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Autore: Cherry__Strawberry    08/07/2014    2 recensioni
Bella, appena laureata in giornalismo a Yale, divide un appartamento a New York con la sua migliore amica, Alice, aspirante stilista. Trova lavoro in un giornale di moda. E' contrariata, ma decide che, per arrivare al suo sogno, il New York Times, questa occasione può esserle utile. Un giorno, Alice riceve una telefonata da suo fratello Edward...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ghiaccio e neve

Bella's PoV
31 Dicembre
La luce entrava con forza dalla finestra, che avevo totalmente dimenticato di oscurare con le tende, la sera precedente.
Mi drizzai a sedere, guardandomi attorno intontita e con gli occhi socchiusi, chiedendomi che ore fossero e che ci facessi ancora con i vestiti del giorno prima. Poi ricordai.
Presi il cellulare e, con somma sorpresa, scoprii che era ormai passato mezzogiorno.
Non avevo cenato e iniziavo a sentirne gli effetti, così mi resi il più presentabile possibile e scesi al piano inferiore.
Nella cucina trovai Edward, intento a preparare del caffè.
-Ehi. – mi salutò, sorridendo, poiché mi aveva sentita arrivare.
Aveva un’espressione piuttosto assonnata e si scompigliò leggermente i capelli, rendendoli più spettinati di prima, se possibile.
-Buongiorno. – gli risposi, con la voce ancora impastata dal sonno.
-Dimmi che sei favorevole ad un brunch, perché io sono sveglio da circa dieci minuti e non mi va né di fare colazione né di pranzare, ma ho una fame da lupi.
-Sono favorevole a qualsiasi cosa, purché ci siano cibo e caffeina. – feci una breve pausa – Tu perché ti sei svegliato così tardi? Pensavo fossi un tipo mattiniero…
-E lo sono. Devi esserlo, se lavori in un ospedale. Tuttavia, stanotte non sono riuscito a dormire.
-Troppi pensieri?
-In effetti, sì. – mi rispose, con un tono piuttosto strano.
Avrei voluto approfondire la questione, ma non mi sembrava adeguato. Sarebbe stato ficcanasare e non mi andava.
Bevemmo il caffè nel più totale silenzio.
-Comunque, ho un dubbio: cosa si mangia ad un brunch? – gli chiesi, per stemperare l’atmosfera tesa che si era venuta a creare.
-Non ne ho idea, ma in questo momento ho voglia di pancakes.
-Allora preparali; io taglio della frutta, nel frattempo.
-Agli ordini, capitano Swan! – disse ironicamente, portandosi una mano alla fronte a mo’ di saluto militare.
Gli riservai una linguaccia, iniziando a sbucciare e tagliare delle mele. Misi i pezzi di mela in una ciotola e, in un’altra, dei lamponi e mirtilli che avevo trovato nel frigorifero.
Quando anche Edward finì di preparare i pancakes, ci sedemmo al tavolo della cucina e mangiammo.
-Prima la cioccolata calda e adesso i pancakes. Cavolo, Edward, dovrò ritirare tutte le cose che ho sempre pensato sul fatto che il gene Cullen implicasse la totale incapacità in cucina! – lo derisi.
-Anche tu sei una continua sorpresa. Mi aspettavo qualche caduta improvvisa sulla neve e invece niente. – mi rispose a tono.
-Perché non c’è neve.
-Oh, allora suppongo che tu non abbia ancora visto com’è fuori.
Esaltata come una bambina, corsi alla finestra più vicina e ciò che vidi mi lasciò a bocca aperta.
L’intera zona antistante la casa, le auto, ogni cosa era ricoperta da un morbido manto bianco. Veramente bianco, non come la neve di New York, che si scioglieva diventando grigia in brevissimo tempo.
-Non è fantastico? – disse la sua voce, improvvisamente alle mie spalle.
Mi girai lentamente e lo trovai più vicino di quanto mi aspettassi. Mi sembrava che i suoi occhi fossero completamente immersi nei miei.
Tuttavia, quella situazione durò appena pochi secondi.
-Andiamo fuori, dai. – disse, accompagnando la sua proposta con un gesto del capo rivolto alla porta.
Così, dopo essermi munita di un caldo berretto e di guanti per affrontare il freddo, uscii di casa.
Bastarono pochi passi perché i miei piedi affondassero completamente nella neve da poco caduta.
Quella situazione mi ricordava la mia infanzia nel piovoso e altrettanto gelido stato di Washington.
Mi tornò alla mente del tempo in cui Renée viveva ancora con me e Charlie e, ogni inverno, passavamo ore a fare stranissimi pupazzi di neve che, prontamente, il giorno dopo erano scomparsi a causa di altra neve caduta durante la notte o per colpa del vento.
Sorrisi tra me e me al pensiero, ma fui riportata alla realtà dal rumore di un colpo sul muro poco lontano da me. Mi voltai per controllare cosa fosse stato e notai una massa bianca scomposta all’ingresso.
-Argh, la medicina mi ha arrugginito parecchio! – disse la voce di Edward, che poco dopo spuntò dal nulla.
-Oh, ti prego, odiavo questo gioco anche da bambina! Non puoi ripropormelo a ventiquattro anni suonati, è da immaturi.
-Hai perfettamente ragione. Di conseguenza, - aggiunse, sfoderando un sorriso ironico – eviterò anche la seconda parte del mio piano infantile. Niente pupazzo di neve, peccato.
Le mie sopracciglia scattarono all’istante al sentire quelle parole.
Era quasi come se lui fosse riuscito a captare ciò che mi passava per la mente poco prima e avesse voluto ricreare nella realtà quelle immagini.
Riusciva sempre a capire cosa mi rendeva felice, in un certo senso.
Scossi la testa, eliminando quelle idee ridicole.
-Ti concedo di costruire un pupazzo, se prometti di non lanciarmi più nulla.
-Affare fatto. – affermò, porgendomi una mano inguantata come a suggellare quel patto.
Feci appena in tempo a stringerla che lui mi attirò a sé, usando quella stretta come leva.
Mi ritrovai tutt’a un tratto imprigionata dalle sue braccia, completamente attaccata al suo petto.
Mi scostò leggermente, permettendomi di guardarlo negli occhi.
-Ho detto di no solo alla guerra con le palle di neve, ricordatelo. Gli altri colpi di scena mi sono ancora concessi. – disse, enigmaticamente, per poi allontanarsi.
Io rimasi in quel punto ancora qualche istante, cercando di dare un senso alle sue parole. Non riuscendoci, tornai alla realtà e lo raggiunsi nel punto in cui aveva iniziato ad ammassare la neve.
E tra sorrisi rubati, risate per stupidaggini e il freddo che aumentava sempre più, concludemmo la nostra opera.
Non avendo carote né bottoni, gli occhi e la bocca del pupazzo li creammo con dei buchi delle dita, dandogli un aspetto decisamente più simile a quello di una zucca di Halloween che a un classico pupazzo di neve.
-Ho deciso che lo chiameremo George. – affermai, con risolutezza.
-George? – disse Edward, scoppiando a ridere.
-Non ti sembra che abbia una faccia da George? – gli risposi, piccata, indicando con un gesto della mano… George.
-Rientriamo, Bella: il freddo ti ha dato alla testa.
Mi prese per mano, trascinandomi con sé verso la porta di casa.
Per quanto entrambi indossassimo dei guanti, non potei negare di aver sentito una scossa partire da quel contatto più che innocente. E sperai vivamente di non essere stata l’unica ad avvertire quella sensazione.
 
Pensai che le sorprese fossero finite per quel giorno. Come spesso accadeva quando si trattava di Edward, mi sbagliai.
Dopo aver preparato il necessario per la cena, infatti, mi portò con sé davanti all’auto, porgendomi un pezzo di stoffa nera. Si avvicinò maggiormente a me e vidi le sue braccia allungarsi ai lati del mio viso. Realizzai, a quel punto, che voleva coprirmi gli occhi con quella sorta di benda.
-Edward, conosco pochissimo la città: non capirei comunque dove stiamo andando. – sbottai, infastidita dal non conoscere la nostra meta.
-E io sono del parere che una sorpresa o la si fa bene o è meglio non farla per niente. Ti aiuto a salire in macchina, dai.
Sentii la portiera dalla parte del guidatore chiudersi e, poco dopo, il suono del motore che prendeva vita.
 
-Ancora un altro passo e poi puoi aprire gli occhi, te lo prometto. – disse, tenendomi per mano e guidandomi in un luogo probabilmente al chiuso, ma dalla temperatura comunque bassa.
Fu di parola. Non appena ci arrestammo, le sue mani abili e veloci mi slegarono la benda e potei vedere dove mi trovavo.
Si trattava di una immensa distesa di ghiaccio, circondata da barriere colorate alte poco più di un metro. La pista era interamente ricoperta da un’alta cupola e, tutt’intorno ad essa, si trovavano degli spalti.
Fortunatamente, Edward non mi fece domande su cosa pensassi. Ero troppo allibita e, in una certa misura, spaventata: conoscendo le mie doti di sportiva, avevo il terrore di ciò che potesse succedermi su dei pattini da ghiaccio, per quanto la sua presenza al mio fianco mi confortasse.
Presi un profondo respiro e lo seguii verso una sorta di magazzino, dove probabilmente avremmo trovato i pattini delle nostre misure.
Mi sorpresi nel trovare quel luogo completamente deserto, ma poi ricordai che era la vigilia di Capodanno ed era quasi ora di cena. Tutti gli abitanti della grande città, probabilmente, si trovavano al caldo nelle loro case, attendendo con ansia la cena e l’arrivo dell’anno nuovo.
Io, dal canto mio, preferii non pensarci. Un anno nuovo stava per iniziare, ma ce n’era anche uno che stava per finire. Uno meraviglioso, per quanto mi riguardava.
Temevo che le belle cose successemi in quel periodo potessero non ripetersi da lì a ventiquattr’ore.
Trovammo i pattini del nostro numero e, seppure io restassi alquanto titubante, fui aiutata da Edward ad arrivare sulla pista.
-Qualunque cosa accada, non lasciare la mia mano. – lo implorai.
-Non ti facevo così fifona. – mi rispose, iniziando a pattinare lentamente, ma comunque con un’aria agile ed elegante.
-Le cose nuove mi spaventano, non posso farci niente.
Mi stupii io stessa di quanto una frase così casuale potesse essere incredibilmente vera.
-Non hai mai pattinato sul ghiaccio? – mi chiese, voltandosi verso di me e osservandomi stupito. – A Port Angeles hanno allestito una pista molte volte, mi sorprende che i tuoi non ti ci abbiano mai portata.
-Ero io a non volerci andare. Conosco le mie condizioni di equilibrio precario e, tra l’altro, non mi è mai sembrata una cosa così divertente.
-Il mio obiettivo è di farti cambiare idea, allora. Certo, questo non è proprio il Rockefeller Center, ma servirà allo scopo. – concluse, ammiccando nella mia direzione.
Pattinavamo già da un po’, ormai – o meglio, Edward pattinava, muovendosi lentamente con me attaccata alla sua mano – quando si bloccò improvvisamente.
I suoi occhi si fecero seri, le sopracciglia aggrottate. Manteneva lo sguardo basso, senza dire nulla.
-A cosa pensi? – gli chiesi, con una spontaneità che mi sembrò quasi irreale.
La stessa domanda che avevo temuto di porgergli, quella mattina stessa.
-A questo momento. – e puntò i suoi occhi nei miei, spiazzandomi – A me e a te, qui ed ora. Al fatto che se non lascio uscire queste parole adesso, so che mi divoreranno dall’interno. Quindi, poco importa se me ne pentirò.
Seguire il suo discorso mi parve improvvisamente difficile. Sentivo il cuore battermi così forte da offuscare qualunque altro suono o pensiero, senza contare l’assenza di ossigeno che stava opprimendo i miei polmoni.
-Io… - continuò, titubante – Io mi sono innamorato di te, Bella Swan. Non so come sia successo, né quando. L’unica cosa di cui sono certo è che gli istanti che ho passato con te in questi ultimi mesi hanno rivoluzionato completamente la mia vita. Quando non sei con me, è come se mi mancasse qualcosa. E il pensiero che queste mie parole possano dividerci per sempre mi distrugge, ma davvero non posso continuare a mentirti. A starti accanto e fingere che per me non significhi nulla. Ad annegare i miei sentimenti nel silenzio solo per paura di soffrire di nuovo. E quindi eccomi qui, a straparlare e a sperare che tu possa almeno concedermi un’opportunità.
Sbattei le palpebre più volte, frastornata, sommersa dalle mie emozioni, dalle sue parole, da tutto.
Passarono i secondi e mi sembrò di non ricordare neanche come si respirasse.
Poi, al mio silenzio, i suoi occhi si fecero tristi e scuri.
Fu l’ombra di delusione nel suo sguardo che riattivò la circolazione di adrenalina nel mio corpo.
Non so esattamente dove trovai il coraggio per farlo. Non ero mai stata il tipo di persona che “prendeva l’iniziativa”. Sta di fatto che, velocissimamente, mi avvicinai ancora di più a lui, gli presi il volto tra le mani e poggiai le mie labbra sulle sue.
Poche volte nella mia vita mi era capitato di sentire che ogni cosa era dove dovesse da sempre essere. Quel momento rientrava in quelle volte.
Superato lo shock iniziale, sentii Edward rilassarsi e contraccambiare il bacio, accompagnandolo con un sorriso.
E mi ritrovai ancora una volta ad ammettere che, in fondo, né i miei sogni né il bacio scambiatoci dinnanzi a Tanya  gli avevano reso giustizia. La morbidezza delle sue labbra, il suo respiro che si univa al mio, le sue mani che mi accarezzavano delicatamente la schiena erano cose che neanche il mio subconscio da sedicenne emozionata sarebbe riuscito a riprodurre al meglio.
Non realizzai del tutto come ci separammo, come tornammo a casa o con cosa cenammo. Tutto il mio essere era stato scosso da quella dichiarazione e da quel bacio e non riuscivo ad articolare pensieri che non li riguardassero.
-A cosa pensi? – mi chiese Edward, mentre eravamo sul divano ad attendere l’arrivo della mezzanotte e ripetendo le mie parole di qualche ora prima.
-A me e a te. Qui ed ora. – feci lo stesso, intrecciando le mie dita alle sue.
Mi sorrise, contagiando anche me con quella luce che solo i suoi sorrisi emanavano.
Poi, dei forti scoppi ci fecero voltare simultaneamente verso la finestra. In lontananza, nel cielo scuro e senza stelle, sprazzi di ogni forma e colore rilucevano splendenti.
Era ormai scoccata la mezzanotte. E c’era una sola cosa che volevo dire per iniziare il nuovo anno.
-Ti amo, Edward Cullen. – dissi, a voce non troppo alta, richiamando la sua attenzione su di me.
Lui mi regalò un altro sorriso, prima di sussurrare di rimando un “Ti amo anch’io, Isabella Swan” e baciarmi nuovamente.



Notes
TA-DAAAAN! Sono tornata con una bomba, eh?
Ebbene sì, rieccomi. In realtà, io e il liceo abbiamo chiuso esattamente una settimana fa, ma ho avuto bisogno di tempo per riprendere un contatto quantomeno decente con la realtà.
Credo ci sia poco da commentare su questo capitolo, in verità. Se siete sopravvissuti agli unicorni rosa e allo zucchero filato in abbondanza, allora meritate tutto il mio amore e la mia stima.
Un applauso però lo farei ad Eddy, che finalmente ha detto come la pensa e ha avuto il coraggio di dichiararsi a Bella. ALLELUJA! 
Come mi avevo anticipato, si tratta dell'ultimo capitolo vero e proprio. Già, la storia finisce qui. Ma non preoccupatevi, nel weekend c'è un breve epilogo che vi aspetta, con tutti i saluti e i ringraziamenti del caso.
A presto, allora!
  
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