Storie originali > Fantasy
Ricorda la storia  |      
Autore: Nemainn    08/07/2014    7 recensioni
Il posto migliore dove nascondersi dove può essere, se non sotto gli occhi di tutti?
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A





 

“Questo è ancora vivo.” La voce annoiata del ragazzo richiamò l'attenzione del suo compagno. L'uomo più anziano tornò indietro, rigirò con il piede il corpo riverso al suolo, studiandolo con aria critica. Gli diede qualche leggero colpo con i pesanti stivali e scrollò le spalle.
“Sta morendo, non vedi che ha lasciato tutto l'interno sparso in giro? Non ha bisogno di aiuto per andarsene, ma sopratutto non ha fiato per noi.”
Il gemito del giovane soldato che con sguardo vitreo li fissava da terra, dove era sdraiato nel fango gelido e nel sangue, circondato dalle sue stesse interiora, era poco più di un soffio: l’ultimo suono che prese vita su quelle labbra. L'immagine delle schiene dei due uomini che si allontanavano da lui, incuranti della sua esistenza ormai arrivata al confine, fu l'ultima cosa che rimase impressa in quelle orbite chiare, che divennero presto vitree.
I due, uno più giovane, poco più di un ragazzo, e l'altro un uomo maturo e robusto che zoppicava leggermente, camminavano nella distesa di melma, acqua e sangue che era stato l’ennesimo campo di battaglia. I corvi, gli alati spazzini dei cieli, avevano già iniziato il loro lavoro così come molti di quegli uomini che vagavano in quel luogo... alcuni, più bene intenzionati di altri, cercavano di dare soccorso a chi aveva ancora qualche speranza, mentre altri frugavano nei vestiti di morti e morenti alla ricerca di qualcosa di prezioso, o anche solo di un paio di scarpe in condizioni decenti.
“Non ho ancora capito perché qualcuno, qua, dovrebbe aver visto quella puttana. È sparita, sono mesi che inseguiamo il nulla! È andate tra le montagne, te lo dico io. Lì tra i Sin'deer!”
Il più giovane dei due sputò nella fanghiglia nera e piena di impronte, la voce infastidita e le mani agganciate per i pollici al cinturone della spada.
“No, è ancora in zona. Sai benissimo che i miei sogni non mentono mai, Falgi, e lei sta ancora girando qua nelle pianure. È pur sempre una strega e può camuffare il suo aspetto come vuole, tra le altre cose.” Il più anziano, con uno sguardo annoiato nelle iridi chiare, si diresse verso un gruppo di donne vestite di rosso che, attorno ad alcune tende, davano cure e riparo a chi poteva arrivarci con le proprie gambe o trascinato da qualche anima gentile. Con un inchino si avvicinò alla donna che apparentemente comandava: una figura minuta, anziana, con una lunga treccia grigio ferro che si muoveva sulla schiena dritta e rigida.
“Madre, avete un minuto per noi?” La donna li squadrò con occhio critico.
“Non mi sembrate feriti.”
“Non lo siamo, ma siamo preoccupati e cerchiamo notizie. Avete per caso dato rifugio o sentito di una ragazza girare sola in queste zone?”
“Nessuna ragazza con un briciolo di sale in zucca girerebbe sola qua, sulla piana della battaglia. Nel migliore dei casi finirebbe uccisa.”
“Madre, devo dire che quella ragazza di sale in zucca ne ha ben poco, ma siamo preoccupati per lei: vede è la figlia di nostra sorella e ha deciso di trovare l'uomo che ama. È stato reclutato dal generale delle Volpi questo inverno contro la sua volontà, come molti nelle campagne a nord.” Con un sospiro la donna si pulì le mani sulla gonna rossa come il sangue che la macchiava e fece un vago cenno verso sud.
“Di là, al tempio delle sacerdotesse bianche giù in paese pare si sia fermata per alcuni giorni una straniera. Provate a chiedere a loro.” Il più anziano dei due uomini fece un inchino alla sacerdotessa rossa.
“Vi sono debitore, Madre. Farò un dono al tempio per ringraziarvi della gentilezza.” Ma la donna gli dava già le spalle, intenta a dare ordini su dove sistemare i nuovi feriti che nel mentre erano arrivati. Ignorati, i due presero a muoversi verso la direzione indicata dalla sacerdotessa.
“Così ora quella è la figlia di nostra sorella, Starze? Da quando siamo parenti io e te? E da quando abbiamo una sorella?” Il più giovane, sghignazzando, guardava il compagno con un’aria divertita.
“Cosa dovevo dirle, che siamo pagati da suo padre per riportarla da lui? Sicuramente non ci avrebbe risposto, sai benissimo come la pensano su certe cose. A volte veramente mi chiedo cosa ti giri in testa, a farmi queste domande.” Continuando a ridere tra sé e sé il più giovane non rispose, continuando a procedere al fianco dell’altro.
Gli stivali dei due uomini, finalmente, cominciarono a calpestare la strada battuta allontanandosi dal campo di battaglia coperto da quella carneficina. La via era ampia, ben tenuta, mantenuta e voluta dal vecchio re come gran parte della rete viaria che aveva fatto prosperare il commercio. Con la sua morte, in mancanza di un erede legittimo al trono, i suoi generali avevano deciso di smembrare il regno, spartendoselo, ma nessuno era contento di ciò che aveva ottenuto e così iniziarono le guerre.
Il sole scendeva verso l’orizzonte, rosseggiando nel cielo primaverile, scaldando la schiena dei due che camminavano silenziosi al bordo della via, incrociando rari passanti, qualche commerciante. Più spesso incontravano guardie o soldati a cavallo che li scrutavano senza troppo interesse, notando il passo leggermente claudicante del più anziano e il liuto malconcio che pendeva dalla sua spalla, catalogando poi il più giovane come apprendista o figlio di quel cantastorie zoppo e girovago. I loro passi erano lunghi e cadenzati, abituati a percorrere grandi distanze, sicuri. I mantelli usurati che indossavano erano di buona qualità, anche se avevano visto tempi migliori, con gli orli sfilacciati macchiati dalla melma che sembrava onnipresente, in quei giorni pieni di brevi acquazzoni.
“Non raggiungeremo mai il paese entro il tramonto, neppure entro un orario decente... e trovarmi le porte chiuse davanti e le guardie che mi allontanano non mi è mai piaciuto, lo sai.”
Il più anziano sospirò, alzando gli occhi al cielo che si stava velocemente scurendo in una cupa tinta indaco, che sfumava le minacciose nubi che cominciavano ad aggregarsi sopra di loro di viola e porpora.
“Non ti stanchi mai di lamentarti, Falgi? Più avanti c'è una fattoria, avevo intenzione di fermarmi lì. Possiamo chiedere se ci fanno dormire nella stalla.”
Il più giovane fissò l'altro con sguardo rassegnato e disgustato.
“Una stalla, ancora.”
“Se vuoi puoi dormire nel fosso a lato della strada, non è un problema mio.”
“Non potresti…” Il più giovane fece un movimento vago con la mano accennando al liuto che l'altro aveva in spalla, parzialmente coperto dal mantello.
“No, niente canzoni speciali. Non ruberemo il letto di nessuno.”
Sospirando il più giovane si strinse nel mantello.
“Non sei divertente ultimamente, Starze. Abbiamo sempre fatto come volevamo per quasi un anno, ma adesso hai tutte queste remore sulla magia! Non ti capisco.” La mano del giovane si spostò sulla guancia, grattando la corta barba bionda che delineava la mascella con una certa forza. “Non sai cosa farei per un bagno, acqua calda per radermi, vestiti puliti e un cavallo. Questa storia dei vagabondi comincia a starmi stretta, almeno quanto mi fanno male i piedi!”
Il più anziano si tirò sul capo il cappuccio del mantello verde, coprendo i ricci scuri e corti e riparandosi dalle prime gocce di pioggia.
“Se vuoi essere riconosciuto e rispedito al tempio nero accomodati, io non ho intenzione di tornare lì a fare da schiavo a quelle pazze esaltate: si sono già prese troppo da me. Abbiamo tutto quello che vogliamo qua fuori e ci pagano profumatamente per questo genere di lavoro, l'importante è che non scoprano come mai riusciamo a farlo così bene.”
Il giovane biondo calciò un sasso ai bordi della strada.
“Che i demoni dell'inferno se le prendano tutte.”
Non parlarono più ma l'uomo, il viso all'ombra del cappuccio verde, strinse gli occhi sentendo i ricordi sommergerlo.
A causa delle guerre dei maghi solamente le donne, le streghe, avevano mantenuto la libertà di usare apertamente la magia, mentre tutti gli uomini dotati di poteri, o trovati a esercitare qualunque tipo di dono o magia, venivano mandati ai templi neri. Alcuni la consideravano una bella vita, ma erano in pochi a pensarla a quel modo e lui non aveva mai fatto parte di quella corrente di pensiero. In cambio di un’esistenza protetta a cui non mancava nulla e a cui, anzi, veniva dato di tutto entro i confini di quella prigione che era il tempio, si dovevano rispettare quei limiti, accettandoli a capo chino e senza porre questioni. Dovevano obbedire agli ordini del tempio e svolgere missioni per conto loro. Sorvegliati e addestrati dovevano servire agli scopi delle sacerdotesse e ubbidire a ogni ordine, qualunque ordine.
A ogni uomo che entrava nel tempio, a qualunque età vi entrasse, veniva fatto un tatuaggio sull'avambraccio raffigurante una maschera nera incatenata. Allo stesso braccio veniva messo uno spesso bracciale di un metallo bluastro che serviva a controllarne i poteri.
Starze si ricordava benissimo quando lo avevano catturato.
All’epoca era un giovane cantastorie girovago e, inizialmente, non si era neppure reso conto che le sue canzoni erano in grado di rendere le persone decisamente più amichevoli e disponibili nei suoi confronti… sembravano solo ammaliate dalla sua bravura. Appena sedicenne girava il paese, all’epoca ancora in pace grazie al governo dal vecchio re, guadagnandosi vitto e alloggio con il suo liuto e le sue storie. Si era reso conto, con il tempo, che la sua musica era speciale, particolarmente speciale in qualche modo; ma non aveva pensato alla magia: dava il merito alla sua bravura in costante aumento e ne era orgoglioso. Otteneva pasti e alloggio con una sola canzone e aveva smesso di soffrire la fame e il freddo, a lui quello bastava. Fino a che, una sera, tra il pubblico di una locanda, una figura femminile con il volto coperto da una maschera nera e senza lineamenti, completamente vestita di quello stesso colore e accompagnata da un uomo robusto, con un bracciale al polso, non lo aveva accusato di essere un mago fuorilegge. Era rimasto sconvolto e, pieno di paura, aveva inutilmente cercato di scappare.
Lo avevano portato al tempio più vicino, tenuto stordito grazie a delle droghe che lo avevano reso docile, inebetendolo... si ricordava vagamente quando lo avevano tatuato, il dolore pungente all'avambraccio, si ricordava molto meglio quando gli avevano messo il bracciale. La mano corse al polso, sentendolo libero da ogni presenza, un vuoto rassicurante.
Non riuscì, però, a fermare il fiume dei ricordi e l’immagine di una donna vestita di nero, una delle sacerdotesse, che portava tra le mani una coppia di bracciali identici e che avanzava verso di lui con passo lento e inesorabile, divenne talmente vivida da fargli digrignare i denti.
Uno dei due bracciali era stato messo al polso della donna e l'altro al suo, un sonoro scatto che rimbombava ancora nella sua memoria, così come il ricordo della fessura dove si incontravano le due metà che svaniva. Ricordava il peso di quel metallo strano, bluastro, il suo gelo perenne mai scaldato dal calore della sua pelle.
Ricordava benissimo tutte quelle cose, anche dopo così tanti anni. Un brivido gli attraversò la schiena e il volto dell'uomo divenne gelido.
Con uno sforzo, Starze allontanò i ricordi: erano passati quasi vent'anni da allora e non voleva tornare con la memoria a quei primi anni, a quella prigione dorata che era il tempio nero. Agli ordini a cui aveva dovuto obbedire, alle vite innocenti che aveva tolto perché non aveva scelta.
“Vecchio e sordo, ecco cosa sei!” la voce del più giovane lo riscosse e lui gli diede un’occhiata tagliente. “Ti ho detto che la fattoria è qua a destra e stai andando dritto, si può sapere a che pensi?”
L’occhio di Starze si posò sul polso dell’altro, che aveva portato per neppure un anno il peso di quel metallo, prima che lui se ne andasse portandolo con sé. Seguendo quello sguardo il più giovane sbuffò, nascondendo il braccio nel mantello. Sapeva, ora, a cosa stava pensando il più vecchio e non gli piaceva. Gli lanciò uno sguardo annoiato mentre la fattoria si faceva sempre più vicina, lui era stato preso a diciannove anni ma al momento della cattura sapeva benissimo di essere una specie di mago. Non si uccideva la gente con quella facilità se non si aveva qualche dote speciale, non si diventava famosi come il più veloce spadaccino, il più temibile, quello che non si poteva mai cogliere di sorpresa senza un qualche asso nella manica. Aveva nascosto egregiamente il suo dono per anni, poi la notorietà era diventata la sua peggiore nemica: tutti volevano sfidarlo, tutti volevano lui e solo lui come guardia del corpo e, quando si era così famosi, era inevitabile che iniziassero le voce maligne e nel suo caso decisamente veritiere, sulla sua magica bravura. Perché lui vedeva le mosse dell’avversario qualche attimo prima che le compisse: era così impossibile coglierlo davvero di sorpresa. Quando attivava quella sua dote viveva in due realtà contemporaneamente, il presente e un vicinissimo futuro, tutto attorno a lui accadeva come in un’eco. Un gran mal di testa, insomma.
Per fortuna tendeva a saperlo controllare, ma non mantenendolo sempre attivo, visto che era impossibile non impazzire vivendo quella doppia realtà di continuo. Grazie a quei momenti in cui il suo talento era inattivo la sacerdotessa era riuscita a fregarlo: lo avevano steso con un colpo in testa e lui si era svegliato legato come un salame, sul retro di una carrozza, con quegli occhi neri come la maschera che copriva quel volto puntati su di lui.
Al tempio, inizialmente, tra tutti quegli agi e quel lusso, aveva quasi pensato che era stato uno stupido a non andarci subito, autodenunciandosi.
Ma poi aveva cominciato a capire, a vedere cosa accadeva a chi non ubbidiva o a chi alzava la testa e protestava. Non facevano una bella fine…
Aveva assistito a una fustigazione dopo neanche un mese che era arrivato al tempio: un uomo di una certa età, canuto e fragile, reo di non aver voluto compiere un omicidio che gli era stato ordinato, era morto sotto la sferza nel silenzio attonito e spaventato degli altri uomini costretti ad assistere. Aveva così camminato lontano da quello spettacolo stringendo i pugni, frastornato e smarrito, furibondo. Lui non aveva mai ucciso se non per difendere un cliente o se stesso e la vista di quella condanna, che poteva solo definire come un omicidio lento e doloroso, lo aveva fatto indignare ad un tale livello da infiammargli il sangue e portarlo ad un passo dal fare una sciocchezza. Era così che aveva conosciuto Starze. L’uomo lo aveva fermato, portandolo via da quel cortile fino alla sua stanza, lo aveva trascinato per tutta la strada con la forza e poi lo aveva sbattuto contro il muro, ringhiandogli a muso duro che un morto al giorno era fin troppo, che non voleva vedere fustigato anche un ragazzo che aveva appena cominciato a radersi.
Così avevano iniziato a parlare, diventando amici e, in poco tempo, capendo come lavorassero bene assieme i loro poteri avevano pianificato la fuga: l’uomo grazie a lui capiva chi poteva incantare senza pericoli e lui, in caso qualcosa non funzionasse a dovere, metteva mano alla spada. Il più anziano era la mente, il pensatore, mentre lui era la lama. Un sorriso divertito apparve sul volto del biondo, mentre si stringeva nelle spalle, guardando l’altro bussare alla porta.
Come sempre fu un istante di quella strana preveggenza che, a volte, lo avvertiva spontaneamente dei pericoli più gravi a salvarli. Falgi spinse di lato l’altro nell’esatto momento in cui un dardo avrebbe dovuto trafiggerlo dallo spiraglio che si stava aprendo nella soglia.
“Quella troia di una Madre Rossa sapeva chi siamo!” sibilò, estraendo la spada e affrontando i due mercenari che, usciti alla porta ora spalancata, stavano tra loro e una ragazza dagli inquietanti occhi verdi, che sorrideva con calma da dentro la casa, con le mani che disegnavano in una danza simboli brillanti nell’aria. Starze si alzò mentre notava quell’assenza di luce negli occhi dei due mercenari che indicava come fossero sotto malia della giovane: quella strega era furba, troppo furba. Se erano già sotto il suo controllo lui non poteva fare nulla, il suo canto era inutile. Guardò Falgi fermare l’attacco congiunto dei due, gli occhi che non sembravano neppure guardare le loro mosse, continuando a bloccarle ma incapace di attaccare a sua volta per la velocità con cui veniva incalzato. Con rabbia si alzò, estraendo la corta spada a sua volta con l’intenzione di distrarre almeno uno dei due, ma una sfera di luce bluastra lo colpì, mandandolo nuovamente a terra.
“Piccola stronza!” gridò irato alla ragazza, avvolta in un abito verde e nero, massaggiandosi la spalla dove la bolla d’energia lo aveva toccato.
“Non mi porterete indietro da mio padre! Io non ci voglio entrare al tempio nero!” L’uomo si bloccò, guardando prima Falgi, impegnato dai due mercenari ma non in pericolo, poi la giovane.
“Come? Non stai scappando dal matrimonio combinato da tuo padre?” Lo sguardo della ragazza divenne sospettoso, poi incredulo, infine lei rise.
“Così è questo che quel vigliacco vi ha raccontato? Ma non mi porterete lo stesso da lui! Siete maghi, lo ho capito subito anche se non avete i bracciali, sarà andato a piangere dalle Nere che non vedranno l’ora di avere un’altra strega tra di loro, così hanno mandato voi... non sono così stupida!”
“Ascoltami bene, ragazzina!” Starze sbottò, puntandole contro l’indice dalla posizione decisamente poco autoritaria in cui si trovava, cioè con il sedere nel fango. “Non sarò certo io a riportarti da tu padre se vuole mandarti al tempio nero!”
“Come no!” Falgi, tra una parata e un’altra, apostrofò il compagno. “Paga in oro, quello! Voglio un bagno caldo, vestiti, andare in un bel posto con un sacco di belle ragazze sorridenti e passarci almeno una settimana! Non puoi farmi questo!”
“Oh! Stai un po’ zitto, tu!” Gli rispose il cantastorie, borbottando un’imprecazione tra i denti. “Vuoi davvero che questa diventi un’altra di quelle streghe nere? Che si cerchi anche lei il maghetto da compagnia, per poter aumentare i suoi poteri?”
Affascinata e pure un po’ confusa, la giovane strega seguiva quello scambio di battute tra i due uomini, la testa inclinata sulla spalla.
“Che ne dite di una tregua, madamigella?” Da terra, sfoderando un sorriso grondante sincerità e fascino, l’uomo cercò lo sguardo della giovane. “Così parliamo, mettiamo qualche chiarimento in tavola, magari anche la cena, e ne discutiamo come persone civili?” Le labbra della giovane strega si distesero in un sorriso appena accennato, mentre annuiva, indicando i due mercenari che continuavano a incalzare il giovane.
“Non uccidete questi due però, sono innocenti.”
“Non sia mai.” Disse con tono aulico il più anziano, con un sorriso irriverente. “Parola di cantastorie!” I due guerrieri si fermarono a un gesto della donna e il biondo, ansante per lo sforzo del tenere lontani due avversari in contemporanea, rimise nel fodero la lama con aria diffidente, facendo un passo indietro e fissando il compagno.
“Ti sei fottuto il cervello davanti alla signorina tette grandi?” gli sibilò all’orecchio, indignato. “Io voglio il mio oro! Non la tavola delle trattative!” Uno scappellotto diretto arrivò, con forza, alla nuca del giovane che borbottò un’imprecazione mentre la strega, scuotendo divertita il capo, rideva.
“Se è l’oro che volete, posso darvene anche io.” Quelle parole attirarono tutta l’attenzione e la buona volontà del più giovane, che sorrise accennando un inchino alla ragazza.
“Direi allora che la tavola delle trattative è aperta, mia affascinante signora… ma come facevate a sapere che ci saremmo fermati qua?”
La ragazza li invitò con un gesto ad entrare in quella piccola casa, sorridente.
“Ero certa che con la traccia che la sacerdotessa vi aveva dato avreste cercato rifugio qua, è l’unico posto in cui si possa cercare riparo tra la piana e la città…”
I due uomini si fissarono e il più giovane alzò le iridi celesti al cielo, in un gesto di resa davanti al sogghigno del compagno.
“Va bene, va bene, non ha solo delle grosse tette, è pure intelligente! E ha anche dell’oro!” Ma stavolta evitò il colpo che l’altro gli stava dando entrando nella casupola per primo.
“Mi scuso per lui, madama, è un vero cafone.” All’apparenza veramente imbarazzato dalle parole irrispettose del compagno, l’uomo si strinse nelle spalle, sorridendo alla ragazza dalla chioma ramata. “Io sono Starze e lui è Falgi. Non fatevi ingannare, come avete intuito non siamo al servizio delle sacerdotesse nere al momento, anzi, non siamo esattamente ansiosi di rivederne una.” La ragazza alzò un sopracciglio, studiandoli, mentre le iridi smeraldine si facevano via via più limpide.
“So riconoscere la verità, quando la sento. Direi che una cosa molto importante ci accomuna: stare lontane dalle sacerdotesse nere e dal loro tempio.”
I tre si guardarono in faccia, mentre nelle loro menti nasceva un’idea.
All’alba, sotto una pioggerella lieve, dalla fattoria uscirono due maghi asserviti alla sacerdotessa nera che li precedeva, o almeno quello era ciò che chiunque, vedendoli, avrebbe pensato.
In fondo, il luogo migliore per nascondersi, era sotto gli occhi di tutti.


 

 

Questa storia partecipa al contest di EFP:
Le basi del fantasy: guerriero, mago o ladro?


Grazie a tutti quelli che hanno letto la storia, se vi piace fatemelo sapere, fa bene alla mia autostima!


La mia pagina di autrice di FB, se volete venite a trovarmi!
Le Storie di Nemainn

 

.
   
 
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Nemainn