Camminava lentamente, con il solito passo strascicato di sempre per le vie del suo villaggio. Lo sguardo vagava, senza vedere realmente nulla.

Pensava.

Al passato.

A quello che era accaduto.

A quello che aveva perso.

A quello che aveva riavuto.

Un leggero sospiro uscì dalle sue labbra.

La guerra aveva tolto e aveva dato. Diciamo che era stato anche un gran colpo di fortuna riavere indietro coloro che erano periti, grazie anche a quella testa quadra di Naruto, che tale appellativo non meritava più.

Era riuscito nell'impossibile.

Redimere Obito, riavere Sasuke, salvare tutti.

E proprio anche grazie ad Obito, che aveva usato la tecnica di Nagato, tutti erano riusciti a rivivere. Anche suo padre.

Da quel momento tutto era tornato “normale”.

I rapporti tra i vari Paesi si erano rafforzati, le ricostruzioni erano andate avanti spedite, sopratutto a Konoha. Le amicizie erano diventate sempre più salde tra i vari shinobi e i dissapori sotterrati per sempre.

Giunse al suo prato. Il suo amato prato. Con quella vista che mai avrebbe cambiato per niente al mondo.

Sovrastava il suo villaggio, con il monte degli Hokage che sembrava proteggere tutti dall'alto.

Come in effetti era.

Si sdraiò, portando le braccia dietro alla testa e socchiudendo gli occhi.

Per quanto fosse felice che gli eventi si fossero conclusi nel migliore dei modi, c'era ancora un piccolo, piccolissimo tarlo che continuava a lavorare nel suo geniale cervello.

All'inizio non ci aveva dato peso, ma quello, imperterrito, aveva continuato a tartassare, lentamente e inesorabilmente, fino a rendergli la vita quasi impossibile.

Quel sogno.

Il sogno vissuto durante quella terribile tecnica.

Il suo desiderio e la sua speranza.

Non poteva negare che almeno una volta, forse due, aveva pensato a tale eventualità, ma mai avrebbe creduto talmente radicata.

Proprio lui che poco sopportava le donne.

Lui che le aveva sempre classificate come “seccature”.

Lui che non voleva fare la “fine” di suo padre.

Lui che si era incasinato la vita proprio con la peggiore che conoscesse.

Ora che tutto era finito, la vita gli presentava il conto.

Metterlo davanti alla realtà.

Lui la voleva. Non solo fisicamente, ma agoniava la presenza stessa di quella donna.

Lo intrigava da sempre, lo punzecchiava, lo intimidiva, lo rilassava.

Tutto il suo mondo, quando era nei paraggi, girava intorno a lei.

E ora non poteva più negare quanto ella gli fosse quasi indispensabile.

“Sei caduto davvero in basso.” si riprese mentalmente.

Ma non poteva farci nulla.

Ricordava i giorni passati insieme per organizzare gli esami dei chunin, i periodi trascorsi a Suna per compilare carte per conto dell'Hokage e del Kazekage. Le battutine, le frecciatine.

Gli insulti per la sua pigrizia e svogliatezza, le risposte sul suo essere troppo ferrea ed intransigente.

Le uscite a cena o solo per passeggiare in silenzio, nel buio di Konoha o di Suna.

Gli sfioramenti delle mani non cercati, ma voluti.

E poi, quando finalmente si era deciso a mettere le cose in chiaro con quella “strega” dai capelli color grano quando era giunta a Konoha dopo la ripresa di Tsunade, la guerra si era messa di mezzo.

Ma ora sapeva di non poter più attendere.

Il suo “desiderio” lo imponeva.

Si alzò da terra, spolverò i pantaloni e mise le mani in tasca, voltando il viso verso quegli Hokage che proteggevano Konoha.

“È quello che voglio. E lo avrò.”