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Autore: _MorgenStern    05/07/2014    3 recensioni
"Fu una storia che nacque e morì di guerra.
Furono un uomo e una donna.
Fu un'avventura di sentimento e disperazione, di gioia e dolore.
Furono amanti, furono amici e nascosti.
Fu ciò che chiunque voleva avere, e venne loro strappato via.
Furono Amore."

| Nazi!Germany x Fem!NordItalia; WWII |
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Germania/Ludwig, Nyotalia
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non si era mai chiesto quando sarebbe finito tutto, non ne aveva mai trovato motivo. Amava il suo lavoro, amava far lavorare e amava chi lavorava. Non avrebbe saputo cosa domandare che fosse migliore di questo.
Con un rumore metallico, concluse il suo cambio d’abito: la fibbia istoriata della cintura in pelle era perfettamente al centro della giacca nera, anch’essa perfettamente curata e stirata come ogni capo d’abbigliamento sul suo corpo.
Se c’era una cosa che gli era davvero poco gradita, era la mancanza di ordine. Tutti gli angoli e le pieghe della sua esistenza erano plasmati secondo un assetto preciso, una routine ed un’evoluzione necessaria e ben controllata; se mai qualcosa gli fosse sfuggito, sarebbe stato inevitabilmente distrutto. O almeno, questo era ciò di cui era convinto.
Nessuno s’accorse di quel piccolo e leggero suono, però. Si era disperso nel vociare della stanza fitta di uomini in divisa, ognuno impegnato a parlare il più possibile prima di salire su quel palco e sfilare in silenzio per almeno tre ore. Avrebbero sentito solo le parole del Ministro degli Esteri e i sussurri della popolazione, l’intorpidimento alle gambe e alla schiena per la posizione immobile forzata ed il suono degli stivali rinforzati sulle strade. Non era una prospettiva poi così orribile, non per dei soldati. Per lo meno non si sarebbero visti volare contro delle pallottole, né avrebbero dovuto lottare per sopravvivere.
Più che altro, era quel che chiunque sperava: se quei piccoli italiani ribelli fossero rimasti nei loro boschi, la cerimonia di presentazione si sarebbe svolta nel migliore dei modi. Tutti confidavano in questa possibilità, le altre non erano nemmeno prese in considerazione; tanto più che solo una manica di deficienti avrebbe portato scompiglio in mezzo a tre compagnie dell’esercito del Reich, con tanto di SS designate alla difesa stretta delle personalità che avevano raggiunto l’Italia.
Già, l’Italia. Quel Paesello di alleati un po’ recalcitranti, ammiratori dell’operato germanico ma al contempo anche un ammasso di impreparati che avevano il costante bisogno di qualcuno che li facesse rigare dritto, o che desse loro una mano nella gestione dei loro stessi affari. A lasciare tutto nelle loro mani si sarebbe scatenato il finimondo.
In senso negativo, ovviamente.
« Beilschmidt! E datti una mossa, che sei bello lo stesso! »
Il biondo tedesco sorrise a quel verso poco educato, voltandosi a guardare i suoi camerati. Un insieme di elementi di buona razza, l’élite delle forze della Germania, soldati ben addestrati e semplici uomini.
I suoi Figli.
Essere una Nazione aveva vantaggi e svantaggi, ma il poter vivere in mezzo al suo popolo come un umano qualunque era davvero bello: oltre al sentirli dentro di sé, come parte della sua coscienza, poteva anche interagire con loro e vivere come loro, con tutto ciò che ne conseguiva.
Il Führer era stato molto gentile nel permettergli di confondersi con i cittadini dell’Impero, purchè rispettasse i suoi doveri in quanto Stato.
« Per lo meno io so mettere la cravatta come si deve, Kroll. » disse, additando con l’indice coperto dal guanto nero il collo del compagno. Quella cravatta aveva davvero bisogno di una sistemata.
Il moro cercò di guardarsi sotto il mento, mentre gli altri se la ridevano; qualcuno si allungò per mollargli uno schiaffo sulla nuca e qualche offesa divertita, qualcun altro battè la mano sulla spalla di Ludwig.
« Tanto non lo noterà nessuno, chi se ne importa. Non possono beccare sempre me, siamo almeno in duecento con la stessa divisa. » lamentarsi e cercare di evitare cose noiose come quelle erano la specialità di Helmut Kroll, nonostante fosse un buon soldato.
« Sistemala e non cominciare, su. Dobbiamo andare. » gli intimò il biondo, raccogliendo il cappello e infilandoselo sul capo.
« Non discutere, Helmut. Guarda che Ludwig ti fa licenziare e finisci a fare la cameriera, eh. »
« Non che io ci verrei mai, in una locanda con te in gonnella! Che schifo! »
« Anche tua sorella non ci sta molto bene, sai? »
« Oh, ma vaffanculo. Non l’hai nemmeno mai vista! »
« Questo lo dici tu! »
La Nazione lasciò gli uomini ai loro battibecchi, sentendosi un po’ come il padre che nessuno sapeva che fosse, ma a cui tutti cantavano.

Cantarono per lui anche durante la cerimonia, mentre gli altoparlanti emettevano la musica che ormai ciascuno conosceva così bene e di cui i tedeschi erano talmente fieri da non mancare di ascoltarla neppure in un’occasione. Tutti i presenti univano le loro voci all’inno, che si alzava ben oltre il cielo azzurro di Milano.
“Che ogni uomo sulla Terra senta queste parole, che ogni anima sappia: la Grande Germania vive ed è potente” sembravano intonare.

Deutschland, Deutschland über alles, über alles in der Welt.
 



La mattinata si svolse tranquillamente, senza inconvenienti di alcun tipo, lasciando sia gli ospiti che gli ospitanti molto soddisfatti. Ora entrambi avrebbero vissuto in una ancor più stretta vicinanza: molte delle compagnie presenti all’evento, infatti, sarebbero rimaste nel Nord del Bel Paese per supervisionare e dirigere le operazioni degli italiani, dato che a quanto pare intendevano assolvere seriamente ai doveri presi con il Patto d’Acciaio.
La guerra era appena cominciata: l’invasione della Polonia prometteva bene, benissimo, e ci si chiedeva soltanto quando si sarebbe mossa l’Unione Sovietica di Stalin.
Era in questa direzione che ormai da mesi si dirigevano i pensieri di Ludwig, ben preoccupato della riuscita di quelle operazioni. Avrebbero portato sicuramente ad un benessere aggiunto al suo popolo, pur con tutte le perdite e i dolori che sempre conseguivano ai conflitti armati.
Si sperava che ne valesse la pena.
Beh, tanto valeva, ora, cercare di capire in che posto l’avevano infilato. Da quel che aveva visto, sembrava davvero solo un piccolo paese tipicamente italiano, con le sue case in mattoni e le sue strade in pietra, la maggior parte dei paesani impegnati a lavorare nei campi e quei pochi che si spostavano periodicamente lo facevano per raggiungere le fabbriche in città.
“Piccoli campagnoli ignoranti”: non gli venivano in mente aggettivi differenti da quelli, per descriverli, ma non erano totalmente negativi. Gli piaceva come si impegnavano nel loro lavoro, come si organizzavano in base alla produzione e come sembravano sempre pronti a festeggiare per qualsiasi minima cosa. Erano brave persone, seppur evidentemente inferiori ai suoi Figli. Decisamente un po’ troppo rilassati.
L’aveva sempre saputo, ma osservandoli nel loro ambiente naturale se ne rendeva conto in modo più profondo: solo in quella perlustrazione aveva visto almeno cinque uomini sonnecchiare in vari luoghi – il più assurdo stava dormendo appoggiato allo stipite della porta -, tre raduni nei bar e un numero incalcolabile di bambini a spasso per le vie.
Inevitabilmente, quando veniva visto da qualcuno, il tedesco portava il silenzio in quell’angolo di paese. Avevano tutti evidente timore di quelle divise nere che si aggiravano tra loro, senza alcun suono se non quello dei loro passi o delle loro rare parole in quella lingua dura, così poco musicale in confronto all’italiano.
Poco male, si sarebbero presto abituati.
Scrollando le spalle al nulla, il nazista si diresse verso la piazza centrale, dove sarebbe rientrato nella nuova caserma: più una locanda, in realtà, ma per ora – come primo giorno – serviva bene allo scopo. Prima di uscire aveva sistemato tutte le sue poche proprietà sotto il letto della stanza che condivideva con i compagni, assicurandosi che anche loro facessero lo stesso tra le solite battutacce. C’era stato chi aveva deciso di avventurarsi tra le strade, per capire e ambientarsi, e chi invece aveva preferito riposare nello stabile, per godersi in anticipo quel tempo che si sapeva sarebbe mancato tra qualche giorno, quando avrebbero cominciato davvero a lavorare.
Sperava si trovassero bene, in un posto simile, nonostante le differenze con i loro edifici militari in Patria. Dopotutto, erano comunque soldati.
Si rese conto dell’ora solo quando, sbucando dall’angolo della via, si trovò immerso in un’atmosfera descrivibile solo con la parola “arancio”. Alzò una mano, spostando la sigaretta dalle labbra, e si guardò bene intorno, fermandosi esattamente dove si trovava.
Si sentiva un lieve odore di carne, che gli ricordava la cena imminente, sovrastato dallo strano odore che fanno le pietre scaldate dal sole. Il vociare degli abitanti era attutito, e pareva quasi armonizzarsi con quel bel tramonto.
“Ah, l’Italia” soffiò fuori il fumo, socchiudendo gli occhi verso quel cielo dai colori caldi che tanto ricordava un quadro.
Si voltò, pronto per rientrare in caserma, quando un bagliore catturò la sua attenzione. Era un alone bianco e, guardando più attentamente, si accorse che era un semplice vestito chiaro, indossato da una giovane. Quella luce rendeva tutto più luminoso, diamine.
La proprietaria dell’abito era voltata di spalle rispetto a Ludwig, aveva una lunga treccia castana che le scendeva dietro la schiena e un mazzo di fiori di campo stretto tra le braccia. Parlava con un anziano seduto accanto alla porta di casa e aveva un bambinetto che le si attaccava alla gonna, cercando le sue attenzioni.
Non appena ella si girò verso il bimbo per accarezzargli la testa e parlargli, il tedesco sentì muoversi qualcosa sotto la divisa, proprio al centro del petto.
Aveva un sorriso tremendamente bello.
Deglutì, la Nazione, cercando di avere ragione di una cosa così frivola come il volto di una ragazza italiana. Eppure, non riusciva a proseguire, ad ignorare quella dolce e rassicurante espressione, quell’aura di pace che circondava quella figura femminile.
Se non fosse stato per la sua forza di volontà, sarebbe rimasto lì per secoli, ne era certo. Riuscì a battere le palpebre e a distogliere lo sguardo, rompendo quella specie di ibernazione fisica, e si mosse direttamente verso il portone della caserma, entrandovi con una decisione inadatta al contesto. Tutte le teste dei presenti si volsero verso di lui, ma la Nazione non fece altro che filare in mensa, silenziosamente.

“Che diamine, Beilschmidt. Fissare una donna il tuo primo giorno di servizio in terra straniera. Non ti hanno insegnato questo, mi pare.”






« Certo che domani ti porto con me, non preoccuparti. Raccogliamo tutti i fiori che vuoi. » accarezzò la testa del piccolo Federico, sorridendogli. Quel bambino era davvero adorabile.
« Davveo? Posso pendee anche le fafalle? » gli occhioni verdi del bimbo erano enormi e il suo sorriso era sinceramente entusiasta; come avrebbe potuto dirgli di no?
« Lascia stare la signorina, monello. » intimò l’anziano dopo qualche colpo di tosse, prendendo un braccino del nipote e allontanandolo dal vestito di Alice. « E adesso scusati, che le hai stropicciato tutta la gonna. »
L’italiana ridacchiò, passando una mano sul tessuto chiaro e porgendo un papavero del suo mazzo a Federico, che lo prese tutto contento.
« Non è un problema, Umberto. Tanto devo lavarlo. Ho tutta l’erba secca impigliata addosso. »
Ma il signore non la stava ascoltando; fissava verso il lato opposto della piazza con i suoi occhi stanchi. Distolse subito lo sguardo, ma la giovane si era già voltata per capire la causa di esso. Portava ad una divisa nera. Ad un tedesco.
« Oh » sospirò Alice, tornando a guardare l’anziano italiano « Sono arrivati davvero, allora. Non li ho visti, stamattina, ero nel campo. Pensavo che non sarebbero venuti fin qui…è solo un paesino… »
L’uomo scosse la testa, guardandola preoccupato. « Ti fissava, Alice. Fa’ attenzione. Non portano nulla di buono, quei corvi. » borbottò.
La ragazza sorrise, accarezzando la mano rovinata di Umberto. « Non si preoccupi. Vado subito a casa. »
Salutò il bambino, che le rispose tutto entusiasta e incurante degli stranieri, eccitato alla prospettiva di una mattina in campagna con la gentile signorina.
Alice raggiunse la propria abitazione a passo svelto, accorgendosi di come tutti si fossero adeguati ai tedeschi – anche i più apparentemente incuranti stavano controllando i loro movimenti, senza dare nell'occhio – decisa a non farsi notare dai nuovi arrivati il primo giorno della loro presenza.






 


Ed ecco il primo vero capitolo. Sono quasi fiera di me stessa: sono riuscita ad assolvere alla promessa di pubblicarlo oggi!
Spero che renda bene come inizio di una storia, che non risulti troppo noioso (ho la terribile tendenza a dilungarmi sugli elementi storici!) e che interessi.
Ancora grazie, e confidate in me per il prossimo capitolo! 
  
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