Libri > Harry Potter
Segui la storia  |      
Autore: Stateless    06/07/2014    2 recensioni
Hogwarts. Quinto sfortunato sanguinoso anno. Harry Potter, apparentemente più bacato che mai con attacchi di eroismo alquanto patetici. Ronald Weasley più agguerrito e - ironicamente - sincero che mai. Hermione Granger inizia ad avvertire in bisogno di non una, ma due agende per tirarsi fuori da tutti gli assembramenti umani e non a cui partecipa da sempre. Rita Skeeter rischia di essere scannata più che mai.
Genere: Avventura, Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dolores Umbridge, Harry Potter, Hermione Granger, Rita Skeeter, Ron Weasley
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Teaching Mrs.Umbridge 
 
 
      Harry Potter si sarebbe volentieri lanciato dalla sua scopa. Avrebbe preferito prendere un pugno in pieno volto o ancora, essere colpito da un Oblivion permanente e finire al San Mungo insieme ad Allock, il povero Gilderoy Allock, e condividere con lui tutte le sue strane pazzie e manie di protagonismo. 
Sì, perché Harry Potter, anche se non aveva mai desiderato né finire in prima pagina e né firmare autografi, era un po' sfigato, ma giusto un po', ed era convinto che il vecchio professore di Difesa contro le Arti Oscure conservasse ancora tutte quelle cartoline firmate e profumate di gelsomino. Il suo desiderio di successo, correlato alle avventure che diceva di aver brillantemente superato, facevano a pugni con la sua meritata voglia di essere lasciato in pace una volta per tutte.
 
Tornare dalle vacanze ed essere quasi evitato da tutti - quei tutti che gli erano stati amici -  ed essere anche preso in giro, non aveva fatto altro che minare la sua apparente tranquillità adolescenziale e fargli desiderare di non tornare a Hogwarts. 
Dilatare quelle ore lontano da tutti gli aveva fatto pensare che anche qualcun'altro era il soggetto di una profezia che gli aveva rovinato la vita; ma poi si era ricreduto: forse era una delle patetiche predizioni della Cooman che segnalavano l'allinearsi di due pianeti e, quindi, una catastrofe che non avrebbe risparmiato nessuno. Era stato lui, l'unico povero sfigato, che al terzo anno aveva ricevuto il Gramo e aveva fatto parlare di sé ancora di più. Come se non bastasse essere reduce di un Torneo orrendo.
 
Lo sapevano tutti che le profezie portavano sfortuna, come d'altronde quelle di Sibilla Cooman.  
«Quando tredici persone ceneranno assieme allo stesso tavolo, il primo ad alzarsi sarà il primo a morire.»
Non credeva di essere così codardo, ma le profezie gli avevano dato la nausea, e ne aveva abbastanza. Ne aveva fin su i capelli, perché le profezie, come aveva sentito affermare, erano come i funghi: c'era una profezia che riguardava ognuno di loro, e solo il diretto interessato avrebbe potuto ascoltarla.  
Quel pensiero gli stava vorticando incessantemente in testa, e gli pareva quasi di ondeggiare sulla scopa. E di nuovo, in ogni caso, ficcare le maledizioni nei problemi quotidiani non serviva a un bel niente.
 
Decisamente non avrebbero potuto evitare i Serpeverde nella partita di campionato. E, Harry Potter, che non si considerava per niente virile, non avrebbe mai potuto scannare Malfoy, anche se quello restava il suo desiderio più grande. 
Harry Potter aveva sonno, molto sonno. Per quanto avesse bisogno di recuperare le ore, i mesi e i giorni persi, non era ancora ora di smettere di combattere. 
E forse non era nemmeno sfigato, Harry Potter. Era semplicemente predestinato. 
Quando sei predestinato - il che effettivamente vuol dire che qualcuno ha avuto in mano il tuo destino - il tuo unico pensiero è liberarti di quel fardello. 
E bere Succo di Zucca. E forse fare quello che ogni mago farebbe.
 Oltrepassiamo i nostri ponti dopo esserci arrivati e ce li bruciamo alle spalle, e niente mostra il cammino percorso, tranne il ricordo dell'odore del fumo e la sensazione che una volta i nostri occhi hanno lacrimato. 
Siamo nati per coesistere, non per fare gli eroi in ogni occasione. 
Purtroppo sì, Harry Potter soffriva dello spasmodico bisogno di comportarsi da eroe, di fare l'eroe, dell'essere l'eroe. In ogni occasione. 
*****
ENDIADI
(Parte prima)

Hogwarts,  
Novembre 1995

 
Sir Nicholas, il fantasma di Grifondoro, credeva fortemente che quella sarebbe stata una giornata misteriosa e buia. E certo, da quando aveva ricevuto quarantacinque colpi d'ascia, poteva ritenersi anche salvo da ogni sconvenevole. Quella testa che per pochi centimetri era ancora attaccata al collo, se pur miracolosamente, gli dava non pochi vantaggi. Oppure, i vantaggi che, effettivamente, un fantasma aveva.
Da alcuni giorni  Hogwarts era imprigionata in una fitta nebbia che fungeva da barriera visiva per chiunque volesse avventurarsi all'esterno. Il ghiaccio che pendeva dalle grondaie dei dormitori maschili creava delle leggere trame che si intrecciavano lungo le pareti del Castello, dove, per due giorni, la pioggia era caduta ininterrottamente. Il freddo pungente penetrava nelle ossa e stringeva in una morsa letale chiunque non fosse abituato a quel clima, provocando raffreddori o - per i più sfortunati - virus invernali che in meno di poche ore si diffondevano come epidemie. 
Piogge continue che non permettevano ai gufi di uscire a caccia e di consegnare lettere non avevano fatto altro che diffondere un malumore tra gli studenti, non poco intimoriti dall'essere isolati con i proprio familiari e soprattutto, come Neville Paciock, di ricevere dalla nonna quello che aveva dimenticato. «Ma c'erano cose ben peggiori» - ripeteva Ron Weasley - «che aver dimenticato qualcosa ; era il non ricordare cosa si avesse dimenticato la tortura peggiore.»
Non ricevere più le lettere di Molly sembrava peggio che non ricevere il pacco settimanale di Draco Malfoy, colmo di dolciumi e capi nuovi di vestiario. Di come venisse viziato il rampollo della Casata Malfoy, poteva ben importare meno a Harry Potter, che né riceveva lettere dai Dursley, né caramelle e vestiti; e se li avesse ricevuti, sarebbero stati quelli vecchi di Dudley, lavati con la varichina e ormai smessi. Petunia Dursley, però, era lungi dall'inviare oggetti al nipote, dato che non avrebbe mai avuto l'occasione di utilizzare un gufo;
e nemmeno il marito, che provava un odio verso Edvige paragonabile al sentimento omicida che Harry Potter provava per Severus Piton.
Era dal primo anno che il Ragazzo Sopravvissuto si rifiutava totalmente di descrivere la sua famiglia agli amici, se poi quella si potesse chiamare famiglia, dato che di amorevole non aveva niente e di condivisione aveva ben poco, tranne i pantaloni scuciti di Dudley che gli venivano rifilati ogni anno.
Ad ogni modo, quella era una mattinata uggiosa di Ottobre e, stranamente, la Sala Comune non era già ghermita di studenti, ma vi trotterellavano allegri alcuni gruppetti del primo anno, eccitati della situazione creatasi e contenti di avere la prima ora lezione con il professor Vitius. Eloise Midgen aveva ammesso che - quando voleva - aveva una voce stridula e che una volta, durante le prove del coro, aveva iniziato a dimenarsi perché Dennis Canon aveva sbagliato un acuto. 
Il fantasma della Casa stava tranquillamente aleggiando, e si stava anche premurando di spaventare alcune bambine del primo anno, che stavano rimuginando tra loro - probabilmente - tutte quelle storielle e leggende che i fratelli avevano loro raccontato tempo prima.
Forse si erano accorte che non era così male come credevano, e che le coperte riscaldate ogni sera, il buon cibo degli elfi, poteva fare un baffo al fantasma. Aggrappato all'ultimo spiraglio di vita, all'ultima scia di luce, che per un mago non è altro che la condanna ad una vita fredda, fatta di ricordi e di rimpianti, magari quello di non morire sotterrati per l'eternità, ma l'aver scelto di nuovo una vita senza la stessa vita.
Harry Potter e Ronald Weasley si stavano trascinando fuori dalla Sala, spostando malamente e di fretta e furia quei pochi gruppetti di ragazzini. Le loro facce erano pallide, le gambe erano già molli, e il Ragazzo Sopravvissuto malediva le partite di Campionato che si stavano avvicinando e i provini per il portiere - forse - fissati per il giorno successivo. 
La sicurezza ostentata all'inizio dell'anno andava ad affievolirsi quando man mano si aveva la convinzione di dover sostenere i G.U.F.O. e, come se non bastasse, guidati da un'incompetente: Dolores Umbridge.  
Hermione Granger si trovava a imprecare ogni volta che adocchiava la professoressa a tossire o a parlottare con i Serpeverde. 
«Inconcepibile che una professoressa fosse così di parte e non si rendesse conto dell'evidenza che indecentemente proponeva a chi - e alzava la voce - avrebbe dovuto dare un concreto esempio di studio, lealtà e disciplina, la vera disciplina, quella che lei si proponeva di adottare, ma che non era altro che una patetica imposizione del Ministero della Magia.»
Tutto questo, detto senza respirare. Era troppo legata alla sua reputazione per sbandierare ai quattro venti una simile opinione, tanto quanto la media delle sue materie, troppo alta per essere rovinata. 
Sì, il Ministero della Magia stava interferendo con Hogwarts e pareva che tenersi stretti gli amici e allontanare i nemici fosse la filosofia di vita migliore, anche quando ci si trovava a fronteggiarli quanto meno uno studente ingenuo potesse riuscire ad immaginare. Ma anche tenersi stretti i nemici non era affatto male, diceva Ron Weasley.
*****
 
La luce rossastra del tramonto illumina ogni cosa con il fascino della nostalgia: anche Hogwarts. Anche un gruppetto di Grifondoro presi a chiacchierare sotto un portico, o Hermione Granger presa dai compiti per le tre settimane successive.
Gli ultimi riverberi di sole filtravano tra gli spalti del campo da Quidditch e Ron Weasley, affranto, si lanciava sul prato umido, imprecando e massaggiandosi la mano. 
- Se avessi voluto cederti la mia scopa, credo che mi sarei prima avvelenato con una di quelle pozioni che ci somministra Piton. Peccato che io non abbia più una scopa. - aggiunse ironico Harry Potter.
Severus Piton aveva la professionale usanza di sfruttare come cavie gli studenti. Sì, proprio come i topolini da laboratorio, così gli studenti meno eccellenti finivano in infermeria per avvelenamento. 
- Non avresti potuto farlo, perché saresti già morto con la bava alla bocca e la lingua da fuori, Harry.- commentò sarcastico Ron.
Harry Potter, in divisa Grifondoro, alzò esasperato gli occhi al cielo, borbottando qualche patetico insulto rivolto all'amico.
- Ti rendi conto che così ci stracceranno? - Ron si portò le mani alle labbra e ci alitò sopra per riscaldarle. - Noi abbiamo bisogno di quella scopa, amico. Se perderemo il campionato, il Rospo avrà un motivo in più per sciogliere la nostra squadra. Immagino già il prossimo decreto... -  Il ragazzo impallidì e improvvisamente quel rosso che gli illuminava il viso divenne di un colore pallido e il sorriso si spense in un cipiglio severo. 
- Non è colpa mia se quella Megera della Umbridge mi ha letteralmente sequestrato la scopa. Capito sempre al posto sbagliato nel momento sbagliato. E poi... lei mi odia. Questo mi sembra l'ovvietà, Ron -
Harry Potter si tolse velocemente i guanti neri da Quidditch, e mostrò le sue mani livide con  una piccola scritta incisa proprio sul dorso, intorno alle vene azzurrine che prevalevano sul colorito olivastro della pelle. 
Un livido nero e delle parole incise col colore della pelle. 
"Non devo dire bugie."
-  Che cosa diamine è, Harry? - proferì Ron afferrandogli il polso ed esaminandolo attentamente. 
- Un inchiostro indelebile, almeno credo. - rispose pensieroso Harry - Ma è impossibile che mi faccia ancora male...-
- Ti fa male? Ma allora è stregato da lei, forse. - sussurrò più a se stesso che a Harry. - Ora che ricordo, lo fecero anche Fred e George con me quand'ero piccolo.- continuò Ron interessato - Mi facevano scherzi idioti quando ero impotente di tirargli un bel calcio. - sorrise quasi estasiato - Comunque, mi fecero scrivere "Puzzo di Troll" con una Penna Autocorregente che stregarono. Mi fece male la mano per tutte e due le seguenti settimane. Solo dopo un mese mi sono accorto che quel tatuaggio che non trovavo era inciso da un altra parte. Beh...hai capito.- 
- E Molly che ha detto? - chiese Harry divertito - Voglio dire, quando ha visto...-
- Ha dovuto farmi un incantesimo lì... Sai che male, Harry. Avevo le chiappe rosse. Menomale che avevo solo cinque anni. La settimana dopo mamma lo raccontò a tutta la famiglia. Sai che vergogna, amico. - 
- Io a cinque anni venivo rincorsi dai bull dog di Zia Marge per il giardino di casa dei Dursley. Sono per poco finito all'ospedale, Ron, e non è nulla in confronto alle tue chiappe tatuate.- 
- Tu offendi la mia infanzia tormentata da Fred e George. - esclamò ironico Ron.
- Almeno tu, Ron, hai avuto un'infanzia.- 
- Che intendi? - domandò perplesso il ragazzo, che si portò una mano nei capelli e li arruffò dubbioso.
- Ti faccio un esempio: se Cuccy - il cane di zia Marge - mi avesse staccato un braccio, Dudley avrebbe continuato a ingozzarsi di torta al cioccolato affondandoci la desta dentro, e Zia Marge a bere whisky fino a gonfiarsi di alcool e sprofondare nel divano di pelle di Zia Petunia. 
- Ma tu...hai davvero gonfiato tua zia! - esclamò ridendo Ron
- Sì - sussurrò Potter - ma quello è un altro capitolo.-
- E quindi? - 
- Mi avrebbero lasciato morire dissanguato.-  
- Ti avrebbero, ma non ti hanno mai lasciato morire dissanguato. Fai la vittima, Harry. - puntualizzò Ron.
- Beh, ma io credo sia peggio non avere la propria scopa! - esclamò Harry nervoso. 
- Puoi allenarti sulla mia, Harry. Lo sai - insistette gentile Ron, dando una pacca sulla spalla all'amico. 
- Una partita senza Cercatore...- sussurrò affranto Harry - non si era mai vista! -
- Sei l'unico che crede che si saranno le partite di Campionato, amico. Datti una svegliata.-
*****
 
«I just wondered whether I could make the teensiest interruption, Minerva?»
Dolores Umbridge

 
- Non è autorizzato a gingillare nei corridoi con quella camicia penzolante dal golfino e quella Caccabomba... bandita. - stava sussurrando la McGranitt severa. - Che, pensa forse che non me ne sia resa conto? Si dia una sistemata, Thomas. Dieci punti in meno! Solo perché è della mia Casa eviterò di...
- Ehm, Ehm -
- Darle una meritata punizione, vista l'aria che gira! E anche voi, Potter, Weasley! Vi state divertendo lassù? Vi faccio portare una Burrobirra, magari qualche Panzerotto? Non è un salotto! -
- Ehm Ehm Ehm. Cosa sta succedendo qui? - 
All'improvviso, il peggiore degli incubi si materializzò sotto forma di un porcellino vestito di rosa. La faccia da rospo, l'altezza di un metro e qualcosa - che Ron aveva definito sciocchezza - , i lineamenti del viso gonfi, tanto che Hermione aveva ipotizzato un botulino, ma poi si era resa conto che i maghi non conoscevano il botulino e aveva smentito tutto. Comunque, Harry Potter, che si ergeva in tutta la sua altezza, proferì un suono sconsolato, dando una pacca sulla spalla di Ronald Weasley, visibilmente scosso dalle possibili conseguenze. Ma quello più nei guai, che quasi si nascose dietro la McGranitt, era Dean Thomas. La Umbridge probabilmente aveva appena concluso una delle sue verifiche, perché stringeva in mano un taccuino, che a Harry ricordò tanto Rita Skeeter, e una Piuma colorata.
Rosa. Tanto per cambiare.
Minevra McGranitt fece quasi finta di non averla udita, e si girò a rallentatore, con gli occhi ridotti a due fessure e le mani strette in un pugno che nulla prospettavano di buono. 
Ron mugolava, Dean Thomas stava trattenendo il fiato, la McGranitt inspirò con sufficienza, roteando gli occhi verso l'alto. 
- Sono questioni della mia Casa. E, se permette, non sono affetta da nessuna grave, incombente malattia da non potermene occupare da sola. Ma apprezzo il suo interesse, professoressa Umbridge.- proferì la McGranitt, con un grande e falso sorriso sghembo, che finì per mutare la situazione in un teatrino degli orrori.
Ora gli occhi di Dean si spostavano dalla McGranitt alla Umbridge, dalla Umbridge alla McGranitt.
- Non si agiti, Minerva. Non intendevo mettere in discussione quello che purtroppo era il suo, ehm, compito. Ma si da' il caso che, secondo il Decreto Didattico numero venticinque da me fatto affiggere dal gentilissimo signor Gazza (un lampo di disgusto le attraversò il viso) io detengo tutta l'autorità tale da poter impartire una punizione ai suoi alunni. - 
La Umbridge rise di una risata carica di tensione, e unì le mani a mo di preghiera, prima infilando taccuino e Piuma nella sua borsetta sempre di un rosa antico. Scrutò con attenzione la McGranitt, che, prima guardò Dean Thomas, e poi Harry Potter e Ronald Weasley, come se fossero i tre incomodi della situazione e lei non potesse dire ciò che avrebbe voluto dire. 
- Finché un Preside non sarà in carica. Ecco, lei potrebbe impartire tutte le punizioni che vuole, ma cosa direbbe Silente? - 
- Lei si sta inoltrando in un terreno che non è di sua competenza! - squittì la Umbridge, facendo un passetto avanti. 
(Ron si mosse sulla panca. - Miseriaccia, Harry. Ma perché ci troviamo sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato?- sussurrò in modo indecifrabile. - Taci, Ron - rispose imperioso Harry.)
- Thomas, Potter e Weasley, nel dormitorio, ora! - avvisò di rimando la McGranitt
- Professoressa, ma sono le cinq...- disse con titubanza Ron.
Harry pensò che Ron fosse davvero un idiota, perché solo un idiota avrebbe potuto ribattere allo sguardo omicida della McGranitt.
La professoressa li scrutò dagli occhiali rotondi, e quello che disse attraverso gli occhi valse più di poche parole.
Harry non seppe precisamente cosa si fossero dette la McGranitt e la Umbridge, ma, mentre si allontanavano, con Dean che aveva affermato che quasi si stava facendo sotto per la paura, sentì la parola fantocci, e capì con certezza che a pronunciarla era stata la McGranitt, ma che il Rospo si sarebbe vendicato. Solo su di loro. 
Erano stati testimoni della sua ridicolizzazione, e lei non se ne sarebbe mai fatta una ragione.
Il loro piccolo segreto. 
*****
 
Era una notte tempestosa...- disse Ron
Era una notte buia e tempestosa...- ripeté ad alta voce
Era una notte piovosa, terrificante, buia e tempestosa...ma ehi, mi ascoltate, miseriaccia? -  
Ronald Weasley, con la bacchetta puntata sotto il mento, sperava di raccontare una storia dell'orrore, dopo quella che aveva - già - raccontato per ore: l'incontro casuale e sfortunatissimo con la Umbridge. 
L'aveva modificata un po' qua e là, con aggiunte iperboliche e poco credibili, alle quali Dean e Harry non poterono che annuire di volta in volta. Era evidente che i compagni di Casa si sforzassero di crederci. 
Hermione era contrariata e sostava a leggere in un angolo, sbuffando ogni tanto per gli acuti che sfoderava Ron nel momento in cui arrivava alla parte in cui la McGranitt puntava una bacchetta sul petto della Umbridge, minacciandola con una sottile, ma terrificante voce, quasi da Banshee. Comunque, la conclusione era sempre la stessa: la McGranitt aveva sferrato un pugno in pieno volto alla Umbidge e le aveva quasi spaccato il naso. Nel frattempo era arrivato Gazza, che, non importandosene nulla data la sua scarsa rilevanza, aveva erto una scala per affiggere un manifesto riguardo i colloqui per gli aiutanti dell'Inquisitore Supremo. Nel frattempo, la Umbridge aveva malamente spinto la McGranitt, che, tentennando, aveva lanciato un incantesimo. Quest'ultimo, prima aveva colpito la Umbridge, poi la scala di Gazza, ormai precipitato sulla sua gatta. Ai lamenti di Gazza erano seguiti gli insulti della McGranitt, che l'aveva definito idiota senza un briciolo di intelligenza, affetto da un deficit mentale, tanto da non fargli capire di restare lontano da lì, o di intervenire, mostrando per una volta un po' di buonsenso. La Umbridge si era quasi lanciata, ma con disgusto, su Gazza, che era quasi svenuto alla sola vicinanza dell'Inquisitore Supremo di Hogwarts. La McGranitt aveva dichiarato di voler vomitare e si era ritirata nella sue stanze. 
Ron insinuava che ci fosse stato qualcos'altro, dopo. Fra Dolores Umbridge e Gazza, il guardiano stupido di Hogwarts.
- Potrebbero formare una bella coppia, loro. Peccato che questa storia è inverosimile e non fa ridere nemmeno i polli, Ronald.- aveva sussurrato Hermione Granger, contrariata e disgustata dai commenti sulla sua insegnante preferita, la McGranitt. - La professoressa di Trasfigurazioni non si abbasserebbe mai a livelli del genere, ecco. - 
Peccato che tutti stessero ridendo nella Sala Comune.
- Andiamo, Hermione...era uno scherzo - affermò convinto Harry Potter, convinto di risolvere la situazione con una banalità: tanto era uno scherzo, solo una storiella inventata. Eppure conosceva Hermione da tanto tempo, e si chiese come gli fosse uscita una risposta del genere. Una spiegazione così poco intelligente da parte sua.
- Zitto, Harry.- avevano sussurrato all'unisono i gemelli Weasley, ridendo a crepapelle.
Ma, intanto, Hermione Granger si era alzata e stava puntando il dito contro tutti, seduti intorno al tavolo su cui normalmente si facevano i compiti o si leggeva qualche tomo per Piton. Neville Paciock stava facendo rotolare qualcosa sul tavolo, mentre Ron Weasley distoglieva lo sguardo velocemente da Hermione.
- Perdete pure tempo a inventare storielle solo perché credete che ci sia qualcosa di divertente su cui ridere. Qui si tratta della nostra libertà e della nostra capacità di difenderci.-
- Sì, ma Hermione...- 
- Il Ministero si è infilato come un serpente negli affari di Hogwarts.- affermò Hermione orgogliosa - E la Umbridge ne è la prova tangibile.- fece una pausa per respirare, forse perché le sue scorte d'ossigeno erano esaurite - Ora, o vi fingete coraggiosi e dimostrate il vostro spirito Grifondoro, e in ogni caso non servirebbe a nulla, o state zitti, perché tutto quello che è in ballo sono Hogwarts e i nostri professori. Quindi, per il vostro bene, state zitti.- 
Si allontanò recuperando il suo libro e lasciando tutti a bocca aperta. Poi tornò indietro.
- Siete tredici seduti a quel tavolo. - disse con un sorriso ironico. - Buonanotte, ragazzi! - 
Ron Weasley sotterrò la propria testa sotto un libro sul Quidditch, Neville Paciock, visibilmente scosso, aggrottò le sopracciglia e prese a spiegare tutte le possibili cause che precedevano la prematura morte. 
Alla fine si alzò Harry Potter, che, in effetti, abbastanza segnato, si riteneva in grado di poter sfoderare il suo coraggio in fatto di profezie della Cooman. 
- Moriremo tutti. - ululò George Weasley con enfasi.
*****
 
La Gazzetta del Profeta
Novembre 1995

 
Le invettive, ma cos'erano le invettive se non un buon modo di scaricare lo stress e inventare storie dissacratorie e imbarazzanti sulle persone? Scrivere invettive e renderle pubbliche aveva il sapore della vendetta. E del panico. Ma quella era un’altra storia, e per Rita Skeeter era davvero meglio così: in ogni caso, ne sarebbe sempre uscita pulita.
In passato, non erano state pochi giornalisti da strapazzo in erba a coniare nuovi generi letterali da giornalini per gossip.
A Rita Skeeter, invece, piaceva prendersela con le persone, e non era né nella fase dei problemi mensili intrascurabili, né in quella fase in cui tutto va storto e la tua vita fa schifo: Rita Skeeter amava odiare le persone e amava non dare spiegazioni
Generalmente amare chi meritava di essere amato comportava un segreto, per Rita Skeeter: come avrebbe potuto mettere in discussione la sua carriera giornalistica dando spettacolo delle sue avventure sentimentali? 
Non c'era nulla di più odioso o tedioso, e qualsiasi altra parola che per Rita Skeeter facesse rima, che tenere per sé un segreto e fingere ripetutamente. 
A Rita Skeeter era stato detto di tutto, ma ciò era iniziato nel preciso momento in cui aveva iniziato a lavorare per la Gazzetta del Profeta. Come se una persona insopportabile potesse esserlo solamente in piena fase matura, consapevole di sé e pienamente convinta di ciò. Avevano scritto un libro in cui veniva addirittura definita iettatrice, pettegola, estremamente curiosa. Ecco, apparentemente questi sarebbero stati giusti aggettivi da affibbiarle: iettatrice perché dopo un suo articolo molte persone erano emigrate per la vergogna, e si diceva abitassero in Bulgaria, ormai. Pettegola era molto eufemistico, ma allo stesso tempo completamente errato: la civetteria è il risultato di  un rapporto immensamente confidenziale con l'intervistato o la persona su cui si scrive. Rita Skeeter cercava sempre di immedesimarsi: il risultato non era sempre ottimale, ma la gente si accontentava. In fin dei conti cosa c'era di peggio che ricevere lettere intimidatorie  e trovarsi ogni sera a bruciarle, ridendo e bevendo Burrobirra? L'atto di bruciare quelle lettere la eccitava e divertiva tantissimo. 
«Ho letto di peggio.»
Che effettivamente equivaleva a «Razza di idioti, la vostra sintassi fa schifo anche quando scrivete una lettera di lamentela.»
Inutile aggiungere che la figura di Rita Skeeter - così come appariva - era immensamente e tristemente falsa. Tranne la grande quantità di epiteti che le erano stati affibbiati, il resto era da mettere da parte. Tutti hanno un'immagine pubblica, ma tutti ne hanno anche una privata, e puntualmente le persone si sforzano di non capire. Immagine pubblica e privata sono due sfere agli antipodi, ed entrambe si muovono in due piani, appunto, completamente opposti.
Era il kitsch* del Mondo Magico, quel kitsch che dal Mondo Magico aveva cancellato tutto ciò che all'esistenza di un Mago sarebbe parso inaccettabile. Nel regno del kitsch tutto deve essere colto da assoluta serietà: l'ironia non è ben accetta, quali persone come la Skeeter.
Il vero antagonista del kitsch totalitario è la giornalista che pone delle domande. 
Aveva bisogno di uscirne, da tutto e da tutti. Dalle colleghe gelose, le nottate insonni, l'ispirazione, le voci di corridoio, gli articoli censurati, i cliché, il capo redattore matto.
Caesar McFleet, il capo redazione, le aveva  intimato di farsi una vacanza e riposare gli ingranaggi del cervello. Era un uomo barbuto, imponente e dall'aspetto poco gradevole. Aveva due occhi grandi come palle da tennis, marroni, e una vocina stranamente sottile.
Capelli neri sempre legati a un codino, e una risata mostruosa. Come se poi quella fosse l’unica caratteristica da notare in una persona.
Vestiva sempre allo stesso modo: pantaloni a fantasia scozzese, golfini blu e uno strano cappello che non cambiava da circa un decennio. Era però un uomo saggio, schietto, anzi, troppo schietto. 
Rita Skeeter aveva sempre fatto il verso a quell'uomo, fin da quando aveva sostenuto il colloquio per iniziare a lavorare alla Gazzetta. 
Era stato convenzionale, quel provino: Caesar era stato compagno di Casa di Rita, e si conoscevano da circa vent'anni. Ma, in ogni caso, avrebbe superato il colloquio anche in presenza del Ministro dell Magia.
- Caesar - aveva sibilato la Skeeter - per caso ti pare che abbia problemi mentali, che stia diventando bacata come Silente? -
- Non a quel livello, ma sembri, ecco, molto nervosa. - precisò il caporedattore fissandola attentamente. Nel suo sguardo c'era interesse: se c'era un amico con cui Rita si sarebbe aperta in ogni caso, e in quel tempo, quello era Caesar.  
- E questo significa che, riposandomi, magari prendendo dei tranquillanti, imbottendomi di infusi di quegli idioti del San Mungo...-
McFleet la guardò esasperato, sbuffando sonoramente e poggiandole la mano sulla spalla.
- Vedi! Hai bisogno di una vacanza, e anche di tranquillanti. Ascolta, è un consiglio da amico: stacca la spina. - 
- Io non accetto consigli e tu lo sai benissimo.- rispose alterata la Skeeter, attraversando a grandi passi l'ufficio di McFleet. 
- Agisco come più credo necessario, secondo le mie personali riflessioni. - concluse pienamente soddisfatta.
- Lo so, ormai ci conosciamo, no? Credi che non abbia capito quello che ti sta accadendo di nuovo?- continuò il caporedattore.
- Sì: stress a causa di troppo lavoro. Se ricordi bene l'anno scorso mi hai mandata nel Dorset con la Wilson, perché credevi avessi bisogno di un nuovo posto per scrivere. Bleah - esclamò convinta Rita - Io sto benissimo. Diciamo che il muschio, la costa e il clima umido non mi hanno aiutata a ritrovare l'ispirazione. Hanno rafforzato la potenza delle mie imprecazioni, questo sì.-
- E tutte quelle metafore che ultimamente hai aggiunto negli articoli...quelle strane similitudini. Non è da te. Forse ti serve ritornare alle origini. -  proferì stranito Caesar McFleet.
- Non so di cosa tu stia parlando. Poi avresti potuto benissimo falciarle, quelle metafore, dato che le bozze passano al tuo vaglio. O stai semplicemente cercando una motivazione abbastanza plausibile e molto prosaica per togliermi di mezzo?- concluse con una voce sottile la Skeeter, iniziando a limarsi le unghie laccate e accomodandosi sulla poltroncina in pelle rossa, di fronte alla scrivania di Caesar.
- C'è qualcosa che dovresti dirmi, Rita?- le chiese gentile Caesar
- Niente che non riguardi la mia sanità mentale. Magari sei tu che dovresti dirmi qualcosa. - affermò convinta 
- Per quello c'è il tuo peccato di vanità- sottolineò ridendo il caporedattore.
- Oh, già. Avevo trascurato questo piccolissimo e insignificante dettaglio - concluse stizzita.
Aggiunse, prendendo in mano una cornice: - Tua figlia è cresciuta, Caesar. Un giorno di questi verrò a trovarvi - 
- Magari potrei insegnarle qualche, uhm, trucchetto del mestiere - disse Rita, ormai palesemente in ansia.
Si avviò verso l'uscita, esasperata, con Caesar che le intimava alle spalle di sedersi e darsi una calmata.
- Considerati teoricamente in pausa per due settimane! - gridò di rimando McFleet, allungandosi sulla scrivania.
- Due settimane? - esclamò basita la Skeeter - mi stai per caso prendendo in giro? -
- No. Due settimane tutte da dedicare tutte a te stessa -
- Al giornalismo e a me stessa e la mia Piuma, se intendevi questo.- ringhiò torva la giornalista
- Oh beh, mettila come vuoi! Cosa vuoi che dica per giustificare le due settimane? Periodo di pausa o...?-
- Dì pure che ho una crisi di nervi e che sono estremamente arrabbiata con il Mondo Magico.- concluse lei sbattendo la porta. La cornice appesa dietro alla porta in mogano vibrò, dondolando mostruosamente. Improvvisamente la maniglia scattò.  
- Ritornerò camminando sulle acque paludose per non macchiarmi i vestiti. Non mi è mai piaciuto smacchiarli. Che ti stia bene a mente, Caesar.-

*****

«Rita Skeeter e le crisi nervose: cadono gli asteroidi.»

- E invece qui piovono maledizioni - sussurrò Rita Skeeter sfogliando la Gazzetta del Profeta. 
Ovviamente McFleet aveva dovuto scrivere qualcosa di grosso per attirare tutta l'attenzione su Rita, cosa che lei estremamente odiava. E tutto contrariamente a quanto i maghi pensassero di lei. Come aveva potuto prendere sul serio la sua ultima affermazione?
Apparire una pazza da ricovero era uno dei suoi ultimi obiettivi della giornata. Era in vacanza. 
Per molte persone la parola vacanza era sinonimo di riposo. Per Rita Skeeter, la parola vacanza era sinonimo di fare quello che non poteva normalmente svolgere quando lavorava o rompeva l'anima al suo aiutante personale, Jhon Weathers. 
E aveva anche perso l'ispirazione, come se questo non bastasse a minare la sua sanità mentale già molto precaria. In questo caso, sarebbe andata nella sua stanza da tè, quella che usava per calmarsi e imbottirsi di tisane o bere Succo di Zucca. C’erano tutti i ricordi della sua famiglia, tutti i libri di suo nonno e tutti i cappelli che la nonna Valerie le portava dal Dorset. Valerie Littlemore in Skeeter, secondo Rita, era una donna talmente stupida da evidenziare la sua ottusità mentale con l’abbigliamento e i cappelli stravaganti che non le donavano per nulla. Indossava sempre scarpe rosa shocking, un rossetto violaceo e uno strano fiocchetto annodato al petto. La sua voce era irritante quanto al rumore di due gatti che si acciuffano. La maggior parte delle volte la nonna tornava per lamentarsi di quanto fosse disgustoso il porridge che le preparava la sua cameriera. Puntualmente tutti erano costretti a sorbirsi inutili chiacchiere, il tempo scorreva e Rita aveva materiale su cui scrivere. Sua nonna era il prototipo di persona da non incontrare e da cui tenersi alla larga: un marito, Dominic, che l’aveva ripetutamente tradita senza che lei se ne accorgesse minimamente. E tutto ciò era durato per ben venti anni. Finché lei non aveva aperto gli occhi e deciso di ingaggiare alcuni aguzzini – lei amava chiamarli scagnozzi – che facessero il lavoro sporco per lei. Quei due idioti, come il suo assistente John Weathers, non avevano combinato nulla di buono. Non erano riusciti a fargli nemmeno un graffietto. Ed erano anche maghi. 
Comunque, alla fine era morto per soffocamento, e tutti avevano vissuto felici e contenti, proprio come in una storia a lieto fine. 
A undici anni, Rita Skeeter aveva – già – quasi scritto un romanzo: “Ti odierò fino a…soffocarti”. E si era anche premurata di aggiungere i diritti, l’ispirazione a fatti realmente accaduti e a personaggi realmente bacati. Gli unici esclusi era stati sua madre Roxanne e suo padre Luke, informati dei fatti, ma volontariamente indifferenti. Non c’era nulla da fare se non aspettare la morte della nonna, seppellirla e sperare che avesse almeno lasciato in patrimonio tutti i suoi averi alla famiglia. Era vero che i momenti più belli con una donna sono quelli in cui la si sposa e in cui la si seppellisce, sussurrava Rita. La dignità, ma cos’era la dignità se un buon modo per ripulirsi dalle proprie cristallizzate e apparentemente sbagliate convinzioni solo per accontentare gli altri? È ingiusto e palesemente immorale. Dovrebbe esserci una legge morale valida per tutti e relativa al proprio carattere.
Intanto la nonna le aveva lasciato dei cappelli che lei odiava, e il resto dell’eredità era andata completamente persa quando, all’apertura del testamento magico, tutto era stato lasciato ai suoi gatti. 
Odiosa. 
Molto simile a Dolores Umdridge, pensava Rita, quasi da spingerla a ritornare in Dorset e riconquistare l’ispirazione perduta nel cottage sulla costa dei suoi genitori. Poi ripensò al clima umido, al freddo e a quel cottage che, palesemente, odiava con tutta se stessa. 
Ripensò che forse avrebbe potuto riguardarselo in cartolina, e affondò, con un gesto estremamente lento, la bustina di tè nell’acqua appena bollita. Guardò con fare circospetto il piccolo mulinello che aveva appena causato girando velocemente il cucchiaino argentato nella sua tazza preferita, e si dedicò al resto della sua abbondante colazione bruciando lettere di lamentela e spedendo il suo gufo preferito, Reef, a Caesar McFleet. Forse aveva trovato il modo di ritrovare l’ispirazione. 
E di rovinare qualcuno per sempre. 
D’altronde, Rita Skeeter non aveva mai avuto problemi a indossare i cappelli della nonna e le scarpe della madre. Magari a passarsi lentamente sulle labbra il rossetto rosso e osservare la sua immagine riflessa allo specchio per ore intere. 
Ma Rita Skeeter, all’età di undici anni, conosceva leggende e storie di famiglia che avrebbero fatto raccapricciare persino l’uomo o il ragazzo più temerario.
Peccato che Dolores Umbridge, l’adorata inviata di Caramell a Hogwarts, di bello non avesse proprio nulla. 
Il corpo di un rospo e un’anima nera erano decisamente troppo anche per Rita Skeeter.
Sapeva con precisione che stavano cercando di farla fuori, di fare fuori la sua carriera giornalistica. 
Era quasi sul punto di lasciare quei pensieri ai suoi ultimi problemi giornalieri, giusto per assaporare l'improvviso silenzio causato dalla sua scoperta, che un gufo si appostò sul davanzale della finestra, nella sala attigua. 
Rita Skeeter si alzò lentamente, sperando fosse Reef di ritorno. Ma la civetta che le si presentò avanti gli occhi era di un color giallo pallido, con gli occhietti acuti e le zampe affilate. Non era Reef. 
Sfilò lentamente il biglietto accuratamente legato a un fiocco beige. Lo aprì e lo fissò abbassando gli occhiali sul naso.
Posso eliminare tutti i tuoi articoli degli ultimi venti anni. Ma soprattutto, posso eliminare te.
La vendetta va servita su un piatto freddo.
 
Quelle parole le risuonarono nella mente e si chiese cosa avessero potuto innescare i suoi ultimi articoli.
In fin dei conti, non le era mai importato niente. Ma che, qualcuno volesse addirittura eliminarla - che equivaleva al massimo spedirla in esilio - era macabro di per sé. 
Avrebbe dovuto solo aspettare.
Infilò il biglietto nel suo taccuino e versò nel lavandino il tè che non aveva nemmeno bevuto. E il tutto con una smorfia contrariata. 
Adottò una delle tecniche che utilizzava da sempre. «Respira, Rita. Respira» sussurrò a se stessa portando le mani a mo di preghiera.
Si sedette sulla sedia in mogano nel suo ufficio e pensò a come avrebbe dovuto sfruttare le due settimane successive. 
«Oh, al diavolo. L'ho sempre pensato che - prima o poi - qualcuno avrebbe provato a scannarmi sul serio» 
*****
 
Ronald Weasley stava giusto aprendo la Gazzetta del Profeta mentre gustava un buonissimo Succo di Zucca, muovendo ritmicamente tutte e cinque le dita della mano sul tavolo. Harry Potter, invece, probabilmente annoiato, guardava assorto il cielo finto di Hogwarts, e, a intervalli regolari, tagliuzzava il bacon che gli era rimasto nel piatto con fare maldestro. Un fitto chiacchiericcio, come sempre, aveva invaso la Sala Grande, e Ginny Weasley non poté che fare spallucce alla richiesta interrogativa di Hermione Granger, che la guardava con le sopracciglia inarcate. Hermione chiuse il libro di Storia e Magia così rumorosamente da far saltare in aria Harry Potter, forse appena sveglio dopo un lungo sogno, e si voltò dall'altro lato della Sala, in cui il tavolo dei Serpeverde sembrava in subbuglio.
Troppo eccitato, sovraccarico. Felice? 
- Ma che diamine...- sussurrò contrariata sospirando rumorosamente. 
Hermione si girò con gli occhi chiusi a due fessure impenetrabili. Probabilmente gli ingranaggi del suo cervello avevano già aperto i cassetti dei ricordi e trovato una risposta tanto ragionevole da giustificare il clima deprimente che caratterizzava ogni Casa da tre mesi, eccetto quella dei Serpeverde.
- Ti hanno fatto un lavaggio del cervello, Harry? - fresca e pungente, la vocina di Ginny Weasley sovrastò il tintinnio delle dita di Ron Weasley, visibilmente occupato nella sua lettura. 
Harry si sistemo gli occhiali sul naso e sospirò affranto, infilzando con un coltello argenteo una lucente mela verde.
- No, sono solo stanco, tutto qui - concluse amareggiato, facendo spallucce.
Ginny prese una ciocca di capelli e se la lisciò con le dita, per poi portare le mani sotto il mento alzando gli occhi al cielo prima divertita, poi scocciata. 
- E nervoso - puntualizzò sconcertata girandosi verso Hermione Granger e dando inizio a una conversazione poco interessante sulla strana aria che tirava a Hogwarts. La Granger iniziò a specificare che sicuramente - senza ombra di dubbio - si trattava dei nuovi Decreti Didattici e le nuove misure imposte dal Ministero, non da Hogwarts. Poi, con aria sconcertata, ritornò a leggere il suo tomo, scaricando Ginny Weasley sul più bello della conversazione. Era da lei, il voler avere sempre l'ultima parola e troncare all'improvviso discussioni che, pur non verbalmente concluse, erano maledettamente ragionevoli e inquietanti. 
Hermione guardò interessata Ron, aspettando che lui le rivolgesse attenzione. O meglio, perché era strano vedere Ron assorto in qualcosa che non fosse il Quidditch, una partita a Scacchi magici o il cibo. O lei. Ma questo era un altro capitolo della storia.
- Miseriaccia.- intonò sconvolto il ragazzo, cercando la forchetta e ficcandosi in bocca metà toast imburrato. Masticò rumorosamente strozzandosi con il pane tostato. Ginny si voltò sconvolta, Seamus Finnigan e Neville Paciock lo guardavano interrogativi. 
Hermione Granger inarcò un sopracciglio e gli sorrise affabile, facendogli dare da Dennis Canon dei colpetti sulla schiena. 
- Dai, Ron. Cosa c'è di tanto grave? - domandò indispettita, probabilmente pentita dal fatto di non aver ancora letto la Gazzetta del Profeta.
- Qui...qui - tossicchiò recuperando la voce - qui dice che Rita Skeeter si è auto licenziata - concluse sconvolto. 
- Beh - precisò Hermione - è tu saresti voluto morire soffocato per una giornalista che nei due anni passati ci ha, ecco, praticamente quasi rovinati? - proferì quasi stridula. 
Un mormorio di alzò dal tavolo, probabilmente perché tutti erano all'ascolto. Lavanda Brown iniziò a prendere appunti per il suo giornalino, The Sunday, praticamente allungandosi sul tavolo per ascoltare la conversazione. Lavanda Brown era una strana ragazza: si alternava in momenti di puro interesse, anche buon intuito, a momenti in cui nutriva uno sciocco interesse per futili eventi. 
Aveva delle buone doti giornalistiche, peccato fossero incentrate tutte sul gossip, le voci di corridoio e vari catastrofi sentimentali predette da Sibilla Cooman. Capelli castano chiaro lunghi, mossi e crespi; due occhietti vispi, un accenno di lentiggini sul naso e delle labbra piccole e rosee. Tra i capelli portava sempre un cerchietto rosa shocking, e, agghindata com'era, non aveva fatto altro che scatenare l'impazienza sia della McGranitt che della Umbridge, probabilmente offesa nel proprio. In effetti, ne avevano di accessori in comune Lavanda e Dolores Umbridge. La Brown però odiava i gatti e i ritratti, quindi non c'era nessun tipo di presupposto per diventare amiche per la pelle. In effetti, l'amica per la pelle e la giornalista in erba era Calì Patil. Padma Patil, Corvonero, si occupava della grafica della copertina. Aveva davvero grandi doti nel disegno, e, una volta, con fare divertito, aveva confessato a Harry di sapere cosa fossero i fumetti babbani, e che le sarebbe piaciuto crearne una linea per il Mondo Magico. Magari con la sorella e la redazione del vecchio giornale. 
Il The Sunday non era un giornalino da niente, di quelli che magari il giorno dopo non ne sa più niente nessuno. La fondatrice ufficiale era stata Lavanda Brown, sicuramente ispirata dalla Cooman, che ogni tanto le dispensava predizioni per ogni studente. La copertina cambiava ogni settimana, ma il giornalino, come le aveva consigliato con voce annoiata e poco interessata Hermione Granger, avrebbe dovuto essere visibile solamente a chi si fosse precedentemente iscritto. Valeva a dire: a chi desiderasse riceverne una copia. 
Con la Umbridge, si erano inventate un modo di rendere completamente tabula rasa la rivista: le copie arrivavano in bianco, tramite i gufi di Hogwarts, ogni Domenica. Solamente conoscendo la parola chiave lo scritto si sarebbe completamente rivelato al lettore, e questa parola, in teoria, avrebbe dovuto cambiare per ogni loro cliente tramite un codice di identificazione. Di questo, ovviamente, se ne occupava Stewart Ackerley, un ragazzo Corvonero molto abile con spionaggio e varie, come far passare involontariamente delle Caccabombe nell'ufficio di Gazza, o intaccare completamente il sistema di invio e arrivo delle lettere e pacchi settimanali a Hogwarts. Hermione lo conosceva benissimo, tanto da prendersi il disturbo di chiedergli l'ispirazione per un titolo così deprimente: Stewart aveva risposto che Lavanda aveva deciso di dargli un'aria seria - come d'altronde lei voleva - e che il titolo che aveva in mente, Hogwarts' rumors, fosse troppo patetico per una rivista di quella portata. 
Da allora, Hermione Granger non aveva avuto più nulla da dire, perché sapeva che - prima o poi - Lavanda si sarebbe fatta fuori con le sue stesse mani. Non poteva un titolo dare un senso a ciò che scrivevano. Da quel momento, con l'aria più falsa, ma disponibile, aveva iniziato a partecipare all'unico movimento geniale contro la Umbridge non ideato da lei stessa: il The Sunday.
Correggeva solamente delle bozze. Dava dei consigli sulla grafica e sui vari anagrammi nel caso fosse venuto tutto a galla.
- Senti, Ron, c'è scritto precisamente che si è licenziata? - intervenne Ginny Weasley con una vocina curiosa. 
- Precisamente no. Ma c'è scritto che la sua rubrica è sospesa per due settimane...e questo vuol dire che c'è aria di Ministero, no, Harry?  - Ron cercò l'appoggio di Harry, completamente estraneo alla conversazione.
- Harry? - lo richiamò Hermione - Harry, stai bene? - 
- Sì, certo. A gonfie vele. - 
Lavanda Brown annunciò stridula la sua nuova opera. 
- Stavo pensando, Harry...ti andrebbe di fare il dannato per noi? - 
Dennis Canon si agitò vistosamente sulla panca. 
- Già lo è visibilmente dannato - puntualizzò Hermione Granger. - E comunque, varrebbe a dire...?-
- Un'intervista, sciocchina! - esclamò Lavanda Brown.
Hermione si alzò dal tavolo senza salutare nessuno. Dean Thomas grugnì rumorosamente, sorseggiando il caffè ormai freddo. 
- No, Lavanda...io non credo sia una buona idea. - 
- Io sì, invece! - esclamò Ron rosso in viso - sarebbe un modo per far conoscere a tutti la verità: la Umbridge, Chi - sai - tu e tutto quello che ti tormenta! - 
- Ron, tormenta tutti noi. - puntualizzò stizzita Ginny Weasley.
- Beh, è la stessa cosa. Allora, Harry? - 
- Io punterei più in alto. - affermò con decisione il Ragazzo Sopravvissuto, sorridendo deciso a Lavanda. - Mi dispiace davvero! - 
Dai un'idea a Harry Potter è lui la trasformerà in un incubo.
Lavanda Brown borbottò qualcosa e tornò a parlare di acconciature, come se nulla fosse accaduto. Dai a Lavanda Brown una spilla è la trasformerà in un coltello. Magari il The Sunday sarebbe diventato, prima o poi, il The bloody Sunday.
*****
Hogwarts, 
 proprio un mese prima
 
- Harry, devi prestarmi il tuo mantello - intonò Hermione  Granger con una vocina sottilissima.
- Cosa? - 
Gli occhiali avevano raggiunto una posizione incrinata sul naso, e lui, prontamente e in modo molto impacciato, li rimise in riga. Sorrise affabile e rispose come Hermione sapeva avrebbe risposto. 
- Oh, andiamo, Harry - 
- Ma che fine ha fatto Hermione Granger? - 
- Ti fidi di me, Harry? - 
- Certo che mi fido di te -
- Allora evita di fare l'imbecille e prestami il mantello - 
- Voglio prima sapere! - esclamò Harry mantenendo salda la presa al polso della ragazza. 
- Senti, Harry...tu fa' solamente in modo di farmelo avere prima di cena. Ho un'idea - 
- Devo preoccuparmi? - sussultò Harry allentando la presa.
- So cavarmela da sola, Harry. Lo sai benissimo - 
- Bene. Posso in qualche modo aiutarti? - 
- Sì - proferì Hermione - tu e Ron aspettatemi in Sala Comune. Fa' in modo che vadano tutti a letto. - 
- Solamente aspettare! Perché? - 
- Sei acuto, Harry! Se mi vedessero uscire all'una di notte che penserebbero? - 
- Oh, sì...giusto - sussurrò Harry dandosi un colpetto sulla fronte. 
- Bene allora. Bene - Hermione Granger sparì dietro la porta. 
Non date a Harry Potter la possibilità di comportarsi da eroe, e diventerà fastidioso come non mai.
Il lato oscuro di Hermione Granger era la sua innata capacità di prevedere possibili catastrofi future prima che esse potessero mostrare anche solo un lato della moneta. Forse era questo uno dei motivi principali per cui odiava Divinazione. 
Non c'è c'è nulla di sicuro nel prevedere qualcosa, c'è solamente la cosapevolezza che si avveri ciò che desideriamo. E quella non è razionalità, è il riflesso della fiamma di una candela sul tavolo, è la speranza più nera. 
Quando non si ha nulla da prevedere, non ci si premura di dare una risposta. Quando non si ha nulla da pianificare, si entra nel panico più totale.
L'arte di non improvvisare.
Dai a Hermione Granger uno spunto, e lo trasformerà in un perfetto piano omicida.
Giusto. Le sembrava giusto. 
Le speranze si annidano sempre sulle aspettative deportate nei cassetti della memoria.
Completamente fatte a pezzi.
Hermione Granger non aveva mai attraversato i corridoi di Hogwarts da sola. Di notte. Le fiamme delle eleganti torce proiettavano immagini indefinite sulle pareti fredde e, nonostante fosse nascosta, fosse effettivamente invisibile sotto il mantello, temeva che i personaggi dei quadri potessero percepire la sua presenza. Una volta aveva letto che Hogwarts era piena di quadri proprio per questo motivo. Ma tutti gli uomini, le donne, i bambini o gli anziani raffigurati erano così distratti che si sarebbero destati solo se una luce fosse stata proiettata nei loro occhi. Le uniche eccezioni erano la Signora Grassa e Madama Violet, sempre a ubriacarsi con botti di vino andate a male. 
Sospirò impercettibilmente scacciando quel fastidioso pensiero e sentì il russare dei personaggi: una dama dai capelli lunghi e rossi dormiva appollaiata su un pianoforte e il suo leggero respiro le faceva ondeggiare i capelli; in una lunga tavolata si erano riuniti più personaggi di vari quadri che stavano ancora sorseggiando boccali di Idromele, Burrobirra e Whisky Incendiario, canticchiando una vecchia canzone di cui Hermione conosceva solamente il motivetto. Alcuni erano addormentati, altri giocavano a Carte Magiche grazie alla luce di una lanterna. Continuò a procedere a passo svelto, superando il quadro dei Monaci Ubriachi, ora dormienti, ma con ancora tra le mani grosse pinte di bevande, e si rassicurò constatando di trovarsi proprio di fronte all'alula di Incantesimi. In fondo al corridoio c'era la Biblioteca. Hermione esitò. Mantenne salda la presa della lanterna sotto il mantello e alzò di poco la fiammetta grazie ad una leva d'ottone. Se tra i corridoi c'erano ancora alcuni quadri illuminati grazie al fatto che i personaggi fossero svegli a divertirsi nelle locande, in Biblioteca Hermione avrebbe incontrato muri neri. Il buio più totale. L'unica luce era quella proiettata dai raggi della luna, ma in quel caso, sarebbe dovuta andare nell'ala dedicata a Trasfigurazioni, dove c'era la sua postazione attigua alla grande finestra.
Il Reparto Proibito.
Poi pensò al vero motivo per cui si trovava lì e fece lentamente ingresso nella prima sala, da cui si ramificavano stretti e lunghi corridoi pieni di scaffalate di libri antichissimi. La sezione Proibita si trovava al limitare della Biblioteca, proprio come le aveva detto con precisione Harry, ignorando il fatto che lei conoscesse le planimetrie di Hogwarts. A memoria.
Hermione non era mai stata in quella sezione. Quando tre anni prima aveva ottenuto il permesso dal Professore Allock, aveva praticamente portato un biglietto a una Madama Pince esterrefatta dal nome del libro in questione. Lei aveva aspettato impaziente di avere quel tomo tra le mani. Ed era lo stesso libro che cercava dopo tre anni. 
Rimpianse di non aver letto le note aggiuntive al tempo. Non era da lei. Semplicemente, si era attenuta agli ingredienti e alla preparazione della Pozione Polisucco.
Si chiese infastidita perché, il 9 Novembre 1992, il girono dopo la pietrificazione di Colin Canon, non si fosse presa qualche ora per leggerle. Ma Piton aveva semplicemente aggiunto, in una lezione, che la lente d'ingrandimento dei libri di pozione non è mai leggere le note aggiuntive - quasi sempre presenti nei libri di Magia Oscura, e dunque estranei ai poveri alunni - ma crearsele da sé.
Hermione l'aveva preso alla lettera, e supponeva, leggendo la prima nota, che si trattasse solamente dei possibili effetti collaterali della pozione stessa. 
«De Potentissimis Potionibus», sussurrò facendo scorrere il dito sulla scaffalata prescelta grazie allo schedario, aperto facilmente con un Alohomora. Si chiese perché le fosse riuscito così facile aprire la cassetta scorrevole di ferro, rintanata in un angolo e illuminata da un flebile raggio di luna - proveniente dall'aula attigua, quella dove lei normalmente studiava ignara Trasfigurazioni - che si rifletteva pacato sulla superficie arrugginita: quando si pensa che nessuno mai oserà trasgredire una regola del genere, le misure di precauzione, come in quel caso, erano facilmente valicabili. E, a Hogwarts, fino a quel momento, le misure di sicurezza si diceva fossero invalicabili.
Scacciò di nuovo pensieri che le avrebbero fatto cambiare idea e tirò fuori - a fatica - il libro dallo scaffale. Senza togliere il mantello di dosso, cercò di creare una sorta di rifugio che le permettesse di leggere tranquillamente.
Poggiò la lanterna a pochi centimetri e fece scorrere il dito sull'indice del tomo. Il viso di Hermione, illuminato dalla flebile fiamma, si contorse in un'espressione corrucciata quando si aprì davanti i suoi occhi la preparazione della Polisucco. Saltò qualche pagina, ricordandosi di conoscerle tutte a memoria, e raggiunse velocemente una pagina più ingiallita delle altre. Leggeri ghirigori marroni formavano una sorta di cornice che doveva essere stata color dell'oro, e linee irregolari separavano le note aggiuntive alla Polisucco**. 
Effetti collaterali.
Mal funzionamento della Pozione.
Erronea preparazione.
Prolungamento della trasformazione.
Hermione chiuse gli occhi scocciata, prima di intravedere una piccola nota, scritta a caratteri piccolissimi. 
"Normalmente, la preparazione della Pozione Polisucco richiede - per fermentare completamente - l'aggiunta di un oggetto appartenente alla persona in cui ci si vuole trasformare. Si consiglia, nuovamente, un capello o un unghia della suddetta. Se la Pozione è preparata da un professionista ad usi puramente scolastici, ciò vuol dire che non c'è stata l'aggiunta di capelli, unghie o oggetti appartenenti a una persona. In altri casi, di animali."
[...] La pozione produrrà delle bollicine e formerà una sottile patina biancastra - che andrà via in pochi giorni - allora potrà fermentare nuovamente per una settimana ed essere poi utilizzata a scopi privati. Sarà infatti utilizzabile - in atto - per più di un'ora, così com'è di norma nelle normali preparazioni. 
Si consiglia di far fermentare la Pozione Polisucco in ambienti umidicci. La patina bianca, se formata, potrà causare altri effetti, tra cui scoppio del calderone o della provetta in cui si trova; può diventare della consistenza di un budino o evaporare completamente. Ma anche mutazioni fisiche, quali brufoli, acne acuta, macchie violacee, pustole scoppiettanti; mutilazioni non permanenti: la mal ricrescita di un orecchio, di un dito, del naso.[...]
Hermione sorrise affabile e ricopiò su un taccuino alcuni appunti per poi riposare accuratamente il libro nello scaffale.
Ancora eccitata, si sistemò il Mantello e uscì dalla Biblioteca. Guardò l'orologio da taschino e si rese conto dell'ora tarda: l'una e mezza. Sbadigliò assonnata. Forse quello era in piano perfetto.

 
*****

Hermione Granger era una di quelle solite, diffuse, pignole, persone che desiderano avere morbosamente tutto sotto controllo. 
La prima volta che la Granger aveva avvertito la pungente necessità di un'agenda Babbana era stato quando le si erano accavallate tutte le lezioni, e lei, da diligente studentessa, non si era - nemmeno l'inferno avesse gelato o Silente avesse rinunciato all'insana e del tutto anomala passione per il sorbetto a limone - tirata fuori dagli innumerevoli gruppi in cui si era ficcata dentro con un tuffo a pesce. Era la migliore, sì. Era la migliore amica di Harry Potter e Ronald Weasley, un secondo sì. Ma era stranamente ossessionata dal partecipare a tutto e bene, perché doveva essere sempre proiettata in relazione a qualcosa che non si era ancora - stranamente - materializzato tra le sue mani. Effettivamente, Hermione Granger riusciva sempre e in ogni caso a salvarsi da situazioni disastrate e fallimentari...causate dalla sua mania pseudo compulsiva. E Harry Potter era ancora troppo bacato e infatuato per capirlo. E Ron Weasley, oh, sì, l'aveva capito da un pezzo, ma lui era innamorato di Hermione Granger. Non si sarebbe mai permesso di accusarla di essere la principale causa del suo stesso stress.
Della sua pazzia.

- E così, stavo pensando, mentre studiavo...-
- Hermione, vieni al punto. - 
- Stavo pensando di rifondare il Club dei Duellanti. Nella Stanza delle Necessità, no? -
- Il Club dei Duellanti? –
- Esattamente, Ronald. - 
- Il Club dei Duellanti, il Club dei Duellanti...-
- Ripeterlo all'infinito non ti renderà più intelligente, amico.- sottolineò ironico Ron 
- Piantatela voi due. Ci serve Rita, Rita Skeeter. -
- Hermione! Ma...ma questa è una follia!- 
- Allora moriremo tutti...metaforicamente parlando.-
- Miseriaccia.- 
- Questa è quella che i poeti Babbani chiamerebbero endiadi.- sottolineò la Granger - Circa due piccioni con una fava.-
Ronald Weasley sprofondò tra i cuscini. 
**********


La storia è comunque già plottata, spero di aggiornare il più presto possibile, anche perché domani partirò, ma starò via massimo una settimana. E spero anche che siate arrivati fino alle note aggiuntive. ^_^'  Qualsiasi cosa, questa è la mia pagina d'autore. Per obbrobri vari, pensieri, considerazioni sono lì. As you want. Oppure se siete soliti lasciare recensioni, i cosiddetti feedback alla english, sarei onorata di sapere che questa "cosa" possiede un filo logico.
P.S. Abuso fortemente del corsivo. MexCorsivo è una sorta di rapporto. Uno ship compulsivo. Amo anche il fangirling. Qualora vi andasse di fangirlare su Rita Skeeter sono sulla mia pagina d'autore.  
 
* Quello del Kitsh è un concetto che mi piace moltissimo ed è tratto, in pratica, dall'ideologia di Milan Kundera. In particolare, è espresso molto chiaramente nella parte finale dell'Insostenibile leggerezza dell'essere. È un capolavoro della letteratura, a mio parere. Sia il kitsch che censura l'ironia, il sarcasmo; sia il Kitsch totalitario, che è riferito molto di più alla società, ai mass media.
** La Pozione Polisucco, per esigenze narrative, è stata giusto un po' mutata nei suoi effetti. La preparazione rimane la stessa, ma è stato prolungato l'effetto temporale.
*** (questa è una nota aggiuntiva, non è segnalata nel capitolo) Il titolo del capitolo - un po' anomalo -  mi è stato ispirato da una vecchia intervista fatta ad Indro Montanelli che stavo guardando pochi giorni fa. Praticamente, prima di rispondere ad una domanda, fa riferimento all'endiadi, che è una figura retorica. Sarebbe l'esprimere un concetto unico mediante due parole. Sarebbe meglio dire che il suo genio mi abbia ispirata!
**** (//) Harry, solo per informazione e per evitare disguidi, è già a conoscenza di ciò che scopriamo verso la fine dell'Ordine della Fenice, cioè che la Profezia può essere ascoltata solo dal diretto interessato.
***** (//) Tra la parte iniziale  (prologo e primi paragrafi) c'è un evidente differenza di stile con gli ultimi, poichè questa storia è stata plotatta anni fa, e mi decido solo ora a darle "forma". Per esigenze di tempo e ispirazione mi ritrovo a pubblicarla solo ora, grazie al supporto di Severa <3. Leggetela, perché è fantastica e scrive cose bellissime sulla Old generation, sui Lestrange, su tutto ciò che amo. Soprattutto su Rita Skeeter.
 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Stateless