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Autore: DalamarF16    06/07/2014    9 recensioni
Sono passate poche settimane dagli eventi di New York, e Clint deve fare i conti con la sua coscienza, con le azioni commesse sotto il controllo di Loki. Accanto a lui, a cercare di aiutarlo, ci sarà Natasha, ma una nuova recluta darà una svolta alla vita di Occhio di Falco...
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nick Fury, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Avengers: Rinascita.'
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PERSONAL SPACE: Rieccomiii! Ci ho messo un po' perchè volevo pensare bene a cosa mettere in questo capitolo, e volevo anche tornare per un po' al passato di Clint e Natasha...e...be ecco il risultato...
Di nuovo, un grande grazie alle mie fedelissime Ginge e Alexis, che recensiscono più puntuali di un orologio svizzero, e a DBCLAUDIA e LEDY LEGGY che hanno inserito questa storia tra le seguite e le preferite, spero di non deludervi!
Buona lettura!  A dopo!

Capitolo 6: Ricordi


Ovviamente la perizia non era andata un gran che bene. Il suo non presentarsi non aveva fatto una bella impressione, e Fury non poteva negare quello che vedeva ogni giorno.
Forse, se ci fosse stato Coulson, Clint l'avrebbe scampata. Ma Phil non c'era più, e il direttore, giustamente, non poteva permettersi di mandare sul campo un uomo nelle sue condizioni. Lui stesso non si sarebbe mai affidato una missione.
L'arciere si conosceva a fondo, e sapeva, razionalmente, di non essere in grado di affrontare lo stress di una missione, seppure morisse dalla voglia di tornare sul campo, se non altro per avere qualcosa che gli impedisse di pensare.
Il ragazzino non era stata sicuramente una prova. Pur freddo che fosse, anche l'uomo con un occhio solo aveva un cuore, e mai avrebbe sottoposto un giovane appena diventato orfano di un genitore a una simile tortura psicologica.
Però aveva sicuramente influito.
Non sapeva quanto il direttore avesse visto e/o sentito, ma il suo pallore e il sudore sulla fronte, lo sapeva, erano stati subito evidenti.
-Agente Barton, mi dispiace informarla che non è ancora idoneo al servizio-
Appunto.
Rimase in silenzio, assimilando quelle parole, aspettate, ma che comunque gli lasciavano l'amaro in bocca.
-Mi dispiace- continuò il direttore -Quello che hai passato ti ha sconvolto, lo capisco. Ma devi andare avanti-
Di nuovo non rispose. Non era niente di nuovo. Natasha glielo ripeteva almeno quattro volte al giorno, gliel'aveva detto Bruce Banner, e perfino Tony Stark, quel giorno, quando l'aveva portato su quel tetto a New York, quando aveva balbettato una timida scusa.
-Hai sbagliato- gli aveva detto -Ora sei un vendicatore. Vendicati anche per questo-
A nessuno dei due uomini aveva avuto il coraggio di rispondere (più che altro Tony Stark era volato via come un fulmine senza che lui avesse avuto il tempo anche solo di assimilare la frase), esattamente come ora non aveva la forza di rispondere a Fury.
Inconsciamente, sapeva che l'uomo aveva ragione, ma per qualche motivo, non riusciva a non pensare ai soldati come il padre di Tommy, che si erano trovati uccisi da un fuoco che ritenevano amico.

Perchè il padre del ragazzo era stato solo il primo di una lunga lista, quella notte in Germania. Una notte in cui Loki si era particolarmente divertito a giocare col suo cervello.
Delle volte, Clint era incosciente di quello che faceva, ma poi il semidio aveva deciso che era più divertente lasciare che si accorgesse di quello che faceva, che se ne rendesse conto e allo stesso tempo non potesse disobbedire.
Aveva lottato con tutte le sue forze, cercato di combattere quel potere che lo teneva prigioniero. Ma senza successo. Almeno fino a quando Natasha non era riuscita a tenergli testa, a metterlo in seria difficoltà.
Quando aveva colpito l'inferriata, aveva sentito per un attimo di essere libero, almeno momentaneamente, dal controllo di Loki. Aveva alzato gli occhi verso l'amica che fino a pochi istanti fa era così determinato a voler uccidere. Aveva sussurrato il suo nome, con l'intento di chiedergli di finirlo. Non aveva avuto dubbi in quel momento: meglio la morte a una vita da schiavo. Poi lei lo aveva colpito, e si era risvegliato legato, con la testa che gli esplodeva: la sua coscienza che lottava contro il potere del semidio.
Aveva lottato per mantenere il controllo, solo la voce di Natasha a dargli la forza di tenersi attaccato alla realtà. Al dolore che si stava procurando ai polsi mentre si dibatteva per schiarirsi la mente.
-Vedrai che ti rimetterai-
-Devo respingerlo...-
E ci era riuscito. L'aveva respinto...

-Agente Barton!-
La voce di Fury lo riportò alla realtà. Si rese conto di essersi estraniato completamente. Ora era accasciato su una sedia dell'ufficio del direttore, che era accanto a lui un po' preoccupato.
-Mi...mi scusi- borbottò recuperando il controllo
-Stai bene?-
-Sì...sì-
Fury lo lasciò solo qualche minuto. Clint si accorse di essere coperto di sudore freddo e di avere il respiro accelerato. Cercò di scacciare i ricordi e riprendere il controllo.
Quando il direttore tornò in ufficio gli porse una bottiglietta d'acqua, che acccettò con piacere, in parte bevendola, in parte vuotandola sulla testa. Il freddo lo aiutò a tornare in sé -Mi scusi- disse quasi timidamente -Ho...a volte ho dei momenti in cui rivivo...-
-Come è accaduto prima con quella recluta?-
Poteva assolutamente giustificarsi, ma decise di mentire. Non era con Fury che si sentiva di parlare di certe cose, così si limitò ad annuire, rischiando di fare la figura di quello che non sapeva gestire delle situazioni critiche.
-Capisco...- Fury si alzò -Va a casa, Barton. Ci rivediamo domani-
-No...ce la faccio. Le reclute mi aspettano-
-Ne sei sicuro?-
-Assolutamente, signore-
Fury lo squadrò un secondo, sicuramente valutando se era il caso di lasciarlo da solo con dei ragazzi inesperti che maneggiavano armi, ma poi decise di dargli fiducia, così annuì e lo congedò.

Dopo aver chiuso la telefonata con Clint, Natasha si concesse ancora dieci minuti di quel bagno rilassante prima di uscire e mettersi all'opera.
Dopo essersi adeguatamente asciugata e profumata, prese un altro dei vestiti che aveva con sé. Lei non era molto per quel genere di abbigliamento, ma ammise tra se che quell'abito era splendido. Un abito artigianale italiano di alta moda, un pezzo unico di un sarto veneziano che aveva il proprio laboratorio proprio sopra il ponte dei sospiri.
Era un abito semplice, di un verde bottiglia che andava magnificamente a contrastare il rosso dei suoi capelli, con una spallina sola con il sostegno tutto affidato al bustino, che esaltava le sue forme in maniera egregia.
Il tutto terminava con una gonna che arrivava a terra, con un leggero strascico. Sperò ardentemente di non essere costretta a una fuga precipitosa, quella “coda” avrebbe segnato la sua fine.
Prima di mettersi le scarpe (un paio di sandali abbinati al vestito, fatti con la stoffa fornita dal sarto a un abilissimo calzolaio) di acconciò i capelli e si truccò lievemente con dell'ombretto verde sfumato con un rame. Un tocco di rossetto dal colore tenue e il mascara terminarono la sua opera.
In un ultimo momento di crudeltà Si fece una foto e la mandò a Clint.
-Perchè non sono uno sceicco grasso e puzzolente?-
Rise al suo sms di risposta, e lasciò la stanza.
Il riccone era ancora al bar della hall, e mentre lei si dirigeva verso il ristorante, non mancò di notare come l'uomo stesse apprezzando lo spettacolo che lei gli stava concedendo.
Si sedette, sola, e sfogliò distrattamente il menù.
-Mi scusi, signora-
Il signora, pronunciato in italiano, le fece alzare gli occhi. Di fronte a lei stava un uomo di chiare origini mediorientali, vestito con un completo elegante, e tuttavia non abbastanza costoso da essere un uomo d'affari.
-Sì?- rispose educatamente in italiano
-Mi manda lo sceicco Rayhan, che avrebbe il piacere di invitarla al proprio tavolo per la cena, se le aggrada-
Le aggradava? Ma proprio per niente.
Avrebbe rifiutato? No, ovviamente.
-Lo sceicco mi fa un grande onore- rispose in arabo con un inchino -Accento con gioia-
-La signora parla la nostra lingua, vedo-
Natasha arrossì e sorride timidamente
-Non bene come vorrei- rispose umilmente mentre li lasciava condurre dal tirapiedi al sontuoso tavolo dello sceicco, apparecchiato nel ristorante adiacente, quello con l'acquario, ovviamente completamente riservato all'ospite d'onore.
La spia entrò e fece un inchino al proprio ospite. -Vi ringrazio per l'invito, sayyid1-
Lui sorrise e si presentò come lo sceicco Rayhan Assad Al'lah, il “leone di Dio”, ma la invitò, ovviamente a chiamarlo semplicemente Rayhan.
Finite le presentazioni, l'uomo si alzò personalmente a porgerle la sedia accanto alla propria.
Si poteva dire tutto, ma non che la cena fosse stata orribile.
Lo sceicco, fino a quel momento, si era dimostrato un perfetto gentiluomo, e un musulmano perfetto: non aveva toccato infatti una goccia di alcol. Era una persona profondamente conscia del potere che aveva, ma allo stesso tempo non così stupida da sbandierare alla prima persona che gli capitava a tiro i suoi affari.
Tutto ciò che riuscì a scucirgli era quello che già sapevano allo SHIELD, né più, né meno.
A dispetto della prima impressione, nonostante l'aspetto non particolarmente gradevole, non fu viscido, e le sue mani rimasero bene a posto nonostante i nascosti trucchi di seduzione di Natasha, che avrebbero fatto crollare perfino uno con l'autocontrollo di Fury.
Dopo la cena, vedendola stanca, la riaccompagnò in camera, con la speranza di poter passare con lei la giornata successiva.

La donna si stese sul letto, liberandosi di tacchi e vestito in favore del proprio, comodo, pigiama, maledicendo la politica dello SHIELD che prevedeva l'uso delle buone maniere, prima di quelle cattive, per ottenere informazioni.
Fece un rapporto succinto, che inviò subito a Fury, prima di trovare sul cellulare un sms di Clint. La cosa la turbò.
Al di là della telefonata di prima, che però proveniva da lei, e della foto, proveniente sempre da Natasha, avevano il tacito accordo di non contattarsi in missione, a meno che, appunto, non fosse quello in missione a farsi avanti per primo. Entrambi sapevano bene che anche un solo sms poteva mandare tutto a puttane in un nanosecondo.
Lo richiamò all'istante.
-Natasha, ciao-
-Ciao- rimase zitta un attimo, cercando una frase che non tradisse il fatto che il suo messaggio l'avesse quasi mandata in panico. Disse la prima cosa che le passò per la mente -Hai finito di masturbarti con la mia foto in abito da sera?-
-Non ancora...anzi mi aiuteresti facendo una voce sexy?-
Lei sorrise, lieta che almeno non fosse così a terra da non rispondere alle sue battute.
Solo in quel momento si ricordò della perizia.
-Come è andata?- chiese, ma già conosceva la risposta. Se tutto fosse andato bene, non avrebbe ricevuto nessun sms.
E Clint, infatti le raccontò tutto, includendo però anche la conversazione con Tommy.
-Non dirmi che non è colpa mia- la prevenne -Non cominciare. Il problema è: cosa dico a quel ragazzino?-
Lei tacqua, conscia della situazione. Non era giusto che Clint si prendesse la colpa, e l'odio di quel ragazzino, ma tutto era top secret.
-Prendi tempo, appena torno ci pensiamo- rispose
-Quando torni? Come va col maiale?-
-Non si lascia arrostire, ed è più pulito del previsto-
Fatto, avevano iniziato a parlare in codice. Nessuno dei due si azzardava a parlare troppo liberamente di una missione una volta ufficialmente iniziata. I telefoni potevano non essere sicuri, anche se stavano utilizzando una linea che era solo loro, una coppia di telefoni identici che avevano comprato apposta per tenersi in contatto, anni prima, quando Natasha si era presentata all'indirizzo che Clint le aveva indicato.

Clint Barton aveva preso la telefonata, quattro cose e se ne era andato, dicendole che era libera di restare e lasciandole un bigliettino con un indirizzo e un'ora.
La ragazza rimase per un po' ferma immobile al centro della stanza che fungeva da salotto e cucina, indecisa sul da farsi.
Cercava di negare, o meglio, di ignorare, la sensazione che l'aveva presa quando lui aveva capito il suo SOS e aveva ricambiato il suo bacio, conducendola poi al sicuro. Si era sentita protetta, come se per una volta non avesse dovuto guardare in faccia la morte da sola. Non era una brutta sensazione.
Smettila. Si disse. Tu sei tu. E lui potrebbe anche essere una trappola per ucciderti.
Chi sarebbe mai potuto essere così...umano, sì umano, con lei, sapendo chi era in realtà? Sapendo cosa faceva per vivere?
“Credi alle seconde possibilità?”
Le sue parole di quella notte a Milano le tornarono in mente. La sua risposta era stata sincera. Era vero. Non ci credeva. Sapeva che per lei non ci sarebbe mai stata la redenzione. Nella sua vita non aveva fatto altro che uccidere, torturare, e ancora uccidere.
Ma una parte di sé stessa sperava, anzi agognava, la possibilità di tirarsi fuori da tutto questo. Ed era per quel motivo che era finita a fare la cameriera in un ristorante quando si era vista tradita dalla sua stessa gente.
E quanto è durata? Chiese a sé stessa.
Tuttavia decise di restare. Spostò frecce (??? questo tizio sul serio nel 2000 usava ancora arco e frecce??) e abiti (fortunatamente puliti) dal divano facendo attenzione a non rompere nulla e si stese. Si addormentò in pochi minuti.
Il mattino successivo si alzò all'alba e si lasciò quella casa alle spalle, non dopo aver imparato a memoria l'indirizzo.

Le ore passarono in fretta. Colazione, e poi via dal primo parrucchiere che aveva trovato aperto. Con non un po' di dispiacere, fece un taglio netto ai capelli, dandosi un taglio un po' punk. Molto corti, ma con il ciuffo lungo e liscio. E ovviamente nuovo colore. Questa volta optò per un nero corvino riflessato blu e la punta della frangia blu elettrico.
Il suo abbigliamento poco dopo seguì l'inclinazione dei capelli. Comprò un paio di jeans neri, ovviamente elasticizzati per non venire ostacolata nei movimenti, e un paio di anfibi (finalmente dei cari, vecchi, anfibi). Una felpa col cappuccio un po' più grande di un gruppo che non conosceva (linkin pirk, pork, qualcosa del genere) e infine un giubbino da motociclista di finta pelle.
Entrò poi in un negozio di Make up. Eyeliner, matita e mascare, rigorosamente neri.
Fingendo di provarli, prima di acquistarli si tracciò una perfetta linea nera sugli occhi, non troppo spessa, ma nemmeno invisibile, si passò la matita nella rima inferiore, costruendo una linea sottile, e infine si passò generosamente il mascara.
Una perfetta punk-rocker, si disse, accorgendosi di riconoscersi a stento e constatando di dimostrare almeno 5 anni in meno. Perfetto.

Guardò l'ora. Mezzogiorno.
Clint le aveva dato appuntamento alle 13.00. Aveva un'ora per decidersi.
Iniziò a incamminarsi verso il luogo dell'appuntamento. Ancora non aveva deciso, ma se era una trappola, quella era l'ora in cui le cose avrebbero iniziato a muoversi.
Era l'incrocio tra la 32esima e la 33esima strada, un luogo decisamente affollato.
Non l'ideale per un'imboscata, si disse, ma forse ottimo per uccidere qualcuno con una siringa passando inosservati.
Mentre diversi scenari possibili le passavano per la testa, si guardò intorno. Sembrava tutto a posto.
Il suo stomaco diede segnali di fame, perciò si tuffò nello Starbucks all'angolo e pranzò con due fette di torta e un frappuccino caldo.
Si avvicinava l'ora X.
Eccolo, infatti.
Barton era a meno di 5 metri da lei, e si guardava intorno, cercandola. Lei lo studiò per un attimo. Le labbra non si muovevano, non faceva cenni con le mani, e non batteva i piedi in modo ritmico a terra. Niente che lasciasse pensare che le stesse organizzando un agguato.
L'uomo si guardava intorno, scrutando la folla, forse chiedendosi quale aspetto avesse preso questa volta. Il suo sguardo vagava intorno all'incrocio, nei vari negozi, nei vari bar. Per un attimo si fissò anche su di lei, che prontamente si nascose dietro alla tazza evitando di incrociare i suoi occhi.
Le sembrava sulle spine, quasi speranzoso che lei si facesse vedere.
Al diavolo. Si disse. Che ho da perdere?
Si alzò e si avvicinò a lui da dietro, facendosi appena sentire per far si che si voltasse senza che lei dovesse parlare. Lui per un secondo non la riconobbe, poi rimase imbambolato in un muto stupore che la fece sorridere.
-Allora?- gli chiese
Lui la condusse allora per le strade di New York. Le disse chi era, per chi lavorava.
Ovvio. Lo SHIELD.
-E che vuoi da me?-
-Darti una seconda possibilità. Con lo SHIELD. Non sarà facile, il passato non si cancella, ma potrai scriverti un nuovo futuro-
Lei non credeva alle seconde possibilità, ma lo seguì.

PERSONAL SPACE:
prima di tutto:
1-Signore, in arabo
Grazie per essere arrivati fin qui, spero che il capitolo via sia piaciuto e non vi abbia troppo annoiato...nel caso, come sempre, fatemelo sapere con una recensione...alla prossima!
   
 
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