me lo hai impedito”, sottolineò con voce melliflua.
“E a questo proposito”, ignorando gli sguardi delle ragazze al solito tavolo, si appoggiò con il gomito al bancone e si sporse al suo orecchio: “continuerai a sabotare la mia vita privata?”.
“Se eviterà a Kurt di sposare mezza SegAnderson, sì”, rispose distrattamente.
“Dammi quell'agenda”, tagliò corto e, con aria evidentemente risentita, gliela prese senza tanti complimenti. Un cipiglio perplesso nell’osservare i post it e i segnalibri, ma aggrottò la fronte nello scorgere la data del matrimonio che Kurt aveva appuntato sulla prima pagina a matita. “ Tra dieci mesi? Ma è pazzo?”.
“Alle non nozze”, sogghignò Sebastian sollevando la propria bottiglia.
Sospirò, Hunter e la fece cozzare contro la propria: “Un giorno mi darai ragione”.
“Un giorno ti farai una ballerina e non una Jenna qualsiasi”, commentò Sebastian a paragonare la probabilità delle sue ipotesi idilliache.
“Ora ricordi il suo nome”, borbottò Hunter.
“Quando ti mollano, passano da 'totalmente inutili' a 'quasi del tutto inutili'”.
Lo fissò schifato, ma scosse il capo.“Quasi ti preferisco da ubriaco”.

~

Si premunì di muoversi il più silenziosamente possibile e depositò nuovamente l’agenda sul comodino accanto al letto. Sulla scrivania vi erano ancora dei disegni lasciati incompiuti e diversi fogli di carta appallottolati e gettati nel cestino.
Il suo respiro era lieve e regolare e un sorriso soffuso ne sfiorava le labbra: ironico come, da quando indossava quell’anello, lo sentisse lontano e distante, esattamente come se immerso in un mondo onirico prolungato che gli era precluso. Indugiò ad osservarne la figura addormentata e allungò la mano a scostarne il solito ciuffo dalla fronte. Le dita, quasi conoscessero quel percorso, scivolarono lungo la gota del ragazzo, sfiorandone le labbra con il pollice.
Si mosse nel sonno, quasi stesse ricercando quel contatto e Sebastian si ritrasse.
“Fidati di me”, sussurrò nel silenzio della camera buia.
Quelle parole, tuttavia, sembravano soprattutto dirette a se stesso: un modo di forgiar
si nella convinzione di poter affrontare tutto a modo suo.

To be continued…


Well, well, well, eccoci alla conclusione del capitolo. Spero che l'aneddoto del primo incontro abbia saputo divertirvi: questo viaggio nel passato, oltre ad alleggerire la tensione del presente, vorrebbe essere un modo di ricostruire quell'anno di convivenza e mostrare, tra le righe, l'evoluzione del rapporto tra Kurt e Sebastian.
Siamo soltanto all'inizio, ma una sbirciatina al prossimo capitolo:


Evidentemente sei solo tu ad avere fretta di trovare una nuova casa” “Blaine si sta diplomando e… credevi che avremmo convissuto tutti e tre, più qualche amante occasionale che fai entrare di soppiatto?” “In realtà la mezza seg… Blaine non è mai stato contemplato: non ho voglia di rovinarmi la digestione pensando a lui”.
E’ passata una settimana” “Sapevo che non te ne saresti andato” “Non hai capito, non ho ancora detto che accetto”.
Oh sì, l’alcol ti renderà più sicuramente più capace di ragionare lucidamente” “Versa e sta zitto” “Sta andando così male?”.

Vorrei ringraziare di cuore tutte le persone che hanno aggiunto questa fanfiction tra le seguite e le preferite. Soprattutto chi mi ha lasciato una graditissima recensione: è stato davvero molto emozionante tornare su queste pagine, parlando di Kurtbastian, dopo più di un anno e leggere entusiasmo ed aspettative nelle vostre parole. Compresa la preoccupazione di un alto potenziale di angst: qualcuno direbbe che “angstara” lo sono di professione, ma cercherò sempre di smussare i toni ora con un flashback, ora con la comparsa di qualche personaggio secondario.
Spero di continuare ad entusiasmarvi ed emozionarvi in tutto il percorso insieme :)
Come sempre non può mancare un abbraccione alla mia Sebastian, un pensiero per la mia Blaine (… sì, lo so, fa effetto anche a me scriverlo, ma siamo l'unica Klaine che potrei shippare, considerandomi una Kurt :D), e che questo capitolo sia un bentornato degno per la mia Nolanator preferita.

Buon weekend a tutti e buon 4 Luglio a tutti i fan di ACITW ;)

Kiki87




1 Per ascoltare la canzone e leggerne il testo originale (talvolta per mia comodità modifico i tempi verbali nel tradurre), cliccare qui
E se ve lo state chiedendo, sì, è probabile che da qui all’epilogo vi faccia conoscere una buona selezione della discografia del gruppo :P
2 Personaggi e protagonisti della serie tv “Fringe”.
3 Personaggio del romanzo di Tolkien “Il Signore degli Anelli” che nei film tratti della saga letteraria, è interpretato da Orlando Bloom.
4 Come di certo saprete, Brooklyn non gode di una fama molto lusinghiera. Personalmente da quel che ho letto e intravisto in foto, mi sono realmente persuasa che sia una zona molto caratteristica, con una sua identità che ben si differenzia dalle località ben più rinomate di New York.
5 Per amore di precisione, non ho sinceramente ben chiara la cronologia di Glee se non per le puntate legate alle competizioni o alle festività. Quindi facendo qualche approssimazione, credo che il primo bacio risalga a quel periodo. In caso contrario chiedo venia per la distorsione dalla versione canon e il mio avvocato Smythe farà appello alla clausola: “AU” :)
6 Chiedo venia alle eventuali fan Brittana che stanno leggendo per il mancato avviso. Trattandosi di una AU questa è stata un'altra delle modifiche rispetto alla versione canon. Spero che questo non vi renda “intollerabile” la lettura. In tal caso, prendetevi pure la libertà di immaginare un'altra persona :D
Ps: se non si fosse capito dal riferimento canino, il ragazzo in questione è il nostro Sam Evans ;)
   
 
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