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Autore: Ut0piagratuita    07/07/2014    1 recensioni
Dall'ottavo capitolo:
" La gente comune è liquida, ragazzina: come l'acqua assume forme diverse a seconda del contenitore. le persone uniche sono quelle che rimangono solide, quelle non le puoi omologare alle altre...
Proprio per questo tutti siamo unici, ognuno in un modo unicamente suo"
" Quindi siamo fiocchi di neve, in pratica"
" Sì, siamo fiocchi di neve"
le nostre mani in contatto, a dividere quella lacrima ghiacciata: estate e inverno. Freddo e caldo.
Rosso e Verde.
Tutti i dettagli che ci guardavano, ci studiavano, aspettandosi qualcosa.
Ma io guardavo lei.
Quello era uno spettacolo maggiore... Unico
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Stiles e Lydia, due storie che diventano una, attraverso limiti e problemi...
Perché tutti meritano di essere salvati, perché tutti conoscono il modo per salvare.
Genere: Angst | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Allison Argent, Lydia Martin, Scott McCall, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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"The way to save = Il modo per salvare"
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« Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di Sole:
ed è subito sera. »

-S.Quasimodo

 
 
 
 

Lydia

 
Concentrarsi a lavoro quando vorresti essere da tutt’altra parte, magari con tua sorella, oppure semplicemente dentro il letto, a guardare il soffitto cercando di non pensare, è praticamente impossibile.
Sbadigliando poggiai il dito sulla parola sullo schermo del computer: “Egregio ...
Se coprivo bene il ”gregio” rimaneva solo quella E maiuscola.
E, come la E di Erica.
Era ciò che mi serviva: se chiudevo gli occhi riuscivo anche a vederla Erica, con il suo sorriso buffo, o con la pace sul viso addormentato in ospedale … Era da ieri che aspettavo notizie, da Allison o da Melissa. Potevo solo aspettare, perché ero stata privata del mio essere sorella, almeno per Loro. Allison mi aveva confermato ciò che già avevo pensato: Lui e Laura avevano chiesto al medico affidato di non lasciare entrare quella”ragazza irresponsabile e combina guai” nemmeno nel reparto.
Tutto ciò era assurdo, considerando cosa avessi fatto per quella bambina da quando era nata. Ma mia madre me l’aveva sempre detto: il mondo, le persone che lo compongono, non ti saranno mai riconoscenti. ti lascerebbero anche morire per strada agonizzante se fosse la cosa migliore per loro.
Mia madre era fatta così, con tutto quel veleno sepolto dentro di lei, che non tirava mai fuori con il suo amato marito, preferiva lasciarlo per la sua “donnina”, che doveva imparare in fretta. E io ero un’ottima allieva, come una spugna assorbivo tutto, e cercavo di farla felice, di renderla fiera.
Quando se n‘era andata avevo sentito la sua assenza, in fondo, nonostante il suo strano modo di esserlo, lei era mia madre … Mio padre aveva sofferto per i primi mesi, poi si era risposato con la barbie, che si era presa sulle sue spalle il carico di una bambina triste e strana. Poi però era arrivata lei.
Loro avevano avuto paura che cercassi di sabotarla, magari inculcandole le mie idee, o semplicemente cercando di renderla simile a me, ma non avevano capito che io a Erica la osannavo. Pendevo dalla sue labbra, e la amavo, di quell’amore puro e incondizionato che provi solo per la tua famiglia. Perché lei lo era, era la mia famiglia.
Il segnale della mail si accese, avvisandomi che ne avevo appena ricevuta una, tenendomi il mento con la mano, la aprii.
Dopo le prime due righe strinsi le mani in pugni, così forte da lasciare i marchi rossi a mezzelune, in corrispondenza delle unghie.
Kira vide di certo la mia faccia, perché smise di scrivere alla tastiera e mi chiese: “Tutto bene, Lydia?”
Non risposi.
Non si potevano trovare parole; io non ci riuscivo, scossi la testa, non aspettandomi di certo che lei mi venisse incontro e ripetesse la domanda. Poi si sporse a leggere dal computer, io non reagii, ero bloccata, paralizzata dalla paura.

 
 
 
 
 

Stiles

 
C’era quasi un telo su questa città, come uno di quelli che metti in soffitta sui mobili, per non farci posare la polvere sopra; era diversa.
Sì, diversa: non era come New York, dove ogni cosa sembrava che avvenisse per caso, e la gente che incontravi eri destinato a non incrociarla più; m a non era nemmeno la vecchia Beacon Hills, dove ero nato e cresciuto. Quando avevo diciotto anni, io, come un mucchio di altri adolescenti, non sapevo nulla.
Non avevo idee sul mio futuro, non stavo progettando come sviluppare il sogno dentro il cassetto, non ero impegnato in quella che chiamavo ironicamente “ la corsa all’oro personale”.
Certo, perché gli Americani sono sempre stati famosi per questa cosa di perseguire gli obiettivi fino al punto fermo, alla vittoria, o della ricerca di gradini più alti rispetti a quelli degli altri. Uno stereotipo che però un fondo di verità ce l’aveva.
Questa città, ora come ora, era diversa; l’odore che respiravi per le vie era diverso, i suoi suoni, il colore del cielo, aveva una gradazione in più di celeste di quella che ricordavo. E non lo accreditavo di certo allo smog: mi sentivo un estraneo.
Non ero mai stato come gli altri ragazzi, quelli pronti a fare cazzate, a fregarsene, a mollare tutto e andare a vedersi la partita di football alla TV.
Io mi bloccavo e pensavo, sempre, a tutto.
Da dove veniva questo mio lato pronto ad analizzare ogni cosa, non ne avevo idea; forse da mia madre.
Quando le persone che consideri pilastri, per qualsiasi motivo, crollano, tu crolli con loro. A me era successo. Ma c’ero riuscito, ad andare avanti. Non del tutto, magari, il mio era ancora un cantiere aperto, ma mi era andata meglio che a mio padre.
Non l’ho mai rimproverato per il fatto di non essere riuscito a lasciarla andare, e non l’avrei mai fatto probabilmente: non era ancora pronto, e ognuno ha i suoi tempi. C’era stato un momento nel quale l’avevo accusato, qua, nella mia testa, di fare la cosa sbagliata, di affrontarla male, che non ne sarebbe mai uscito, ma poi avevo capito.
Nessuno può soffrire il tuo stesso dolore.
La gente, per quanto può volerti bene, amarti, non arriverà mai a soffrire la tua stessa fetta di dolore: è completamente tua, nessuno può farsene carico, e se tu soffri gli altri non stanno male come te.
Era un pensiero triste, trovato in una frase di un libro, ma che mi aveva in un certo senso aperto gli occhi: per quanto fossi empatico, per quanto viaggiassi sulla stessa onda di frequenza, e per quanto soffrissi per la stessa ragione, non soffrivo come lui. Quel dolore era solo suo.
Sospirai, pensando a mio padre. Chissà dov’era adesso …
Era già a casa? Magari davanti alla TV con la solita cena precotta in forno e la solita stanchezza sulle spalle e negli occhi? Oppure era ancora in centrale, pronto a lavorare tutta la notte per risolvere un caso?
Mentre svoltavo l’angolo per il condominio optai per la seconda opzione: lo sceriffo Stilinski viveva del suo lavoro, con passione e dedizione.
Mi aveva proposto di lavorare con lui alla centrale, e io ci avevo pensato sul serio: crimini, gli assassini, le prove, le armi … Roba da CSI, insomma. Ma avevo declinato l’offerta: quello era il suo universo, fatto da lui per lui, io avevo bisogno di entrare nel mio mondo, forse addirittura di costruirmelo dalle fondamenta, ma dovevo farcelo io.
Ed ecco perché New York, era un ponte verso il futuro per me. Il mio futuro a due, con la donna a cui avevo avuto il coraggio di dichiararmi, la donna che amavo, che avrei continuato ad aspettare.
Salii le scale, perso, guardando come il piede aspettava su un gradino l’altro prima di passare a quello più in alto, chiedendomi quando precisamente la mia vita fosse diventata un casino del genere. Prima mia madre, poi mio padre, e tutta la storia del Liceo, dove ero il nerd, il ragazzo strano: sogni strani, vestiti strani, gusti strani … E poi lei, Malia, pensare il suo nome bruciava in prossimità del petto, quindi cercai di non fermarmi su quello, o sarei scoppiato.
Riflettendo su come noi usiamo bene il senso negativo della parola strano arrivai sull’ultimo gradino, e alzai lo sguardo.
E la trovai.
La vicina attraente, quella biondo-fragola, che, appoggiata alla porta in legno, frugava nella sua borsa bianca.
“ Cerchi qualcosa?”
Lei mi guardò sorpresa, come se si fosse appena ricordata di non essere l’unica che abitava in questo terzo piano, e notai una strana luce nei suo occhi, mista a stanchezza e dolore sordo.
“ Le chiavi. Non le ho perse, erano qui … ci devono essere per forza.”
E si perse anche lei dentro la borsa, con la fronte aggrottata, io rimasi a schermarla, immobile.
La prima volta che l’avevo vista l’avevo subito etichettata come “estremamente attraente”, con quei capelli così particolari e unici, e quegli occhi, così espressivi, ma ora ero costretto a ricredermi. La mia vicina era bella, non solo attraente, e ce n’era di differenza.
C’era qualcosa di sensuale nel suo ginocchio sottile scoperto, premuto per puntellarsi contro la porta, nella piega del collo, così dolce e bianca, scoperto dai capelli intrecciati. Non era una ragazza che si nascondeva nei suoi vestiti, per paura del giudizio, no, era una di quelle che ostentano sicurezza: portava un vestitino attillato turchese, un giubbotto in pelle candido abbinato alla borsa, che non conteneva bene il seno, stretto a malapena nel vestito, e un paio di stivaletti neri; sembrava sicura del suo corpo, delle sue forme, visibili e gradite.
“ Se hai finito di radiografarmi magari mi dai una mano.” La sua voce, colorata di un pizzico di nervosismo, oltre che scocciata, mi riportò sulla Terra. La fissai, ricordando il tempo in cui se fossi stato colto in una situazione del genere sarei scappato, e avrei nascosto la testa sotto la sabbia, tipo struzzo.
Lei mi indicò lo scatolone nero che era per terra; lo raccolsi, seguendola dentro il suo appartamento, e il 3B dorato della porta mi sfidò. Attraversi la soglia, non spaventato da quel numero e quella lettera, pronto a essere cacciato all’istante dalla rossa.
Dicono che la nostra casa rispecchi la nostra personalità; armato di questo detto mi guardai attorno, per rimanere spaesato.
Colori, colori dappertutto.
Il soggiorno aveva le pareti tinteggiate di azzurro, con il divano bianco munito di cuscini rossi. Poi l’angolo cottura era verde mela, con un mosaico di mattonelle diverse, bianche e blu, e si vedeva a sinistra un piccolo corridoio bianco, e i mobili di legno scuro, pieni di libri, foto.
Non so perché, ma non me l’aspettavo. Forse per le sue reazioni scorbutiche, forse per la tristezza che avevo letto nel suo sguardo, troppa profonda per essere data dallo svolgersi della giornata.
“ Strano.” Mi lasciai scappare, lei si voltò a guardarmi, indispettita.
“ Ci ho messo un po’ per metterlo su, ma mi piace. Poggialo lì, tranquillo.” E riferendosi allo scatolone che avevo in mano indicò il divano, mentre si liberava dal giubbotto.
“ Non è brutto, ma non mi sembra da te.”
“ Mi conosci?” ribatté, ma non con cattiveria; capii che era una constatazione retorica, e io risposi con un sorriso.
“ Potrei, se sapessi il tuo nome.”
“ Giusto, mhh … perché dovrei dirtelo?” la sua voce scemò mentre andava in cucina per aprire la finestra, la seguii.
“ Perché non dovresti, scusa?”
“ Da una parte perché mi hai fatto un livido ieri con la caduta, poi perché hai strane manie con le macchine fotografiche … Però mi ha portata la scatola, quindi credo che non sia compromettente dirtelo … Lydia Martin” decise, porgendo la mano verso di me. La strinsi, adattandomi alla morbidezza della sua pelle e al suo calore, e un’espressione vittoriosa dipinta sul viso.
“ Stiles Stilinski.”
“ Perché me l’hai detto? Lo sapevo già.” Mi chiese, non solo con la bocca, anche con gli occhi.
“ Avevo paura te lo fossi dimenticato, gli altri ci mettono un po’ a ricordarselo, è un nome-“ non mi lasciò finire.
“ Strano. E’ vero, è strano.” Annuì, e io alzai gli occhi al cielo.
“ Ti ringrazio.” Ed eccone un’altra da aggiungere alla lista; però lei continuò.
“ Ma non è brutto … sempre meglio di certi altri … tipo Hernest.” Rimasi a guardarla, cercando di cogliere l’allusione che per lei sembrava così elementare, glielo si leggeva in faccia. “Hemingway”
“Ah! Sì, lo conosco! Il vecchio e il mare giusto? “ mi si accese la lampadina.
“ E non solo … Meno male, stavo per prenderti a padellate” si asciugò false goccioline di sudore, e io mi abbrunai.
“ Quindi, Stiles, ti ringrazio per avermi aiutata …” la sua voce era nervosa.
Sorrisi, cominciando a dire :” non c’è di-“
“… e anche per avermi radiografato il sedere, quello soprattutto, dopo ieri, ti ha fatto guadagnare punti bonus, ma …”
“ Non mi ringraziare, quando vuoi, solo per te” aprii le braccia, indicandomi tutto, curioso della sua reazione.
Lei cercò di nascondere il sorriso che le si stava formando sulle labbra, illuminandole gli occhi verde foglia, scuotendo quel dolore che leggevo ancora, e mi tirò un colpo al braccio.
“ Ahi! Era un apprezzamento innocente!” mi difesi, prendendomi la parte ferita e mettendola al riparo da lei.
“ Innocente? Sei un pervertito!”
“ Piano ragazzina, potrei anche offendermi … A proposito quanti anni hai?” Tirai fuori quella domanda dal nulla.
“ Troppi per rientrare nella pedofilia, mi spiace.” Rispose con una smorfia sulle labbra rosse, piene … Era così diversa da Malia, Lydia sembrava una bambina dentro un corpo di una donna, un corpo molto attraente, con le giuste curve, ma erano entrambe bellissime …
“ Ero serio.”
“ Pure io.”
La guardai con sufficienza, e lei sorrise “ La verità è che sono indecisa se dirtelo o no, non sei uno di cui si può fidare.”  Notai come il suo sorriso si spense un po’, mi chiesi il perché.
“ Ti do quest’impressione?”
“ Ti fideresti di un completo sconosciuto?”
“ Per cose come l’età e il nome sì, perché praticamente non lo rivedrei più”
“ Ma a noi non succederà: abitiamo ottanta centimetri di distanza.” Era maledettamente seria con quella frase, e io ripetei in mente la conversazione.
“ Stai tranquilla, Lydia Martin, non sono né un pedofilo né un assassino. Anzi, proprio oggi sono stato assunto come cameriere in un locale non lontano da qui. Ti puoi fidare di Stiles il cameriere.” Le assicurai, cercando di trasmetterle tutta la sicurezza che vedevo vacillare nel suo sguardo, sembrava pronta a rompersi, la mia vicina.
“ Di Stiles il cameriere potrei anche fidarmi, ma di Stiles il vicino?”
“ A lui starei attento, ma per l’informazione sull’età, andrei sul sicuro … per me hai diciannove anni, comunque.”
“ Me ne hai scalato un paio. Ne ho ventuno.” Mi sorrise, un sorriso piccolo, sincero, che le dava un’aria da ragazzina. Le stavano bene i sorrisi così .
“ Io ne ho ventidue.” Stava per aggiungere qualcos’altro quando il mio telefono suonò.
“ Scusa.”
“ Fai pure” assicurò lei, attorcigliando una ciocca rossa al dito.
Guardai il display del telefono: un messaggio da Malia. Ero indeciso: aspetto o lo apro? Guardai Lydia, aspettando forse di trovare la risposta sul suo viso, lei rispose con uno sguardo interrogativo.
“ E’ qualcuno di importante?”
“ In realtà sì, la mia ex ragazza, che però forse è la mia ragazza.” Non so perché le dissi la verità, solo non le volevo mentire, forse per quella storia della fiducia.
“ Se la ritieni importante faresti meglio a rispondere, e poi devo farmi la doccia, sarebbe meglio se uscissi da qui.” Non sorrise, ma lessi serenità nel suo viso: ancora, non voleva offendermi, era solo il suo modo di dire come la pensava, con quel piccolo pezzo di scherno che la caratterizzava .
“ Hai ragione … Rimarrei per aiutarti a insaponare la schiena ma …”
“ Ciao Stiles, sai dov’è la porta!” mi liquidò così, con lo spettro di un sorriso sulle labbra, e si girò, andando verso il corridoio.
Rimasi un attimo a guardare quelle fiammelle biondo-fragola che si allontanavano, messe in risalto dal turchese del vestito, poi aprii il messaggio, mentre uscivo dalla casa.
Stiles, ti prego, vorrei parlarti, chiamami appena leggi il messaggio.”
Non sapendo cosa fare cominciai a scendere le scale. Arrivato al portone premetti il tastino verde, volevo arrivare ad una conclusione, che fosse positiva o negativa. Ero stato in equilibrio precario troppo a lungo, il punto per rimanere in asse era sparito, ora avevo due chance: o saltavo giù dal filo e cadevo al sicuro, sulla rete, o finivo fuori, sul duro pavimento.
Ma i funamboli fanno scena anche quando sbagliano, quando cadono rovinosamente a terra, quindi non dovevo avere paura, quella parte l’avevo già superata dicendole “ti amo”, andava tutto bene.
Ci devo solo credere.

 
 
 
 



Lydia

 
Mi girai per vedere Stiles che usciva del tutto dalla porta e la sbatteva, di certo non apposta. Sospirai, riavvolgendo il nastro: dovevo starci attenta, con la fiducia, quando ero troppo vulnerabile lasciavo vedere i punti scoperti della corazza, andavo oltre la maschera da donna sicura, tornava la dodicenne che si addormentava piangendo.
Aprii l’acqua, guardandola scendere.
Dopo il blackout che avevo avuto durante lavoro mi serviva un modo per riflettere, per elaborare. Per purificarmi dalla paura, non so come fossi riuscita a sorridere tutte quelle volte con Stiles, era un po’ magica, come cosa, curante forse: staccare la spina.
L'’acqua diventòò calda subito, e io mi ci buttai sotto, sperando di stare più calma, magari nel frattempo mi sarebbe venuta qualche idea per affrontare il pranzo con mio padre, o qualche illuminazione su come convincerlo a non mandare Erica a Vancouver …
Nell’e-mail c’era un dichiarazione di guerra, io la vedevo così, Kira non aveva saputo che dirmi, se non: “ Stai tranquilla, Lydia, forse non è come pensi, forse andrà tutto bene.”
Da dove diavolo si tirava fuori tutto quell'’ottimismo me lo doveva davvero spiegare. Però lei era così: era un continuo polo positivo, anche se stava male, per qualsiasi ragione, lei sorrideva, con tutti e trentadue i denti, ecco perchéé era cosìì bella. E io avevo capito che con lei potevo anche poggiare la maschera e parlare, parlare anche di me, di Lydia, e le sue debolezze.
Ripensai all’e-mail, sembrava scritta con la stessa stilistica di quella che avevo appena mandato a un avvocato poco prima di riceverla:
Distinti saluti, … la preghiamo … sarebbe di nostro estremo piacere … e con questo le auguriamo una buona giornata... etc.
La firma era quella della sua segretaria.
L’aveva fatta scrivere dalla segretaria. Io contavo così poco, ero cosìì un problema, un peso per Lui, che l’aveva fatta scrivere dalla segretaria …
Le mani mi tremavano, tante è che dovetti sedermi per non cadere, il tremolio che si espandeva per tutto il corpo, facendomi salire la nausea, poco a poco.
Non so quanto rimasi sotto il getto dell’acqua; anche quando divenne fredda, non la chiusi.
Tremando per il freddo uscii dal bagno, con addosso solamente l’asciugamano, legato al mio corpo, e andai a cercare il mio cane. Non si era ancora fatto vedere, strano, non da lui.
“Berry? Ehi! Berry?” lo chiamai più volte, poi sentii il campanello, pregando fosse la signora da cui a volte scappava, quella del primo piano, aprii la porta.” Grazie signora, non sa quanto-“
“ Nessuna signora, solo io.”
E ancora mi fermai. La sua voce, prima del suo viso, minacciavano il pianto. Ma nei suoi occhi c’era quasi sollievo.
Mi fermai, indecisa su cosa fare, dire, ma lei mi abbracciò, e io non seppi cosa dire, se non:
“ Allison …?”







A/N: allora, ci ho messo un po' per scrivere quello che forse avete letto, o forse avete fatto scorrere. Se l'avete fatto, capisco il perché, non preoccupatevi. Questo era un capitolo purtroppo necessario: mi serviva una specie di pedana di lancio, per cominciare a costruire la storia, perché senza buona fondamenta la casa crolla, si sa. 
Vi servivano un po' di informazioni per capire innanzitutto la mentalità della Martin e la sua storia, e poi il modo di ragionare di Stiles.
Stiles è davvero difficile da scrivere, è come un'insieme immenso di numeri: puoi confondere qualcosa, ma puoi anche dimenticarti per un attimo che i numeri sono infiniti, quindi qualcuno scappa, puntualmente( ? ).
Ho deciso di proporvi una delle poesie più belle di Quasimodo, per spiegare come tutto finisca: la vita, la felicità, la tristezza...è inevitabile, quindi bisogno tirare fuori i denti!

ps: perché Allison piange? e poi nel prossimo ci sarà anche Scott, e Malia, che sarà molto diversa a quella che avete conosciuto nei capitoli precedenti.
Ok, la smetto di tediarvi, buona serata, anche se è Lunedì, e se lasciaste una recensione, un'opinione, un'offerta, il vostro codice della banca ( ma anche no ), ne sarei davvero mooolto felice!
bye bye, 
-Mg :)

 
  
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