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Autore: Clockwise    04/07/2014    4 recensioni
«Sicura di non aver ucciso il gatto di nessuno, rubato qualche fidanzato, avvelenato qualcuno, fatto ritratti offensivi, non so… Sei piuttosto pericolosa quando ti ci metti.»
Mel finse di pensarci su.
«No, non negli ultimi tempi.»
«Beh, dovremmo cominciare a indagare sulle tue passate e presenti relazioni, allora, e cercare di scoprire chi è che hai mortalmente offeso.»
«Suona bene, Sherlock. Ci vediamo domattina a Baker Street?»
«Ah, no, domani mattina devo fare un salto al Bart’s, poi ho merenda con Moriarty, ma potrei essere libero per le tre.»
Genere: Commedia, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Benedict Cumberbatch, Martin Freeman, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ho fatto prima di quanto credessi: i ragazzi hanno collaborato (sotto minacce di morti fra atroci sofferenze, hem... =D). Capitolo un po' di passaggio, spero ardentemente di non deludere le vostre aspettative - se mai qualcuno ne aveva.
E niente, grazie di cuore a chi legge/segue/preferisce e chi recensisce - mi fate felice =)
Goodbye and Goodnight! (Uh, oggi è quattro luglio! Party in the USA! Sì, ok, non c'entra niente.)
-Clock

 
 
 
 
Capitolo 5
233 Hertz
 
 
 
Mercoledì 3 aprile.
 
Il silenzio era inusuale per Mel, per questo tanto speciale.
 
Avrebbe dovuto ritrarre Ruth, è vero, che era seduta sulla vecchia poltrona e le offriva un profilo davvero invitante, ma Bernie e Ned, seduti sul divano a guardare Il Signore degli Anelli erano un quadretto irresistibile: lui, con le sopracciglia corrugate e l’espressione concentrata nel cercare di seguire il film, Bernie mollemente appoggiata a lui, lo sguardo pensieroso e lontano dal film; la mano di Ned le cingeva il fianco con disinvoltura, entrambi sembravano così naturali l’uno con l’altra, due parti di una stessa cosa. Mel non poté dire di no.
Uno scheletro della composizione era fatto, ora doveva decidere se continuarlo con le ombre e i chiaroscuri o completarlo con dei pastelli colorati. In effetti, la luce del mattino, i capelli rossi di Ned in contrasto con la maglia verde, la chioma dorata di Bernie e la sua maglia color prugna erano troppo belli per non essere immortalati anche sullo schizzo. Si alzò in cerca dei pastelli.
 
Il silenzio si dilatava lungo e interminabile, togliendo significato al tempo; loro due, cristallizzati in quell’istante infinito, lasciavano sfogare in quel silenzio le loro tempeste. Vibravano, come due diapason, cantando la stessa nota, le labbra ancora calde e formicolanti, i petti colmati di un’emozione indescrivibile. Il lago sfavillava, sembrava palpitare a tempo con i cuori forsennati. Non parlarono per lunghi minuti, lasciarono semplicemente scorrere le emozioni sulla pelle, guardando il lago luminoso, cercando di capire. Ma la vibrazione era più forte di tutto.
 
Con un improvviso calore nello stomaco e un sorriso al ricordo, prese la scatola di pastelli dallo scaffale e tornò al suo posto. Iniziò con i capelli di Ned, sbizzarrendosi con il rosso carminio, il veneziano, dell’arancione e addirittura del giallo zafferano, che poi stese ampiamente anche sui capelli di Bernie, scurendoli con della terra di Siena, schiarendoli con del giallo di Napoli.
 
Non era un silenzio scomodo, tuttavia: stavano bene, in silenzio l’uno accanto all’altra. Sembrava di stare in un dipinto.
Mel sapeva che Ben aspettava un suo gesto, lasciava a lei di decidere come andare avanti. E Mel avrebbe potuto baciarlo a sua volta, ma poi chissà dove sarebbero arrivati – forse era troppo presto. Ben era un gentiluomo, e accettò il silenzio della ragazza. Anche quando lei si alzò non si scompose, non si rabbuiò. Comprese.
 
Passò ai vestiti – verde foresta, verde scuro, verde oliva e melanzana, prugna e malva. Allontanò un attimo il viso piegando il capo di lato. Lanciò un’occhiata ai due.
«Sì, e della Siena per i pantaloni…» mormorò. «E potrebbero essere sospesi da qualche parte, così potrei usare un sacco di colori…»
Ned spostò lo sguardo su di lei.
«Oh, Mel, ma allora parli! Che ti prende, non hai aperto bocca da quando siamo arrivati?»
Ma lei era di nuovo da un’altra parte.
 
«Ci vediamo domani?»
Lui annuì, senza guardarla. Quando lo fece, aveva gli occhi quasi argentei.
«Ti chiamo all’ora di pranzo.»
«Ok. Buonanotte, Ben.»
«Buonanotte, Mel.»
Si allontanò di qualche passo, sentendosi una fanciulla di un qualche Degas o Renoir. Si avvicinò e gli posò un bacio sulla guancia – una pennellata.
«Grazie, Ben.»
Lui aveva sorriso.
«Non c’è di che.»
 
«Pronto, Dottore chiama Mel, il Tardis è pronto a partire, ultima chiamata a bordo…»
«Oh, sei un tale nerd, tesoro mio…»
«C’è stata un invasione di Dalek! Moriremo tutti!»
«Ned, piantala di urlare o ti faccio una rapa al posto della testa» sibilò Mel, assottigliando gli occhi mentre frugava fra i pastelli alla ricerca del blu di Prussia.
«Uh, stai disegnando me? Wow, che figo» fece lui, sorridendo lusingato. Mel gli lanciò un’occhiataccia da sopra il foglio. Finse di non notare lo sguardo ferito di Ruth.
«Comunque, dove sei stata ieri? Ho provato a chiamare ma non ha risposto nessuno» disse Bernie.
«E hai disdetto anche con me…» le fece notare Ruth.
«Oh, io… Siamo andati a caccia del ladro.»
«Cosa?»
«Chi?»
«Che figo! Voglio anch’io Sherlock come amico, non è giusto…»
«Io e Ben.»
Io e Ben. Il suono le piaceva. Tentò con tutte le forse di impedirsi di sorridere.
«Ora è tutto chiaro» fece Bernie, con un sorriso malizioso e l’aria di chi ha capito tutto. Ruth sorrise.
«E non hai niente da dire? Tu? Molto strano» rincarò Ruth. Mel arrossì. Ned lanciò un’occhiata allarmata a turno a tutte e tre.
«Ehi, no, eh. Niente complicità fra donne. Ora vi metterete a parlare di dettagli romantici e svenevoli e di che cosa hanno combinato Mel e Benedict, cose che io non voglio nemmeno immaginare» disse, sollevando le sopracciglia e sollevando i palmi della mani.
«Quindi, vado a fare un giro con Matisse così potete raccontarvi i vostri sordidi segreti…»
«Guarda che non è un cane» gli fece notare Mel, fra le risate delle altre.
«È uguale, vado da solo, basta che non vi sento.»
La ragazza si nascose ancora dietro il foglio e, una volta che il ragazzo le ebbe lasciate, raccontò, prima a tentoni, poi con la consueta scioltezza, della rocambolesca avventura del pomeriggio precedente, dell’assurda situazione in cui si erano cacciati e infine di come lui l’avesse baciata, sulla panchina davanti al laghetto. Tacque tutto quello che aveva sentito e pensato, perché non era mai stata tipo da confidenze intime; si limitò ad esporre i fatti con un sorriso idiota, le guance colorite e una stupida aria da ragazzina. Alla fine, Ruth sorrideva e Bernie aveva quasi le lacrime agli occhi.
«Oh, mio Dio. La nostra Mellie sta crescendo!»
Mel rise e abbassò gli occhi. Colse un lampo strano negli occhi di Ruth, ma quando tornò a guardarli era sparito e la ragazza le sorrideva con il consueto calore.
 
°°°
 
Finalmente liberatasi da quelle pettegole delle sue amiche e da un imbarazzato Ned – non voglio nemmeno pensare a te con… Insomma, la nostra Mel! È come vedere una sorellina che se ne va con uno… E che uno! Benedict Cumberbatch! –, poté rannicchiarsi sul divano con il telefono in mano e Matisse in grembo. Aveva già composto il numero, doveva solo raccogliere le forze per chiamare. Matisse infilò la testa sotto la sua mano, spingendo il muso contro il telefono.
«Ok. Vado. Anche se non dovrebbe essere la ragazza a chiamare per prima, di solito è il contrario, insomma, e io che pensavo che fosse un galantuomo… No, Matisse, devo farmi desiderare e aspettare che chiami lui, e poi ieri sera è lui che mi ha baciata, quindi deve sforzarsi e farmi la corte come si deve… Ora che ci penso, aveva detto che avrebbe chiamato lui, ma è quasi l’una e non l’ha ancora fatto… Forse ha avuto qualche problema…»
Matisse le lanciò un’occhiata scettica.
«E poi, metti che lo disturbo? Che ne sai, magari sta recitando un film importantissimo che rivoluzionerà la storia del cinema e deve interrompersi e rovinare tutto perché gli squilla il cellulare. Dai, pensa che cosa terribile. No, chiamerà lui.»
Matisse rinunciò e si voltò per scendere dal suo grembo.
«No, no, ok, lo chiamo. Però resta qui.»
Ma il gatto, deciso a farle imparare la lezione, rimase a guardarla dall’altra parte del divano. Mel prese un respiro e premette il verde.
«Vuoi vedere che non risponde, tanto… Che poi non capisco da dove mi venga tutta questa agitazione. Insomma, ieri non mi facevo tutti questi problemi, con Ben, era un amico e basta. Da dove vengono tutte queste storie, nemmeno avessi quattordici anni… Fosse bello, poi! Ha quella faccia da lontra… Però bacia da Dio, eh Matisse. Mamma mia. Sa il fatto suo, sì, e poi quando stai lì, insomma, non pensi mica alla forma degli occhi o al suo naso strano… Le labbra saranno pure informi, però sa usarle il ragazzo, eccome…»
«Mi lusinghi.»
«Oh porca di quella vacca con le mutande di mia nonna! Mi hai sentito?»
«Sì, cara. Ti ringrazio.»
Mel arrossì oltre ogni dire. Se Matisse non fosse stato un gatto avrebbe riso. 
«Oh, merda… Ma non potevi farti sentire prima, scusa? Razza di maleducato, origli i miei discorsi con me stessa, non va bene per niente, ecco che la fiducia reciproca fa a farsi benedire…»
La sua risata la fece rabbrividire anche attraverso il telefono.
«Perdonami per non averti chiamato prima, ero sul set e ho appena finito. Che ne dici se andiamo a prenderci un fish and chips? Conosco un posto ad Hammersmith che è fantastico.»
Lei tornò a respirare e a scolorirsi.
«Ok, ci vediamo vicino al ponte? Non conosco Hammersmith tanto bene.»
«Va bene. Fra mezz’ora?»
«Ok.»
«A dopo.»
Poteva giurare che stesse sorridendo, il bastardo.
 
°°°
 
Benedict spostò lo sguardo sul fiume illuminato dal sole impavido di quel giorno, con un ombra di sorriso sulle labbra.
«Così sarei un buon baciatore, eh?»
Mel arrossì e assunse un’espressione inviperita.
«Sei un indiscreto del cavolo, altroché!»
Lui rise, inumidendosi le labbra.
«Non eri di quest’opinione ieri sera.»
Lei abbassò gli occhi sui resti del suo pasto.
«Brutto bastardo…» borbottò. Il sorriso di Benedict si allargò, accompagnato da uno sguardo malizioso.
«Ah, attenta con le parole. Potrei elargirti un altro assaggio delle mie abilità, ma solo se ti comporti bene.»
«Ah, sì? Pensi che non sia capace di prendermi ciò che voglio anche da sola?» lo sfidò lei, risoluta.
«Allora lo vuoi…»
Arrossì di nuovo.
«Maledizione.»
Benedict rise e si alzò, dirigendosi verso l’interno del locale per pagare il conto. Mel si alzò e si avvicinò al muretto che costeggiava il fiume accanto al pub dove avevano appena pranzato. Benedict la raggiunse poco dopo.
«È proprio un bel posto. E c’è una luce incredibile, sai che bei ritratti verrebbero, pieni di contrasti, luci forti e ombre ancora più forti, fantastico… Vieni qui» disse Mel, issandosi sul muretto, abbastanza ampio perché potesse sedersi a gambe incrociate, e fece segno all’altro di sedersi accanto a lei. Lui si sedette e si girò fino ad avere le gambe penzoloni dalla parte del fiume.
«Ci fanno le gare di canottaggio, sai, e il sabato è pieno zeppo di gente e birra… Io sono nato qui, verso quella zona…» raccontò lui, spaziando con la mano un’area oltre il ponte alla loro sinistra. Lei lo ascoltò distrattamente, frugando nella sua borsa di tela alla ricerca del blocco e della matita. Trovati i suoi strumenti, si sistemò il blocco in grembo e alzò lo sguardo verso di lui, socchiudendo gli occhi.
«Pronto? Non so come dovresti metterti, ti ho ritratto in tipo tutte le pose possibili… Fumi?»
Lui aggrottò le ciglia all’improvviso cambio di argomento.
«Sì, perché?»
«Perfetto, vuoi fumare adesso?»
«Non ti dà fastidio? Tu non fumi.»
«Sì, ma non ti ho mai ritratto mentre fumi, e saresti parecchio figo. Ho un accendino se vuoi.»
Lui sorrise e scosse la testa, tirando fuori di tasca l’accendino e un pacco di sigarette.
«Perfetto» fece lei, e abbassò la testa sul foglio, iniziando ad abbozzare la testa. Lui la guardò con un sorriso tenero e sghembo, la sigaretta fra le labbra chiuse. Mel alzò gli occhi e incontrò quell’espressione. Si sciolse.
«Cosa c’è?» chiese dolcemente, incuriosita. Lui scosse la testa, chiudendo gli occhi.
Cosa ho fatto per meritarmi tutto questo? Grazie.
«Penso solo che potresti non baciarmi più, dopo che avrò fumato.»
Lei socchiuse gli occhi.
Sapeva che non si trattava di questo, c’era molto di più in quello sguardo al contempo malinconico e felice, ma non volle indagare.
«E chi ti dice che io voglia baciarti? Se ti comporti bene e fai il bravo modello, allora, forse…»
Benedict rise e tornò a guardare il fiume.
 
°°°
 
Ruth si tolse gli occhiali da sole, socchiudendo gli occhi. Sì, erano proprio Mel e Benedict, seduti sul muretto. Lei lo stava probabilmente ritraendo, perché era china su un blocco da disegno e alzava continuamente lo sguardo da lui al foglio, mentre lui fumava e parlava. Ogni tanto ridevano. A un certo punto, lui si sporse a darle un bacio veloce sulla guancia. Mel arrossì – Ruth poteva vederlo da quella distanza – e gli puntò un dito contro, come per rimproverarlo. Lui rise gettando la testa indietro. Ruth si sentì morire, preda di emozioni violente che non voleva conoscere.
Prima di poter veramente ponderare le conseguenze delle sue azioni, raccolse la borsa e si alzò dalla panca del pub dove era seduta, avvicinandosi ai due.
«Mel! Che bello vederti!»
«Ruth! Ciao, che ci fai qui?» la accolse Mel, sorpresa. Ruth si strinse nelle spalle, sorridendo affabile.
«Ciao, Benedict.»
«Ciao» la salutò lui, esitante, ruotando su sé stesso per non darle le spalle.
«Allora, che fate di bello? Siete venuti a pranzo?» domandò la ragazza, scuotendo la testa per scacciare i capelli che le finivano in bocca, mossi dall’improvviso vento che si era alzato.
«Sì, abbiamo mangiato fish and chips perché il gentleman, qui, porta la sua ragazza a mangiare fish and chips come due quindicenni qualsiasi, non so se mi spiego» scherzò Mel.
“La sua ragazza”! Hai fatto tombola, bello!
Benedict si finse indignato.
«Pensavo fossi una ragazza alla mano!»
«Sarò pure alla mano, ma tu potevi sforzarti un po’ di più…»
«Ah, sì? Bene, allora domani andiamo a mangiare caviale ed escargots sul Tamigi.»
«Cosa? Escrementi? Di bene in meglio…»
Benedict rise, scuotendo la testa.
«Sono lumache. È francese» spiegò. Mel incrociò le braccia.
«Guarda che non c’è bisogno di sfoggiare il tuo francese aristocratico per fare colpo, sai.»
«Ah, davvero?» fece Benedict, sorridendo malizioso e avvicinando il viso a quello della ragazza.
«E di cosa c’è bisogno?»
Mel arrossì e si voltò repentinamente la testa verso Ruth, che sorrideva. Benedict rise e si tirò indietro.
«Non fargli caso, è un idiota. Allora, che ci fai qui?»
La ragazza si strinse nelle spalle, inventandosi qualcosa. Chiacchierò per pochi minuti con Mel, la testa altrove, il cuore sanguinante. Benedict non smetteva di guardarla e a lei sembrava che i suoi occhi la perforassero.
«Stavi disegnando, posso vedere?» chiese ad un tratto, più gioviale di quanto non si sentisse. Mel le porse il blocco.
«Sono solo schizzi, eh, niente di che, però c’è una luce così bella…»
«Sono molto belli» constatò Ruth, accigliata. Glieli restituì stiracchiando un sorriso.
«Come sempre. Ora scusatemi, ma devo andare. Divertitevi!» disse e si allontanò sventolando una mano. Si congratulò con sé stessa: niente in lei tradiva quello che veramente provava, era una perfetta maschera.
Mel corrugò le sopracciglia.
«Bah, ogni tanto è strana. L’altra volta faceva la timida, adesso… Boh» sollevò le spalle, tornando ai suoi schizzi. Benedict si rimise nella posizione di prima.
«Ti ho mai parlato di Keane?»
«Chi?»
«Un mio vecchio professore all’Università. Insegnava Disegno dal vero. Era parecchio strano, circolavano un sacco di voci su di lui. Tipo, che alzava i voti alle ragazze che… Be’, ogni tanto invitava qualcuna a pranzo fuori o qualcosa del genere, con il pretesto di voler discutere di tecnica… Ovviamente in segreto, se l’avessero beccato avrebbe perso il posto, e poi queste ragazze, bum, tutte A in disegno. L’ha chiesto anche a me una volta» abbassò la voce, adombrandosi. «Ma ho rifiutato. Ho avuto B tutti gli anni, pur essendo migliore di parecchi. Solo all’esame finale ho preso il massimo. Non so perché mi è venuto in mente, forse perché sto ritraendo te, o perché ricordo che aveva un buon rapporto con Ruth. La salutava sempre, nei corridoi, parlavano spesso dei disegni, di mostre… Io non ci sono mai andata troppo d’accordo, e dopo quella volta… Dicevano che avesse un figlio che era poco meno che un criminale, entrava e usciva di prigione… Dicevano che lui stesso fosse stato in prigione, una volta. Bah, fantasmi nelle Università di Londra.»
Gli lanciò un fugace sorriso. Lui rimase in silenzio, senza sapere che dire.
Ok, ora prendi tutto questo e infilalo in una stanzetta del tuo Mind Palace, da bravo, non si sa mai…
«Comunque… Ta-daa!» esclamò, girando il blocco verso di lui. Benedict avvicinò il viso, socchiudendo gli occhi per vedere meglio, ostentando un’aria indifferente.
«Mh. Non male.»
«Non male? Sono fantastici! Guarda questo, ci sono questi zigomi che sembrano lame, e la sigaretta dimenticata fra le labbra e il fumo… Ah, vedrai come viene bene ad acquerello, o addirittura ad acrilico, solo bianco e nero…»
Benedict sorrise mentre lei si riprendeva il blocco.
«Ecco, forse qui ci vuole un po’ più di nero… Aspetta, adesso…»
Sollevò lo sguardo con l’intenzione di controllare un dettaglio, ma si ritrovò il viso di Benedict molto più vicino di quanto necessario. Sussultò, e lui sogghignò.
«Per oggi basta, tu sei stata bravissima e io un modello perfetto, ma adesso sono stanco e voglio un premio…» mormorò, la voce roca.
Mel arrossì e Benedict sorrise davvero, prima di avvicinarsi così tanto che Mel fu costretta a lasciar cadere il blocco da disegno in grembo – Benedict richiedeva la sua totale attenzione. E di nuovo, quando riaprì gli occhi e lo guardò – aveva gli occhi dello stesso colore pallido e luminoso del fiume e del cielo, quasi bianco – sentì di nuovo quella vibrazione dentro di sé, quell’indescrivibile emozione (233 Hertz). Sorrise e lo baciò di nuovo.
 
Dall’altro lato del fiume, Ruth strinse i pugni fino a conficcarsi le unghie nei palmi.
 
°°°
 
Giovedì 4 aprile.
«Non capisco davvero perché dovremmo fare una cosa del genere, è molto rischioso…» disse finalmente l’uomo, dopo aver ascoltato in silenzio. Giurò di vedere un lampo negli occhi dell’altra persona e rabbrividì.
«Perché quella razza di sgualdrina deve iniziare a capire e a pagare. E così anche lui.»
L’uomo scosse la testa, rattristato.
«Come puoi fare una cosa del genere? Pensavo che tu e lei…»
«Si sbagliava» sibilò. «E adesso, è d’accordo con me?»
«Lui si arrabbierà tantissimo, è davvero stupido e pericoloso, secondo me…»
«Non mi interessa la sua opinione, mi dica solo se è d’accordo o no!» ringhiò, sbattendo il pugno sul tavolo e alzandosi di scatto, sporgendosi verso l’altro, le mani ancorate al ripiano del tavolo. L’uomo si ritrasse nella sedia.
«C-come vuoi allora. Ok. Lo facciamo.»
«Bene.»
Si tirò indietro e si chinò a prendere il cappotto sulla sedia. Senza altre parole, si voltò e si incamminò verso la porta, tirando fuori un pacchetto di sigarette e infilandosene una fra le labbra, con grazia felina.
«Veda di fare in modo che lui non sappia niente. è una cosa fra me e lei.»
Se ne andò, lasciando l’uomo tremante.
 
 
 
 
 
 
 
 233 Hertz è la frequenza del Si bemolle.
 
 
 
 
 
 
  
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