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Autore: fabi_46    08/07/2014    0 recensioni
Alice è una giornalista piena di sogni, di speranze, di obiettivi, che, da un momento all’altro della sua vita, vengono distrutti da quella che è la dura realtà: un mondo popolato da persone che vanno nella stessa direzione, senza un’ideale proprio, da quelli come lei, che preferiscono distinguersi, e dagli uragani, che spazzano via, che ti cambiano la vita, come Sean.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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2. Rovinare tutto

Sbuffai per l'ennesima volta, dopo aver ricevuto la quinta gomitata nello stomaco di quella notte.
Non dormirò mai più con lui. Mi dicevo ogni volta che Davide ed io ci ritrovavamo a passare la notte nello stesso letto, soprattutto quando quest'ultimo era a una piazza e mezzo e le mie notti si trasformavano in vere proprie lotte contro i colpi che i suoi arti m’inferivano e contro i suoi tentativi di appropriarsi dell'intero letto. Mi pentivo ogni volta di non avere un paio di tappi, almeno non avrei dovuto sopportare i suoi incomprensibili monologhi notturni.
Davide emise un rantolo infastidito, tirandosi la coperta fino al collo quando cercai di alzarmi, urtando il soffitto della mansarda e trattenendo un lamento. Rabbrividii non appena i miei piedi nudi entrarono in contatto con il parquet gelido e feci qualche passo in direzione della finestra dall'altra parte della stanza, inciampando in una scarpa e barcollando al buio per non cadere. Mi sedetti sul davanzale, scostando con le dita la tendina a fiori e poggiando la testa sul vetro, abbandonandomi allo spettacolo di quella notte. Non avevo guardato l'orario, ma non era ancora l'alba. La luna piena, circondata dalle stelle, stava per lasciare lo spazio al sole, ancora pallido, e alla sua luce, che aveva reso il cielo un velo di colori: il blu scuro si mescolava con un pallido violaceo, alternato a un lieve rosso-arancio. Quando mi svegliavo nel bel mezzo della notte e non riuscivo a riprendere sonno mi andavo a sedere lì, mi tranquillizzava guardare il cielo, anche se spesso era coperto da uno spesso strato di nebbia. Quella notte, però, la mia mente era invasa da mille pensieri che non riuscivo a scacciare. La sera prima, Davide mi aveva inseguita e avevamo parlato per non so quanto tempo di ciò che avevamo sbagliato, sia io sia lui. E i sensi di colpa si erano smaterializzati per un po', ma mi tormentavano comunque. Non era la prima volta.
C'è qualcosa di terribilmente sbagliato in me.
Odiavo quella parte del mio carattere, quella che sapeva soltanto come cadere, ma non ce la faceva mai a rialzarsi, a prendere in mano la situazione e a cambiare le regole. Quel lato di me che non sapeva guardare in faccia i problemi e risolverli una volta per tutte, ma che preferiva girarsi dall'altra parte e chiudersi tra i suoi rimpianti, e che compariva nei momenti peggiori, come la sera prima, quando ero scappata da Davide, provando per l'ennesima volta di non poter affrontare un discorso.
Alla fine Davide non era poi così arrabbiato con me, nonostante lo avessi riempito di bugie, che probabilmente doveva ancora digerire a pieno. Come biasimarlo, del resto. Io lo avevo rassicurato, dicendogli che avrei parlato con mamma e papà al più presto, convincendoli che fosse giusto per lui intraprendere la sua strada, anche se non sapevo ancora come affrontare il rimprovero sulla mia scomparsa. Quando ero in Italia, vivevo in un mio appartamento, ma ero comunque molto vicina a loro. Dal mio arrivo a Londra, però, avevo fatto molte scelte sbagliate ed era come se fossi finita in un pantano e non sapessi più come uscirne. Forse, però, l'arrivo di Davide mi avrebbe aiutata, ed io ci speravo davvero tanto.
Notai solo in quel momento che il sole fosse già sorto da un pezzo e che io avrei già dovuto essere in cucina a preparare la colazione. Davide dormiva ancora, forse più profondamente di prima, così gli lasciai un biglietto avvisandolo di non uscire dalla camera e, dopo aver indossato la divisa che Mrs Owen mi costringeva a tenere, scesi le scale, spalancando gli occhi appena questi ultimi si  posarono sul quadrante appeso alla carta da parati fiorata.

09:30

Licenziata. Umiliata. Messa al rogo e poi divorata dal cane.
Cinque minuti dopo ero già dentro la sua camera, intenta a svegliarla e sperando che fosse morta, perchè davvero, mi avrebbe uccisa subito dopo essersi accorta che si era svegliata tre ore dopo il suo solito orario e che, ancora peggio, mancavano ben venticinque minuti e quindici secondi all'arrivo di suo nipote, il suo nipote preferito. Mi stavo già pentendo di stare aprendo le tende per far entrare la luce, a quel punto tanto valeva che prendessi un coltello e uccidessi o lei o me.

* * *
09.55

Sì, non ero ancora morta. Sì, non ero in prigione. E sì, ero riuscita a rendere la casa un paradiso terrestre, a preparare i biscotti, altro tè - che in quella casa non bastava mai - e a preparare anche Mrs Owen per l'arrivo dell'amato nipote.
Qualcuno suonò al campanello. Raddrizzai un quadretto, sistemai il grembiule e raggiunsi la porta, che aprii con cortesia.
Sarà di sicuro irritante e altezzoso come la nonna. Metti che è anche brutto.
"Buongiorno, Miss. Mia nonna è in casa?"
Come non detto.
Aprii la bocca per parlare, richiudendola subito dopo. Il ragazzo alto di fronte a me aveva un bouquet in mano, e mi sembrò un po' imbarazzato. In effetti, la cameriera di sua nonna lo stava guardando dall'alto in basso, e non lo aveva fatto ancora entrare... Che ragioni aveva di sentirsi in soggezione?
"Ehm... sì!" risposi, sfoggiando un sorriso. "Si accomodi." Gli feci spazio, mentre lo accompagnavo in salotto, dove la famigerata nonnina - che si era improvvisamente trasformata in una dolce e anziana signora - lo aspettava a braccia aperte.
"Alexander caro!" disse, con un tono terribilmente smielato. "Siediti pure." lo esortò, dopo averlo stretto in un abbraccio - strano, ma vero! - e avermi affidato i fiori per metterli in un vaso. Sarei anche dovuta andare in cucina, ma ero ancora sulla soglia della porta, imbambolata.
Kristen se ne accorse, e non perse tempo per lanciarmi uno dei suoi sguardi omicida. "Sei ancora qui?" cinguettò guardandomi torva, semplicemente per non fare brutte figure con il nipote, perchè altrimenti mi avrebbe tirato una scarpa minacciandomi di togliermi lo stipendio.
Abbassai la testa borbottando e andai in cucina, dalla quale uscii solo per portare il tè e il vassoio di biscotti allo zenzero, ritrovandomi ogni volta ad incrociare gli occhi celesti di Alexander, almeno così lo aveva chiamato la nonna. Lui sosteneva il mio sguardo per una manciata di secondi, poi si voltava verso Mrs Owen, che aveva intrapreso un nuovo argomento. E io, un po' afflitta e un po' emozionata, tornavo in cucina. Poi mi venne un'idea, visto che avevo la strana voglia di perdermi nuovamente nei suoi occhi, o nel modo con il quale si passava una mano tra i capelli. E, dopo aver preso un lungo, profondo respiro, entrai di nuovo nel salotto con il vaso in cristallo nel quale avevo accuratamente messo i tulipani gialli di Alexander e - sotto lo sguardo torvo della padrona di casa - mi diressi a testa alta verso il basso tavolino trasparente.  Ma - forse perchè il giorno prima avevo involontariamente pestato una coccinella, o semplicemente perchè la fortuna aveva deciso di prendermi in giro - inciampai maldestramente, facendo capitombolare il vaso sul parquet. Il viso di Mrs Owen divenne un misto di rabbia e incredulità, ed io non potei fare altro che inginocchiarmi per raccogliere il cristallo e i fiori sparpagliati sul pavimento, mentre lei dava di matto, dicendo che quello era il suo vaso preferito e che mi avrebbe licenziata seduta stante. Un mese prima sarei scoppiata a piangere davanti a lei, ma ormai avevo imparato ad adoperare l'indifferenza con quella donna. Poi, in mansarda, avrei anche potuto lasciarmi andare.
Notai Alexander accorrere in mio aiuto, cercando di raccogliere altri pezzi del vaso, e quel suo comportamento mi imbarazzò, perchè lui avrebbe semplicemente dovuto stare al suo posto e guardarmi dall'alto in basso, come avrebbe fatto chiunque.
"Non è la tua schiava, nonna!" esclamò ad un certo punto, sfinito dalle continue pretese di Mrs Owen. L'aveva sorpresa. Lo ringraziai mentalmente per il suo gesto, forse compassionevole nei miei confronti. Raccolsi un altro frammento di cristallo, che lasciai scivolare dalle mie mani appena mi tagliò un dito, dal quale aveva cominciato a zampillare del sangue. Maledizione. "Cosa ti sei fatta?!" sussurrò Alexander, prendendo la mia mano tra le sue. Rabbrividii appena percepii il contatto con la sua pelle.
"Niente." La ritrassi, raccogliendo gli ultimi pezzi e i tulipani. Mi alzai e scivolai via da quella situazione fin troppo... sbagliata.
Dopo essermi medicata il dito, la cui ferita, notai, era abbastanza profonda, mi lasciai scivolare lungo la parete di uno dei tanti corridoi di quella casa. A parte l'animata discussione che stavano avendo Kristen e suo nipote su un argomento che non ero riuscita ad afferrare, c'era silenzio. La parete alla quale ero appoggiata era spoglia, ad eccezione di alcune lampade, mentre quella di fronte a me era ricoperta di riconoscimenti, premi, coppe e quadri ritraenti tutta la sua vita. Lei da piccola, con il suo fidanzato, con i genitori. Poi cominciava la parte riguardante la sua carriera da ballerina famosa in tutto il mondo. I primi passi di danza, il primo premio, gli studi alla Royal Ballet, i suoi assoli, il suo ruolo da protagonista nei teatri più famosi. Poi il matrimonio, le foto con il marito - che era morto a causa di un cancro una decina di anni prima - , con i figli, con i nipoti. Nonostante avesse un brutto carattere, la sua vita mi aveva affascinata sin dalla prima volta che l'avevo conosciuta. Non perchè avesse avuto un passato "famoso" , ma perchè aveva avuto quella grinta e quella forza nell'affrontare le difficoltà che incontrava per raggiungere i suoi obiettivi alle quali io aspiravo per combattere gli ostacoli che mi impedivano di realizzare i miei. E la stimavo per questo, nonostante non fosse il tipo di persona con la quale mi sarei intrattenuta a parlare.
Davide.
Avevo completamente dimenticato il fatto che mio fratello potesse scendere le scale e presentarsi davanti a Kristen in boxer, probabilmente non aveva nemmeno letto il biglietto, come suo solito. Lei, sicuramente, non si sarebbe fatta mancare l'occasione di umiliarmi davanti al nipote e avrebbe avuto tutte le ragioni del mondo, visto che io non avrei mai dovuto portare altre persone in quella casa.
Mi alzai e mi diressi verso le scale, sperando che Davide non fosse già sceso. Salii i gradini lentamente e, appena raggiunta la mansarda, mi accorsi che il letto era vuoto e il mio bigliettino per terra. Scesi nuovamente al piano di sotto, borbottando su quanto mio fratello fosse irresponsabile e immaturo. Lui era sulla soglia del salotto, intento ad origliare quello che i due si dicevano - naturalmente solo con dei pantaloncini indosso - .
Lo raggiunsi a passo svelto, tirandolo verso di me. "Che stai facendo?" mormorai.
"Questa casa è ... uno sballo!" Mi guardò divertito, facendo per passare davanti al salotto e raggiungere la cucina.
"Fermo!" sussurrai, cercando di bloccarlo, fallendo. Scivolai sul pavimento tirando anche Davide con me, proprio davanti al salotto, viso contro viso. Io sopra di lui, lui sotto di me. Esitai qualche secondo, magari mi sarei trasformata in polvere. Sentivo gli occhi di Kristen perforarmi, e decisi che sarebbe stato il caso di alzarsi. Così feci, aggiustandomi la divisa bianca e nera, seguita da Davide.
Alexander, del quale mi ero completamente dimenticata, soffocò un colpo di tosse, e Kristen prese parola. "Miss Morelli, lei sa che è assolutamente vietato portare parenti, amici o ..." esitò, scrutando Davide con indignazione "... persone che possano causarle divertimento" tossì " in questa casa?".
Abbassai la testa, annuendo semplicemente. Avrei peggiorato solamente la situazione spiegando il ruolo di Davide in quel momento.
"Quindi lei saprà anche che questo individuo deve uscire da casa mia, vero?"Annuii, spingendo Davide verso le scale, e facendo per dileguarmi subito dopo. "Saprà anche che ho tollerato fin troppo i suoi comportamenti, signorina. E capirà che ora mi vedo costretta a licenziarla." Mi bloccai, smettendo di respirare.
"Ma signora, io ... " cercai di rispondere, ma le parole mi morirono in bocca.
"Niente ma, desidererei che entro mezzogiorno lei non fosse più in questa casa."
Abbassai la testa e salii le scale. Appena entrammo in quella che doveva essere la mia camera andai letteralmente fuori di me, sedendomi al bordo del letto disfatto e prendendomi la testa tra le mani, mentre cercavo di fermare le lacrime.
Mi alzai. "Tu vieni qui da me, che già faccio una vita di schifo, e cerchi di rovinarmela ancora di più? Cosa devo fare io, adesso? Dormire per strada? Non ti chiedo niente, solo di trovarti un albergo. Io cercherò di sistemare le cose." esclamai, alzando il tono della voce.
Lo avevo mortificato, ma avevo bisogno di stare da sola, mettere in ordine le idee e trovare il modo per ripartire.
"Ehi Alice, mi dispiace davvero ..." mi disse Davide, facendo per sedersi accanto a me e poggiarmi un mano sulla spalla, ma lo respinsi.
"Per favore, vai via. Voglio stare da sola." borbottai in un soffio, lasciandomi cadere sul pavimento, mentre le lacrime mi rigavano il viso. Davide aveva già rimesso le sue cose nel trolley. Si chinò verso di me e mi avvolse tra le sue braccia, stampandomi un bacio sulla guancia. "Sistemeremo tutto, te lo prometto."


 Buongiorno a tutti! (: Mi dispiace per avervi fatto aspettare così tanto per il nuovo capitolo, ma ho avuto un po’ di imprevisti in questi giorni e il tempo è volato! La storia è anche su wattpad per chi fosse interessato e questo è il mio profilo twitter. Alla prossima!
   
 
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