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Autore: ___Page    09/07/2014    3 recensioni
"-A cosa stai pensando, Capitano?-
Seduto sulla testa del leone a prua, con il cappello calato sulla fronte Rufy teneva gli occhi sul suo compagno che correva allontanandosi velocemente dalla nave. Quando la voce di Robin raggiunse le sue orecchie non si voltò a guardarla. L’archeologa lo scrutò per qualche minuto, mentre un dolore ormai noto si impossessava del suo petto. Vederlo così la stava uccidendo. Avrebbe dato qualsiasi cosa per vedere il sorriso splendere ancora una volta sul volto del ragazzo.
-Pensi che si risolverà mai questa situazione?- chiese Rufy.
Robin portò lo sguardo nella stessa direzione di quello del capitano. Ormai il samurai era quasi completamente scomparso dalla loro vista.
-Non lo so…- ammise."
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mugiwara, Nuovo personaggio | Coppie: Nami/Zoro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Erano tutti riuniti nella cucina della Sunny, i Mugiwara e alcuni Heart.
Stranamente, mancavano Bepo e Penguin ma nessuno si era preoccupato di chiedere spiegazioni così come nessuno si era accorto che il sottomarino non navigava più di fianco alla Sunny. Erano troppo sconvolti per la recente scoperta.
Law aveva spiegato loro che un’interferenza nel radar li aveva incuriositi e, avvicinatisi per controllare sfruttando il motore a propulsione, avevano individuato l’ordigno sulla chiglia della Sunny.
Era stata Nami a chiedergli di raccontare una bugia.
Non sapeva se sarebbe riuscita a ricongiungersi alla ciurma e far loro sapere che aveva riacquistato la memoria sarebbe stato ancora più atroce, se non fosse riuscita a sfuggire a Sander.
E, dal momento che si trattava di una bomba ad altissima tecnologia l’interferenza era una spiegazione più che plausibile.
-Qualcuno vuol mangiare qualcosa?!- chiese Sanji, sperando in una risposta affermativa.
Continuava a sentire il bisogno di tenersi impegnato.
Alcuni Heart e, inspiegabilmente, Rufy annuirono convinti riuscendo a strappare un sorriso al cuoco.
Per un po’ nella cucina non si sentì altro che il rumore di pentole e stoviglie che cozzavano e il coltello che pestava il legno triturando le verdure a velocità sostenuta.
Zoro, seduto di fronte al chirurgo teneva le braccia al petto fingendo di meditare o dormire, ma, nonostante gli occhi chiusi, sentiva lo sguardo indagatore di Law su di lui.
Alzò di scatto la testa per intimargli, senza troppi complimenti, di piantarla ma un tonfo sul ponte lo fece bloccare. Si girarono tutti verso la fonte del rumore e anche Sanji smise di occuparsi del pasto che stava preparando, immobilizzandosi con il coltello a mezz’aria.
-Devono essere Bepo e Penguin…- mormorò il capitano degli Heart.
Poi una voce furibonda riempì l’aria, facendo trattenere il fiato ai Mugiwara e ghignare il chirurgo.
-MA COSA TI È SALTATO IN MENTE, DANNATO ORSO POLARE?!?! L’ACQUA È GELIDA!!! NON POTEVI STARE PIÚ ATTENTO?!?!-
Il rumore di una colluttazione li avvisò che presto Bepo avrebbe avuto bisogno di urgenti medicazioni.
Zoro aveva sgranato l’occhio, il cuore che gli si agitava febbrile nel petto.
Era…?! No, era impossibile!
Eppure…
No! Non voleva cedere, non voleva crederci ancora e stare male di nuovo!
Non ce la faceva!
Doveva essere frutto della sua immaginazione!
Ma un sussurro alla sua sinistra lo fece sobbalzare.
-Nami…- mormorò il cecchino.
Non era una domanda.
Era certo di ciò che aveva sentito.
Uno spostamento d’aria gli disse che Usop lo aveva superato uscendo veloce dalla cucina sul castello di poppa.
Franky lo seguì immediatamente.
Deglutendo a fatica, lo spadaccino si voltò a guardare i suoi compagni che sembravano essere stati colpiti dal raggio di Foxy.
Erano perfettamente immobili con gli occhi sgranati, respirando appena per la speranza e la paura.
Poi dei singhiozzi incontrollati riempirono il locale, intervallati dalla voce del cyborg.
-So-so-so… SORELLA!!! Sei qui!!! Oh sono così felice che tu stia bene!!!-
-Ehi Boss! Calmati!-
Era lei!
E aveva chiamato Franky “Boss”!
Quindi, la sua memoria era…
-Cal-calmarmi?! Ma io non sto piangendooooo!!!- piagnucolò il carpentiere.
Un rumore di sedie strusciate, un coltello che veniva lasciato cadere nel lavello e passi svelti che pestavano sul legno. Una serie di ombre si mossero rapide ai margini del suo campo visivo, in quel momento limitato alla superficie del tavolo, mentre scheletro, archeologa, capitano, medico e cuoco uscivano sul ponte.
Fece un profondo respiro, incapace di muoversi, e s’impose di alzarsi e uscire.
Per la prima volta in vita sua, mentre muoveva passi malfermi verso la porta della cucina, tremando incontrollato, si ritrovò a pregare un dio in cui non credeva.
Ti prego, ti prego, ti prego fa che non sia un sogno, fa che sia vero!
Uscì sul castello di poppa.
Bepo giaceva inerme da una lato del ponte erboso, con un vistoso bernoccolo sulla fronte e Penguin accosciato al suo fianco che cercava di riscuoterlo inutilmente.
Ma non ci fece assolutamente caso, Zoro, perché i suoi occhi erano stati calamitati dall’unico magnete che avesse un qualche effetto su di lui.
Nami era immersa nelle braccia del capitano, che l’avvolgevano facendo parecchi giri intorno alla sua vita e alle sue spalle, impedendola nei movimenti.
Rideva felice mentre Usop, Chopper e Franky ballavano a braccetto. Robin piangeva e rideva insieme, asciugandosi le lacrime con le dita affusolate.
Non si rese nemmeno conto che aveva sceso le scale, finché non se la trovò davanti.
Quando intercettò il suo sguardo, Nami smise di ridere e gli occhi le si colmarono di lacrime in un attimo.
Si staccò da Rufy, avvicinandosi con passi incerti, sotto lo sguardo intenso e ancora incredulo del suo unico occhio.
Respirò il suo odore di rhum, deglutendo rumorosamente per poi abbozzare un pallido sorriso.
-Ciao…- gli mormorò con un groppo in gola.
Rimasero immobili a fissarsi, così vicini da potersi toccare, senza fare né dire niente, per alcuni secondi che a loro parvero interminabili.
Poi Zoro si mosse in avanti e la fece annegare nel suo caldo abbraccio rassicurante, dove era giusto che stesse, finalmente al sicuro.
Doveva essere caduta in acqua, perché era fradicia ma il samurai a malapena se ne accorse.
La strinse forte, riscaldandola e asciugandola con il suo corpo, mentre lei iniziava a piangere a dirotto, le mani che stringevano spasmodicamente i baveri dello yukata, le spalle che si muovevano convulsamente, il petto scosso dai singhiozzi.
Era con la sua mente che avevano giocato, era lei che era stata manipolata.
Lui doveva essere forte, per lei.
Ed era quella l’unica ragione per cui non era già ripartito alla volta dell’isola per dare una lezione a quel fottuto bastardo.
Perché lei, Nami, la SUA Nami aveva bisogno di lui lì, in quel momento.
-S-scusa… scu-uhsa… perd…ohnami…- mormorava a fatica tra un singhiozzo e l’altro. -n-non so… co-ohme ho… p-p-potuto dim… ehn-ticarmi di te…-
La strinse ancora di più per frenare quelle parole.
-Non dirlo nemmeno per scherzo…- riuscì a sussurrarle nonostante il nodo che gli bloccava la gola -Non è stata colpa tua…-
-Zoro!!!- gemette passandogli le braccia dietro il collo e stringendosi a lui fino quasi a farsi male, singhiozzando senza ritegno.
Lo spadaccino strinse il tessuto fradicio della sua maglietta con le mani bronzee, serrando gli occhi, aspirando il suo profumo.
-Sono qui… Stai tranquilla…- mormorava, baciandola tra, i capelli -… È finita… È tutto finito…-
Poi se la caricò in braccio, avviandosi verso la zona notte, senza guardare nessuno, gli occhi puntati su di lei, incapaci di captare qualsiasi altra cosa, mentre attraversava il corridoio, diretto alla cabina delle ragazze.
Si sentiva in colpa perché, mentre Nami piangeva disperata, a lui sembrava di stare in paradiso sentendo la pelle del collo bagnarsi per le sue lacrime.
Era vera, era lì tra le sue braccia!
Quanto gli era mancata!
Ora che poteva stringerla di nuovo si chiedeva come avesse fatto a sopravvivere senza il calore del suo corpo accanto.
Non aveva ancora smesso quando, una volta entrato nella stanza, si sdraiò sul letto della navigatrice adagiandosela addosso, continuando a stringerla, mentre lei si rifiutava di sollevare il viso dall’incavo del suo collo.
Le stava piangendo tutte.
Tutte le lacrime che avrebbe pianto in quei dieci mesi, se avesse avuto coscienza di cosa le stava succedendo.
Lacrime di paura.
Lacrime di tristezza.
Lacrime di sofferenza.
Poi, finalmente, arrivarono anche le lacrime di gioia.
Sentì qualcosa di umido sul collo, una sensazione molto diversa da quella che le gocce salate che graffiavano le guance della sua mocciosa gli avevano procurato fino a quel momento, e capì che aveva iniziato a baciarlo. Prima a fior di labbra, poi sempre più forte, marchiandolo a fuoco, risucchiandogli la pelle tra le labbra rosee e carnose.
Continuava a piangere ma allo stesso tempo rideva.
Piangeva, rideva e lo baciava, agitandosi su di lui per raggiungere ogni centimetro di pelle possibile.
Anche lui si mise a ridere, ricambiando i suoi baci e le sue carezze.
E le loro risate, miste a qualche singhiozzo che ancora resisteva tenace nella bocca di Nami, riempirono la nave regalando ai Mugiwara una felicità che era rimasta loro sconosciuta per quasi un anno, facendoli sorridere.
Sorrise Sanji, mentre finiva di sminuzzare le verdure, dopo essere tornato in cucina.
Sorrise Usop, che si era rifugiato nel suo laboratorio per lasciarsi andare a un balletto di pura gioia, sollevato al pensiero che l’indomani non sarebbe più stato il primo ufficiale, lui che diceva di voler diventare il capitano.
Sorrise Franky, mentre riparava la falla con più accuratezza.
Sorrise Chopper mentre si occupava di Bepo, ancora rintronato dal potente cazzotto.
Sorrise Brook, mentre accordava il suo violino per intrattenere i loro ospiti.
Sorrise Robin, tra le braccia del suo uomo, ancora fermo in mezzo al ponte.
Sorrise Rufy, stringendola a sé, sorrise finalmente come un tempo, con quel suo sorriso luminoso che lo aveva reso famoso in tutto il mondo.
Rimasero abbracciati tutta la notte, vicecapitano e primo ufficiale, dopo che Nami si fu tolta i vestiti fradici e si fu intrufolata nello yukata del suo uomo, cercandosi con le labbra, senza mollare mai la presa l’uno sull’altra, guardandosi, sorridendosi, respirandosi.
Ci sarebbe stato tempo per riposare.
Quella notte era per loro da vivere.
Quella notte era per riempirsi gli occhi l’uno dell’altra, per non dimenticarsene mai più.
  
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