15.
Is there a man who would be king?
«Non
saresti degno di alcun perdono, figlio di Bòr.»
La voce
di Frigga trafisse Odino con più freddezza d’un pugnale affilato, incurante del
languore del tramonto che imporporava cielo e tendaggi e l’oro scintillante dei
bastioni. Il re tremò nel voltarsi a guardarla, certo che la sua sposa lo
avrebbe fronteggiato furente e livida come una tempesta di fulmini, eppure ciò
che vide lo spaventò molto di più: la regina lo fissava altera, implacabile e
gelida come una statua, temibile come una delle Norne.
Thor se
n’era da poco andato, scombussolato e insieme felice per quanto aveva appreso,
e i regali coniugi erano rimasti i soli occupanti degli alloggi reali.
Odino
sentì l’inoppugnabile impulso di prostrarsi ai piedi della moglie e implorarla
finché avesse avuto fiato per farlo. Il coraggio che aveva racimolato per
riuscire a confessare tutto quel che aveva rammentato e scoperto sembrava
essergli scivolato via dal corpo assieme alle ultime parole che aveva
pronunciato, e uno schiacciante senso di colpa ne aveva preso il posto.
«Lo so.
So, dolce e saggia figlia di Fyörgynn, che per averti tradita non merito
perdono.» cominciò a dire in tono spezzato, avvicinandolesi a braccia
spalancate e tese, ma Frigga gli puntò un dito contro e le sue iridi blu ebbero
un lieve guizzo di sorpresa:
«Tradito me? Oh, lo hai fatto, Odino, e tuttavia
è per aver tradito lei che non meriti
perdono.» lo interruppe, e fu il turno di lui nel mostrare stupore.
«Io non
ho tradito Farbáuti.» protestò debolmente.
«Hai
tradito la sua fiducia. Non t’implorò forse di portarla via dai Ghiacci Eterni,
quando la guerra fosse giunta al termine?» ribatté la Madre degli Dei con
malcelata stanchezza, come una maestra che ripete per l’ennesima volta un
concetto a un allievo cocciuto.
Il
sovrano abbassò entrambe le mani, colpito: «Non pensavo che Laufey l’avrebbe
uccisa. Non pensavo che aspettasse un figlio da me! E con quale motivazione
avrei potuto condurla qui, a palazzo, senza sollevare scalpore?» tentò ancora
di difendersi maldestramente.
Frigga
rise, di una risata arida e graffiante assai simile a quelle irose di Loki: «Hai
ragione, non hai pensato affatto.» lo schernì; «Ma sei ed eri il re di Asgard,
e se avessi voluto avresti potuto portarla via con te senza fornire alcuna
spiegazione a chicchessia. Avresti potuto garantirle rifugio e requie in
qualsiasi angolo dei Nove Regni, e lasciare che allevasse vostro figlio lontano
da crucci e occhi indiscreti e permetterle di vivere serenamente il resto dei
suoi anni. E invece è morta malamente a causa della tua codardia, Odino.»
Cadde il
silenzio nella stanza, e il Padre degli Dei desiderò che il Sonno lo cogliesse
in quel preciso istante per liberarlo dal senso di colpa come già era accaduto
in passato. Non era però più tempo di fuggire e mentire, e dunque egli chiuse
l’occhio buono, inghiottì un profondo respiro e tornò a mirare la moglie,
conscio che nessuna scusa lo avrebbe scagionato.
«L’ho
amata. Prima d’incontrare te, io l’ho amata.» si ritrovò a mormorare scioccamente.
Il viso
di Frigga si distese appena: «Non lo metto in dubbio. Ma a Jotunheim l’hai
usata soltanto. Non importa che tu l’abbia fatto anche per nostalgia e antico
affetto. Hai usato la sua solitudine e la sua tristezza, hai usato la sua
posizione, hai usato la sua speranza di veder sconfitto il crudele consorte che
le era stato imposto, e hai agito in questo modo unicamente per vincere la
guerra. L’hai amata perché ti andava e come un uomo qualunque l’hai sedotta e
abbandonata subito dopo aver ottenuto ciò che volevi. Per questo, Odino, io non
ti perdono.»
Un’improvviso
refolo di vento fece frusciare le tende e le fronde degli alberi dal perenne
fogliame scuro che adornavano il cortile esterno. Assomigliava a un sospiro, e
il canuto dio rabbrividì mentre una strana pace gli calava addosso.
«Non è
dunque per il torto che ho fatto a te che ho il tuo disdegno, moglie mia.»
constatò.
«Il torto
che hai fatto a me è misero rispetto a ciò che Farbáuti ha subìto.» assentì
lei, asciutta. Avanzò lentamente verso il balcone e si appoggiò a una colonna,
lo sguardo puntato sul disco di fuoco liquido del sole che baluginava tra torri
e bastioni.
Odino la
seguì: «E Loki?» chiese in un soffio. Nemmeno lui sapeva quale fosse il reale
senso di tale quesito – disprezzi anche lui, adesso?, avrebbe potuto
significare, o forse voleva essere una curiosità, una semplice e fondamentale
conferma.
«Loki
resta comunque mio figlio, e io come figlio lo amo. L’ho cresciuto e amato come
madre anche per Farbáuti.» gli venne risposto; la voce di Frigga si era
nuovamente addolcita, eppure riacquistò durezza quand’ella soggiunse: «Ti sei
macchiato di un grave torto anche nei suoi confronti, Odino. Per insicuro che
fossi circa l’essere suo padre, perché dargli la terribile certezza d’esser
figlio di Laufey? Perché non dirgli semplicemente ch’era un trovatello di
sangue misto? Il caos che hai così generato, o re, ha rischiato di portarci
tutti alla fine di ogni cosa.»
La volta
celeste aveva assunto una splendida sfumatura carminio. Oltre i monti l’occaso
era infiammato dagli ultimi barbagli del giorno, e fioco si udiva il canto
delle onde che lambivano la costa della capitale. La regina rimase dov’era, ma
il sovrano del Reame Eterno decise ch’era giunto il momento di sottrarsi alla
sua vista e arretrò fino a lasciarsi inghiottire dall’ombra bronzea che regnava
all’interno.
«Domani renderemo
omaggio a Erin, ai prìncipi e agli altri eroi. Parlerò al popolo, Frigga. Ho
ben chiaro cosa devo fare e cosa tutti dovranno sapere.» disse.
La sua
sposa non fece domande e nemmeno si mosse, stagliata contro il rosso del cielo
come una cariatide, e Odino scivolò fuori dalla camera a passi mesti.
Erin non
era più tornata nello smisurato salone delle cerimonie da quando gli asgardiani
avevano celebrato la vittoria contro Thanos inneggiando a lei e a Loki, il
giorno in cui quest’ultimo aveva chiesto la sua mano. Il Padre degli Dei era
solito ricevere sudditi, dignitari e ambasciatori nella sala del trono ai piani
superiori della reggia e nella corte delle udienze: l’immenso spazio delimitato
da colonne che riceveva aria e luce attraverso l’ampissima balconata circolare
posta sopra l’alto seggio aureo del re veniva perciò utilizzato soltanto in
occasioni di estrema importanza quali incoronazioni e trionfi, restando vuoto e
immoto nella sua vastità echeggiante per il resto del tempo.
Ma in
quel magnifico meriggio primaverile era di nuovo brulicante di vita e fervore
come l’irlandese lo rammentava e come meritava di essere. Dal soffitto
pendevano ondeggiando le insegne scarlatte e oro della stirpe di Bòr, dal
porticato il sole allungava i propri raggi irradiando l’intero ambiente e cortigiani,
dame e popolani mormoravano con bramosia dietro le due file di guardie che
costeggiavano il camminamento d’onore.
«Guardali,
moglie, guarda come scalpitano. Avevi ragione quando dicevi che la gente ama
questo genere di cose, piuttosto che le minacce.» mormorò l’Ingannatore
all’orecchio della musicista senza dissimulare il proprio divertimento.
«Io ho
sempre ragione, marito.» sghignazzò lei. Il ricordo dei primi tempi della loro
relazione le parve estremamente delizioso. «Perché i tuoi concittadini hanno
questa incredibile fissazione per le celebrazioni tamarre?» aggiunse.
Lui rise
con garbo: «Pur avendo ancora qualche difficoltà nel capire i termini volgari
di Midgard che tanto ami utilizzare, Erin, sono persuaso che ciò che è tamarro piaccia molto anche a te.»
«Quanto
mi conosci bene!» sospirò lei, inorgoglita.
In quella
Thor comparve alle loro spalle, in cima alla gradinata che in quel giorno
dell’anno precedente era stata testimone dell’abbraccio tra i coniugi. Come
loro, anche il Dio del Tuono sfoggiava l’armatura completa e il manto rosso da
guerra, Mjölnir in pugno; la stessa Erin si era rifiutata di indossare abiti e
orpelli femminili, quella volta, e faceva fiera mostra della giacca di pelle
macchiata del sangue bluastro degli jotun al di sotto della cappa indaco che
aveva messo durante la cavalcata con Sif, Hödr e i suoi uomini. Aveva il flauto
alla cintura e Boomstick in mano, poggiato sulla spalla destra.
«Fratello,
mia coraggiosa Dama del Flauto.» li salutò il biondo sorridendo quieto;
sembrava mancare della sua consueta, rassicurante tracotanza.
«Cosa ti
turba, fratello? Di norma queste situazioni sono il tuo forte, assieme
all’agitare sgraziatamente quel Martello.» lo canzonò infatti Loki. Il re e la
regina avevano intanto fatto il loro ingresso sulla pedana del trono,
accompagnati da Fandral, Volstagg, Hogun e Sif – e né al principe cadetto
né alla donna d’Irlanda sfuggi l’occhiata che Thor lanciò in direzione della
guerriera.
Lo
squillo delle chiarine troncò la conversazione tra i tre e il brusio del
pubblico. Odino pronunciò le frasi di rito, introducendo i figli e la nuora in
qualità di prodi salvatori del Reame Eterno, nonché l’una degli altri; quindi i
principi e l’irlandese sfilarono affiancati tra le ali di soldati e folla, e
tra le ovazioni crebbe persino un canto, lo stesso canto che aveva scandito il
rientro dei cavalieri vittoriosi da Jotunheim. Ed Erin, come quella notte, ebbe
un fremito.
Quando si
furono inchinati dinanzi al trono gli astanti tacquero e il sovrano si alzò in
piedi, affiancando Frigga: teneva Gungnir rivolto verso terra e mirava il trio
con espressione intenerita e malinconica, ed era invece la sua sposa ad
apparire regale e ieratica com’egli usualmente si presentava. L’Ingannatore e
la flautista si scambiarono una scorsa d’intesa, curiosi di sapere a cosa era
dovuto l’atteggiamento dimesso del Padre degli Dei e a cosa avrebbe portato.
«Thor,
Loki, figli miei, e straordinaria Erin di Galway, noi vi salutiamo e vi
onoriamo.» egli disse, e le genti di corte e di spada ripeterono in coro le sue
parole.
«E noi
onoriamo te, padre.» replicò il Dio del Tuono parlando a nome del trio.
Odino
assentì con un lieve sorriso: «Non vi sono ragioni per cui dobbiate onorarmi.
Nessuna, salvo quella di riverire colui che sta per cedere il proprio scettro.»
Un basso
grido di stupore serpeggiò nel salone, subito messo a tacere da un gesto del
re, che così riprese: «Troppo a lungo ho rimandato questo momento e non posso
rimandarlo oltre. Gli errori che ho commesso sono divenuti insostenibili, e se
anche non fosse ancora per me tempo di cedere il trono ugualmente lo farei,
giacché non ne sono più degno.»
Frigga si
lasciò sfuggire un breve sospiro e lo osservò di sottecchi.
«In
questo fausto giorno io, Odino figlio di Bòr, annuncio pertanto la fine del mio
regno.» proclamò il Padre degli Dei: «E di fronte ad Asgard tutta…»
«Padre.»
lo interruppe Thor a gran voce, e non vi fu persona che non lo fissò con
rinnovata sorpresa; «Padre, ascoltami. Prima che tu dica altro, concedi a me di
esprimermi.»
Loki ed
Erin si scostarono di un passo, osservando alternativamente il sovrano e il
biondo, e prendendo coraggio questi proseguì:
«Ignoro
quali siano gli errori insostenibili che ti turbano, ma so perfettamente quali
pesano sulle mie spalle. Da quando mi dichiarasti immeritevole di succederti
sono soltanto cambiato, non divenuto più savio, e continuo a sbagliare laddove
un grande signore non dovrebbe farlo. Sono impulsivo, sciocco, testardo. Sono
capace di comandare fulmini e tempeste e abbattere giganti e bestie, e tuttavia
non riesco a salvare coloro a cui tengo, non da solo. Non riesco nemmeno a
comprendere il mio stesso cuore.»
Guardò
per un attimo Sif, per la seconda volta, e lei ricambiò con volto grave e
immobile; il Dio degli Inganni ebbe un presentimento ruggente e gradevole e
strinse le dita della moglie tra le proprie, sforzandosi di non sogghignare
prima di udire la fine del monologo del fratello.
E Thor
s’inginocchiò: «Nemmeno io sono degno di questo trono, né tantomeno di quello
scettro. E sarei oltremodo felice se questo trono e quello scettro andassero a
Loki. Sarei felice e onorato di servire sotto di lui. Perciò ti prego, padre,
per quanto ha fatto, rimediato, imparato e sofferto sino ad ora, fa’ di Loki il
re che merita di essere.»
Attonito,
l’interpellato perse all’istante la voglia di ridere, tale fu la sua meraviglia
nell’assimilare quel che il primogenito di Odino aveva testé affermato in tono
vibrante: il suo nerboruto e caparbio congiunto aveva rinunciato alla corona
ammettendo le proprie mancanze ed esaltando invece le sue doti e le sue gesta,
dichiarandosi pronto a essergli fedele suddito. Quasi boccheggiando cercò gli
occhi di Erin e scoprì che li aveva spalancati e lucidi, una mano premuta sulla
bocca a coprire il sorriso che le si andava allargando fino agli zigomi e,
sospettò, a trattenere uno dei suoi gaudiosi turpiloqui midgardiani.
Colto da
un’istintiva ispirazione, l’Ingannatore imitò l’altro genuflettendoglisi al
fianco e si portò un ossequioso pugno al petto: «Ti sono immensamente grato per
il tuo nobile discorso, fratello. Eppure non mi ritengo migliore di te, né più
encomiabile, e sono reo di sbagli e colpe che non riuscirò mai a cancellare del
tutto. Non sono certo di poter accettare di brandire Gungnir nuovamente,
qualora nostro padre decidesse di darti ascolto.» asserì con quanta più umiltà
gli fu possibile raggranellare – e avrebbe invero risposto l’esatto
contrario, se non avesse saputo con totale sicurezza che un pretenzioso,
immediato “sì” gli avrebbe allontanato il trono molto più di un servile e
modesto diniego.
L’unanime
anelito commosso dei presenti confermò il suo pensiero; il Dio del Tuono gli
scoccò uno sguardo supplichevole e riconoscente al contempo, mentre
l’irlandese, la regina, i Tre e la dama guerriera trattenevano il fiato, e il
Padre degli Dei levò un braccio per imporre la quiete.
«Entrambi
i miei figli riconoscono di non essere perfetti ed entrambi hanno dimostrato
grande tempra e saggezza. Entrambi i miei figli parlano come parlerebbe un buon
re.» dichiarò: «Entrambi, perciò, saranno re.»
Thor e
Loki, ancora inginocchiati, sollevarono di scatto la testa, e la donna
d’Irlanda non fu in grado di reprimere un’esclamazione inarticolata che fu però
coperta da quella lanciata dai sudditi. Frigga vacillò impercettibilmente e l’antico
monarca percosse con lo scettro il gradino più alto della scalinata per
riottenere il silenzio: «Mai prima d’ora Asgard ha avuto due sovrani. Ma io non
posso né intendo scegliere tra coloro che sono sangue del mio sangue. Sangue del mio sangue.» ribadì con la
voce che tremava d’emozione; «Entrambi i miei figli sono caduti per poi
rialzarsi in ritrovata gloria. Entrambi hanno conosciuto la rovina e la
perdita, la passione e la guerra, le stelle e altri mondi. Entrambi sono stati
uomini per ridiventare dèi. Entrambi loro sono migliori di me, e so che per
questo devo rendere merito a colei che con me li ha generati e cresciuti e alle
fanciulle che li amano. E se i miei figli accetteranno l’immenso onore che sto
loro chiedendo di accordarmi so che tu, Dama del Flauto, sarai una magnifica
regina.»
Allora
anche Erin cadde in ginocchio, più per incredulità che per una questione
d’etichetta, e tornò a cercare le dita del marito. Sembrava che il cuore
volesse scoppiarle.
«E come…
come regneremo?» farfugliò Thor con la gola e le labbra aride.
«Completandovi
come sempre avete fatto. Vi dissi un dì che entrambi eravate nati per essere
re, e così è.» sorrise il re chinando il capo; «Cosa rispondete, dunque, figli
miei?»
Non vi fu
alcun rumore nello sterminato salone. Il primogenito mirò l’Ingannatore e la
musicista, dedicò loro un cenno d’accordo e lasciò che fosse il fratello a
parlare:
«Accettiamo,
padre.» fu il semplice responso, e non appena la sua eco si dissolse tra le
altissime volte del soffitto, oltre il vasto lucernario circolare, un boato
incomparabile esplose tra la folla, gioioso e liberatorio.
I tre si
rialzarono, scossi, l’irlandese e il suo divino consorte che si tenevano per
mano; Frigga era raggiante nella propria commozione, Fandral, Volstagg e Hogun
gridavano ridendo e con le braccia spalancate, e Sif aveva un piglio incerto
dipinto sul viso – non appariva né lieta né cupa, e soltanto lei e Thor
avrebbero potuto spiegarne il perché.
Il Padre
degli Dei decise che l’incoronazione effettiva avrebbe avuto luogo di lì a
pochi giorni: dovevano essere invitati rappresentanti, ambasciatori e ospiti da
ciascuno dei Nove Regni, e naturalmente la famiglia Anwar-McNulty e la giovane
Jane Foster. Il pubblico rimase forse leggermente deluso, pregustando già
un’immediata, tripla investitura, e tuttavia la prospettiva di una nuova
cerimonia mitigò quella generale insoddisfazione.
I due
principi e la donna d’Irlanda abbandonarono la sala camminando fianco a fianco
così com’erano giunti, e la gente seguitò ad acclamarli senza posa. Ed Erin
socchiuse le palpebre e rise e Loki la strinse a sé, e insieme contemplarono il
compimento dell’ambizione che entrambi, sin dall’inizio, sin da prima d’incontrarsi,
avevano coltivato.
Note
Questo è il penultimo capitolo.
Sono felice di essere riuscita a dare spazio anche a Frigga prima della
conclusione della vicenda, e mi son tolta la soddisfazione di farle dare una
solenne strigliata a Odino. Ho voluto inserire una citazione dal primo numero
del Thor a fumetti, e se la
riconoscete al volo vi faccio tanto di cappello :)
Il titolo viene dalla già nominata Shock
to the system di Billy Idol, uno dei brani portanti della storia, mentre
come colonna sonora del presente capitolo ripropongo la Suite del Parsifal di
Wagner. Per ringraziamenti, ulteriori aneddoti e quant’altro aspetterò
l’epilogo, ma nel frattempo svelo l’identità di colei che è stata fidata e
affidabile correttrice di bozze & test reader per la saga intera, ovvero la
mia compare Frau Blücher – che
non ringrazierò mai abbastanza, temo!
Spero che da qui alla fine definitiva chi mi ha seguita in silenzio mi
lascerà un piccolo commento ;)
Vi do appuntamento al gran (uh?) finale. Ossequi asgardiani a tutti!