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Autore: hiccup    06/07/2014    1 recensioni
"Sebastian Smythe amava il suo lavoro nonostante ci fossero sempre quei giorni che sembravano non voler finire mai e le sue ore parevano dilatarsi all’infinito, facendogli profondamente agognare il momento nel quale sarebbe tornato a casa e avrebbe potuto buttarsi letteralmente sul letto con i vestiti e dormire senza preoccupazioni o pensieri per tutta la giornata successiva."
Quando Sebastian è un avvenente ed affascinante bagnino e Blaine un fratello ansiogeno che porta la sorellina in piscina.
[Seblaine Week - Day 1: Alternative Meeting.]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Sebastian Smythe | Coppie: Blaine/Sebastian
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Autore: hiccup
Titolo: Hear my heart burst again.
Personaggi: Blaine Anderson; Sebastian Smythe
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale.
Rating: Arancione
Avvertimenti: Slash, AU!
Parole: 6500 +
Note: Uhm, okay, dunque, da dove possono cominciare queste note?
Questa è la prima fanfiction per il primo giorno della Seblaine Week di quest’anno, il prompt di oggi è Alternative Meeting; sì, sono mesi interi che non scrivo più niente su Blaine e Sebastian, ma è perché ho abbandonato il fandom da un po’ di tempo. E sì, sono tornata comunque per scrivere qualcosa anche quest’anno sulla Seblaine Week perché, dopotutto, a Sebastian e a Blaine sono affezionata e rimarranno sempre un po’ i miei Seblaine personali. Quindi ho pensato di provare a partecipare alla Seblaine Week (sto ripetendo Seblaine Week a caso, scusate, meh) anche questa volta – anche se non ho la più pallida idea di che cosa e se scriverò domani e gli altri giorni, e se mai arriverò a finirla, questa serie di storie Seblaine – anche perché avevo questa storia (quella che si spera leggerete e si spera non vi farà morire di orrore) salvata in una cartella da tanto tempo (uhm file creato il 7 dicembre 2012) ed è qualcosa che mi piaceva concludere; l’idea della storia era mia e di un’amica e l’avevamo partorita in piscina; avevo iniziato a scriverla abbastanza con voglia di fare e qualche buona idea, ma poi è decaduto tutto quanto, l’amicizia si è infranta e così anche questa one-shot è stata messa da parte.
Ma mi sembrava brutto lasciarla a se stessa e quindi, questa mattina l’ho ripresa un po’ in mano e ho scritto gli ultimi paragrafi sorseggiando l’ennesimo caffè della giornata.
Non è un granché, gli stili differenti (sono passati quasi due anni alla fine) si leggono e si percepiscono e non è assolutamente perfetta, anzi; ci saranno errori ovunque, ma rileggerla mi fa venire l’amaro in bocca. Ma, insomma, io la pubblico, iniziamo questa nuova Seblaine Week e speriamo di riuscire ad andare avanti.
Ringrazio in anticipo chi leggerà e mi auguro davvero che vi piaccia almeno un pochino :3
 
Buona lettura!
 

 
 
 

Hear my hearth burst again.
 
 
 
 
 
Siede placidamente in attesa di qualcosa o di qualcuno.
Ha gli occhi chiari e verdi come l’erba dei prati di montagna, limpida e brillante al tramonto; i capelli castano chiaro spettinati e ancora umidi; una maglia nera a collo alto e maniche lunghe; un paio di semplici jeans slavati e consunti all’altezza delle ginocchia; al polso destro porta un orologio con le lancette immobili che rilucono alla luce artificiale.
Siede placidamente in attesa di qualcosa o di qualcuno.
Ha lo sguardo perso tra il bianco innocente delle pareti e le mattonelle squadrate di un azzurro chiaro, smorto; ha ancora nelle narici l’odore di quella pelle e del pane appena sfornato.
Siede placidamente in attesa di qualcosa o di qualcuno,
 in trance; a metà tra realtà e sogno.
La porta d’ingresso si apre con uno scricchiolio sinistro; il giovane solleva il capo all’improvviso, riemergendo dai suoi pensieri; negli occhi c’è speranza liquida.
Ma entra un’allegra bambina vivace, pronta per la lezione di nuoto, seguita dalla madre affannata; e non entra nessun altro; la porta si richiude alle loro spalle e gli occhi del giovane si spengono, tornando ad osservare il nulla innanzi a sé; scivolano nell’apatia e nell’odore neutro e pregnante del cloro.
Siede placidamente in attesa di qualcosa o di qualcuno.
 
 
 
 
*
 
 
 
Sebastian Smythe amava il suo lavoro nonostante ci fossero sempre quei giorni che sembravano non voler finire mai e le sue ore parevano dilatarsi all’infinito, facendogli profondamente agognare il momento nel quale sarebbe tornato a casa e avrebbe potuto buttarsi letteralmente sul letto con i vestiti e dormire senza preoccupazioni o pensieri per tutta la giornata successiva.
 
Aveva appena concluso un’estenuante sessione di allenamenti e, come se non bastasse, aveva ricevuto l’incarico – quale onore, borbottò, passandosi una mano tra i capelli – di gestire una dozzina di bambine elettrizzate per il saggio di nuoto sincronizzato e totalmente invischiate nel panico di pre-esibizione. E Dio solo sapeva che cosa ciò significava: un branco di sgorbi ambulanti di età compresa dai sei ai dodici anni con i loro costumi colorati e sbriluccicosi che saltellavano da un piede all’altro attendendo di entrare in acqua; agitavano le braccia, emettevano urletti che sfioravano la soglia degli ultrasuoni e, tutto nello stesso tempo chiaramente, chiacchieravano senza quasi respirare con le amichette, sbriluccicose anche loro, tanto quanto due vecchie consuocere al mercato la domenica mattina.
Naturalmente non era certo finita lì, oh no. C’era anche Sarah McKay, l’istruttrice di nuoto sincronizzato; sulla cinquantina, più silicone che pelle oramai, campionessa di non-si-sa-quante-competizioni, che non faceva altro che esaltare ancora di più le sue piccole e pestifere pupille con sorrisoni incoraggianti, discorsi da oscar e suoni acuti di fischietto.
 
Quel fischietto.
 
Sebastian lo odiava, lo detestava, avrebbe voluto farglielo ingoiar; ogni volta che c’era allenamento Sarah sembrava divertirsi a soffiare in quel suo aggeggio infernale, con tutto il fiato che aveva in corpo, e a vederlo coprirsi le orecchie o allontanarsi dalla sua portata imprecando in francese.
 
Insomma, Sebastian odiava Sarah McKay, il suo fischietto e l’idea di avere il turno di sorveglianza durante un saggio di nuoto sincronizzato.
 
Il giovane richiuse l’anta del suo armadietto con un sospiro rassegnato, uscì dallo spogliatoio maschile ed entrò nella zona vasche con l’entusiasmo di un condannato a morte.
 
Era quasi metà pomeriggio e per la sera avrebbe dovuto aspettare ancora parecchio.
 
 
 
 
*
 
 
 
“Dov’è il mio costume?”
“E la mia retina per i capelli?”
“No, non quella! Quella nuova che abbiamo comprato la scorsa settimana”
“Oh, e lo zainetto? Ieri sera era proprio qui!”
“Non trovo più le ciabatte!”
“Dove le hai messe?”
“E’ tardi!”

 
Blaine Anderson si massaggiò le tempie lentamente chiudendo gli occhi e respirando a fondo, molto a fondo.
Si era svegliato prestissimo, come ogni mattina, dopo essere andato a letto troppo tardi, come ogni notte, aveva un leggero mal di testa che non accennava minimamente a lasciarlo in pace e cominciava a spazientirsi.
 
“Fratellone, perché stai lì fermo immobile? Siamo in ritardo!”
 
La voce acuta di Julie Anderson lo costrinse ad aprire le palpebre e a rimpiangere l’idea di non aver scagliato la sveglia contro la parete e di non essersi girato di lato, dormendo un’oretta in più.
 
Sua sorella, otto anni e fin troppa allegria, si era svegliata simultaneamente a lui, era entrata nella piccola cucina interrompendo il suo “quotidiano momento caffè” e, iniziando a correre in lungo e in largo per l’appartamento, aveva dato inizio alla caccia al tesoro dell’occorrente per andare in piscina. Occorrente che sembrava essere svanito nel nulla. Ovviamente.
 
“Non l’hai preparato ieri sera lo zaino?” le domandò guardandola, esausto.
“Sì, ma poi ho ritirato fuori tutte le cose perché avevo perso la mia collana, sai quella che mi ha regalato Jane, e pensavo di averla lasciata nell’accappatoio, ma non c’era. Così l’ho cercata ed era sotto il letto. E poi era troppo tardi per preparare lo zaino e mi sono addormentata,” spiegò la bambina infilando le ciabatte nello zainetto, “e la merenda, me l’hai preparata?”
 
Blaine borbottò qualcosa, sospirando pesantemente, andò in cucina, aprì l’anta del frigorifero e si lasciò scappare un’imprecazione a mezza voce: era vuoto. Si era dimenticato di fare la spesa il giorno prima; decisamente una giornata meravigliosa.
 
“Julie, che ne dici se ci fermiamo dopo il saggio a prendere qualcosa? Perché non prendi una fetta di torta in negozio?”
 
“E le mie barrette alla fragola e cereali? Mangio sempre quelle dopo il corso… Non sei andato a fare la spesa ier-?”
 
“La retina era sopra la lavatrice fino a prima,” l’interruppe impedendole di finire la domanda e di peggiorare la situazione.
 
“Fratellone, tra mezz’ora inizia il saggio! Ed è l’ultimo prima di Natale,” gli urlò dall’altra parte della casa.
 
“Appunto, Julie, è tra mezz’ora,” disse Blaine prendendo i cappotti dall’appendiabiti.
 
“Fratello scemo! Dovevo essere in piscina cinque minuti fa. Dobbiamo ripassare e scaldarci i muscoli,” Julie Anderson ritornò, brandendo la cuffia ritrovata, con aria vittoriosa e si affrettò a chiudere la cerniera dello zaino.
 
Ohi, chi è il fratello scemo?” esclamò Blaine facendole cenno di avvicinarsi per infilarle il cappotto pesante, il berretto e la sciarpa colorata. Lei obbedì alzando gli occhi al soffitto.
 
“Siamo sempre in ritardo,” si lamentò mettendo un piccolo broncio e Blaine sorrise, pizzicandole scherzosamente il naso.
 
“Sono gli altri ad essere sempre in anticipo, Julie,” replicò infilandosi a sua volta la giacca e prendendo lo zaino della sorella.
 
“Arriveremo tra cinque minuti, vedrai. Ora andiamo, però.”
 
“Sei un fratellone scemo, te lo sto dicendo io da ore di andare!” esclamò e corse giù per le scale.
 
“Attenta a non inciampar- Chi è lo scemo, signorina?”
 
 
 
 
*
 
 
 
 
Il saggio delle piccole scimmie scatenate è andato decisamente bene, pensò Sebastian in piedi al bordo della vasca olimpionica.
 
Guardava gli spalti gremiti di persone che applaudivano e urlavano. Vedeva raramente così tante persone tutte insieme in piscina; anche quando si tenevano gare di nuoto più o meno importanti, c’era sempre un pubblico ristretto. Ma se in acqua sguazzavano a tempo di musica quelle bambine scalmanate allora genitori, fratelli, sorelle, zii, nonni, bisnonni, colleghi dei genitori accorrevano a vedere le loro piccole e bravissime nuotatrici.
 
Il bagnino storse appena il naso davanti a tutto quell’entusiasmo. Era inutile alla fine, era solo scena, si disse amaramente, una volta tornati a casa avrebbero parlato di quell’ultimo saggio così adorabile fino a capodanno. Perché così fanno le vere famiglie, no?
 
Scosse il capo allontanando quei pensieri decisamente troppo acidi e ben più adatti ad una donna di mezz’età in depressione che a lui, perfetto e bellissimo bagnino nel fiore degli anni.
 

 
*
 


 
Il saggio era finito e l’istruttrice si congratulava a bordo vasca con le bambine soddisfatte e ancora elettrizzate per l’adrenalina da “esibizione”, e augurava loro buone vacanze natalizie.
Ancora una mezz’oretta per far sì che le bambine si cambiassero e se ne andassero con i parenti, altri tre corsi e poi forse anche Sebastian sarebbe stato libero di andarsene a casa. O magari avrebbe fatto giusto una breve sosta in un locale lungo la strada. Ci avrebbe pensato più tardi, però, perché in quel momento la sua attenzione venne catturata da una delle pesti della McKay: una bambina sugli otto anni, che agitava entrambe le braccia in aria, probabilmente per salutare qualcuno tra il pubblico - magari non vedeva i suoi genitori, le persone sugli spalti si erano tutte alzate in un vociare confuso per affluire all’uscita della piscina - quasi correndo per recuperare le proprie ciabatte ed entrare nello spogliatoio.
 
Ora, la prima regola che s’insegna a qualsiasi frequentatore della piscina, sia esso un bambino di tre anni o una vecchietta del corso di acqua gym, è quella di non correre assolutamente per nessun motivo all’interno della zona vasche perché quasi sicuramente si cade rovinosamente a terra.
E, evidentemente, quando l’avevano detto a quella bambina, lei doveva essere stata impegnata a parlare con l’amica del cuore.
 
Quindi Sebastian non si stupì poi molto di vedere la bambina in corsa, scivolare e cadere in avanti sul pavimento bagnato con un tonfo sordo. La guardò tirarsi su, facendo leva sui gomiti e mordersi il labbro inferiore alla vista del ginocchio sbucciato, prima di sospirare melodrammaticamente e andare verso di lei.
 
“Non si corre nell’area delle vasche, bambina,” disse laconico.
 
 
 

 
*
 
 
 

A Blaine bastò intravedere la sorellina cadere a terra e uno dei bagnini di turno avvicinarsi, parlarle e prenderla in braccio molto cavallerescamente e uscire, diretto verso l’infermeria, per andare in panico.
Non si fece quindi particolari problemi a spingere e ad urtare le altre persone negli spalti per farsi largo tra la calca e correre verso l’infermeria: nessuno poteva prendersi cura di sua sorella al di fuori di lui, nemmeno un bagnino. Era lui il suo fratellone, insomma, un fratellone iperprotettivo. Anche troppo. Forse.
 
Entrò nella piccola stanza disseminata di scaffali con tutto l’occorrente per il primo soccorso e si guardò attorno febbrilmente fino ad individuare Julie seduta sul lettino, con un cerotto sul ginocchio e gli occhioni lucidi.
 
“Julie, stai bene?” le fu accanto in una frazione di secondo e scrutò con occhio critico il ginocchio e il volto della sorella che si limitò ad annuire e a trattenere mezzo singulto. Troppo orgogliosa per iniziare a piangere, pensò Blaine rassicurato.
 
“È ancora viva, è solo una sbucciatura,” Blaine si voltò a quella voce e si rese conto di essersi totalmente scordato del bagnino. E che bagnino.
 
Doveva avere più o meno la sua età, era decisamente attraente e bello, con un fisico da paura; ma la cosa che lo colpì furono gli occhi: verdissimi, ma di un verde strano e quasi inusuale.
 
 
 
*
 
 

 
Sebastian rimase ad osservare il ragazzo davanti a lui per un tempo che gli parve eterno. Era più forte di lui e si ritrovò incapace di distogliere lo sguardo da quegli occhi ambrati e stupiti.
Al diavolo la McKay e il suo fischietto, i prossimi turni di sorveglianza al’ultimo momento e i corsi serali a cui avrebbe dovuto fare sorveglianza invece di tornarsene a casa; se avesse potuto rimanere davanti a quel tipo per l’intera giornata non se lo sarebbe fatto ripetere due volte. Era pure carino con quella pelle appena abbronzata e i capelli tirati indietro con una dose spropositata di gel.
 
Purtroppo ci pensò l’altro a distogliere per primo lo sguardo, sorridendo in imbarazzo.
 
“Grazie per aver aiutato Julie,” si schiarì la voce Blaine “è mia sorella ed ha il brutto viz-”
 
“Certo che è tua sorella, non puoi essere un ragazzo padre e non puoi nemmeno essere etero con quel fondoschiena da favola che ti ritrovi,” disse tranquillamente Sebastian, ghignando appena e godendosi la vista dell’altro che arrossiva furiosamente.
 
 

 
*
 
 
 

“Hai lavato i denti?” domandò Blaine entrando nella cameretta della sorella e rischiando d’inciampare a causa di una bambola dimenticata a terra.
“Le tue bambole sono ovunque, Julie, non ne hai troppe?” esclamò raccogliendola e riponendola sopra al comodino. Poi si avvicinò al letto, dove la sorella era già distesa con le coperte sollevate fin sopra il naso, e si sedette sulla sponda.
 
“No,” disse lei spiccia “e non sono io che le lascio in giro.”
 
“Certo, sono loro che camminano di notte, vero?”
 
“In Toy Story i giocattoli si animano quando noi non li vediamo, fratellone. Vale la stessa cosa anche per le mie Barbie; quando non le vedo vanno in vacanza e fanno sfilate e giocano e-”
 
“Va bene, va bene,” rise lui rimboccandole meglio le coperte, “ora però vedete di dormire, tu e le bambole, eh?”
 
“Ma non ho sonno,” si lamentò lei, nascondendo mezzo sbadiglio, “mi leggi un libro?”
 
“È stata una giornata lunga e pesante per entrambi; tu hai fatto quel saggio di nuot-“
 
“Ti è piaciuto?” trillò la piccola.
 
“Certo che sì, il migliore che abbia mai visto, Julie, e per questo sarai stanchissima. Vero?”
 
Mmh devi andare giù?” mormorò lei imbronciandosi appena.
 
“Devo preparare il pane per domani e sistemare il negozio. Domani ti leggerò qualcosa, va bene?”
 
“E mi preparerai le brioches alla crema per colazione?”
 
“Si può fare, sì,” accordò il ragazzo sorridendole e schioccandole un bacio sulla fronte. Lei annuì compiaciuta e si sistemò meglio, stringendo al petto una foca di peluche.
 
“Buonanotte fratellone.”
 
“Notte Julie,” si alzò, spense l’abat-jour e fece per uscire quando la sorellina lo fermò.
 
“Fratellone, oggi Christine Parker mi ha invitato al suo pigiama party di domani… posso andarci?”
 
“Pigiama party?”
 
“Già, ci saranno anche tutte le altre mie amiche. Ti prego, posso?”
 
“Ne parleremo domani, va bene? Ora dormi, campionessa,” le sorrise e uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle e scendendo al piano inferiore.
 
La panetteria Anderson era da sempre stata il panificio – fin dalla sua apertura negli anni settanta - più rinomato dell’intero Queens: era un locale di medie dimensioni, ma pullulava letteralmente di delizie e non appena si varcava la soglia si veniva accolti dal singolare trillo della campanella appesa appena sopra l’uscio e dal dolcissimo profumo di pane appena sfornato.
Blaine non aveva nessuna esperienza nel campo della pasticceria o nell’arte culinaria in generale, né aveva studi inerenti alle spalle, ciò nonostante era cresciuto in quella panetteria osservando suo padre lavorare la pasta e sua madre decorare le torte, quindi poteva benissimo dire di possedere una sorta di talento nascosto ed acquisito. Sebbene non fosse ancora tanto abile quanto lo fossero i suoi, se la cavava e confidava di migliorare con il tempo.
 
Dopo la morte di Luke e Susan Anderson, avvenuta quasi quattro anni prima in un terribile incidente ferroviario, lui e Julie si erano ritrovati all’improvviso soli al mondo e catapultati in una situazione decisamente più grande di loro. Non sapendo cos’altro fare avevano dovuto imparare ad arrangiarsi, ricominciando dall’unica cosa che rimaneva loro: la panetteria.
All’epoca dell’incidente Julie aveva appena cinque anni e lui ventuno ed era stato un brutto colpo in tutti i sensi; Julie aveva subito un vero e proprio trauma d’abbandono ed era stata incapace di dormire per mesi e Blaine, dal suo canto, si era visto costretto ad abbandonare gli studi e a prendere in mano la gestione del panificio di famiglia per mantenersi e per pagare le spese.
I primi tempi non si erano rivelati semplici com’era da immaginarsi, ma come in tutte le catastrofi o le brutte cose, il tempo aveva fatto il suo corso e aveva cancellato in parte il dolore, permettendo loro di andare avanti e continuare a vivere.
Certo, c’erano stati – e c’erano tutt’ora – molti sacrifici da fare e problemi da risolvere, ma Blaine era più che determinato a dare a sua sorella un’infanzia normale e se questo significava lavorare dalla mattina alla sera sette giorni su sette, l’avrebbe fatto senza battere ciglio.
 
D’altro canto non potevano nemmeno lamentarsi delle loro condizioni attuali: le entrate non erano molte, ma bastavano, Julie andava a scuola con ottimi risultati, frequentava un corso di nuoto, aveva molte amiche e a lui, tutto sommato, piaceva lavorare in panetteria.
Già, mormorò nel silenzio del locale prendendo la farina e il sale dallo scaffale, stiamo ricostruendo su terra bruciata.
 

 
*
 
 
Lo Scandal era uno dei gay bar più frequentati e di buon gusto, nel senso che non ci si poteva annoiare mai, nella città di New York. Non era nemmeno tanto occultato dagli occhi di newyorchesi e turisti che girovagavano la sera per quelle grandi strade illuminate ed estremamente mondane.
Un locale più o meno frivolo, tranquillo per quanto possa essere tranquillo un luogo di quel genere, con buona musica live e non, e bagni spaziosi.
E Sebastian trovava dannatamente eccitanti i bagni dello Scandal; erano illuminati da luci soffuse e le pareti erano lisce e chiare. Insomma, pareti perfette per spingerci contro qualcuno mentre gli ci si struscica contro.
 
Decisamente, pensò infilando le mani sotto la maglietta di quel ragazzo – come aveva detto di chiamarsi? – succhiando il labbro inferiore e strappandogli un ansito strozzato.
Lo sconosciuto portò le braccia dietro il suo collo e l’attirò maggiormente a sé, affondando le dita tra i capelli corti.
 
Non aveva tutta la serata, Sebastian, aveva voglia di sfogarsi un po’, una sveltina e niente più, quindi pensò bene di darci un taglio con quei preliminari stucchevoli, da fidanzati, e portò le mani al ventre dell’altro, armeggiando con la cintura.
Era quasi riuscito a sbottonare quei pantaloni d’intralcio quando avvertì la tasca posteriore dei jeans vibrare. Ed imprecò contro la bocca dell’altro.
 
Odiò il suo cellulare e si maledì per non averlo spento appena entrato nel locale. Si allontanò bruscamente dell’altro, che emise un lamento d’insoddisfazione guardandolo con occhi scuri e densi d’eccitazione, ed estrasse il cellulare dalla tasca e fissò stranito il display per qualche secondo.
 
“Che fai? Mi lasci così?” chiese il ragazzo lascivamente sfiorandogli il collo.
“Opportunità sprecata, c’est la vie,” disse secco affrettandosi ad uscire dal locale per rispondere alla chiamata.
 
Cosa diavolo voleva sua madre adesso?
 

 
*
 
 
 
Fratellone!”
Julie Anderson si catapultò nella stanza del fratello e si lanciò sopra di lui all’improvviso con molta non-chalance. Il giovane scattò a sedere tanto bruscamente che sentì l’osso del collo scricchiolare minacciosamente e le vertebre gridare pietà.
 
“Che succede, Julie? Stai male?”
 
Sta nevicando!” trillò lei con un sorrisone e gli occhi che le brillavano.
 
Mhm mi hai svegliato perché nevica?” le domandò stancamente passandosi una mano sul volto assonnato, “e sono le cinque e mezza di mattina. Vuoi uccidermi per caso?”
 
Lei incrociò le braccia al petto e corrugò la fronte borbottando qualcosa simile a “stupido fratello, la neve è bellissima”.
 
“Dormi ancora un po’, Julie, dai,” lui sbadigliò sonoramente e si ridistese con un sospiro “o come minimo lascia dormire il tuo fratello preferito”.
 
“Sei anche l’unico,” disse per poi tacere.
 
Per un istante Blaine pensò si fosse rassegnata poi, invece, sentì le coperte sollevarsi, un alito di aria gelida e poi un corpicino premuto contro il petto. Socchiuse gli occhi e sorrise abbracciando la bambina. Lei non disse nulla, ma lo guardò con il broncio.
 
“Non fare quella faccia, signorina. È troppo presto per alzarsi; andrai fuori a giocare con la neve più tardi,” mormorò richiudendo gli occhi.
 
“Sei tu che vai a letto troppo tardi, fratellone.”
 
Mmh
 
La bambina si accoccolò meglio contro il fratello.
“Dopo andiamo a fare un pupazzo di neve, Blaine?” domandò e, vedendo che non otteneva nessuna risposta, scosse appena il ragazzo che emise un mugolio infastidito.
“Fratellone?”
 
Mhm cosa c’è ora?” mormorò.
 
“Tu mi vuoi bene?”
 
“Certo che ti voglio bene, che domande sono?”
 
“Quindi posso andare da Christine?”
 
Mhm da chi?” si portò una mano tra i capelli e soffocò un altro sbadiglio.
 
“Da Christine,” ripetè lei esasperata, “al pigiama party. Sai che sono grande ormai e-”
 
“Grande? Hai otto anni. E non conosco i genitori di questa fantomatica Christine,” ribattè lui aprendo finalmente gli occhi e guardandola seriamente, senza sbadigliare.
 
“Ti prego fratellone,” Julie si tirò a sedere e congiunse le manine, “prometto che farò la brava e che non farò nulla di male. Ti prego, posso andare?”
 
Blaine si puntellò sui gomiti e la guardò, incerto.
“Non hai mai dormito fuori casa… E se non ti sentissi bene?”
 
“Ma io sto benissimo!”
 
“Ascolta Julie, prima vorrei conoscere i genitori della tua ami-” non riuscì nemmeno a finire che la bambina iniziò a supplicarlo a gran voce e con gran enfasi.
 
“Per favore, Blaine, per favore. Sei il fratellone migliore del mondo. Prometto che sarò buona. Preparerò la tavola per un mese. E… e sistemerò tutti i miei giocattoli da sola. Ti prego, ti prego, ti prego. Vuoi che mi metta a piangere per finta?”
 
Blaine strabuzzò gli occhi e scoppiò a ridere guadagnandosi però un’occhiataccia dalla piccola.
“Non è carino ridere della propria sorellina,” lo colpì alla spalla con un pugno “sei un fratello senza cuore!”
 
“Va bene, scusami,” il ragazzo si sforzò di non ridere e si sedette davanti a lei, cercando di darsi un minimo di contegno.
 
“Puoi andare al pigiama party – ma!” e sottolineò con particolare cura la preposizione avversativa, “se ci fossero problemi mi devi chiamare, siamo intesi? Lo dirò anche ai genitori di Christine e-“
Julie lo abbracciò stretto.
 
“Grazie”
 
“Sei una canaglia e un mostriciattolo,” la prese in braccio a tradimento strappandole un’esclamazione sorpresa, si alzò e si diresse in cucina, “e i mostriciattoli a questo punto fanno colazione, sai?”
 
“Non sono un mostriciattolo!”
 
 
 
 
*
 
 


Sebastian aveva deciso che suo padre era un gran bastardo e sua madre la donna più odiosa sulla faccia della terra all’età di dodici anni, quando gli avevano impedito di frequentare il campo estivo a Lione, con i suoi compagni di classe, solamente perché dovevano andare in campagna da sua zia Madeline.
Ovviamente si erano poi susseguite una serie di vicende che non avevano fatto altro che avvalorare la sua tesi: la rinuncia agli studi di giurisprudenza, le prediche, il proseguimento della sua carriera da nuotatore, il suo orientamento sessuale, il fatto che si fosse insediato a New York contro la loro volontà e il suo spirito fin troppo incontrollabile.
Suo padre, politico in carriera, e sua madre, stupida e altezzosa donna parigina, avevano tentato in tutti i modi d’imporre la loro autorità sul figlio e, in risposta, Sebastian aveva fatto tutto quanto in suo potere per evitare i contatti con loro: limitava le chiamate al Ringraziamento, a Natale e a Pasqua e in tutti e tre i casi non era mai lui a chiamare. Grazie a Dio li separava l’oceano Atlantico.
 
Quell’anno invece – Sebastian ne era certo, qualcuno lassù gli voleva davvero tanto male – avevano deciso di trascorrere le vacanze natalizie con il loro unico figlio nella Grande Mela. Il loro unico figlio però non era uno stupido e non aveva creduto alle parole della madre fin da subito.
Dopo alcune insinuazioni e imprecazioni in francese aveva scoperto che suo padre avrebbe dovuto essere a New York per un importante incontro con un vecchio collega all’inizio del nuovo anno, perciò il signore e la signora Smythe si erano visti concordi nel decidere di trascorrere le festività direttamente in America. E con lui. E sarebbero stati molto lieti di averlo a pranzo il giorno dopo.
 
Dire che lui non ne avesse la minima voglia, era chiaro come il sole e pure riduttivo – avrebbe preferito circumnavigare il globo a nuoto - tuttavia si trovò costretto ad accettare; conosceva abbastanza bene i suoi e la capacità di suo padre di mettergli i bastoni tra le ruote. Con una scusa o l’altra avrebbe potuto imporgli di ritornare in Francia o gli avrebbe tagliato i fondi o chissà che altro.
Si trattava solo di un pranzo, cercò di auto convincersi Sebastian quella mattina, sotto la doccia bollente. Si sarebbe comportato come il solito per quei pochi giorni e poi li avrebbe salutati sperando di rivederli il più tardi possibile. O anche mai.
Chiuse il getto d’acqua, sospirò pesantemente e si avvolse un asciugamano attorno ai fianchi preparandosi ad una giornata d’inferno.
 
 
 
*
 
 

Blaine trascorse il pomeriggio dietro il bancone della panetteria, servendo i clienti con il suo normale sorriso mentre dentro di sé era in corso una nuova guerra mondiale.
 
Quella mattina aveva accettato di accompagnare la sorella al pigiama party, ma l’idea di lasciarla da sola a casa di persone sconosciute – sebbene i signori Parker a telefono fossero sembrati gentili ed educati - non lo faceva saltare di gioia, anzi. D’altro canto, però, non poteva rimangiarsi tutto, e prima o poi avrebbe dovuto iniziare a lasciare un po’ di libertà anche a Julie. Dopotutto si trattava di un pigiama party tra bambine con pigiamini rosa e pupazzi soffici, non c’era nulla di preoccupante. Giusto?
 
“Prego?” Si accorse che la signora Stephens, la vicina di casa, lo guardava con curiosità e perplessità insieme, e aveva una mano allungata per prendere il resto.
 
“C-cosa?”
 
Nulla di preoccupante in cosa?”
 
Blaine arrossì, in imbarazzo. Aveva ragionato a voce alta? Era davvero caduto così in basso? Le consegnò il resto e sospirò appoggiandosi al bancone con i gomiti.
 
“Cosa ti succede, caro?” domandò lei accorata, “oggi sembri più preoccupato del solito… tutto bene?”
 
Oh, bè, Julie vuole andare ad un pigiama party organizzato da un’amica, ma ha solo otto anni e non ha mai dormito fuori casa e senza di me nell’altra stanza. Non vorrei che si sentisse male o che le venisse nostalgia. Questa mattina le ho detto che ci sarebbe potuta andare, ma ora non ne sono più così sicuro. Dopotutto è ancora piccola e potrebbe succedere di tutto,” esclamò tutto d’un fiato, esternando tutti i suoi dubbi.
La signora Stephens sorrise dolcemente e gli posò una mano sulla spalla.
 
“Ragazzo mio, secondo me ti preoccupi troppo; Julie è una bambina giudiziosa e sarà con le sue amiche. Si divertiranno, vedrai,” disse sistemandosi meglio la borsa sulla spalla, “e non essere troppo apprensivo o ti verranno i capelli bianchi prima del tempo, caro,” aggiunse prima di uscire.
Blaine la guardò allontanarsi corrugando un sopracciglio.
 
Capelli bianchi?
 
 
 
 
*
 
 


Come aveva immaginato Sebastian, i suoi genitori l’avevano incastrato in una di quelle cene noiose seguite da un noiosissimo concerto di beneficienza dove l’età media degli ascoltatori era settant’anni.
Alla fin fine, con una scusa qui ed una scusa , era riuscito a divincolarsi dal sorriso melenso della madre e dallo sguardo severo del padre, aveva salutato gli amici di famiglia e si era diretto all’uscita di quel nauseante ristorante di prima classe il più in fretta possibile.
 
Respirò a pieni polmoni l’aria gelida di dicembre. New York era stupenda di notte. Espirò e inspirò di nuovo. Stilettate di ghiaccio. Avrebbe camminato un po’, si disse infilando le mani nella tasca dei pantaloni.
 
 
*
 
 
Blaine uscì dal giardinetto della famiglia Parker con un sospiro.
Quand’erano arrivati Julie l’aveva salutato velocemente, giusto un bacio sulla guancia, ed era corsa dalle amiche nel salotto spazioso e adornato di decorazioni natalizie, lasciandolo a tormentarsi e a ripetere ai signori Parker che, in caso di problemi, avrebbero potuto chiamarlo. A qualsiasi ora, ovviamente.
 
Rabbrividì appena e immerse il volto nella sciarpa calda. Non aveva alcun programma. Normalmente era solito chiudere il negozio a quell’ora di sera, ad aiutare Julie con i compiti di scuola e a preparare la cena.
Il negozio l’aveva chiuso prima per poter accompagnare la sorella e l’indomani sarebbe stata domenica, quindi non aveva nulla di granché da preparare. Avrebbe potuto camminare nel bel mezzo di New York per tutta la notte, schivando la calca frenetica e socchiudendo appena gli occhi alla fastidiosa luce artificiale delle vetrine dei negozi. Magari avrebbe ordinato una pizza o noleggiato un film…
Ora che ci rifletteva, però, era da parecchio tempo che non si prendeva un po’ di tempo per sé stesso. Dopo l’incidente era stato troppo occupato con la panetteria e con Julie e aveva lentamente perso gran parte dei contatti con gli amici e con i vecchi compagni di scuola.
L’unico sfizio che si concedeva ogni tanto era un’intera vaschetta di gelato al cioccolato e crema davanti ad un film strappalacrime quando Julie era già a letto.
E i risultati si vedono, pensò amaramente, ho venticinque anni e mi comporto come un ottantenne.
 
Avete presente quei momenti bui dai quali uscite con una presa di posizione? Quelle occasioni nelle quali decidete di prendere il coraggio a due mani e di dare una svolta radicale alla vostra vita?
Ebbene Blaine tentò qualcosa del genere quella sera: entrò in un locale.
 
E poco dopo se ne pentì amaramente; l’ultima volta che aveva messo piede in un posto del genere, con tanto di musica live, alcolici e corpi accaldati che ballavano in pista, era ancora all’università e la sua vita non era ancora caduta a pezzi. E, Dio, se gli era mancata quella scossa di adrenalina che l’aveva punto appena entrato! Ma non era un semplice ragazzo che si diverte. O meglio, lo era, ma aveva delle responsabilità a cui adempiere. C’era Julie, la panetteria, la retta da pagare, il pane da preparare…
Oh, al diavolo, imprecò Blaine raggiungendo il bancone.
 
“Una birra, per cortesia,” ordinò al barista.
 
Si sarebbe concesso solamente una serata. Solo un singolo ritorno al passato. Solo uno.
 
 
 
*
 
 
“Non credi di aver esagerato un po’, ragazzo?”
 
“Non importa, sono maggiorenne, dammi un’altra birra,” ripetè Blaine portandosi una mano alla fronte a sorreggersi il capo, mentre il barista alzava gli occhi al soffitto, scrollava le spalle e prendeva un altro bicchiere, riempiendoglielo
 
Ho bevuto parecchio, anche troppo, pensò Blaine, lasciandosi scappare un sospiro; aveva le narici invase dal lezzo della birra e la musica del locale gli rimbombava nel torace e nelle tempie. Pensò che avrebbe anche potuto finirla lì, la sua serata libera da regole e costrizioni, pagare, alzarsi e ritornarsene a casa.
Non ho nulla da perdere, si disse subito dopo, scolandosi l’ennesima birra, tanto vale rimanere.
 
 
“Dove hai messo la sorellina, bellezza?”
Blaine si voltò talmente di scatto a quella voce contro il suo orecchio, che ebbe una fitta lancinante alle tempie e gli ci vollero un paio di secondi per mettere a fuoco la persona che gli stava davanti e riconoscerla.
 
Che diavolo ci faceva lì quel bagnino?
 
 
*
 
 
Alla fin fine Sebastian aveva optato per entrare in un locale a caso e bersi qualcosa tanto per sciogliere i nervi e scacciare dalla mente la tremenda serata trascorsa con i suoi genitori.
Un locale parecchio affollato, musica live di pessimo gusto, gente ottenebrata dai fumi dell’alcool, incapace di camminare più di due metri senza piegarsi in due e vomitare; l’ambiente perfetto per uscire dal mondo per qualche ora e lasciarsi alle spalle ogni cosa.
 
Si era fatto largo tra la marea di gente, guadagnandosi qualche imprecazione pronunciata con voce impastata per averli urtati, e aveva raggiunto il bancone. E lì l’aveva visto. Non poteva sbagliarsi, quei capelli imprigionati nel gel erano più unici che rari in un ragazzo del ventunesimo secolo.
Il fratello-dal-fondoschiena-arrapante della bimbetta del saggio di nuoto sincronizzato sedeva mollemente al bancone e trangugiava un bicchiere dietro l’altro, sotto lo sguardo esasperato del barista nerboruto.
 
Ottimo, una crisi sentimentale a giudicare dal quantitativo di alcool, pensò Sebastian avvicinandosi a lui, chinandosi appena e urlargli nell’orecchio per sovrastare il fracasso della musica.
Il moro sussultò, voltandosi verso di lui e fissandolo con uno sguardo lucido e a Sebastian parve di vedere le sue sinapsi lavorare a rallentatore per qualche istante. Infine, quando sembrò riconoscerlo, lo squadrò dall’alto al basso.
 
“Che… che ci fai qui?” domandò il moro sbattendo più volte le palpebre.
 
“Potrei farti la stessa domanda a te,” replicò Sebastian sedendosi accanto a lui e ordinando un cocktail sconosciuto ai più, “comunque piacere, sono Sebastian,” aggiunse con noncuranza.
 
“Chi ti dice che m’interessa sapere il tuo nome?” sbottò Blaine facendo cenno al barista di portargli un altro bicchiere.
 
Uh, siamo nervosi questa sera. Sei stato mollato, Culetto d’Oro?” Sebastian sorrise divertito della smorfia che apparve sul volto del giovane.
 
“Quindi non sei stato mollato, tantomeno sei insieme a qualcuno visto che, se lo fossi, non staresti di certo ad ubriacarti senza pudore in questa bettola,” aggiunse con un altro sorriso.
 
Blaine storse il naso.
Quel bagnino parlava troppo per i suoi gusti. Ma aveva ragione. Eccome, sospirò pesantemente, basta per questa sera non si potrebbe cadere più in basso: sono ubriaco, puzzo da birra, sono giusto un po’ depresso e parlo con il bagnino della piscina. Ottimo.
Prese il portafoglio dalla tasca dei jeans e mise i soldi sul bancone, per poi alzarsi traballante.
 
Ohi, dove vai?” esclamò Sebastian, a metà del suo cocktail, guardandolo sorpreso.
 
“A casa, dove vuoi che vada?” cercò di camminare diritto ma il suo equilibrio si rivelò traditore e per poco non andò a cozzare contro un gruppo di ragazze in abiti a dir poco succinti.
 
“Certo. E come pensi di arrivarci se non ti reggi nemmeno in piedi?” Sebastian finì la sua bibita in due lunghi sorsi e si alzò passandogli un braccio attorno alla vita, sorreggendolo. Blaine sobbalzò di nuovo a quel contatto ed arrossì furiosamente per la vergogna.
 
“Ce la faccio anche da solo,” alzò la voce per farsi sentire bene e si scostò dal corpo dell’altro con un gesto secco, “buona serata,” aggiunse dirigendosi verso l’uscita del locale. O almeno ci provò.
 
 
*
 
 
“E così abiti in una panetteria nel Queens?” domandò Sebastian incuriosito.
Blaine ormai non capiva più niente.
 
Perché diavolo quel bagnino gli era ancora attorno?
Era salito con lui sul taxi e l’aveva accompagnato fino a casa?
 
Non avrebbe più bevuto. Mai più.
 
Blaine annuì, avvertendo la testa girargli pericolosamente e le gambe tremolare pericolosamente. E un secondo dopo si ritrovò con il volto sepolto nel maglione di Sebastian, mentre quest’ultimo lo sosteneva con entrambe le braccia cingendogli la vita per evitare che crollasse al suolo con la grazia di un elefante.
 
“Amico, davvero, reggi l’alcool da schifo, parola mia,” commentò il più alto con una vena d’ironia insita nella voce.
 
Blaine sbuffò, rimettendosi in piedi, eretto, respirò a fondo e trattenne un conato, provò a parlare, ma dovette affrettarsi verso l’aiuola accanto alla strada e si piegò in due vomitando.
 
“Ok, forse è il caso che tu vada a casa e ti dia una ripulita, non credi?” fece Sebastian avvicinandosi e dandogli dei piccoli colpetti sulla schiena più per pietà e compassione che per altro; Blaine inalò a fondo e tossì con un rantolo, ma annuì e si rassegnò a farsi sostenere dall’altro.
 
 
 
*
 
 
 
“Un po’ meglio?” domandò Sebastian quando Blaine uscì dal bagno dopo essersi dato una ripulita e dopo aver vomitato altre due volte; il moro annuì con una smorfia disgustata e si passò una mano tra i capelli.
 
“Ho preparato del tè caldo,” aggiunse Sebastian accennando alla piccola ed angusta cucina e, ad un’occhiata perplessa di Blaine, si affrettò a spiegare, “mi sono preso la briga di girare intorno un po’, sai un po’ me lo devi visto che avrei potuto benissimo tornarmene a casa e lasciarti in quel locale, ma sono un uomo di buon cuore dopotutto e-”
 
Blaine gli si avvicinò e l’afferrò brutalmente per la camicia, attirandolo a sé, e facendo cozzare le loro labbra insieme. Le parole del bagnino gli morirono letteralmente sulle labbra e a Blaine non importò minimamente. Gli interessava solo quel calore che sentiva all’altezza del petto, aveva ancora la testa pesante, gli occhi gli pizzicavano, sentiva le gambe deboli e la sua coscienza si stava opponendo a tutto quello, ma decise di relegarla in un angolo buio, lontano da quella situazione, e di bearsi di quelle labbra sottili e morbide, oscenamente morbide, contro le sue. E di quella lingua terribilmente calda ed umida. Perché Sebastian non se l’era fatto ripetere due volte e aveva deciso, dopo un momento di sorpresa e di stupore, di ricambiare quel bacio frettoloso e scomodo; cinse la vita del moro con le braccia e lo baciò con foga appena trattenuta, strappandogli un sottile lamento.
 
 
 
*
 
 
 
Blaine si riscosse leggermente, la luce del sole che picchiettava fastidiosamente contro le sue palpebre sensibili; inspirò a fondo, socchiuse le labbra lasciandosi scappare un mugolio; si portò una mano alla fronte e aprì gli occhi; impiegò dieci minuti buoni a mettersi a sedere e a realizzare che si trovava sul suo letto. E che non era da solo.
 
Che cos’è successo ieri notte?
 
Sebastian, il bagnino, dormiva placidamente, abbracciato al suo cuscino, la fronte rilassata e il respiro profondo e cadenzato; Blaine lo guardò orripilato per qualche istante prima di alzarsi di scatto e di andare in cucina. Un tazza di tè avrebbe sistemato le cose.
Di sicuro.
Forse.
Se lo augurava.
 
 
*
 
 
“Tranquillo, abbiamo solo pomiciato alla grande; le tue virtù sono ancora intatte,” disse Sebastian e Blaine lo guardò al di sopra della tazza in ceramica, “non fare quella faccia, devi credermi, ti sembro il tipo che se ne approfitta?”
 
Blaine si limitò a trangugiare il suo tè e ad alzarsi, arrossendo di vergogna, respirò una o due volte.
 
“Ok, ti chiedo di andartene,” disse infine.
 
“Come scusa?” fece Sebastian preso in contropiede, “non mi offri nemmeno un caffè?”
 
“No, assolutamente no,” esclamò il moro, “è stato tutto uno sbaglio, non avrei dovuto bere ieri sera e… Oh, ti prego, puoi uscire? La tua faccia mi urta a dir poco; ti ringrazio per avermi riaccompagnato a casa ieri e uhm per le cure e tutto il resto. Sì, ecco e-”
 
Sebastian si chinò scoccandogli un bacio innocente sulle labbra, al che Blaine lo respinse di slanciò posandogli i palmi contro il petto e arrossendo, se possibile, ancora di più.
 
“Ci vediamo in piscina, Culetto d’Oro; ti ho lasciato il mio numero sul letto. Chiamami,” ghignò il bagnino, strizzandogli l’occhio e dirigendosi verso la porta d’ingresso.
 
Blaine lo guardò uscire e chiudersi l’uscio alle spalle, attese qualche istante di più e poi si lasciò cadere pesantemente sulla sedia, prendendosi il volto accaldato tra le mani; le gambe che tremavano e il respiro mozzato e il cuore che batteva furiosamente nel petto.
 
E ora? Che faccio?
 

 
*
 


 
Siede placidamente in attesa di qualcosa o di qualcuno.
Ha gli occhi chiari e verdi come l’erba dei prati di montagna, limpida e brillante al tramonto; i capelli castano chiaro spettinati e ancora umidi; una maglia nera a collo alto e maniche lunghe; un paio di semplici jeans slavati e consunti all’altezza delle ginocchia; al polso destro porta un orologio con le lancette immobili che rilucono alla luce artificiale.
Siede placidamente in attesa di qualcosa o di qualcuno.
Ha lo sguardo perso tra il bianco innocente delle pareti e le mattonelle squadrate di un azzurro chiaro, smorto; ha ancora nelle narici l’odore di quella pelle e del pane appena sfornato.
Siede placidamente in attesa di qualcosa o di qualcuno,
 in trance; a metà tra realtà e sogno.
La porta d’ingresso si apre con uno scricchiolio sinistro; il giovane solleva il capo all’improvviso, riemergendo dai suoi pensieri; negli occhi c’è speranza liquida.
Ma entra un’allegra bambina vivace, pronta per la lezione di nuoto, seguita dalla madre affannata; e non entra nessun altro; la porta si richiude alle loro spalle e gli occhi del giovane si spengono, tornando ad osservare il nulla innanzi a sé; scivolano nell’apatia e nell’odore neutro e pregnante del cloro.
Siede placidamente in attesa di qualcosa o di qualcuno.
Ma le porte d’ingresso si aprono un’altra volta e
Quasi non riesce ad evitare di sorridere alla vista di un giovane dai capelli neri, pieni di gel, lo sguardo basso e le guance rosse di vergogna.
 
“Avresti potuto chiamarmi, almeno, sai? Il mio turno è finito mezz’ora fa.”
“Mia sorella entra in vasca tra dieci minuti… ti va’ un caffè?”
 
 
 
 


 
*Fin*

 
 
 
 
 
  
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