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Autore: Rebecca_lily    04/07/2014    5 recensioni
“Puoi stare a casa mia per tutto il tempo di cui hai bisogno, se desideri”- disse Abel guardandola negli occhi...
La mia storia ha inizio quando Georgie incontra di nuovo Abel, dopo aver lasciato Lowell da Elise, e vuole esplorare il rapporto tra i due 'fratelli' nel periodo in cui cercano di salvare Arthur dalle grinfie del Duca Dangering. In particolare questa storia intende approfondire sia la lenta presa di coscienza di Georgie del suo amore per il suo ex-fratello sia il carattere di Abel come viene reso per buona parte del testo originale, ovvero del manga. Nella mia storia, Abel non vive dal sig. Allen e i due non affrontano immediatamente la questione del ritorno in Australia.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Abel Butman, Georgie Gerald
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quella domenica Georgie e Abel si svegliarono molto presto e consumarono la loro colazione in silenzio. L’atmosfera era carica di emozione, come lo era stata da quando - pochi giorni prima - avevano incontrato il Conte Gerard.
Abel era sinceramente felice che Georgie avesse realizzato il sogno di ritrovare la sua famiglia, allo stesso tempo però vedeva materializzarsi l’ennesimo suo incubo ed era l’incubo che lo aveva ossessionato da quando era ancora un bambino. Era ovvio e naturale che lei volesse andare a vivere con suo padre, che cosa avrebbe mai potuto fare lui per trattenerla? Che cosa avrebbe mai potuto dirle che lei non sapesse già? Forse che la amava? Una piega amara sottolineava queste sue riflessioni e solo un pensiero sembrava attenuare un po’ la sua angoscia: che lui, forzosamente sollevato dalla promessa che le aveva fatto di prendersi cura di lei, avrebbe potuto concentrare tutte le sue forze sul salvataggio di Arthur.
Anche Georgie però non era serena perché combattuta tra la felicità di aver finalmente ritrovato il suo amato padre, il desiderio di andare a vivere con lui e la sensazione di dolore che le procurava il pensiero di allontanarsi da Abel. Perché provava questo dolore? Con questa domanda nel cuore, Georgie osservò Abel trasportare per le scale il baule con le sue cose poiché era giunta l’ora concordata per l’arrivo della carrozza.
Una volta in strada, il ragazzo con l’aiuto del cocchiere sistemò il bagaglio poi si parò davanti a lei. Il suo silenzio, la sua postura granitica e il suo sguardo impenetrabile - così diverso da quello che le aveva riservato nelle ultime settimane - la intimidirono. In realtà, il ragazzo stava solo cercando di non crollare: sapeva che era la scelta giusta per lei, ma in quel momento il suo cuore stava sanguinando. Così, a dispetto di tutte le parole confortanti che era riuscito a rivolgerle nei giorni precedenti, non era più in grado di dire niente, si sentiva svuotato. Le porse, quindi, una mano per favorire la sua salita in carrozza, dopo di che le sorrise accarezzandole fugacemente il volto e si distaccò da lei.
Commossa, Georgie lo salutò, poi però rimase immobile sul predellino senza riuscire ad entrare in quella carrozza: una sensazione di impotenza che aveva sperimentato già altre volte in vita sua, almeno tutte le volte in cui si era allontanata da lui per scappare con Lowell.
“Posso partire milady?” – le chiese cortesemente il cocchiere.
“Sì certo” – rispose Georgie con un nodo alla gola, poi sorrise ad Abel e si accomodò nell’abitacolo. Lo sguardo di Abel continuava ad essere glaciale. A Georgie si strinse il cuore.
Quando la carrozza partì, la ragazza si girò a guardare dal finestrino sul retro perché voleva vedere il suo volto ancora una volta ma il ragazzo le dava ormai le spalle e camminava a passo veloce in direzione opposta alla sua: Abel aveva fatto una grande violenza a se stesso rimanendo ad osservare la partenza della ragazza e, non appena lei aveva chiuso lo sportello, si era incamminato spinto dall’urgenza di mettere più distanza possibile tra sé e quella carrozza.
Il ragazzo, non sopportando l’idea di rientrare immediatamente in quella casa vuota, iniziò quindi a vagare senza meta per la città e vagò incessantemente fino a quando - senza deciderlo razionalmente - si ritrovò in quel parco che, settimane addietro, lo aveva visto assieme a Georgie. Abel cercò subito l’albero sotto cui si erano accomodati quel giorno e si sedette, mettendosi a guardare distrattamente le persone attorno a lui. Tuttavia, per la prima volta nella sua vita, balzarono fulminee ai suoi occhi le grandi differenze che intercorrevano tra i nobili e i cosiddetti ‘plebei’ e ciò acuì la sua tristezza.
Il ragazzo sospirò: non si era mai particolarmente curato della divisione in classi, se non quelle due volte in cui la fidanzata di Lowell gli aveva sbattuto in faccia la sua inferiorità di rango etichettandolo come un “contadino” e per giunta “rozzo e maleducato”. Ma Abel non si sentiva particolarmente rozzo né particolarmente maleducato e, in realtà, non si era mai sentito neanche un contadino, anche se non ci aveva mai pensato tanto. Ora che ci rifletteva, se avesse dovuto dare una definizione di sé, avrebbe detto che era un uomo che amava la sua professione. In questo, si sentiva molto affine all’ingegner Allen come anche alla stessa Georgie, che adorava ideare e cucire vestiti e che aveva messo su la sua bella impresa di sartoria. Scosse la testa, chissà se Georgie avrebbe continuato a coltivare la sua passione ora che stava per tornare a far parte del suo mondo: il mondo dei nobili, il mondo di Elise, il mondo di Lowell.
Abel sorrise mestamente. E lui cosa avrebbe fatto? Una volta salvato Arthur probabilmente avrebbe potuto continuare a lavorare per il sig. Allen e, in futuro, avrebbe potuto davvero comprare quella piccola nave per andare a giro a vedere il mondo, come aveva proposto a Georgie. Forse ce l’avrebbe fatta ad acquistarla e sarebbe partito. Una sola certezza aveva: che sarebbe stato da solo. Il ragazzo sospirò e, scuotendo il capo, rifletté sul fatto che forse essere solo doveva essere proprio il suo destino, poi – finalmente stanco - si avviò verso casa.
Quando rientrò nel suo appartamento, dopo aver vagato per tutto il giorno, Abel trovò ad accoglierlo un salotto buio e silenzioso. Il ragazzo osservò sconsolato la stanza poi, tutto a un tratto, sentì lo stomaco brontolare e si ricordò che non aveva mangiato niente dalla mattina. Si avvicinò quindi alla cucina per prendere un frutto quando scorse sulla tavola un piatto coperto da un tovagliolo. Sollevando il lembo di stoffa Abel vide dei sandwiches e un biglietto con la grafia tondeggiante di Georgie:
 
Caro Abel,
ti ringrazio tanto per avermi accolto in casa tua per tutti questi mesi.
 
Con affetto,
Georgie
 
Con un sorriso amaro stampato sul volto, Abel si sedette e iniziò a mangiare ma non arrivò neanche al terzo boccone che sentì delle lacrime affacciarsi ai suoi occhi. Le asciugò immediatamente quasi con rabbia perché non voleva piangersi addosso. E quella sera, seduto a quel tavolo in quella casa vuota, Abel avrebbe pianto per sé: perché in Australia non c’era più nessuno ad aspettarlo; per la terribile sorte del fratello di cui si sentiva responsabile; ma soprattutto perché Georgie gli era di nuovo scivolata tra le braccia e questa volta per tornare a far parte del suo mondo di origine, un mondo così distante dal suo.
Non volendo però cedere all’autocommiserazione, il ragazzo ricacciò in gola tutte le lacrime dicendosi che non era la prima volta che si trovava da solo e che ce l’avrebbe fatta, come sempre. Si chiese, però quanto dolore ancora avrebbe potuto sopportare perché sentiva che il suo cuore, ormai dilaniato, non sarebbe stato in grado di reggerne di più. Lentamente finì di mangiare poi, ancora vestito, si buttò sul letto del salotto, dove rimase a fissare il soffitto a lungo fino a sprofondare in un sonno senza sogni.
Dall’altro capo della città intanto il conte Gerard aveva notato che la figlia non era del tutto felice quella sera a cena, ma si era detto che forse si trattava della novità, dell’imbarazzo, in fin dei conti si conoscevano appena, ma il suo istinto di padre gli suggeriva che c’era dell’altro. Decise così di parlare con lei:“Che cosa ti preoccupa figlia mia?”. “Sono preoccupata per Abel” – gli rispose sincera la ragazza. “Per Abel? E come mai?” – le chiese il Conte. “Perché è rimasto da solo” – disse Georgie quasi stupita, come se la sua fosse la risposta più naturale del mondo. “Mia cara, ma a quanto ho capito, sono anni che Abel vive da solo. E poi, senza la sorella che vive con lui probabilmente, una volta liberato Arthur, potrà anche dedicarsi a cercare una donna con cui costruire un avvenire, non credi?” – disse il Conte Gerard sorridendo nel vano tentativo di far pesare meno a Georgie il suo trasferimento. E invece, le sue parole sortirono proprio l’effetto contrario. Georgie si girò a guardare il padre sgranando gli occhi. L’idea che Abel potesse desiderare di avere accanto un’altra donna era una prospettiva che non aveva mai considerato, perché – egoisticamente - aveva sempre pensato che Abel, il suo Abel, fosse lì per lei, sempre pronto a proteggerla con amore.
Quella notte neanche Georgie riuscì a prendere sonno facilmente, le tornavano in mente molti episodi della sua vita negli ultimi mesi e le mancavano da morire i loro piccoli gesti quotidiani, le mancava da morire lui. In quella grande e sfarzosa casa non si sentiva a suo agio, sarebbe volentieri tornata da Abel, ma una parte di lei voleva davvero conoscere quel padre che aveva appena ritrovato, voleva davvero provare che cosa significasse vivere con il suo vero genitore.
  
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