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Autore: thesailingship    06/07/2014    2 recensioni
Avete presente quando siete insieme al vostro gruppo di amici e iniziano i "ti ricordi quella volta...?" "e di quando...?" "ricordi che...?" sono ricordi piacevoli, spesso allegri che magari durante l'arco della giornata non ti fermi per pensarci. Ci sono, però, anche quei ricordi di cui non dimentichi neanche un particolare. Che ti torturano. Che sono pronti a mangiarti la notte prima di addormentarti. Che ti assillano. Che ogni volta sono lì, appena chiudi gli occhi. Ricordi di terrore, paura, dolore. Ricordi che non vorresti ricordare. Che ogni volta muori dentro quando si fanno largo nella tua mente e tutto quello che riesci a fare è quello di scappare via, trovare un posticino scuro, buio e lasciarti morire dentro. Ricordi che ti fanno male, alla pelle, ai muscoli, alle ossa, allo stomaco, al cuore. Ricordi che ti frantumano l'anima. Alis vive con questo tipo di ricordo, da quella notte dove il peggio accadde.
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo svariate delusioni d’amore, avevo trovato in lui chi realmente mi accentava.
Mi aveva vista in condizioni pessime, eppure, ogni volta mi salutava con uno dei suoi sorrisoni, facendomi sentire bellissima.
Conosceva ogni mia incertezza, ogni mia paura, ogni mio difetto.
Harry era diventato parte della mia vita. Nel vero senso.
Senza di lui mi sentivo a metà. Sentivo che con lui sarei stata felice, che avrei potuto godermi la vita. Sentivo di poter fare tutto, con lui. Se lui era con me, io avevo tutto; poteva spegnersi anche il sole, a me non importava. Era lui il mio sole.
Troppo sdolcinata forse, ma non so come spiegare quello che provavo e continuo a provare per lui.
E ora che mi ritrovo qui, seduta sul mio letto nella mia stanza piena di ricordi, una stanza cupa, con le tende che coprono la finestra, la porta chiusa e io con le lacrime agli occhi a  scrivere di lui, mi rende così maledettamente vulnerabile che anche un petalo di rosa potrebbe frantumarmi a terra.

 
La notte di San Lorenzo era abbastanza afosa.
Presto sarebbe arrivato Harry a prendermi con la sua auto.
Dovevo sbrigarmi.
Optai per degli short color salmone e una maglia abbastanza larga color panna.
Saremmo andati in spiaggia.
Mentre ero in camera per vestirmi, guardavo incessantemente quel collage che Harry aveva fatto per i miei 18 anni. Il miglior regalo di sempre.
Era un collage pieno di nostre foto incorniciato con una cornice di legno.  Lo avevo appeso di fianco alla finestra con un chiodo.
Non so il numero preciso, ma avrei giurato che ci fossero come minimo una quarantina di foto.
Foto venute male, sfocate, foto della nostra giornata al mare, foto durante la gita dell’ultimo anno scolastico, foto mentre mangiavamo il gelato sporcandoci il naso a vicenda, sorrisi, amore, scherzi, felicità, allegria,  foto di quando andammo alla giornata dell’arte; Harry indossava una maglietta bianca sporcata con della pittura. Ero stata io a conciarlo così. Avevo preso della tinta rossa e avevo disegnato un cuore enorme sul tessuto che poggiava sul suo petto. La maglia era ricoperta delle impronte delle mie mani.
Io non ero messa meglio. Avevo una maglia blu sporcata con una tinta bianca, rossa e gialla. Il viso sporco di vari colori.
Era, forse, la mia foto preferita, perché eravamo semplicemente noi. Sorridevamo, eravamo felici. Harry, poi, era di una bellezza assurda quando sorrideva, ve lo giuro.
Mi innamoravo di quel ragazzo minuto dopo minuto.
 
“Alison, Harry è arrivato” disse mia madre mentre bussava alla mia porta.
“Sono pronta” dissi mentre uscivo dalla stanza.
Avevo legato i capelli in una coda alta e messo solo un po’ di mascara.
Sapevo che sarebbe stata una serata tranquilla, niente amici, nulla di elegante, nulla di raffinato. Solo io, lui, il mare e le stelle.
Scesi dalle scale ritrovandomi Harry all’entrata di casa con le sue solite converse bianche, una maglietta dello stesso colore, pinocchietto beige e il suo immancabile sorriso che mi faceva sciogliere ogni volta.
Amavo il suo sorriso, soprattutto quando era un po’ in imbarazzo; spesso si formavano delle fossette ai lati.
Ma amo e amavo tutto di lui anche ora. Dal modo di vestire, dal carattere, dai piccoli particolari, dai suoi ricci, dai suoi occhi verdi al suo modo di dirmi che ero ‘stupenda’.
Salutai mia madre mentre prendevo la borsa e le chiavi.
Chiudemmo la porta e ci dirigemmo verso l’auto.
Una volta partiti, Harry iniziò a raccontarmi di vari episodi successi a lavoro.
Ormai restava solo un tramonto da mozzare il fiato, molte macchine venivano nel corsia opposta alla nostra. Presumendo che molti tornavano a casa da una giornata trascorsa al mare, immaginai la meravigliosa vista che ci attendeva.
Imboccammo una piccola stradina contornata da alti alberi verdi, pini giganteschi e sotto le ruote dell’auto si sentivano scricchiolare i rametti e foglie appassite.
Harry parcheggiò la sua auto, prese un cestino di pic nick che non avevo ancora notato  e ci incamminammo a piedi lungo un viale sabbioso ostacolato da un piccolo cancelletto di legno.
Passeggiammo in  una pineta e finalmente arrivammo nel nostro luogo preferito, dove il sole sembrava accarezzasse delicatamente l’acqua del mare lasciando il suo riflesso su di esso.
“È  perfetto.” disse Harry mentre guardava l’orizzonte.
“Si, è tutto perfetto ora” risposi indirettamente prendendo la mano di Harry e stringendola con la mia.
Scendemmo sulla spiaggia e ci sistemammo.
Harry aveva pensato a tutto: stese sulla sabbia la classica tovaglietta a quadri bianchi e rossi e sopra ci poggiò il cestino da cui iniziò a togliere il cibo e le bevande.
Aveva comprato due birre e dei tramezzini.
“Non mi avevi parlato di una pic nick” notai mentre toglievo le scarpe.
“Hai ragione- mi guardò- ma, ti ho detto che amo farti sorprese.”
“Metti che non mi piacciono le tue sorprese?”
Si fermò sedendosi sulla spiaggia.
“A te piacciono le mie sorprese” corrugò la fronte.
“E chi te lo dice scusa? Non perché ogni volta che mi fai una sorpresa e io rispondo con un ‘oddio, grazie mille Harry’-distolse lo sguardo da me-  vuol dire che mi sia piaciuta”
Notando che lui non controbatteva, presi in mano una piccola manciata di sabbia e gliela lanciai contro.
“Questo non dovevi farlo!” mi puntò l’indice contro mentre si alzava.
“Guarda come tremo!” gesticolai con le mani imitando il tremolio e nel contempo iniziavo a correre.
Iniziammo ad inseguirci sul bagnasciuga ridendo come due bambini.
“Alis, vieni qui!” disse con un filo di voce continuando a correre dietro di me.
“Prendimi!”
Sentivo il cuore in gola e i polmoni che mi pulsavano nel petto.
“Alis!” ansimò
Mi fermai di botto voltandomi verso di lui guardandolo dritto negli occhi.
Lui rallentò affannato dalla corsa.
Furono i secondi più belli della mia vita. Ci guardammo intensamente l’uno negli occhi dell’altra proprio come nei film.
Ci baciammo.
Un bacio lento ma intenso.
Ci stendemmo, poi,  sulla sabbia sfiniti dalla corsa.
“Però- disse affannosamente- niente male..”
“Niente male? -mi alzai sui gomiti per guardarlo meglio- ho solo voluto fermarmi. Avrei continuato un altro po’ fosse stato per me”
“Ma se fatichi anche a respirare” rise
“Parli proprio tu” dissi imitando il suo respiro facendo nascere una risata tra di noi.
Harry si alzò di scatto e mi porse la sua mano.
“Dimmi prima cosa vuoi fare”
“Vedrai”
“Se comprende il movimento di alzarmi da qui, allora scordatelo” feci segno di no con la mano tornando a stendermi sulla sabbia.
“Va bene, l’hai voluto tu” disse Harry mentre mi prendeva in braccio facendomi urlare.
“Mettimi giù!” dissi tra le risate.
“Non se ne parla proprio!”
Harry arrivò sul bagnasciuga dove le onde del mare bagnavano i suoi piedi.
Iniziò ad entrare in acqua bagnandosi anche i pinocchietti
“Harry..no no no!” feci in tempo a trattenere un respiro prima di essere buttata in acqua.
“Harry!” urlai una volta riemersa.
“Così impari a buttarmi sabbia tra i capelli, la prossima volta ci penserai due volte” se la rise.
“Mi hai buttata con tutti i vestiti!” lo schizzai con l’acqua.
“Sei stupenda lo stesso, per me, lo sai” disse avvicinandosi a me e stringendomi in uno di quei abbracci che ti scaldano anche il cuore.
Il cielo era ormai pieno di stelle e sulla spiaggia vi erano altre coppiette, come noi, stese a guardare il cielo o ad aggiustare la tenda per poter dormire durante  la notte.
“Cos’hai?” chiesi vedendo Harry pensieroso mentre era seduto sopra il suo asciugamano che guardava quel che si poteva vedere del mare oramai scuro e ombrato.
“Non mi sono mai sentito così bene. È da più di un anno che sto bene. Sto bene da quando sono con te.
E oggi è stato tutto perfetto. Ero al lavoro, ma non pensavo ad altro se non a rendere tutto perfetto, per te. Ma poi arrivi tu e mandi tutto all’aria quello che avevo organizzato. Pensa- disse mettendo le mani nel cestino del pic nick- avevo preso anche queste- mi porse delle candele- pensavo fosse romantico o una cosa del genere. Ma la verità è che quando sto con te, non ho bisogno di tutte queste cose, perché mi basti tu.”
“Harry..io-”
“No, non devi dire niente, è stato perfetto. Più che perfetto. Tu, il mare …qualcosa di indescrivibile ai miei occhi.
Sono nel posto giusto con la persona giusta, per la prima volta nella mia vita” disse annuendo a se stesso.
Harry era legato al mare per il ricordo di suo nonno.
Suo nonno era un pescatore. Morì quando lui aveva appena 8 anni. Morì in un pomeriggio di settembre, uscì in barca non prestando attenzione al meteo. Quel giorno ci sarebbe stato un forte temporale. Ma non diede molta importanza perché ‘in meteo dice solo bagianate’. Morì con la sua barca. Morì in mare. La sua salma fu poi recuperata dopo ore di ricerca. Sapevo quanto a Harry mancasse suo nonno. Quei due erano legati da un filo immaginario quasi; dove andava il nonno, Harry lo seguiva. Quello che faceva il nonno, Harry lo imitava. Un giorno, andarono a pesca e grazie agli insegnamenti ricevuti dal suo vecchio, Harry pescò una grossa trota che portò a casa come se fosse un trofeo.
Suo nonno era veramente orgoglioso di quel che era diventato Harry e lui era orgoglioso di averlo come nonno.
Ancora adesso lo era.
Raccontava di lui come qualsiasi altro ragazzo racconta il suo primo goal in campo durante una partita di calcio importante.
Tutto quello che restava ad Harry di suo nonno, era il ricordo. Il ricordo del mare, della pesca, della barca, dei rimproveri, dei suoi consigli.
Quando si ricreava questo ricordo, Harry non smetteva di parlarne. E io restavo ad ascoltarlo ammaliata, anche se sapevo ormai tutte le loro esperienze.
Amavo il fatto che Harry amasse suo nonno nonostante tutto il tempo passato.
Una volta, usciti da scuola, vidi Harry dirigersi proprio sulla spiaggia in cui eravamo  quella sera. Lo vidi lanciare qualcosa di molto pesante in acqua, dato che l’oggetto finì molto lontano dalla riva del mare.
Poi, mi confessò che ogni anno, il giorno del compleanno di suo nonno, Harry scriveva una lettera, in cui parlava di tutto e la indirizzava a lui. La arrotolava in modo che entrasse in una bottiglia di vetro e, dopo averla chiusa per bene, la lanciava in mare.  Sapeva che suo nonno l’avrebbe letta.
Nell’ultima lettera parlò anche di me, ma non mi disse cosa.
 
Quando la spiaggia iniziò a riempirsi di gente ed il bar, che era posizionato a pochi metri da noi, iniziò ad accendere le luci e la musica, decidemmo di andarcene a fare una passeggiata.
Harry buttò le bottiglie di birra nel cassonetto d’immondizia posizionato vicino a quel bar, mentre, io richiudevo la tovaglietta e prendevo le scarpe e la giacca di Harry che mi diede dopo avermi buttata in acqua.
“Lascia, questa la prendo io” disse Harry, facendomi sussultare dal suo silenzioso arrivo, prendendo la sua giacca.
Dopo aver riportato il tutto il macchina, passeggiammo sulle vie di Holmes Chapel entrando in qualche negozio  ed entrando nei diversi parchi e ville.
Erano le 3:00 quando decidemmo di rincasare. Orami quasi tutta la gente era ubriaca e a stento riusciva a camminare o addirittura a reggersi in piedi.
Ritornammo in auto e, continuando a parlare del più e del meno, imboccammo la via del ritorno.
Ora la strada era buia, illuminata dalle sole luci di auto che sfrecciavano davanti a noi.
Stavo inviando il messaggio a mia madre per avvertirla del mio rientro in caso quando il mio volto e quello di Harry si illuminarono di bianco, sentii appena una rumorosa sgommata e poi il vuoto.
Non ricordo più nulla, e fa male riscriverlo qui.
Ricordo solo le luci della sirena della polizia. Erano così sfocate. Prima blu, poi rosse.
Harry era steso a pochi metri da me, ma non potevo vederlo in volto, dato che era voltato dalla parte opposta. 
Avevo male alla spalla, ma nulla, nulla di tutto questo mi preoccupò non appena vidi del sangue sull’asfalto proprio sotto Harry.
Iniziai a piangere silenziosamente, sussurrando il nome di Harry, ma venni fermata da un’infermiera che mi prese la mano per vedere se fossi cosciente.
Le dissi che avevo male alla spalla e, solo dopo essermi alzata, mi accorsi di avere più tagli alle gambe e un dolore allucinante che mi rendeva difficile poter camminare.
Mi voltai ancora una volta verso di lui, Harry erano steso immobile a terra. Iniziai ad urlare il suo nome non appena i dottori lo presero in braccio per adagiarlo sulla barella.
Anche io salì su un’altra ambulanza e, mentre gli infermieri mi medicavano le ferite, abbi un collasso.
Mi risvegliai in ospedale. Avevo le spalle e il braccio destro fasciato e grandi cerotti sulle gambe.
Ero sola nella stanza. Puzzava di ospedale per vecchi. Era tutto così inquietantemente bianco. Le pareti, i cassetti, il letto, la porta. Tutto bianco.
Guardai l’orario.
5:30 del mattino.
Mi voltai in direzione della porta per vedere che insieme ai dottori, vi era mia madre e la madre di Harry.
Harry.
Dov’era?
Come stava?
Volevo vederlo.
Feci per alzarmi quando ansimai di dolore dovuto alla medicazione della spalla.
I dottori e mia madre si voltarono e quest’ultima entrò nella stanza.
“Mamma”
“Piccola mia”
“Ho avuto paura”
“Immagino, la macchina è completamente distrutta. Lo scontro con l’altra auto è avvenuto frontalmente. Ho avuto paura anche io quando mi hanno chiamata a casa. - disse accarezzandomi dolcemente la testa - ora devi stare solo a riposo”
“Mamma – presi il suo braccio con la mano non fasciata- Harry? Come sta?”
Mi guardò paonazza. I suoi occhi erano pieni di terrore.
“Mamma…”
“Ha..ha avuto un trauma cranico, è in prognosi riservata. Nessuno può vederlo” disse debolmente.
Sentivo le lacrime pronte a scendere lungo il mio viso. Iniziarono ad bruciarmi gli occhi.
Com’era possibile? Harry. No.
“Si riprenderà, vero?” dissi sottovoce.
Notando mia madre non rispondere, continuai
“Vero?!”
“Non lo so tesoro, nessuno lo sa”
Il mio cuore aveva iniziato a battere velocemente. Mi sentivo più debole di quanto già lo fossi. Non ci potevo credere. Non volevo credere. Non a lui.
 
Passarono due settimane dalla mia dimissione in ospedale. Harry due giorni dopo l’incidente entrò in coma.
Andavo a trovarlo ogni giorno anche se non potevo entrare nella sua stanza. Era così piccolo in quel letto così grande. Troppo grande. Ogni volta, avevo un tonfo al cuore e istintivamente iniziando a piangere.
Era qualcosa di orrendo, sapere che io stavo bene, l’altro ragazzo dell’altra macchina era morto sul colpo e Harry era in coma.
Nessuna notizia positiva giungeva alle mie orecchie, solo “è in condizioni gravissime” “potrebbe non farcela”
Anne, la madre di Harry, era sempre in ospedale, dietro quel vetro che la separava da suo figlio. Ogni volta che mi vedeva mi abbracciava e scoppiava a piangere ancora di più. Morivo dentro ogni volta, ogni singola volta.
 
Harry morì dopo tre mesi.
Il  funerale fu terribile. Erano presenti tutti. Non mancava nessuno.
Prima di andare in chiesa, e prima ancora che il prete venisse a benedire la salma di Harry, fui lasciata sola con lui.
Ero debole, lui così piccolo, raccontai tutti i momenti belli vissuti con lui, di come la mia vita fosse cambiata. Lo ringraziai di ogni cosa. Dissi che lo amavo più di ogni cosa. Come se lui potesse sentirmi. Come se potesse cambiare qualcosa.
Con la mano tremolante gli accarezzai il volto e lasciai un delicato bacio sulle labbra. Come se lui potesse sentirmi. Come se potesse cambiare qualcosa.
Anne, in chiesa, fece un discorso. Parlò di quanto fosse orgogliosa di Harry. Del bravo ragazzo che era. Parlò di quanto già le mancasse la sua risata. I suoi abbracci. Parlò che nessuno doveva morire così. E di quanto fosse stupido bere per poi mettersi in macchina. Che tu puoi prestare attenzione ai segnali e anche alle altre macchine, ma non serviva se l’altro alla guida era in stato di ebbrezza.
E io non riuscivo a smettere di piangere. La chiesa era piena di gente. Ero seduta al primo banco, di fronte alla bara di Harry. Era piena di fiori. La sua foto nel mezzo. Sorrideva. Oh, il suo sorriso.
Tre giorni dopo dal suo funerale, Anne mi chiamò dicendomi di andare a casa sua.
Uscendo da casa, mi sembrava tutto così strano. Non uscivo più con le mie amiche, restavo a casa ogni sera.
Uscire, mi fece rivivere per un attimo l’utopia di ritrovare Harry appoggiato alla sua auto che mi aspettava. Invece lì, non ci stava nessuno. Solo l’asfalto.
Arrivai a casa di Harry, facendomi coraggio suonai il campanello e aspettai che Anne venisse ad aprirmi la porta.
Mi sorrise debolmente e mi face entrare.
Riuscivo a sentire la sua assenza. Era opprimente. Era soffocante. Foto di lui. La sua scrivania. Il suo zaino.
Scacciai via quella sensazione per farmi forte agli occhi di Anne, la quale era andata nel salotto prendere una cosa.
“Torno subito” disse.
La vidi avanzare verso di me tendendo in mano la giacca di Harry.
Quella giacca che quella sera aveva dato a me, per tenermi asciutta.
Anne prese dalla tasca un cofanetto blu.
“Harry, prima che quella sera –fece un respiro profondo- uscisse, mi fece vedere questo- me lo porse- voleva farti un regalo, una sorpresa”
Ecco perché Harry non mi fece portare la sua giacca, ecco perché me la tolse dalle mani. Voleva aspettare il momento giusto.
Aprì il cofanetto.
Era una collana.
Il ciondolo era a forma di cuore.
Dietro, aveva fatto incidere il giorno del nostro anniversario.
12 agosto 2010.
 
Non ci fu giorno in cui non ebbi la collana con me. Era appesa al mio collo. E la notte, uscivo sul retro di casa, scendevo in giardino e tenendo il ciondolo fra le dita, fissavo il cielo stellato.
E ora che mi ritrovo qui a distanza di tre anni dalla morte di Harry, seduta sul mio letto nella mia stanza piena di ricordi, una stanza cupa, con le tende che coprono la finestra, la porta chiusa e io con le lacrime agli occhi a  scrivere di lui, mi rende così maledettamente vulnerabile che anche un petalo di rosa potrebbe frantumarmi a terra.
Il mattino seguente, decisi di uscire. Prima di uscire dalla stanza, mi soffermai a guardare il collage e sorrisi.
Così salutai mia madre mentre prendevo la borsa e le chiavi.
Chiusi la porta e mi diressi verso la mia auto.
Una volta partita, accesi la radio, ma nessuna stazione riusciva ad attirare la mia attenzione.
Ormai il sole stava tramontando, restava solo un tramonto da mozzare il fiato, molte macchine venivano nel corsia opposta alla mia. Presumendo che molti tornavano a casa da una giornata trascorsa in ufficio, immaginai la meravigliosa vista che mi attendeva.
Imboccai una piccola stradina contornata da alti alberi verdi, pini giganteschi e sotto le ruote dell’auto si sentivano scricchiolare i rametti e foglie appassite.
Parcheggiai la mia auto e mi  incamminai a piedi lungo un viale sabbioso ostacolato da un piccolo cancelletto di legno.
Passeggiai in  una pineta e finalmente arrivai nel nostro luogo preferito, dove il sole sembrava accarezzasse delicatamente l’acqua del mare lasciando il suo riflesso su di esso.
Il mare.
A tre anni di distanza dalla morte di Harry, mi ritrovai lì, nel nostro posto.
Era un freddo pomeriggio di settembre e non appena scesi sulla spiaggia, il tempo cambiò.
Il vento soffiò più forte e il sole al tramonto era oscurato da grandi e grigie nuvole.
Aprì per l’ultima volta il foglio che avevo tra le mani. Mi sedetti per terra e lo rilessi. Una lacrima rigò il mio viso. Arrotolai il foglio e lo misi nella bottiglia di vetro che avevo in borsa. La chiusi ermeticamente.
Facendomi forza, mi alzai dalla sabbia, mi tolsi le scarpe e andai sul bagnasciuga.
Sorrisi, perché stava iniziando a piovere. Diedi un bacio alla bottiglia e con tutta la forza che avevo, la lanciai il più lontano possibile nel mare.
Era il giorno del compleanno del nonno di Harry.
Nessuno seppe cosa scrivi in quella bottiglia. Ma sapevo che ora Harry era con suo nonno e che, sicuramente, l’avrebbe letta. Come se lui potesse sentirmi. Come se potesse cambiare qualcosa.

 
 
 
Scusate questa os abbastanza deprimente, ma avevo come il bisogno di scriverla. Avevo bisogno di sfogarmi in qualche modo. Non è un granché lo ammetto. È uscita dal nulla, mentre ero stesa sul letto ad ascoltare musica. Non ho nulla da dire in più lol.  
su twitter sono @thesailingship  
   
 
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