Sirius’ free dream.
“The dreams
are veils of our mind, they are object of our desire, they are wandering clouds
and they are our more hidden secrets. But not for this, the dreams come true.”
“I
sogni sono veli del nostro animo, sono oggetti del nostro desiderio, sono
nuvole vaganti e sono i nostri segreti più nascosti. Ma non per questo, i sogni
si avverano.”
Salve, sono Sirius Black. Un pezzo di idiota evaso da una
pigione dove era stato rinchiuso per un omicidio non commesso. Salve, sono
Sirius Black. Un latitante che scappa da una colpa che non gli appartiene. Un
cane randagio in cerca della verità. Un povero uomo rimasto vittima dell’
amore. Un figlio di papà davvero sorprendente. Oggi voglio raccontarvi la mia
storia. Voglio che la vostra attenzione si concentri un attimo sull’ eroe che
avete seguito, applaudito e che avete poi dimenticato a causa degli eventi.
Sono un Black. Chi di voi è un Babbano, probabilmente non ci
troverà nulla di arcano o inquietante in questo nome: chi è un mago sa bene chi
erano i Black. Neri di nome e d’animo, una famiglia dove il male regnava
sovrano, ma si nascondeva dietro una sporca codardia e una manciata di galeoni
falsi. Contorti blasoni, oggetti di famiglia, argenti dei migliori mai visti.
Sangue purissimo. Non credo. Chi è male è male, e Voldemort ne è la conferma.
Ma chi dei Black è stato in grado di unirsi a lui? Mio fratello, povero quel
disgraziato. Voleva fare il superiore, lui. Voleva dimostrarmi che il mio
distintivo di Grifondoro non valeva una cicca. Bravissimo il cocco di mamma. Si
è morso la coda quando però le cose si sono fatte serie. È corso via,
spaventato da quello a cui era semplicemente andato in contro. Oh, che gioia
per la mia mammina…e io da dove sono uscito, per mille galeoni? Un grifondoro inutile
al funzionamento della famiglia. Escluso da tutto quello che riguardava la
famiglia. E meno male. Come erano ipocrite le mie cugine, così volenterose e
adulatrici di mia madre. Narcissa, fiore della zia…Bellatrix, Andromada, care!
La scuola era la mia vera dimora. Lì c’erano i miei amici. E lì c’era la mia
famiglia. James, quanto mi sei stato d’aiuto, proprio tu, il migliore ad
andartene per primo. E Remus, quante notti ti siamo stati vicino? Non oso
pronunciare il nome di lui, invece, di quel ratto infame che divorò la mia vita
in un sol boccone, uccidendo la mia anima con un solo dito… i Potter, come
avrei potuto ucciderli? E la gente, così stupida da credere alle infamie che
scrivevano su quello schifo di giornale. Io un braccio destro di Voldemort.
Senza il marchio.
Ad Azkaban la mia unica occupazione è stata la crescita
costante della vendetta. Una vendetta lenta. Da uomo o da topo non m’importava.
Ero innocente. Ma sarei diventato colpevole. Tanto non aveva importanza.
Eh, già e poi c’era anche lui. Il mio ragazzo, Harry. Non
sapevo che aspetto avesse, come fosse cresciuto, niente sapevo di lui…niente.
Poi, l’idea geniale dell’evasione, la fuga e la ricerca spasmodica della mia
figura che ormai era solo un dolce bastardino di colore nero. Non avevo avuto
più notizie della mia famiglia. Dopo la soffiata su dei matrimoni deliziosi con
Purosangue non sapevo più nulla delle mie cugine. Andromada se n’era andata.
Brava, aveva agito d’istinto, senza essere trasportata in quel turbine di
follia che si nascondeva dietro le buone intenzioni della mia famiglia. Nessuno
mi trovò, fino a quella notte. Accadde tutto così in fretta che è come se fossi
rinato. Harry, cavolo come assomigliava a James. Rivedevo tutto in lui. Perfino
la speranza di ritornare un uomo libero. Di essere riscattato e sommerso di
scuse, non di disprezzo o disgusto o addirittura paura. Avevo preso Pettigrew,
ma lui scappò e Remus si trasformò. Poi ci fu un piccolo intoppo con i
Dissennatori, che Harry, da bravo mago qual’era, risolse immediatamente, e poi
fui costretto a fuggire di nuovo da evaso, senza la certezza di poter tornare a
vedere Harry, o Remus o chiunque altro.
In quel tempo vagavo senza meta, pensando a un posto dive
rifugiarmi… sapevo dove andare, ma mi rifiutavo di ammetterlo. Fu Dumbledore
che più o meno mi costrinse.
Da un camino all’altro riuscii a comunicare con Harry, ma fu
un anno infernale. Voldemort risorse e tutto crollò nuovamente ai miei piedi.
Rinchiuso in quella vecchia casa piena di polvere mi riscoprii solo con un elfo
pazzo che mi odiava e con il quadro di mia madre che urlava appena riceveva un
minimo sentore di vita da parte mia. L’Ordine della Fenice rinacque e
Dumbledore pensò di far divenire la mia casa Quartier generale. Mi furono
mandati giovani Auror e vecchie conoscenze. Conobbi mia nipote…Tonks, figlia di
Andromada. Una donna simpatica oltre ogni limite. Era una Metamorfomagus ed era
dotata di un ottimismo fuori dal comune. Era bello rivedere anche Harry ogni
tanto, ma era come se la casa giorno per giorno mi si ristringesse addosso come
un vecchio maglione mangiato dal tempo e dalle tarme. Niente poteva aiutarmi;
partecipavo passivamente alle riunioni, dove si facevano in quattro per
localizzare gli attacchi e per avvisare chiunque, visto l’intoppo del
Ministero. Quell’idiota di un Fudge, prima incarcera gli innocenti, poi ha
paura del vero pericolo. Mangiamorte strappati alla loro vita, costretti a
divenire un membro del branco, per una causa che non approvavano, ma solo ed
unicamente per PAURA. Paura di una tortura dolorosa, perché in fondo non
avevano nulla da perdere, nulla ad unirsi a lui. Io, avrei preferito morire.
Quel Riddle non mi ha mai creato particolari problemi. Era Harry che mi
preoccupava. Vedeva quello che Voldemort faceva, soffriva di atroci dolori alla
cicatrice e non era un adolescente felice. Era pieno di rabbia, frustrazione,
stanchezza… mi faceva pena. E non volevo perdere anche lui. Per quello che
potevo fare, poi. Mocciosus me lo faceva sempre notare. Quel Mocciosus…se
avesse torto un capello a Harry l’avrei tritato e mescolato in uno dei suoi
calderoni maledetti.
Era inutile tenermi a bada: raccomandarmi di NON mettere il
naso fuori di casa. Quel giorno Harry era troppo in pericolo. Contava troppo
per me. Contava troppo. Lui e quei bastardi dei Mangiamorte…faccia a faccia.
Lucius, che aveva strappato a Narcissa la speranza di salvezza; che l’aveva
obbligata…e l’altra mia cugina, Bella…oh, sì che sarei stato in compagnia! Mi
sarei mostrato come un trofeo: come il rappresentante di quelli che ce la fanno
a sopravvivere anche senza abbassarsi ai livelli di servo, di quelli che
coltivano i sogni e poi non riescono a realizzarli, ma che nonostante questo
vanno avanti, perché non c’è peggior cosa di arrendersi. Niente. Ora sono nel
niente. Vago, anima e niente corpo per un posto senza barriere, ma rinchiuso
dal nulla più completo. Bellatrix, non mi hai fatto nulla. Harry non
preoccupati. Qui sto bene. E tornerò prima o poi. Non ho potuto avverare i miei
sogni di vivere da uomo libero, però sono ancora qui. E non mi arrendo se i
miei sogni sono solo utopia. Non bisogna mai arrendersi. È la legge della
vita.