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Autore: Madama Pigna    04/07/2014    2 recensioni
(Storia in fase di revisione) Dal capitolo 42:
E non poté fare a meno di ricordare come non fosse riuscito a fare niente, di fronte alle ferite di Farbauti.
Era un bambino inesperto, all’epoca, ma questo non fece alcuna differenza.
Per alcuni istanti, si bloccò lo stesso.
Temendo di fallire una seconda volta.
Temendo di veder morire suo fratello – e stavolta per davvero.

Piccola nota: il rating arancione si riferisce a singole scene e non all'intera storia. Segnalerò quindi i capitoli un po' più 'forti'.
Genere: Avventura, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Thor
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Incest, Mpreg, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tre figli di Laufey(e un mucchio di guai)'
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E rieccoci qua! Fortuna che ho trovato una rete appena dopo aver finito il capitolo ^^
Oggi il capitolo sarà un po' più lungo, così voi vi divertite :D e così io riduco il numero di capitoli, perché devo rispettare una tabella di marcia xD

Buona lettura!
Ps: suvvia la quasi morte di Byleistr non è stata la cosa più tragica di questa fanfiction ;P













Skrymìr lanciò contro di loro una fiamma incandescente, e Loki si rese conto che si trattava più precisamente di materia magmatica, calda sicuramente centinaia se non migliaia di gradi.
Con il Seidr, deviò appena in tempo il proiettile, prima che potesse colpire lui o Thor.
 

Il Tonante non voleva usare i fulmini in un luogo così chiuso. Già la struttura aveva ampiamente dimostrato la sua resistenza, non poteva permettersi un altro crollo nello stesso luogo in cui stava Loki. E poi non voleva rischiare di far loro del male con le scariche elettriche. Così saltò verso il falso-Muspell, dandogli un forte colpo in testa con il Mjolnir. Nella maggior parte degli esseri viventi conosciuti, questo sarebbe bastato a mettere l’avversario fuori combattimento, magari uccidendolo.
 


Ma era anche vero che Skrymìr non era un essere vivente.
 
 
Il servo di Laufey scosse la testa, intontito dalla botta. Poi approfittò del fatto che Thor aveva abbassato la guardia e lo colpì con un gancio destro. Il Tonante venne spedito alcuni metri più in là, gemendo dal dolore. Loki vide, spaventato, il volto del Tonante sfregiato da un’orrenda bruciatura, che deturpava quasi metà del suo viso, la parte sinistra.


 
Cercando di ingoiare il dolore, Thor si rialzò, mentre la sua arma magica ritornava nella sua mano.
Ricominciarono la lotta, e stavolta Thor fece più attenzione a non essere colpito. Presto Skrymìr si rese conto del timore del Tonante di essere bruciato, e cercò di approfittarne in più occasioni.

Loki si allontanò istintivamente dal combattimento. Non sapeva che cosa fare per aiutare Thor.
Cominciava, anzi, a sentirsi male: il calore dei Muspell era asfissiante anche solo a quella distanza per lui, e cominciò a sudare, iniziando a sentire dei problemi a respirare.
Quasi cadde su un parete, finendo per terra.
Stava diventando tutto nero..





 




- Loki! -.
Il Tonante diede una martellata al finto Demone di Fuoco, cercando di raggiungere il moro.

Ma Skrymìr era molto più coriaceo in quella forma, questo grazie alla magia di Laufey, e non gli dava tregua. Il Principe degli Asir gli ruppe una delle corna, sperando in un qualche cambiamento, ma a nulla servì. Sembrava che il servo di Laufey non
potesse provare dolore, e a renderlo ancora più inarrestabile era il fatto che le sue ferite guarivano in un lampo. Thor si era già reso conto in passato di non poter fare molto contro la magia, e mai come in quel momento rimpianse di aver sempre sbeffeggiato i maghi Loki o Helblindi. Loro avrebbero certo saputo come sconfiggere Skrymìr.



In ogni caso non si perse d’animo. Doveva difendere Loki; nessuno gli avrebbe più fatto del male, finché gli sarebbe stato possibile impedirlo. Aveva giurato a sé stesso di proteggerlo, e lo avrebbe fatto, anche a costo di mettere a repentaglio la sua stessa vita.

Continuarono il combattimento, mentre il figlio di Odino si sforzava di capire i possibili punti deboli dell’avversario. I colpi contundenti di Mjolnir sembravano quasi fargli il solletico. Di certo il calore non poteva ferirlo in quelle sembianze, e Loki era troppo debole per attaccare con la magia.


Il suo amore era svenuto.. doveva portarlo via da lì! E subito!
- Frandal! Volstagg! Hogun! Mi sentite? Cercate di trovare un varco, ho bisogno di rinforz.. -.
Un calcio allo stomaco lo zittì in un gemito, dandogli un’altra bruciatura.
 
 
 








 
Loki e Thor, però, non erano gli unici ad avere problemi, in quel momento.

I Tre Guerrieri si erano ritrovati circondati da Muspell in ogni dove, ritrovandosi senza via d’uscita.
Quei soldati, scoprirono subito, non erano immuni alle ferite, per fortuna.

Questo però non cambiava il fatto che fossero nei guai fino al collo.


 
Avevano già affrontato altre volte situazioni simili. A ogni Muspell che uccidevano, altri due spuntavano fuori da chissà dove. Di solito però in quei casi trovavano sempre un modo per tirarsene fuori, con Loki che escogitava uno dei suoi trucchi o con Heimdall che apriva il Bifrost per loro.
Ma Loki era chissà dove e Heimdall non poteva aprire il Bifrost, non senza che Asgard subisse un secondo attacco dai Demoni di Fuoco. In quel momento nessuno poteva aiutarli.
 
Ma in fondo erano guerrieri, giusto?
Avrebbero agito di conseguenza, anche se non potevano resistere per sempre.













 
 
 
Sif e Helblindi arrivarono in un grande salone.
Con sollievo, la guerriera vide dall’altra parte dell’abitacolo un balcone, dove si affacciava una notte senza stelle; segno che, in fondo, non erano ancora stati sepolti sottoterra. Ma quanto tempo era passato da quando erano lì?
 
Quel palazzo, comunque, era claustrofobico. Persino nella forma esterna sembrava un formicaio.
Si guardò intorno. – Non riesci a percepire niente, tu? -, chiese a Helblindi, nella piccola speranza che avesse ancora i suoi ipersensi da mago mutaforma. Ovviamente quello scosse la testa.

Lasciò la presa sui cavi (più precisamente li scagliò sul pavimento), a metà tra lo sdegno e lo sconforto.
- Se continuiamo a girare così non concluderemo nient.. -.
 


Neanche a dirlo, una forza sconosciuta la sollevò da terra, scagliandola sulla parete e bloccandola del tutto.

Si dimenò, cercando di liberarsi da quella forza, ruggendo di frustrazione.

Quando lo aveva conosciuto, Helblindi aveva fatto una cosa del genere, per allontanarla. Era lo stesso tipo di magia, ma veniva continuata a usare lo stesso per impedirle ogni movimento.
Quello che poteva fare era, al massimo, muovere i muscoli facciali, chiudere gli occhi o parlare.

Del tutto inutile, in quel momento.
 


Laufey si avvicinò, guardando soddisfatto la guerriera, messa subito fuori combattimento.
Nel suo pugno teneva stretto una piccola sfera, grande come un occhio umano e brillante di una lieve luce azzurra. Sembrava ricoperto di un sottile strato di ghiaccio, apparentemente immune al calore di quel corpo Muspell, dettaglio che probabilmente rimarcava il luminoso alone azzurro.
 
Chissà come avrebbe reagito, Lady Sif, se avesse saputo che quello una volta era il bulbo oculare di Odino.
Ma in fondo non era molto importante, in quel momento.
 
- Dovresti vergognarti, Helblindi. Farti trainare come un vecchio decrepito da un’Asgardiana.. se non fosse che effettivamente sei un vecchio decrepito, a pensarci bene -, disse il Matricida, derisorio.
- Ma non importa. Dopotutto la tua amica mi ha fatto un favore: ti ha portato da me senza che dovessi muovermi da qui. Così potrò prendere possesso del tuo corpo subito -.
 
Neanche finì di parlare, quando iniziò il suo primo attacco telepatico verso Helblindi.
Il mago gemette, sentendo il cervello pulsare come pugnalato da decine di piccoli coltelli.
Cadde con la schiena sul pavimento, portandosi le mani alla testa.
 








 
Loki riprese i sensi, vagamente consapevole di stare correndo un pericolo mortale.
Si massaggiò la fronte, sentendo la calura opprimente cercare di annebbiargli i sensi.
Poco lontano da lui, Thor e Skrymìr combattevano un duello all’ultimo sangue.
 
Il Tonante stava avendo la peggio.
 
Di nuovo, la paura gli strinse lo stomaco.

- Thor.. -, disse, debolmente.
Doveva alzarsi.
Doveva aiutarlo.
Ma.. come?

Come poteva, nel suo stato, sconfiggere un Demone di Fuoco, immune alla spada, al Mjolnir, alle ferite e al..
..fuoco?
 
 
Improvvisamente non gli sembrò più un’impresa così impossibile.
Lui era un Gigante di Ghiaccio, giusto?
Certamente. E anche se era incinta, questo non gli impediva certo di usare i suoi poteri sul ghiaccio.
 
Appoggiandosi alla parete si alzò, prendendo il suo aspetto Jotun. Faceva ancora più caldo, in quella pelle, ma doveva resistere solo un altro po’. Poi non avrebbe più sentito caldo.
 
Il luogo cominciò a rinfrescarsi, diventando sempre più umido. Dopo aver superato l’iniziale difficoltà,
Loki riuscì a coprire le superfici di brina, prima, e di ghiaccio, poi. Ghiaccio sempre più spesso.
 
Skrymìr non era indifferente al cambiamento di temperatura, e nemmeno Thor, sebbene, ovviamente, lo sopportasse meglio di lui. La situazione cominciava a cambiare. Il falso Demone non sogghignava più tanto.
Ruggendo di frustrazione, anche il Muspell cercò di usare i suoi poteri sul proprio corpo, riscaldandolo sempre di più, cercando di smorzare il freddo lì intorno. Ma più riscaldava se stesso, più sentiva freddo, ed era esattamente quello che Loki voleva.
 
Adesso il vero combattimento era fra loro due. – Spostati, Thor! -, disse Loki, scostandolo.

Il biondo non ebbe tempo di replicare.
Il Gigante, completamente trasformato, si mise di fronte a Skrymìr, che lo attaccò lanciandogli materia liquefatta. Tuttavia essa si solidificava ancora prima di colpire i due e per il moro era facile deviarla con una corrente d’aria gelida. Si avvicinò sempre di più al Muspell, stemprando l’aria calda intorno.

La vera lotta stava nella resistenza. Chi avrebbe resistito di più, avrebbe vinto.
E Skrymìr non aveva pratica con i poteri dei Demoni.

Si fissarono negli occhi, ghiaccio contro fuoco.
Poi, quando sentì che Skrymìr stava per cedere, Loki seppe che era il momento.
In un ultimo sforzo, scatenò tutto il gelo e il ghiaccio che poté, stavolta non in tutta la stanza ma verso Skrymìr.
Il falso Muspell urlò.
Dal ghiaccio scatenato si levò del vapore, rendendo invisibile ciò che stava succedendo.
 
Quando la nebbiolina si diradò, il Muspell era stato immobilizzato nel ghiaccio.
Solo allora Loki si permise di svenire di nuovo, stavolta subito preso al volo da Thor.




 
Un attimo prima di perdere i sensi, però, il moro vide suo padre Farbauti avvicinarsi verso di loro.
Poi tutto ritornò buio.














 
Il dolore era costante. Freddo. Inarrestabile.
Penetrava la sua mente come se essa fosse stata fatta di burro, come un fiume in piena privo d’impedimenti. Stravolgeva i suoi pensieri, i suoi ricordi, le sue emozioni, incatenava il suo libero arbitrio e lo inibiva al punto di farlo smettere di ribellarsi.

Devo resistere, pensò Helblindi. Anche se non ho più la forza di prima, devo resistere. Devo.

Ma il dolore era troppo forte, talmente forte che temeva sarebbe impazzito.
L’unica cosa che riusciva a fare era urlare.
 
 
 





 
Anche Sif urlava. Ma il suo era un tipo di dolore diverso.
- HELBLINDI! -, provò a chiamare. Di magia ne sapeva poco, ma non stentava a immaginare quello che stava succedendo.

Tentò di muoversi ancora una volta, preda di un’agitazione che nemmeno lei sapeva spiegare.
Doveva aiutarlo, in qualche modo. Doveva liberarsi da quell’incantesimo maledetto e fermare Laufey; colpirlo dritto al cuore, ecco cosa doveva fare! Forse il falso Muspell era abbastanza distratto dal torturare il figlio –guardate quello schifoso, come si divertiva a seviziarlo!-, per far sì che si concentrasse di meno sulla magia che fermava lei dall’ucciderlo.

Non voleva solo mettere fuori combattimento una possibile minaccia per tutti i Nove Regni.
Voleva salvare Helblindi.
- Resisti! -, disse ancora.
 


Cercò di muovere il braccio, incollato alla parete come il resto del suo corpo.
Non riusciva nemmeno a muovere le dita.
Strinse le labbra, mugugnando per lo sforzo. La sua spada giaceva a terra, lontano da lei.
 
Niente, non ci riusciva.
Ma la valchiria aveva una grande determinazione e non si sarebbe arresa tanto presto.
 


Improvvisamente, sentì una scarica di energia sconosciuta muoversi dentro di lei, che fluì nel suo corpo fino all’arto. Riuscì a stringere il pugno e poi, con un altro po’ d’impegno, a muovere il braccio.
Guardò in direzione di Laufey, che si era ormai avvicinato implacabilmente verso Helblindi.

Nessuno dei due se ne era accorto.
 
Staccò anche l’altro braccio, e, facendo leva sul muro, riuscì a liberare anche il resto del suo corpo.
Saltò agile sul pavimento. Presa la sua arma, prese la rincorsa.
Con un salto, arrivò fino all’altezza del Demone, in quel momento di spalle, affondando la lama dritta nel petto.
 
Laufey ebbe un singulto. Dalla sua bocca colò del sangue.



 
Lo scontro mentale si era concluso.
 
 







 
Mentre stava cercando di resistere al potere di Laufey –era così che si era sempre sentito Byleistr, mentre veniva torturato? Così impotente?-, gli sembrò di sentire una voce. Una voce molto lontana, quasi confusa, una voce femminile che però in qualche modo sovrastava le sue urla e il suo dolore.

Resisti!, diceva la voce.

Questo riuscì a smuoverlo dal suo attuale stato mentale, quasi tagliando quel filo ininterrotto che era l’attacco magico di suo padre. Forse poteva davvero resistere. In ogni caso, doveva provarci.

La telepatia non era solo una questione di Seidr.
Uno scontro tra menti non era determinato unicamente dalla quantità di magia degli avversari. Anzi.
 

Un vero telepate non usava la semplice energia, non la sprecava in questo modo.
Un vero telepate era sottile, come un filo di seta. Era silenzioso come il passo di un gatto e inconsistente come l’aria di montagna. Si avvicinava alla mente del nemico senza essere percepito, come un predatore notturno, e solo quando lo circondava del tutto, e aveva già invaso buona parte degli strati esterni con delicatezza, senza farsi notare, solo allora divorava il centro mentale dell’avversario.
 
Lui non era mai stato un tipo molto bravo in quella materia. Ma sapeva che irrigidire la propria mente a causa del dolore era un errore. Se i muri del pensiero non erano abbastanza resistenti, o la volontà non abbastanza forte, come nel suo caso, bisognava rendere la propria mente inafferrabile, come i venti di mare, e fluida, come acqua di fiume. Esporsi, rendersi nudi al punto che l’avversario si potesse illudere di avere vinto, per poi sfuggirgli in un soffio, come una cavalletta o una mosca fastidiosa.

Era una tattica incauta, ma, se attuata con velocità e scaltrezza, una strategia con possibilità di vittoria.
 
Cercò di rilassarsi. Era un mutaforma, dopotutto. Se rimaneva calmo a sufficienza, plasmare la propria mente in quel modo, pur con quell’invecchiamento che non aveva coinvolto solo il suo corpo, sarebbe stato relativamente facile. Ma solo i più bravi ci riuscivano. Helblindi, fortunatamente, ne aveva conosciuti di abili abbastanza per imparare qualcosa.

Avvertiva la mente di Laufey muoversi dentro di lui come una folata di vento gelido.
Era uno dei pochi modi in cui uno Jotun potesse sentire effettivamente freddo. Tanto freddo.
 

Quando suo padre fu sul punto di ingarbugliare la sua mente, Helblindi scappò all’improvviso. E così, ancora e ancora, più volte, mentre cercava di racimolare le sue poche energie per contrattaccare.
Non sarebbe potuto andare avanti così all’infinito.



Poi, improvvisamente, gli sembrò quasi di essersi liberato di qualcuno che gli teneva il fiato sul collo.

Sentì un gemito, e si rese conto solo in quel momento di avere chiuso gli occhi.
Li riaprì, chiudendo e aprendo più volte le palpebre a causa della luce. Si mise seduto.
 
 
Davanti a lui, Sif si era liberata di Laufey, che giaceva per terra bloccato dalla guerriera.
La spada dell’Asir gli aveva perforato il petto, ma sembrava quasi che non gli importasse.
Cercava solo di rialzarsi, ringhiando pesanti insulti e imprecazioni verso la valchiria.
 
 
Poi Helblindi si rese conto che la sua mano era protesa verso di lui, come per afferrare qualcosa.
Ai suoi piedi, l’occhio di Odino brillava di energia più che mai, quasi come se lo riconoscesse.
 


All’improvviso, sentì un’enorme rabbia assalirlo.
Laufey aveva fatto del male alle persone che gli erano più care. Aveva fatto del male al suo popolo, provocato migliaia e migliaia di lutti, distrutto l’infanzia di suo fratello Byleistr.

Doveva pagare per quello che aveva fatto.

- Sono spiacente, Laufey. Sottovalutare gli Asgardiani è sempre stato uno dei tuoi peggiori errori strategici -, disse, scambiandosi un’occhiata d’intesa con Sif.

Il mago si alzò, per poi chinarsi dolorosamente a raccogliere la lucida sfera di energia azzurra. La tenne fra le proprie mani un momento, avvertendo dentro di lui un fremito. Il suo corpo desiderava riavere la propria magia, e anche il Seidr sembrava quasi volersi ricongiungere a lui. Non restava altro che liberarlo.




 
 
- Questo è per Jotunheim -.
 
Helblindi schiacciò il fragile occhio nella propria mano, che s’incrinò lievemente.
Subito, da quelle crepe si sprigionarono raggi di luce azzurra.
Miracolosamente, il mago sembrò recuperare parte dei suoi anni.

 
- Questo è per mio padre! -, continuò, tenendo ancora più salda la sfera.
- FERMO! NON OSARE! -, urlò Laufey, ma Sif lo teneva ancora ben fisso al terreno.

 
- Questo è per Byleistr. E per Loki -, disse il figlio, gelido.
Adesso, Helblindi aveva la sua età naturale. Suo padre si dimenava, folle, per fermarlo, ma inutilmente.
Per una volta, il Matricida era inerme di fronte ai suoi nemici, proprio come loro lo erano stati con lui.

 
- E questo.. QUESTO E’ PER TE! -, urlò.
Con tutta la forza di cui disponeva, lo Jotun lanciò per terra l’occhio vitreo, rompendolo in mille pezzi.


Un’esplosione si propagò dall’oggetto magico, scagliando i tre lontano da lì.
Laufey urlò di dolore, sentendo l’anima staccarsi violentemente dal corpo che aveva invaso abusivamente.
 




 
Helblindi fu sbattuto su una delle pareti, ruggendo di dolore.

Ma adesso era diverso.
Adesso riaveva la sua arma più potente, la sua migliore difesa e il suo più terribile attacco.
Il Seidr.
 




Si rialzò quasi subito. Si sentiva come.. rinato.
Probabilmente erano secoli che non era così in forma.
Forse l’energia che aveva già l’occhio di per sé aveva aiutato.


Comunque non importava, in quel momento.
Doveva occuparsi di Laufey.
Eppure, avvicinandosi al corpo del Muspell, si rese subito conto che esso era senza vita.

Morto. Laufey è morto. L’ho ucciso io.
 


Doveva sentirsi in colpa? Provare soddisfazione? Non sapeva quale opzione fosse moralmente più auspicabile. Ma certo non era dispiaciuto. E poi Laufey era già effettivamente deceduto: lui si era solo limitato a rispedirlo da dove veniva. Chissà come l’avrebbe presa Hela.


 
Ora doveva soltanto cercare gli altri insieme a Sif e..

Ma.. un momento.
Dov’era Sif?
 
 
 








 
Sif si arrampicò faticosamente sulla roccia friabile, cercando di tenersi aggrappata. Sotto di lei, un’enorme voragine. Quello che lei aveva creduto un balcone verso l’esterno era una porta verso il nulla, che portava a una specie di grotta immensa, probabilmente. Chissà quanti Muspell erano precipitati laggiù, per caso o per condanna. Chissà quanti metri erano precipitati verso il buio, prima di raggiungere il fondo. Lei non aveva comunque intenzione di imitarli.
 

- Aiuto! -, urlò, sperando che qualcuno la sentisse. Il sudore provocato dai movimenti precedenti rendeva la sua mano sudata, la sua stretta meno salda di quanto avrebbe dovuto essere. Al diavolo l’orgoglio, la roccia era troppo friabile per tenersi appigliata a lungo. Prima o poi sarebbe caduta, e allora sarebbe stata la fine. E le andava anche bene morire in battaglia, ma non così.
Non sfracellandosi al suolo come una marionetta.
 

L’appiglio a cui si teneva si spaccò.
Urlò, cadendo verso il basso, giù, sempre più giù, agitando disperatamente le braccia e le gambe nel tentativo di trovare un altro punto su cui avere una buona presa, ma nulla. La morte era ogni secondo inesorabilmente più vicina.. presto avrebbe rivisto il Vhalalla, dove ci sarebbe stato suo padre, e stavolta ci sarebbe rimasta per sempre. La luce si diradò sempre di più.





Quando aveva già pensato che quel buio insopportabile sarebbe stata l’ultima cosa che avrebbe avvertito, sentì un grido acuto, come di un rapace. Poi degli artigli affilati l’afferrarono per la maglia dell’armatura, da dietro, sollevandola in alto, lontano da lì.

Alzando la testa, vide un’enorme aquila sopra di lei, abbastanza grande da reggere il suo peso.
Dopo un iniziale momento di sorpresa, sorrise, iniziando anzi a ridere di sollievo.
 
 



Non voleva morire in quel modo. Era stata fortunata.







 
  
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