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Autore: block56    09/07/2014    0 recensioni
Raul è un ragazzino di sedici anni, innamorato da molti anni della sua migliore amica. Lui soffre molto a causa di questa situazione e cerca di seguire i consigli del suo migliore amico, Andrea: guardare altrove. Ci sono molte altre belle ragazze oltre a Valentina, e anche se sarà difficile, dovrà dimenticarla.
Non confesserà mai il suo amore a Valentina, e quando vorrà farlo, sarà ormai troppo tardi. Per entrambi
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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“Ehi Vale,” dico stringendole la mano “oggi ti operano, sai? Sinceramente a me non dispiace perché aspetto questo momento da molto tempo e spero solo… che tu possa farcela.” 
“Ciao, Raul” sento la voce di sua madre.
I suoi capelli biondi sono tutti aggrovigliati e il mascara colato si confonde con le sue grandi occhiaia nere.
“Ciao” rispondo.
“Sono venuta a dare un saluto e ad informarti che fra poco portano via Vale”
“Certo, fra poco esco” dico alzandomi dalla sedia facendole posto.
Si siede e stringe forte la mano di Valentina, dandole un bacio. Dai suoi occhi comincia a scendere la prima di una lunga serie di lacrime.
“Non penso possa farcela” mi informa singhiozzando. Appoggia la testa sul lettino e stringe sempre più forte la mano di sua figlia.
“E’ sempre stata forte” la incoraggio mettendole una mano sulla spalla.
Comincio a piangere anche io, venendo a capo del fatto che non potrà farcela. Si, è vero, è sempre stata forte, ma il suo fisico ora è troppo debole per affrontare un’operazione.
“Scusatemi,” ci interrompe il dottore “dobbiamo portare la paziente in sala”
La mamma di Vale prende la borsa e quasi corre via dalla stanza. La seguo pure io dopo aver dato un bacio a Valentina.
“Forse l’ho fatto troppo tardi”
Esco dalla stanza e mi metto a sedere vicino alla mamma di Valentina, in lacrime.
“L’unica cosa da fare ora, è credere in Dio” dice alzando la testa al cielo.
“Già…” ho sempre creduto in Dio, ma non prego quasi mai. Questo è il momento adatto per farlo.
Chiudo gli occhi e abbasso la testa, cercando di concentrarmi. Ma sinceramente, non mi riesce affatto.
Riapro gli occhi e sentendo il mio stomaco brontolare, vado a mangiare.
Mi avvicino alla macchinetta e prendo la prima cosa che capita.
Apro la bustina e girando la testa vedo Andrea che si avvicina a me, stringendomi in un abbraccio.
“Come stai?” chiede ancora attaccato a me.
“Be’, non benone, ma…” mi fermo e vedo che Elisabetta si avvicina verso di noi con un’espressione quasi spaventata.
Non sembra arrabbiata.
“Dov’è adesso?” dice Betta rivolgendosi a me.
“L’hanno portata in sala operatoria e…” vengo nuovamente interrotto da un bacio di Elisabetta.
Mi sorprende sempre di più questa ragazza.
“Scusa” dice pulendo con la mano il rossetto che mi ha lasciato sulle labbra.
Ci andiamo a sedere e aspettiamo che l’intervento finisca.
Le prime due ore sono passate ma non abbiamo ancora notizie.
Elisabetta fa scivolare lentamente la sua mano sulla mia e io l’afferro con decisione.
Andrea dorme da un’oretta e nella sala d’attesa ci siamo solo noi tre.
“Ti devo parlare.” mi sussurra Betta nell’orecchio. “So che non è il momento adatto, ma voglio solo dirti che… che ti amo. Lo so, tu sei innamorato perso di Valentina ma… spero solo che un giorno riuscirai a cambiare idea.”
Giro la testa verso di lei e scostandole quel ciuffo dalla faccia le do un bacio.
“Non voglio pensare a niente in questo momento” sussurro.
Il nostro bacio viene interrotto da un colpo di tosse stizzoso di mia madre.
Lei non può vedere né me, né Elisabetta.
Ci odia.
“Andrea, scusa, potresti farmi un po’ di spazio?” chiede.
Andrea continua a dormire occupando tre sedie intere.
“Va bene, rimango in piedi” si rassegna mia madre.
Ci mandiamo sguardi di sfida ma è evidente che le manco. Non abbiamo passato insieme nemmeno la Pasqua e non capisco il perché di tutta questa diffidenza. Non poteva semplicemente darmi una punizione più… elastica?
No, cacciamo Raul di casa.
“Se vuoi puoi sederti qui” le chiedo inicandole la sedia accanto alla mia.
“No, grazie” dice come se volesse snobbarmi.
“Fai come vuoi” le dico.
Dopo una mezz’ora Andrea continua a dormire  e le gambe di mamma cominciano a tremare per la stanchezza.
“Sicura che non vuoi sederti?” le chiedo.
“Eh va bene” dice borbottando.
Si siede e passiamo alcuni minuti in silenzio.
“Ti voglio bene” mi sussurra senza muoversi.
Mi giro dalla sua parte e la stringo in un abbraccio.
“Mi sei mancata.”
“Anche tu” dice accennando un pianto.
Il nostro abbraccio viene però interrotto da un suo gemito.
“Scusami, devo andare al bagno” dice staccandosi.
Appoggio la testa sulla spalla di Elisabetta e cerco di addormentarmi.
Chiudo gli occhi e provo a sgombrare la mia mente da tutti i pensieri. Ma non ci riesco. Comincio allora a contare le pecorelle e dopo qualche minuto, finalmente riesco a riposare.
Faccio un sogno davvero strano: Valentina riesce a superare l’intervento e in poco tempo esce dal coma. Siamo nella nostra Casetta e lei si fuma una sigaretta. Non è sulla sedia a rotelle e non ha nemmeno delle stampelle. I suoi capelli rossi sono sempre lunghi, folti, rossi. E lei è sempre bellissima.
La Casetta però è cambiata. Non è come quella di una volta. La scatola delle foto da bruciare non c’è più e l’unica foto appesa è una di Valentina, contrassegnata da una punesse nera.
Una grande finestra inquadra il sole al tramonto e sotto questa ci sono dei fiori.
Questo sogno mi spaventa.
Fortunatamente viene interrotto da Elisabetta, che non è più al mio fianco, ma sta ascoltando ciò che sta dicendo il dottore. Accanto a lei ci sono anche mamma e Andrea che sembrano molto preoccupati.
Mi alzo e li raggiungo.
Purtroppo ho perso l’inizio del discorso ma sono riuscito a seguire il finale.
“Mi dispiace…” annuncia il dottore togliendosi gli occhiali.
Tutti cominciano a piangere, tranne me.
Sono ancora in uno stato di trance e non riesco a realizzare che questa è la realtà, non un sogno.
Le ginocchia mi cedono e cado e terra, con i glutei sui talloni e con la faccia tra le mani.
Non posso crederci.
Mi rialzo ed esco di corsa dall’ospedale.
Supero la panchina del tramonto e corro verso  casa.
L’unica cosa che posso fare adesso è ricostruire quella Casetta.
Continuo a correre, ma la mia milza chiede aiuto.
Riprendo fiato poggiando le mani sulle ginocchia e mi siedo su una panchina.
Alzo gli occhi al cielo e il sole è ancora alto.
Il sudore comincia a confondersi con le lacrime e la testa sta per scoppiare.
Qualcuno bussa il clacson e aprendo gli occhi vedo che è mia madre.
“Se vuoi, puoi tornare a casa con me”  mi propone asciugandosi il trucco sbavato in viso.
Apro lo sportello e mi ficco dentro, cercando di smettere di piangere.
La testa continua a farmi male e il dolore forse è più forte di prima.
Mi asciugo le lacrime e accendo la radio.
Passano alcune canzoni (tra le quali due delle mie preferite) ma non gli do molta importanza e continuo a pensare a Valentina.
Non posso credere che sia morta.
Mamma spegne il motore ed entriamo silenziosamente in casa.
La cosa che avrei voluto fare in questo momento sarebbe stata buttarmi sul letto. Ma non mi va. Quindi salgo in terrazza.
Prendo le chiavi in un armadio dietro la porta della cucina, salgo velocemente i gradini e apro la porta.
Ci sono ancora alcune travi di legno, un martello, i chiodi e le punesse.
C’è ancora tutto.
Prendo una sedia di plastica buttata lì vicino e mi ci siedo sopra e comincio ad osservare un vaso, trovato accanto alle travi per caso.
E’ bianco con dei ricami blu.
Mi rimetto in piedi e prendendo le travi decido di ricostruire la Casetta.
Voglio avere almeno un suo ricordo.
Scendo giù nel giardino e mi metto all’opera.
Questa Casetta la faccio simile alla prima ma più grande.
Faccio un tetto spiovente, incastrando gli assi fra loro.
faccio le pareti abbastanza larghe e lascio un piccolo spazio aperto che funge da finestra. Come quella del sogno.
Continuo con le altre pareti e prima di passare all’arredo, mi siedo a terra, dentro la Casetta, e da quella “finestra” ammiro il tramonto.
Già, servirà a quello la finestra.
Quella palla di fuoco mi ricorda  Valentina, sia per il colore, sia perché è un tramonto. Il tramonto mi ricorda Vale.
Dopo una decina di minuti mamma mi chiama a cena e corro a mangiare.
Anche se non ho molta fame.
E’ come se avessi un nodo alla bocca dello stomaco.
Mi siedo a tavola e mangiucchio qualcosa.
“Devi mangiare tutto” mi obbliga mamma.
“Non ho fame”
“Anche io feci così quando morì papà. Non mangiai per giorni. Poi alla fine cominciai ad avere sempre fame e colmavo la sua assenza con il cibo. Ma anche se è successo a me, non vuol dire che devi fare anche tu la stessa cosa”
“Ho solo… sonno” dico sbadigliando.
Mi alzo e mi butto finalmente sul mio letto e mi addormento vestito.
La mattina dopo mi sveglio alle sei e mezza e decido di far visita ai genitori di Vale.
Prendo il motorino e vado verso casa sua.
Sulle scale di casa sua c’è la mamma, disperata, con una sigaretta in mano.
“Ciao” dice asciugandosi le guance dalle lacrime.
Ha un aspetto davvero orrendo.
“Sono passato per salutare” la informo strappandole un mezzo sorriso. “Quando ci saranno  funerali?”
“Questa sera, alle 17.30” dice singhiozzando.
“Grande… ci sarò.”
Riscendo velocemente le scale e salgo in sella al mio  motorino.
Mi guardo allo specchietto retrovisore e noto che devo assolutamente tagliarmi la barba e devo comprarmi uno smoking.
Non posso andare al funerale con questa maglietta sporca di non so cosa.
Quindi vagherò per la città cercando un negozio di vestiti aperto.
Mi metto in marcia ma i miei negozi di fiducia, purtroppo, non sono ancora aperti. Quindi decido di vedere al centro commerciale.
Metto il catenaccio al motorino ed entro dentro.
Vedo le vetrine dei vari negozi ed entro in uno che vende cose davvero belle a un prezzo bassissimo.
Compro uno smoking a caso, uno della mia misura, adatto per un funerale.
Torno a casa e mi ributto sopra il letto, con la busta del negozio ancora in mano.
Comincio a pensare e a deprimermi, quando alla fine decido cosa fare.
Salgo di nuovo sulla terrazza, prendo il vaso e lo metto nella Casetta, a terra vicino alla finestra.
Poi prendo un chiodo avanzato e sul muro incido nuovamente R+V=FOREVER.
Come evitare l’oblio.
Questa Casetta, anche se simile alla prima, non sarà mai più la stessa. Posso anche rimettere le foto, le punesse, ma mancherà sempre qualcosa: lei.
Prendo il pacchetto di Camel nella tasca e mi accendo una sigaretta.
La Casetta si riempie di fumo che esce lentamente dalla finestra.
La finestra del tramonto.
Spengo la sigaretta ormai finita e salgo di sopra.
Mamma si è appena svegliata e comincia a preparare il caffè ad entrambi.
La giornata passa così, nell’attesa del funerale. Passo dal letto al divano, dal computer alla TV.
Alle 17.00 comincio a prepararmi. Mi sciacquo la faccia e mi metto il mio nuovo vestito.
Scendo di casa e vado nella cappella dell’ospedale, dove è esposta la salma di Valentina.
Ci sono un sacco di bare di persone anziane, di giovani ragazzi e di bambini.
Verso le ultime c’è quella di Vale.
I suoi capelli rossi e folti si sono trasformati in fragili capelli corti che non le arrivano nemmeno alla nuca. Il suo volto, invece, è gonfio dal cortisone e a malapena si riconoscono i suoi lineamenti. Il suo piccolo naso però rimane sempre quello.
Le accarezzo il viso e le do un bacio. Dopo pochi minuti vado nuovamente a casa, non me la sento di partecipare al funerale.
Esco dalla cappella e vado al fioraio più vicino.
Compro sei rose rosse, come i capelli di Valentina.
Torno a casa, prendo una foto di Vale e la attacco alla casetta con una punesse nera,  che indica la morte.
Nel vaso invece metto quei fiori che ho appena comprato e inginocchiandomi faccio una piccola preghiera.
Rimango con i glutei sui talloni e dalla finestra mi metto a guardare il tramonto.
L’unico, vero ricordo che ho di Valentina.
  
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