Serie TV > Supernatural
Ricorda la storia  |      
Autore: ThePirateSDaughter    09/07/2014    5 recensioni
|“Io… Vorrei dello scotch, per piacere” chiese con aria serissima “La mia ala si è rotta”.|
___________________________
Ispirata al prompt trovato su tumblr (sacro posto ♥): "Castiel breaks a wing and Dean has to help him"
|Kid!AU| |Fluff. Chili e chili di Fluff|
Genere: Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Castiel, Dean, Winchester, Meg, Master, Sam, Winchester
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Dean Winchester non era né un bambino asociale né il classico bambino con una cerchia di amichetti sempre attorno.
La maestra non era mai riuscita a spiegarsi come quel piccolino con gli occhi verdi non facesse la minima fatica a coinvolgere gli altri bambini in qualsiasi tipo di gioco e come, in ogni caso, preferisse rintanarsi in un angolo con il fratellino Sam la maggior parte del tempo.
“Non posso lasciarlo solo, maestra!” aveva esclamato Dean, allargando gli occhioni, la prima volta che gliel’aveva fatto notare “Devo prendermi cura di lui!”.
Ed era così. Durante i giochi di gruppo, Dean partecipava senza problemi, rideva con gli altri bambini, prestava le macchinine ai maschietti e, qualche volta, pettinava i capelli alle femminucce, strappando le loro risatine. Ma quando giocava con il fratellino, quasi nessuno era autorizzato ad unirsi a loro; non che Dean spingesse o scacciasse chi provava ad avvicinarsi, ma era come se lui e Sam avessero un mondo tutto loro e i bambini, a poco a poco, l’avevano capito.
 


“Vi presento il vostro nuovo compagno, bambini” La maestra aveva un’aria molto seria mentre indicava quel bambino strano con i capelli scuri e la faccia triste, semiavvolto in un cappotto troppo grande per lui. Dean inclinò appena la testa, incuriosito “Il suo nome è Castiel. Mi raccomando, fate i bravi con lui, deve sentirsi il benvenuto!”
Detto questo, tornò dietro la sua cattedra, mentre i bambini iniziavano a disperdersi, non senza gettare occhiate incuriosite a Castiel. Ma nessuno si avvicinava per giocare con lui. Dean lo fissò, per poi fissare Sammy, che era tornato al tavolo per finire il suo disegno. Il suo sguardo tornò un’altra volta al bimbo nuovo. Era tutto solo e si guardava le manine, che sparivano sotto le maniche troppo lunghe del cappotto. Seppe subito quello che doveva fare.
“Ciao bambino nuovo!” esclamò con tale foga da fargli alzare lo sguardo. Aveva gli occhi azzurrissimi come il cielo “Io mi chiamo Dean! Vuoi giocare insieme a me?”.
 



“C’è il mio papà oggi?” chiese Dean, molto speranzoso, stringendo la manina di Sammy, mentre gli altri bambini venivano consegnati uno per uno ai loro genitori, accalcati in massa davanti alla porta della classe. La maestra allungò il collo per un breve istante, prima di riprendere a controllare che ogni bambino finisse nelle mani dei genitori giusti; poi scosse la testa.
“No, Dean, ma c’è lo zio Bobby”
Il papà non c’era mai, pensò tristemente Dean; era sempre fuori e ogni volta c’era sempre lo zio Bobby. Non che non gli piacesse, lui voleva tanto bene a Bobby, ma…
Sammy, che aveva sentito, chinò appena la testa. Dean scosse appena il braccio della mano che stringeva la sua.
“Dai, Sammy, non te la prendere! Sono sicuro che papà arriverà un giorno di questi!”
Il fratellino lo fissò speranzoso “Ne sei proprio sicuro, Dean?”
“Certamente!”
“Allora ci credo” Sammy gli sorrise raggiante, per poi correre da Bobby, che stava agitando una mano al loro indirizzo. Poco prima di fare lo stesso, Dean sentì la voce di Castiel alle sue spalle.
“Maestra, tu vedi… c’è il mio papà oggi?”
“No, Castiel, mi dispiace. Ma quella è tua zia Naomi, giusto?”
“Oh” Dean si volse brevemente, il tempo di vedere Castiel guardare a terra, triste, molto triste “Va bene”.
 




“Giochiamo a qualcosa tutti insieme!” strepitò Meg, sbattendo le manine sul tavolo “Giochiamo alle streghe e ai mostri!”
“Non possiamo giocare alle streghe e ai mostri” sibilò Dean, protendendosi appena verso di lei “Sammy è troppo piccolo”.
“Ma sono coraggioso” borbottò Sam, incrociando le braccia.
“Potremmo giocare al ristorante” suggerì la piccola Jo, volgendo il suo sguardo tenero tutto intorno.
“Che noia!” sbraitò di nuovo Meg “Io voglio giocare a qualcosa di interessante!”
Dean si girò verso destra. Castiel, seduto vicino a lui, non faceva altro che fissarsi le manine, senza parlare. Erano due o tre giorni che era arrivato, ma non aveva ancora fatto granché amicizia con il resto dei bambini; preferiva stare vicino a Dean.
“Tu non hai idee, Cas?” Dean gli diede lievemente di gomito e Castiel alzò lo sguardo, incerto, facendolo passare su tutti i bambini. Poi alzò appena la manina.
“Potremmo giocare alle… alle cose speciali”
Meg inarcò un sopracciglio: “Cosa vuol dire?”
“Le cose speciali… come le cose delle favole e dei libri. Come le fate e i guerrieri e i cattivi, i draghi, i folletti e… e gli angeli”.
Meg finse di pensarci su “Mi piace questa idea!” dichiarò, sbattendo un pugnetto sul tavolo “Ma io voglio essere qualcosa di cattivo!”
“E noi ti daremo la caccia!” si tirò su Sammy, quasi barcollando per la foga dell’atto e Dean si sentì fiero del suo fratellino nei panni di un piccolo guerriero.
“Io…” Castiel aveva ancora alzato la mano; aveva qualcosa negli occhi, era come se gli scintillassero “Io posso essere un angelo?”
Dean ridacchiò: “Sono sicuro che sarai un angelo perfetto, Cas!”
 



Nel giro di pochi minuti, tutti i bambini si erano sparpagliati in varie direzioni e stavano lavorando. Alcuni avevano chiesto aiuto alla maestra per realizzare i loro costumi, più o meno complicati a seconda dei soggetti. Dean aveva deciso di essere un guerriero, un cacciatore, qualcosa che gli facesse aiutare gli altri a vivere felici e in pace: come aiuto nella sua missione aveva preso un coltello di plastica dalla cucina giocattolo delle femminucce – ma quell’affare era fucsia, maledizione-. Sammy, quel sapientone, invece, aveva preso un libro quasi più grande di lui e se lo trascinava dietro dappertutto, aspettando che iniziassero i giochi. Castiel era sparito in un’altra aula con la maestra per qualche minuto ed era tornato poco tempo dopo con due giganteschi fogli di carta, sui quali stava disegnando due sagome uguali. Dean posò la sua pericolosissima arma sul tavolo e lo osservò.
“Cosa stai facendo, Cas?”
“Le mie ali”
“Ah”.
“Perché io voglio giocare a essere un angelo. Gli angeli sono bellissimi e potentissimi e hanno le ali. Al mio papà piacciono un sacco”
“Va bene, Cas” Dean si sentiva in dovere di aggiungere qualcos’altro “… Al mio papà piacciono le macchine!”
“Che macchina avete?” chiese Castiel, osservandolo incuriosito, interrompendo momentaneamente il suo lavoro. Dean sorrise felice:
“Il mio papà ha una macchina grande, nera e bellissima, Cas, dovresti vederla! Però non so come si chiama…” La sua faccina si rabbuiò “E non so nemmeno se ce l’abbia ancora, è un sacco di tempo che non lo vedo…”
Per qualche secondo stette in silenzio, arrabbiato e triste con il papà; con la coda dell’occhio intravide Cas squadrarlo per qualche istante e poi tornare a lavorare. Stava aggiungendo tanti tratti neri su tutta la superficie delle ali: logicamente stava disegnando le piume.
“Ehi Dean”
“Cosa c’è?”
“Perché mi chiami «Cas»?”
“Perché siamo amici!” sorrise Dean, senza nemmeno starci a pensare. Castiel sollevò lo sguardo dal suo lavoro, fissandolo troppo a lungo e Dean si sentì quasi in imbarazzo. Finché Castiel sorrise.
“Grazie Dean! Sei molto gentile” dichiarò, arrossendo appena. Poi tornò a sagomare le sue future ali, lasciando Dean molto strano dentro. Non aveva mai visto Cas sorridere ed era molto meglio di quando stava triste e in silenzio a guardarsi le mani.
 
“Guardami Dean! Guardami!”
Dean si girò di scatto, il tempo di vedere qualcosa di piccolo e velocissimo sfrecciargli accanto in mezzo al cortile, tentando di non incespicare nel cappotto, le due ali bianche che sventagliavano alle sue spalle.
“Volo, Dean! Guardami, Dean, volo! Volo!!!”
Meg ne approfittò per liberarsi dalla presa di Dean e per sottrargli il coltello di ferocissima plastica dalle mani, urlando vittoriosa e prendendo ad inseguire il piccolo angelo.
 


La maestra si rese conto che, pochi giorni dopo, il gioco delle cose speciali era diventato il preferito di tutti i bambini. C’erano i “cattivi”, come Meg e Ruby, che facevano i dispetti in giro e sparpagliavano tutti gli oggetti nel ristorante di Jo e Ash. Allora arrivavano i “cacciatori” – Dean, Sam, Adam, Garth, Charlie, Gordon e tanti altri- a sconfiggerli. Perlopiù si lottava, ma Sam si ostinava a usare gli incantesimi: apriva il librone che aveva scelto e, invece di leggere la fiaba dei Tre Porcellini (che comunque non avrebbe saputo leggere), leggeva incantesimi che si inventava sul momento. A quanto pareva, le sue magie indebolivano sempre i cattivi e si vedeva come Dean fosse molto fiero di lui. Il nuovo arrivato, Castiel, sembrava essersi integrato abbastanza bene, ma continuava a preferire la compagnia di Dean e Sam: l’unico “angelo” svolazzava insieme a loro e, grazie ai suoi poteri magici, guariva le loro “ferite” e li “teletrasportava” da un posto all’altro. Una volta che i cattivi erano stati sconfitti, tutti quanti a mangiare al ristorante di Jo!
Quella di Cas era stata veramente un’idea geniale e Dean era contento che fosse stato proprio un suo amico a sceglierla!
Poi, un giorno, Cas smise di giocare.
 


“Andiamo a giocare alle cose speciali!” dichiarò Meg e tutti i bambini la seguirono all’esterno, sotto lo sguardo vigile dell’altra maestra. Ruby si girò verso Dean, mostrando i suoi terrificanti occhi neri; lui si limitò ad agitarle contro il coltello fucsia, a distanza e lei, battendo le palpebre, li fece tornare normali, ridacchiando mentre correva via.
“Io non ho voglia, oggi…” piagnucolò Sammy, scoccando a Dean i suoi occhi da cucciolo più efficaci. Dean storse appena il naso e guardò fuori solo per un brevissimo istante, il tempo di vedere Benny e i suoi dentoni da vampiro sparire giù dalle scale.
“Va bene, Sammy, stiamo qui. Cosa vogliamo fare?”
“Disegnare!” trillò Sammy, sfoderando quattro o cinque fogli stropicciati da sotto il tavolo. Dean sorrise appena.
“E va bene”
Stava per tirare fuori i pastelli, quando notò Castiel seduto all’altro capo della classe, zitto e triste. Di nuovo.
Dean esitò un istante. Poi si alzò.
 


“Perché non sei andato fuori a giocare?”. Castiel tirò su con il naso, senza guardarlo in faccia e Dean gli toccò una spalla.
“Una delle mie ali si è rotta”.
“Oh accidenti!” Dean si appoggiò allo schienale della sedia “Mi dispiace tanto, Cas!”
L’amico non disse nulla, lo sguardo sempre fisso a terra.
“Non piangere però, smettila di essere triste! Adesso la aggiustiamo! Fammi vedere cosa c’è che non va!”
Castiel tirò su con il naso solo un’altra volta, gli occhi pieni di lacrime; poi si alzò e andò a prendere le sue ali, indossandole strada facendo. Una volta sedutosi davanti all’amico, lasciò che Dean esaminasse il danno.
E sembrava essere proprio un gran bel danno, pensò Dean. Le ali di Castiel si ergevano gigantesche e luminose fin molto sopra le sue spalle, bianche e scintillanti come sempre; ma quella destra aveva come un grosso strappo orizzontale che la divideva in due parti e faceva afflosciare su se stessa il lembo di piume e magia di cui era composta.
“Mamma mia” Dean incrociò le braccia “Dobbiamo trovare una soluzione, Cas, così torneremo a giocare insieme!”
Cas annuì senza guardarlo in faccia, guardandosi sconsolato l’ala ferita; riluceva più debolmente dell’altra. Dean sorrise e gli diede un colpetto.
“Giochiamo insieme a qualcos’altro, che ne dici? Io e Sammy stiamo disegnando, di lì”
Ci volle qualche minuto, poi Castiel sollevò lo sguardo e sorrise.
 



“Bobby, Bobby!” Dean si letteralmente catapultò in braccio al suo quasi-zio, afferrandogli la camicia e scuotendola. “Cosa bisogna fare per aggiustare qualcosa che si è rotto?”
Mugugnando appena, Bobby si riebbe lentamente dal suo sonnellino post-quinta birra e riuscì a mettere a fuoco il visino concentratissimo e ansioso di Dean.
“Aggiustare qualcosa, dici?” La sua mente venne immediatamente invasa da diverse strategie; c’erano tanti modi per aggiustare qualcosa, a seconda del qualcosa. Un cuore rotto non si aggiustava nella stessa maniera in cui si aggiustava una Chevrolet Bel Air, così come una Chevrolet Bel Air non si aggiustava nello stesso modo di una Cadillac. O di un frullatore. Ma Dean era ancora un bambino, non doveva saperne di frullatori o macchine o tantomeno cuori rotti.
“Mmm” Si raddrizzò appena “Vediamo un po’…”
 



“Cas! CAS!!! Ho la soluzione!”
La maestra rimase decisamente scioccata quando Dean si precipitò in classe quasi senza vederla, il giorno dopo; lanciò lo zainetto in un angolo e corse da un imbarazzatissimo Castiel, addosso al quale Meg si stava strusciando, aspettando che il bambino cedesse e la abbracciasse.
“Ho parlato con Bobby, ieri” dichiarò Dean all’amichetto, sedendoglisi vicino e assumendo una faccina concentratissima, come se gli stesse rivelando il più grande dei segreti. Meg sbuffò, borbottò “Maschi…!” e tornò a giocare con Ruby “Dice che, quando si rompe qualcosa, serve lo scotch o i cerotti!”
Ormai interessata da quel dialogo, la maestra si era appoggiata alla cattedra, sorridendo e osservando Castiel sgranare felice gli occhi, come se Dean gli avesse appena offerto un’intera scorta di caramelle.
“Vado a prenderle!” esalò emozionato; corse al suo scaffale, afferrò le due ali di carta che si era costruito poche settimane prima e si precipitò alla cattedra, tentando di ergersi il più in alto possibile per poterle posare al cospetto della maestra. Quella che sembrava l’ala destra era stata quasi strappata a metà; poteva succedere con le cose di carta, giocando all’aperto.
“Io… Vorrei dello scotch, per piacere” chiese con aria serissima “La mia ala si è rotta”.
 



Due giorni dopo, come si disse Dean, sarebbe stata tutta colpa di Meg.
Erano in cortile, impegnatissimi in una battaglia per salvare il bricco del the rosa del ristorante di Jo, quello che Meg proprio non voleva lasciar andare. Sammy aveva lanciato il suo incantesimo – e aveva funzionato, il libro splendeva! -, ma Meg era davvero molto potente! Allora Castiel era corso in avanti –no, era volato in avanti- per aiutarli e bom! Meg lo aveva atterrato, urlando che non voleva lasciare assolutamente il prezioso bricco. Lo avrebbe trasformato in un bricco cattivissimo per servire the a tutta la squadra dei cattivi dell’asilo!
Per fortuna era arrivata la maestra a separare lui e Meg, ma durante lo scontro, anche l’altra ala di Cas si era rotta. Si era proprio strappata, un pezzo si era staccato dal resto, fluttuando a terra e spegnendosi.
Dean fissò sconsolato l’amico che faceva del suo meglio per non piangere; la maestra aveva portato via le sue ali – quella riparata che semiscintillava e quella irrimediabilmente rotta tutta nera e accartocciata- e le aveva messe in un cestino con sopra scritto “Bidone Carta”. Non le avrebbero più potute prendere, l’aveva imparato durante il primo anno che non bisognava mettere le mani lì, perché c’era la spazzatura. Castiel aveva perso le sue ali.
E Dean non sapeva che fare.
Diede un’occhiata a Sammy, seduto accanto a lui, immerso nel disegno di turno e sorrise.
“Possiamo farne delle altre!” suggerì festante all’amico, chinandosi in modo da riuscire a mettere la sua faccia sotto la sua, per poterlo guardare in volto; ma era difficile, teneva la testa così bassa! “Chiederò a Sammy di disegnarne altre due, e poi ci metteremo su un bell’incantesimo, così quelle nuove non si romperanno mai più! Che ne dici?”.
Castiel annuì pianissimo e l’espressione felice di Dean si attenuò un poco: non era abbastanza “Erano le mie ali…” singhiozzò. Una lacrima cattiva gli scivolò giù per la guancia e fu allora che Dean capì. Non erano solo le ali di Cas ad essersi rotte! Era qualcosa… dentro che si era rotto. Come quando Dean aveva il mal di pancia o piangeva (le poche volte che succedeva, non piangeva mai, lui!).
E si dava il caso avesse una soluzione.
“… Sai cosa diceva la mia mamma quando… quando era ancora viva?” gli disse, tentando ancora di guardarlo “Diceva «un bacino e passa tutto!»”.
Neanche il tempo di finire la frase e Dean si era già chinato in avanti e aveva schioccato un bacino degno di questo nome sulla guancia di Castiel; poi si ritrasse e si strofinò le manine, soddisfatto, come aspettando qualche effetto magico che lo informasse che aveva avuto successo. Castiel sollevò appena lo sguardo, arrossendo.
“Stai meglio?”
“Io… sì, immagino di sì”.
 



“Bambini! È ora di andare a casa, venite!” annunciò la maestra, aprendo la porta della classe. Tutti afferrarono gli zainetti e iniziarono a mettersi in fila, urlando e ridacchiando.
“Ci vediamo domani, Cas!” lo salutò allegramente Dean, prendendo la mano di Bobby; alle sue spalle, l’amico si passò velocemente sul viso una manina semicoperta dalla manica e agitò con foga l’altra.
Dean era felice che il suo amico stesse di nuovo bene. L’indomani avrebbero di nuovo giocato alle cose speciali, anche senza le ali di Castiel.
Perché Cas era una cosa speciale.



 
Non negherò: awweggiai malissimo scrivendo questa cosa. Quanto sono adorabili questi cosini in versione piccola piccola? *li spupazza tutti*.
Ehm, spero abbiate apprezzato / notato i vari parallelismi che ho cercato di draw between la fic e il Canon del telefilm [ad esempio, Jo che vuole giocare al ristorante è un riferimento alla Roadhouse e non penso debba spiegarvi perché al padre di Castiel piacciono gli angeli xD].
E spero anche abbiate capito il motivo per il quale Dean e gli altri bambini si vedono con gli occhi neri, le zanne, le ali scintillanti. Logicamente l'avete capito, siete bravi e intelligenti. :)
Spero che vi sia piaciuta! :)
   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Supernatural / Vai alla pagina dell'autore: ThePirateSDaughter