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Autore: _Safyra    06/07/2014    4 recensioni
Wanda si era salvata. Adesso era rinchiusa in un altro corpo. Felice. Amata dall'uomo che non aveva mai pensato potesse innamorarsi di lei.
Aveva ricominciato una nuova vita, la sua decima vita, ed era ora di iniziare a godersela. Ad imparare che in quel mondo non esistevano soltanto la compassione, il dolore e l'indulgenza, ma anche il piacere, il desiderio... l'amore di una famiglia, di un uomo.
Non sapeva che là fuori, oltre quelle caverne e quel deserto, c'era un mondo pronto ad accoglierla.
Wanda non sapeva nemmeno di essersi fatta un altro nemico... Ma non c'era fretta. Doveva scoprire molte altre cose oltre a quello.
Dalla storia:
Incrociai lo sguardo di Ian per un interminabile istante. Un istante interrotto da un colpo di scena.
Rimasi impietrita quando vidi esplodere il capannone che avevo di fronte.
Avevo cantato vittoria troppo presto [...]
Avevo promesso. Non lo avrei mai abbandonato.
«Wanda... non c'è più niente da fare, capisci? È andato ormai» singhiozzava Brandt dopo avermi preso il volto fra le mani.
«No» dissi «No. Ian non è morto»
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ian, Jared, Melanie, Quasi tutti, Viandante
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Up In The Sky - the serie '
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Storie




L'amore aiuta a vivere, a durare

l'amore annulla e dà principio.


Mario Luzi



«È bello qui.»

Mi guardai intorno, osservando con fare curioso l'enorme terrazzo che costituiva il quarto piano. Non c'era niente oltre ai pannelli solari o al mucchietto di sedie poste una sopra l'altra da cui Liam aveva preso le due su cui adesso sedevamo.

Tutto era silenzioso mentre il sole tramontava oltre le montagne all'orizzonte, lasciando che una piacevole frescura prendesse il posto di un caldo asfissiante.

Tutto era calmo a confronto della tempesta di emozioni contrastanti che avevo dentro.

«Già...»

Liam volse lo sguardo verso l'orizzonte, osservando i colori caldi che dipingevano il cielo durante il crepuscolo. Qualche nuvola grigia occupava la volta celeste.

Mi portai una mano sul viso per asciugare gli ultimi residui delle lacrime che avevo versato prima di venire lì, evitando di farmi vedere da lui. Ero già imbarazzata per essermi fatta vedere in quello stato, non volevo che la mia figuraccia continuasse ancora.

«Quando voglio rimanere solo vengo sempre qui. È un posto che sa congiungerti con te stesso.»

«Posso capirlo.» dissi, continuando a guardarmi intorno.

«Ultimamente però non ci vengo spesso...» Liam si voltò nella mia direzione, un velo di malinconia gli oscurò il viso.

«Come mai?»

«Col passare del tempo ti abitui... alle cose. Ti abitui al fatto che ''stare da solo'' non significhi più salire quassù per trovare un po' di pace. Quando lo sei sempre non fa più la differenza il luogo in cui ti trovi...»

Provai un moto di compassione per Liam, e anche di gratitudine. Gratitudine perché sembrava che adesso volesse farmi capire che non c'era niente di male nel mostrarsi deboli davanti a qualcuno, soprattutto se quel qualcuno poteva capirti davvero. Sembrava che Liam volesse pareggiare i conti, che per non farmi sentire ancora più in imbarazzo di quanto già non fossi, stesse mostrando la sua, di parte debole.

«... ma questo succede solo quando perdi la ragazza.» aggiunse, increspando le labbra in un sorriso triste e rassegnato. A quel punto capii che dietro a quella malinconia, a quella sua debolezza, si nascondeva il mistero del suo passato.

«Una ragazza speciale?»

«Speciale quanto lo sei tu per Ian, Wanda.» mormorò con quel suo tono dolce, tornando a guardare il panorama davanti a sé. All'improvviso arrossii, e ripensai al perché ora mi trovavo lì con lui, con gli occhi arrossati per le lacrime e un enorme peso sul petto.

Ripensai, ma bloccai subito tutto per evitare di rimettermi a piangere.

«E l'ho mai incontrata, nell'arco del poco tempo che ho avuto per conoscere te?» domandai poco dopo, ritrovandomi a sorridere anch'io.

Liam incrociò il mio sguardo, il suo sorriso si tramutò in una leggera risata che mi fece sentire un po' a disagio. Aveva capito che avevo capito.

«Penso proprio di sì.» rispose.

«Cos'è successo, Liam?»

Lui sospirò, incrociando le gambe sotto la sedia e appoggiando i gomiti ai braccioli per congiungere le mani all'altezza del petto.

«È successo che l'ho incontrata, me ne sono innamorato e poi sono rimasto fregato.»

«Breve ma intenso.» cercai di fare del sarcasmo, riuscendo a strappargli un sorriso divertito.

«Claire ed io ci siamo conosciuti in circostanze singolari: me la sono ritrovata in casa a rubarmi vestiti e cibo. Mi ha anche puntato una pistola addosso, ma non ha sparato. Già allora ero affascinato dal comportamento degli esseri umani e quando la incontrai decisi di approfondire le mie curiosità in veri e propri studi.

Perciò tutte le sere, quando finivo di lavorare, me la ritrovavo in casa. A me non dispiaceva se prendeva dell'acqua del frigo o una maglietta dall'armadio. In poco tempo diventammo amici e da amici... be', penso che riusciresti a capire se ti dico che passammo a parlare dal divano al letto.»

«Sì, certo.» risi. Rise anche lui.

«Poi un giorno mi chiese di andare via con lei. E io accettai... Mi ero innamorato.»

Liam fece una pausa, mi guardò per un attimo negli occhi. I suoi erano lucidi.

«Cos'è successo dopo?»

«Claire mi ha fatto conoscere Thomas. Me lo presentò come un suo vecchio amico. Dopo tre mesi però li ho trovati a letto insieme.»

Sgranai gli occhi, riuscendo finalmente a comprendere il motivo per cui Liam sembrasse tanto addolorato quando parlava di Claire.

«Oh... Mi dispiace.»

«È dispiaciuto anche a me, credimi. Comunque, dopo me ne sono andato. Non sopportavo l'idea di vedere quei due insieme.»

«E... insomma... cosa...?»

«Come sono qui adesso? Thomas stesso è venuto a cercarmi dopo altri cinque o sei mesi... non ricordo bene. Mi disse che lui e Claire si erano lasciati, che gli dispiaceva ma che adesso lei aveva bisogno di me. Il gruppo aveva bisogno di me. Così sono tornato.»

Qualcosa mi disse che Liam non mi aveva raccontato proprio tutta la storia, ma non diedi peso a quel particolare: era già tanto se mi aveva confessato il resto.

«Sei ancora innamorato di lei?» gli chiesi, accorgendomi solo dopo di avergli posto una domanda forse un po' troppo indiscreta.

Liam però non sembrò essere infastidito dalla mia curiosità e mi rispose senza pensarci troppo su. «Credo di sì.»

Abbassai lo sguardo sulle mie mani, sorrisi. Liam era un ragazzo molto più profondo di quanto potessi immaginare - e con un bel po' di scheletri nell'armadio.

«Posso farti un'altra domanda?»

«Sì.»

«Qual è il tuo vero nome? Quello... quello che avevi prima di conoscere i tuoi amici umani?» pronunciai le ultime parole con un tono divertito, rievocando il momento in cui lui si era presentato a me dicendo la stessa cosa.

Il Guaritore rise piano. «Tempesta di Ghiaccio. Mi chiamavo Tempesta di Ghiaccio.»

Annuii lentamente, riflettendo per capire da che Mondo provenisse, ma i miei pensieri vennero bloccati ancor prima di poterlo scoprire.

«Avete litigato a causa mia, vero? Tu e Ian.» disse Liam, prendendomi decisamente contro piede.

Mi voltai a guardarlo con un'espressione un po' sorpresa in faccia, senza sapere come ribattere. Insomma... oh, che palle. Non potevo raccontargli di quello che era successo. Non tutto almeno.

«Puoi dirmelo, Wanda, se vuoi.» Liam mi posò una mano sul ginocchio e sorrise.

A disagio, mi alzai dalla sedia e andai ad appoggiare le braccia sul muretto in cemento poco più in là, facendomi scompigliare i capelli dal vento.

«È che... è strano. Non abbiamo mai discusso prima.»

«Stai cercando di farmi sentire in colpa?» scherzò. Lo sentii avvicinarsi a me, senza però appoggiarsi al muretto. Rimase lì vicino con le mani in tasca e la testa inclinata da un lato.

«No, figurati...»

«Stavo scherzando, tranquilla... E andrà tutto bene, Wanda. So che voi due chiarirete.»

«Forse dovrei andare. Melanie mi starà cercando ovunque.»

D'un tratto mi resi conto che si era fatto quasi buio, qualche stella aveva iniziato a brillare nel cielo e un aria un po' troppo fredda mi stava facendo venire i brividi sulle braccia.

«Forse dovresti andare.» ripetette Liam, con tono consenziente, sorridendo appena, poi mi fece cenno di raggiungere l'ascensore e tornare giù.

«Grazie per la compagnia. Sei la prima a cui ho raccontato la storia della mia breve vita da ribelle.» aggiunse quando mi vide allontanarmi verso la porta antincendio.

Sorrisi anch'io, annuendo, poi gli voltai le spalle e andai via.



Quando tornai dentro decisi di andare direttamente in camera: forse Mel mi stava aspettando proprio lì, anche perché in giro non l'avevo vista.

Osservai con aria distratta i tasti bianchi dell'ascensore, ritrovandomi a pensare che se fossi andata in camera, avrei potuto incontrare Ian. Ce lo vedevo ad aspettarmi appoggiato al muro, con le mani in tasca e gli occhi rivolti verso il soffitto.

Ma no, che dicevo. Ian era ancora troppo arrabbiato con me per volermi parlare. E anch'io lo ero.

Ciononostante, anche se avessi cambiato idea decidendo di non salire, non avrei potuto fare niente, perché l'ascensore mi avrebbe inevitabilmente condotto al secondo piano. Si sarebbe aperto, magari mi avrebbe anche spinto fuori con qualche strana magia e mi avrebbe fatto ritrovare davanti a lui.

Sto delirando, santo cielo.

Le porte scorrevoli si aprirono. Feci un passo in avanti e poi un altro, uscendo. Quando alzai lo sguardo verso il fondo del corridoio, dove c'era la mia stanza, feci un sospiro di sollievo: nessuna traccia di Ian.

Non appena raggiunsi la porta mi misi le mani in tasca per cercare le chiavi.

«Dannazione...» farfugliai mentre frugavo dappertutto senza trovarle.

Dove le avevo messe?

Feci rapidamente mente locale, sforzandomi di ricordare quand'era stata l'ultima volta che le avevo tenute in mano.

«No...»

Con Ian.

Era stato con Ian che le avevo tirate fuori. Però non ricordavo che fine avessero fatto dopo... Forse mi erano cadute in terrazzo con Liam. O peggio, le avevo lasciate appese alla serratura senza curarmi di prenderle quando ero scappata via da Ian.

Confidando nella prima ipotesi, tornai indietro e sperai di avere ragione. Salii per la centesima volta in ascensore fino al quarto piano, arrivando alla famosa porta antincendio oltre la quale si trovava il terrazzo.

«Tu non capisci, Liam. Non possiamo procedere senza prima verificare. Se è come penso io, dovremo cambiare tutto... E poi lo sai che non voglio che a Rachel succeda qualcosa di male.»

Appoggiai la testa allo stipite in modo tale da ascoltare meglio, provai a sbirciare fuori con un occhio. Claire, la proprietaria della voce che avevo appena sentito, era in piedi accanto a un Liam ancora seduto sulla sedia di plastica, proprio come l'avevo lasciato.

«Non lo so, Claire... è che...»

«Ti sei dimenticato di Rachel, per caso?»

«Non sto dicendo questo.»

«E allora?»

Claire si mise a braccia conserte, parlando al ragazzo con un tono duro e leggermente isterico, l'espressione affranta e confusa attraversata da un barlume di paura.

Non capivo di cosa stavano parlando.

«Ti sei affezionato, eh? È per questo che non mi dici di portarla subito da lui.»

«No, Claire, non dire cose che non sono...»

«Se si fosse trattato di qualcun altro ti saresti comportato diversamente.»

Liam non rispose, contrasse le spalle, appoggiando i gomiti alle cosce per poi mettersi le mani tra i capelli.

«Va bene, vai a dirglielo... Ma sia chiaro, non lo faccio per te. Lo faccio per Rachel, okay? Thomas cosa ha detto?»

«Thomas non ci ha pensato due volte, Liam.»

«Bene.» il Guaritore si sforzò per regalare a Claire un debole sorriso. Lei tuttavia non ricambiò: annuì e senza dire una parola si allontanò da lui, dirigendosi verso di me.

Subito andai a chiamare l'ascensore per non farmi vedere e, come sempre, sembrò che quel marchingegno provasse una profonda avversione nei miei confronti. Prima ancora di poter imprecargli contro però, si aprì col solito tin.

Non appena entrai, premetti in fretta e furia sul due e un momento prima che Claire aprisse la porta antincendio, quelle dell'ascensore si chiusero.

Sospirai di sollievo.

Perché sono scappata come una ladra?, pensai, mentre facevo respiri profondi per far andare via un po' dell'agitazione che mi aveva investita poco prima.

Forse perché stavo origliando? Forse perché avevo sentito cose che non avrei dovuto sentire? Ovvio che sì.

Nonostante tutto però non avevo capito il nocciolo della questione tra Claire e Liam, né chi fosse Rachel o chi dovevano portare ''da lui''. E comunque non avrei potuto comprendere a priori: c'erano troppe informazioni che a me sfuggivano per riuscire a mettere insieme i pezzi del puzzle.



§



Passarono altri due giorni. Due giorni intensi e sfiancanti, soprattutto a livello emotivo.

Con Ian non parlavo dal nostro ultimo litigio, il che rendeva le giornate un po' più cupe, ma soprattutto insolite: non ero abituata a non rivolgergli la parola per così tanto tempo e il solo fatto di non poterlo neanche sfiorare a volte mi faceva quasi impazzire.

Melanie sosteneva che fossimo entrambi troppo cocciuti per rimettere le cose apposto, troppo orgogliosi. Quando io me n'ero andata dalla palestra-mensa inoltre, lei era rimasta da sola con Ian e mi aveva raccontato di averci parlato per un po'; insomma, Melanie sapeva tutto. Sapeva anche di quello che avevo sentito – o meglio, origliato – di nascosto da Liam e Claire. Nonostante le avessi detto la mia al riguardo, lei era rimasta convinta del fatto che non c'era niente di cui preoccuparsi e che stavo diventando paranoica.

Forse era vero.

«Odio questo gioco.»

La voce di Aaron mi riportò alla realtà e un sorriso da ebete mi si stampò automaticamente sulle labbra.

«Non puoi odiarlo. Sei il giocatore di scacchi migliore di tutto il continente.» lo apostrofò Melanie, ingrossando la voce per cercare di imitare quella di Aaron. Ridacchiai insieme a lei, esultando per la pedina che gli avevo appena mangiato.

Lui, seduto di fronte a me con la fronte corrugata per la concentrazione e le dita che tamburellavano freneticamente sul tavolo, mi inchiodò con lo sguardo e bevve un altro sorso di birra.

Birra, gente. Un'altra bevanda che non avevo mai assaggiato prima, ma che almeno era più buona del caffè.

«E poi non è colpa tua se ti stai facendo vincere da Wanda. Può capitare.» Mel continuò a prenderlo in giro, alzando con noncuranza le spalle. Dal tono di voce sembrava fosse sul punto di scoppiare a ridere.

Aaron trucidò con lo sguardo anche lei, poi fece la sua mossa, spostando la sua pedina verso una delle mie. La mangiò.

«Non ti illudere, Wanda. È la fortuna del principiante.» mormorò, strizzandomi un occhio prima di assaporarsi il momento in cui ero io quella che doveva bersi la birra.

Data la sua sfortuna, la partita si era volta quasi fin dall'inizio dalla mia parte, motivo per cui la mia bottiglia era più piena della sua.

Non ci avevo impiegato tanto a capire il gioco, Aaron era stato un buon insegnante, eppure non sapevo se credere al fatto di avere fortuna o di essere semplicemente migliore di lui, l'allieva che superava il maestro.

Fatto sta che Aaron era leggermente ubriaco.

«Grazie per l'incoraggiamento, caro.» dissi dopo aver bevuto, mentre posavo la bottiglia, prendevo il mio re sulla scacchiera e lo facevo avanzare per distruggere una volta per tutte il mio avversario.

«Scacco matto.» cinguettai e diedi un cinque a Melanie. Sorseggiai un altro po' di birra per festeggiare; Aaron invece sbatté le mani sul tavolo, esasperato, alzò gli occhi al cielo e si scolò quel che rimaneva della sua bottiglia con fare sconfitto, sotto lo sguardo divertito e anche un po' esuberante di Melanie e di me.

«Brava, Wanda.»

«Grazie.» risposi con fare civettuolo intanto che Melanie asseriva soddisfatta.

«Ora, Mel, penso che dovresti portarla a letto. Non vorrei che si facesse male.» borbottò lui, dicendo la seconda parte della frase con un tono più basso per non farsi sentire da me.

«Io non sono ubriaca!» dissi, sollevandomi contro quelle ultime parole che non mi erano sfuggite. «È Melanie quella davvero sbronza.»

«Ehi!» la citata in causa mi diede una gomitata.

«Che c'è? È la verità.»

«Guarda che ci vuole più di una bottiglia di birra per stendermi.»

Melanie arricciò il naso e abbassò le sopracciglia, palesando tutto il suo disappunto. «E comunque, che ore sono?»

Aaron guardò l'orologio sul polso, riscontrando non poche difficoltà nell'individuare il numero sul quale la lancetta era posizionata. Meno male che quella ubriaca ero io.

«Le undici e mezza, Mel. Cosa state combinando qui?»

Jared apparse da dietro di me. Poggiò due mani sulle spalle di Melanie e inclinò la testa per incrociare prima il suo sguardo, poi quello mio.

«Giocavamo.» spiegò lei, facendo spallucce.

«Ho vinto a scacchi Aaron.» dissi, regalandogli un sorriso a trentadue denti. «Ci credi?»

«Oh, sì. Ho sempre pensato che Aaron non fosse mai stato bravo come diceva. Da quando lo conosco non ha mai voluto fare una partita con me.» Jared sghignazzava mentre prendeva in giro il suo amico, facendogli spalancare occhi e bocca per lo sgomento.

«Non è assolutamente vero! Noi non l'abbiamo mai avuta una scacchiera, come facevamo a giocare?»

«Io credo di più a lui.» Melanie indicò il suo ragazzo.

«Anch'io.» dissi, e Aaron si imbufalì, provocando le nostre risa.

«Io me ne vado! Me. Ne. Vado!»

«Vai a letto, vecchietto. Ci vediamo domani.»

Lo salutammo affettuosamente e nonostante i suoi rifiuti per contraccambiare, uscì dalla palestra-mensa con un sorriso divertito a fargli compagnia.

«Andiamo anche noi, Wanda?» Mel sbadigliò, appoggiando la testa sulla pancia di Jared, ancora dietro di lei con le mani sulle sue spalle. Lui si chinò per baciarle la fronte.

Alla vista di quei gesti d'affetto, una morsa mi stritolò lo stomaco. Mi guardai attorno, colta da un improvviso disagio.

Ian non c'era quella sera, e nemmeno Claire. Liam aveva detto che era impegnata e che non sarebbe riuscita a venire per cena. Aveva parlato di qualcosa che riguardava suo padre, che tra parentesi il giorno prima non si era fatto vivo.

Forse era per quello che Claire non era venuta. Magari aveva avuto qualche problema.

«Wanda, allora?»

Melanie mi scosse piano, sbadigliando. Alzai gli occhi su di lei e cercai di non dare a vedere la tristezza che d'un tratto aveva abbattuto il mio buonumore.

«Andiamo...» le dissi, un po' controvoglia. Sapevo cosa mi attendeva quando ci saremmo rinchiuse nella nostra stanza: pensieri su pensieri avrebbero iniziato a vorticarmi in testa, rendendo la notte lunga e insonne. Ma dato che erano due giorni che non dormivo, almeno per quella sera contavo di potermi riposare un po'.

«Buonanotte.» Jared ci salutò.

«'Notte.»

Percorsi la strada che mi separava dalla camera con Melanie che ogni tanto canticchiava distrattamente e io che iniziavo a sbadigliare. Arrivata davanti alla porta della stanza, la vidi tastarsi le tasche alla ricerca delle chiavi.

«No.» trasalii, appoggiandomi al muro. «Non dirmi che...»

«Sì... uffa.»

«Credi di averle perse?»

Se le avesse perse anche lei, saremmo state davvero nella cacca.

«Mmh, no... Penso che le abbia Jared. Vado a chiedergliele, torno tra un attimo.» disse mentre tornava indietro.

Quando rimasi sola sbuffai, passandomi una mano fra i capelli. Il corridoio del secondo piano era tutto in penombra, l'unica luce che c'era proveniva da quella di emergenza infondo al reparto.

Appoggiai distrattamente il braccio alla maniglia della porta, chiedendomi quanto tempo Mel ci avrebbe impiegato ad andare e tornare, tuttavia quando sentii la serratura scattare sotto il mio peso, mi allontanai e la osservai, stranita.

Come faceva ad essere aperta?

Aggrottai le sopracciglia, spingendo piano la porta per farla aprire quel tanto che bastava per permettermi di sbirciare dentro. Era tutto al buio.

Entrai, sospettosa, e mi munii di coraggio per accendere la luce e scoprire se c'era qualcuno dentro. Lentamente allungai un dito sull'interruttore, ma prima che potessi toccarlo riconobbi una figura farsi avanti nell'oscurità e afferrarmi la mano per tirarmi dentro.

«Sono io, sono io...»

Ian. Mi fermò prima che potessi urlare, accendendo l'abatjour per terra in modo tale da farsi vedere – anche se dopo averlo sentito non ce n'era proprio bisogno. Mi teneva stretta a sé, premendomi una mano sulla schiena e l'altra sulla bocca per bloccare l'urlo che stavo per cacciare quando mi aveva afferrata.

«Cosa ci fai qui?» chiesi quando mi allontanai di qualche passo, infastidita.

Ian vacillò nel vedermi prendere le distanze, e si grattò la testa, assumendo un'espressione imbarazzata. «Volevo parlare.»

«E di cosa?»

D'un tratto mi sentii di nuovo arrabbiata.

Arrabbiata per come mi aveva trattata, per come avevo trascorso male quei due giorni lontana da lui; arrabbiata perché mi mancava baciarlo, accarezzarlo, prenderlo in giro.

Mi misi a braccia conserte, osservando Ian nella luce fioca della stanza guardarsi intorno per trovare le parole giuste da dire, inconscio del fatto che io fossi sul punto di scoppiare nuovamente a piangere perché, dannazione, avevo bisogno davvero di lui.

«Senti, Wanda... Mi dispiace, okay? Io... io sono stato un...»

Non passarono neanche trenta secondi quando decisi di mandare a quel paese le sue scuse, i suoi sensi di colpa, le sue ossessioni, i suoi difetti, i suoi ripensamenti.

Mandai a quel paese tutto e interruppi dall'inizio quello che per lui doveva essere un discorso preparato a puntino per rimettere apposto le cose. Ma a me non importò, e sull'onda di quei pensieri gli gettai le braccia al collo e lo baciai, spingendolo contro l'armadio alle sua spalle.

«Sta zitto.» sibilai contro le sue labbra.



Spazio autore:



Bonjour! Eccomi qui, in anticipo come non mai.

Allooora, oggi faccio le cose al contrario, perché voglio partire dal fondo invece che dall'inizio. Se vi state chiedendo se Ian e Wanda sono finiti col far degenerare la situazione in quella cosa, io vi dico che sì, arrivano a quel punto. E dato che stavolta volevo descrivere la scena, ho deciso di pubblicare una missing moment con rating rosso perché, be', la situazione lo esigeva, ecco. Però sia chiaro: non è che così fanno pace, eh. Sapete com'è, ogni tanto può capitare che gli estrogeni, i testosteroni e tutti gli ormoni che possiamo avere ci spingono a non seguire la ragione ma l'istinto. E a Wanda è capitato proprio questo, eheh.

Altre domande o dubbi riguardo alla sua avventata e insolita scelta penso che vi saranno chiariti col prossimo capitolo.

Ma non è stato solo questo l'evento clu del capitolo. Avete scoperto che cosa si nasconde nel passato di Claire e Liam, qual è la loro storia, perché adesso si comportano così. Risolto un mistero però, ne salta fuori un altro: Wanda sente cose a cui tuttavia non riesce a dare un senso e così anche Melanie non ce la fa, perciò liquidano la questione e chi si è visto si è visto.

Voi cosa dite? Che impressioni vi danno questa Claire e questo Liam che a quanto ho capito non vi vanno poi così tanto a genio? :P

Ditemi, ditemi!

Intanto vi lascio il link della shot: Fault of the Instinct

Aspetto le recensioni anche lì ;);)

Sha

   
 
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