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Autore: Some kind of sociopath    09/07/2014    2 recensioni
Anno 1769: Haytham E. Kenway, dopo il suicidio dell'amico Jim Holden e la morte della sorella Jenny è tornato a Boston alla ricerca di Tiio. Lei è sopravvissuta all'incendio del villaggio, nonostante il figlio non lo sappia, e Haytham ha intenzione di ricucire la sua famiglia, quella che non è riuscito ad avere nella propria gioventù. Ma non ha messo in conto gli altri Templari, il suo vecchio Gran Maestro Reginald Birch e la piccola e fastidiosissima Confraternita degli Assassini...
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Il testo dei primi due capitoli è stato rivisto e modificato. Mi farebbe piacere sapere che cosa ne pensate al riguardo e quale "versione" preferite, ;)
 
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Achille Davenport, Altro personaggio, Connor Kenway, Haytham Kenway
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
Capitoli:
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Starry, starry night,
Portraits hung in empty halls,
Frame less heads on nameless walls,
Whith eyes that watch the world and can't forget.

 Don McLean, Vincent.
 
– Bello spettacolino, bastardo. – Thomas afferrò la lama conficcata nel terreno e la fissò alla cintura, guardando Connor come il più grande mucchio di puttane brutte del mondo. Il suo sguardo divertito valeva più di qualsiasi altro commento da parte mia.
Il ragazzo rimise la spada lunga nel fodero e si guardò i calzoni squarciati. Emise un gemito di frustrazione. – Che cosa volete? – Oh, era troppo chiedergli di replicare a tono, per una volta. Una sola volta, niente di che.
Praticamente gli strappai la spada di mano, soppesandola nel palmo e provando qualche affondo a vuoto. Che razza di arma gli aveva dato Achille? Aveva bisogno di una bella affilata e, oltretutto, non c’era niente che odiassi più delle spade a guardia aperta. A mo’ di spadone, insomma. Insopportabili. Roteai gli occhi. – Sai che questa roba non taglierebbe un panetto di burro? – sibilai lanciandogliela dalla parte dell’elsa. Non sono poi così cattivo, no? – E poi quale preparazione pensi di avere addestrandoti senza un avversario?
Sgranò gli occhi per lo sbigottimento e la spada cadde a terra. Sentii Thomas bofonchiare: – Mezza sega – e dovetti soffocare un risolino mentre Connor si passava le mani in faccia. Sembrava gli avessi proposto chissà quale indecenza. – Nemmeno morto – grugnì. – Toglietevelo dalla testa, d’accordo? Tutti e due. E poi – indicò Thomas con stizza – non avevi detto che non volevi più combattere?
Hickey fece spallucce e sputò a terra. Poi, con un solo movimento fluido e fulmineo rotolò giù, afferrò quella schifezza che Connor usava come spada e gliela puntò alla gola. Appena sotto il pomo d’Adamo. Tutto il corpo di mio figlio s’irrigidì, manco gliel’avesse infilata nel culo, e scoppiai a ridere con Thomas. Non avevo mai visto un tale povero scemo, nella mia vita. – Ho detto che non volevo uccidere. Combattere è un’altra storia, mezzosangue. Sono arrivato vivo fin qui, pensi che sia un incapace?
Connor afferrò la guardia della spada per strapparla dalla presa di Tom con un mezzo ruggito, ma il mio uomo fu più veloce. Affondò il piede nel suo ventre e il ragazzo caracollò a terra come un sacco di patate. Alla faccia dello spadaccino. – Cazzo! – Hickey sputò di nuovo, dando prova della mitica velocità di produzione delle sue ghiandole salivari. – Hai bisogno di una mano, sai?
– Non ho bisogno di un bel niente – brontolò l’altro trascinandosi in piedi. – Ho già combattuto con lui – sibilò indicandomi – non ho intenzione di…
– Vuoi combatterci senza conoscerci. – Con un abile movimento delle mani, Tom afferrò la spada con la sinistra per allontanarla da Connor. Geniale e al tempo stesso così abitudinario, una cosa che avevo fatto chissà quante volte nella mia carriera. – Pensi davvero di riuscirci? Io credo di no.
– Quello che credi non m’interessa, Thomas Hickey.
Vidi la lama smussata affondare in maniera impercettibile nel collo del ragazzo. Poveraccio. – Vacci piano con queste risposte da ribelle, bastardo. – Sorrise con la sua espressione da mastino. Lo immaginavo benissimo con le mani serrate intorno al calcio di un fucile mentre minacciava Connor assieme a Charles e gli altri. Riuscivo a figurarmelo perfettamente. – Ti sto dando un’occasione.
Roteai gli occhi al cielo limpido e prima ancora che potesse ribellarsi lo afferrai per il braccio, sentendomi appena ridicolo. – Ehi! – grugnì. – Cosa diavolo…? – Lo trascinai verso la villa mentre Thomas ridacchiava, standoci alle calcagna. – E mollami! – Lasciai che Hickey spalancasse la porta della stanza segreta degli Assassini e lo spinsi giù per le scale. Dimostrò di non essere poi così incapace recuperando facilmente l’equilibrio e artigliando il corrimano per non scivolare giù per l’intera rampa come un cretino.
Chiusi la porta alle mie spalle e flessi il polso. Clic. Non lo sentivo da un bel po’ di tempo, e aveva sempre un che di musicale, quel suono. La lama celata scintillò nella penombra della stanza. – Ora, divertiamoci un po’. Che ne dici, ragazzo?
 
– Gesù! – Thomas diede stoccata per l’ennesima volta a Connor, passando la lama sotto la sua e colpendolo allo stomaco con un pugno mentre si piegava in due. Affondò un colpo vicino alla guardia dell’arma di Connor, che mollò la presa come una femminuccia. Aveva un graffietto rosso sul dorso della mano e l’aria di chi ci avrebbe volentieri picchiati entrambi. Soprattutto me. – Chi ti ha addestrato, si può sapere? Voglio andare a stringergli la mano, non mi sono mai divertito così tanto!
Abbandonato su una sedia dietro la scrivania, ridacchiavo tra me e me giocherellando con l’anello dei Templari. Chissà a chi l’aveva strappato Reginald. Non era originale, giusto? Praticamente nessun anello lo era. Mio malgrado, sollevai lo sguardo su Connor. Era completamente zuppo di sudore, la giubba da Assassino mollata sul pavimento e il fiato grosso. Poveraccio. Tom era un osso duro, mica la prima mammoletta di turno. Mi mancavano quei giochetti, comunque. Mi erano sempre mancati. Mi ricordavano il periodo in cui mio padre era ancora vivo e fingevamo di essere una famiglia normale. – Andiamo, prendi quella spada e ricominciamo. Mi sto solo scaldando, bastardo! – Thomas affettò l’aria con qualche fendente e si leccò le labbra con soddisfazione. – Capo, ti va di dargli una dimostrazione?
Sollevai l’angolo della bocca in un ghigno. – Io e te, Hickey? – Schioccai la lingua. – Non hai speranze.
Allargò le braccia e mi puntò la spada contro. – Dimostralo, vecchio.
Staccai una sciabola con l’elsa a cesto dalla parete, controllandone il bilanciamento in mano. Una buona arma. Il filo della lama rifletteva splendidamente anche le misere fiammelle delle lucerne, come se non fosse rimasta in quella cantina abbandonata per chissà quanti anni. Gli Assassini tenevano a quelle vecchie armi, bisogna concederglielo. Peccato che poi le lasciassero lì ad ammuffire ripiegando su certe schifezze che tagliavano meno di un coltello da burro. Comunque, qualche pregio di tanto in tanto ce l’hanno.
Ah, ma non tutti. Ricordiamoci che mio figlio andava in giro con una spada smussata. – Pronto, Tom? – dissi rivolgendogli un sorriso di sfida.
– Quando vuoi. Non preoccuparti, non ti ucciderò. – Mi mostrò i denti in un ghigno. – Sono fedele ai miei principi. E all’Ordine. – Aggiunse l’ultima parte con tono tremendamente serio, povero. Forse pensava che avrei usato quel pretesto per ammazzarlo così come volevo fare con Ben, io, insensibile succhiasangue senz’anima. 
Scrollai le spalle. – Più che in quelli, Tom, confido nella scarsità del tuo gioco di gambe. – Lo attaccai senza un vero e proprio via. Come avevo fatto per mesi interi quando lo avevo dovuto scollare dagli sgabelli delle taverne. Che razza di attacco è se prima c’è un avvertimento? Non si combatte così. Non tra uomini veri.
Parò con l’efficienza di un vero soldato, aspettandoselo. La maggior parte delle volte dimenticavo che era stato un uomo d’arme anche lui, prima di passare dall’amore per la patria a quello per i liquori d’importazione. Eppure eccolo, a contrastare i miei affondi con delle parate eccezionali e ogni tentativo di colpo basso svicolando via.
Conoscevo lo stile di Tom. La regola d’oro di ogni scontro, sapete qual è?
Se non riesci a sconfiggere il tuo avversario, lasciagli credere di aver vinto. A patto che sia abbastanza stupido. Thomas Hickey non era stupido, semplicemente s’ubriacava facilmente di vittoria. Appena allentai un po’ la presa su di lui cominciò a incalzarmi con una stoccata più forte delle altre, facendomi indietreggiare. Mi sfiorò l’orecchio in un affondo di taglio che riuscii a evitare per un soffio. Mi parve di vederlo ridere. E poi il succhiasangue sono io.
Sfruttai il momento buono non appena si presentò. Quando fece per spezzare la mia difesa con un fendente orizzontale parai con la spada quasi perpendicolare al pavimento, usando tutta la mia forza per non tentennare. La lama di Thomas rimbalzò sulla mia come una palla di carta. Rimase a guardare il nulla per un attimo, sbigottito, rischiando di caracollare all’indietro, e fece ciò che a ogni spadaccino sarebbe venuto istintivo in quella situazione. Usò tutto il proprio slancio per tuffarsi in avanti e tentare un nuovo affondo.
L’avevo in pugno. Lasciai che la sua lama scorresse lungo la mia finché ci trovammo faccia a faccia. Ringhiava come un vecchio randagio, e immagino di aver avuto più o meno lo stesso aspetto. Non sono mai stato poi così bravo a bluffare, quindi credo che nel mio sguardo fosse ben visibile la scintilla di chi sa di essere sul punto di vincere. Avviluppai la gamba intorno alla sua come un rampicante per impedirgli di allontanarsi da me, poi flettei il polso. Clic. Meno di un attimo dopo la luccicante lama celata sfiorava la barba di qualche giorno sul mento di Tom.
– Ho vinto – esclamai crogiolandomi nella mia stessa gloria. – Ammettilo, Tom. Coraggio.
Con un gesto frustrato, Thomas lasciò cadere a terra la spada lunga e s’allontanò da me, rivolgendo il suo ghigno nervoso a Connor. – Vince sempre lui, mezzosangue – grugnì mollandogli una pacca sulla spalla. Avevo appena la fronte imperlata di sudore. Mi sentivo come se potessi calzare di nuovo l’uniforme rosso sangue e sterminare civili e soldati nella Repubblica Olandese. Rabbrividii per la repulsione un secondo dopo. – Bisogna farci l’abitudine.
Mio figlio aveva lo sguardo fisso su di me, come se non mi avesse mai visto combattere. C’era ammirazione nel suo sguardo, per una volta riuscivo a leggercela sul serio. Gli sorrisi con una punta di fierezza. – Forza. Tocca a te, giusto? – dissi con il mio tono più amichevole. – Tom, ci penso io?
– No – disse lui. Ripeté la pacca sulla schiena di Connor, ma questa volta somigliò più a uno schiaffo. Gli era tornato il ringhio da cane in faccia. – Almeno so di vincere con lui, capo.
Scoppiai a ridere. – Tutto tuo – feci un mezzo inchino mentre spintonavo appena il ragazzo. Connor continuava a voltarsi. A scrutarmi come se non mi avesse mai guardato davvero. Che potevo farci? – Sì – sbuffai sollevando gli occhi al soffitto. – Lo so, sono bravo. Ora, per favore, da’ al vecchio Tom la soddisfazione di vincere. Dopo, se vuoi, ti faccio una dedica carina da tenere tra le tue memorie.
Hickey rise di rimando e diede a Connor giusto il tempo di estrarre la spada. Poi si schiarì la gola – non chiedetemi perché. È Thomas Hickey, suppongo sia fatto così – e si lanciò in una prima, grandiosa stoccata alla base della lama.
Come potevo non esserne orgoglioso? Era una mia creatura, pressappoco. Avevo insegnato io a Thomas come usare i colpi bassi in un duello vero e proprio. Ero stato io a sferrargli il suo primo pugno sulla gola. Ricordai quel momento con un mezzo sorriso. Aveva passato il quarto d’ora successivo piegato in due dai conati di vomito, senza riuscire a respirare.
Un ricordo felice. L’ho trovato.
Continuai a sorridere mentre Connor si allungava cercando di passare sotto la guardia di Tom. In risposta, lui gli torse il braccio dietro la schiena e gli mollò uno spintone. Voleva sconfiggerlo come si deve, teatralmente. A Thomas piace vincere, ma di solito preferisce la soddisfazione di uno scontro lungo. Quando sa di avere l’avversario già tra le proprie grinfie, s’intende.
Un ricordo felice? Ha pur sempre a che fare con spade, pugni sulla gola e vomito. È davvero questo il meglio che la mia vita riesce a fornirmi?
Feci scrocchiare le articolazioni delle spalle nel silenzio rotto solo dagli sbuffi, i passi sul parquet – il terribile gioco di gambe di Thomas – e il cozzare delle lame, pensando che dovevo accontentarmi, in fondo. Cosa pretendevo? Anche quand’ero piccolo, non c’era un ricordo – uno – che non avesse a che fare con delle armi o, in alternativa, non si concludesse tragicamente. Tutta la mia infanzia, in fondo, aveva portato alla morte di mio padre. Anche il più piccolo episodio racchiudeva qualche dettaglio – qualche parola sussurrata, qualche sguardo di mia sorella, l’espressione preoccupata di mia madre – che già faceva presagire quanto la vita dei Kenway sarebbe stata difficile, breve e ricca di morte.
Come se fosse scritto.
Mia madre sapeva, dunque? Sapeva di aver sposato il famigerato pirata Edward Kenway? Certo che lo sapeva, doveva essere così. Le voci giravano, in qualsiasi caso. L’avrebbe scoperto. Pensava fossimo in pericolo, per questo? No. Mio padre era l’uomo più gentile che avessi mai conosciuto, maledizione. Non ci avrebbe mai fatto del male. Non di proposito, almeno.
Focalizzai la vista sullo scontro. In preda all’ira, Connor aveva gettato la spada a terra e si era lanciato come una macina contro Thomas, cercando di travolgerlo. Lui sgusciò via come un’anguilla e gli fece lo sgambetto, lasciando che mio figlio crollasse con il muso sul pavimento e puntandogli la spada alla base del collo. Rideva come un pazzo.
Nessuno nella mia famiglia aveva vissuto una vita lunga, felice e normale. Finché eravamo immersi fino al collo nella millenaria guerra tra Templari e Assassini, nessuno di noi sarebbe stato al sicuro. Chi riesce a fuggire non è fortunato, di più. Ha Dio dalla propria parte.
Sogghignai. E poi mi chiedono perché non ci credo. Ripensai a tutte le storie che mi aveva raccontato Reginald a questo proposito. C’erano troppe responsabilità per uscirne. Bisognava addestrare i nuovi arrivati, stanare i traditori, cercare seguaci fedeli, scegliere chi appoggiare politicamente e fare di tutto per assicurarsi la vittoria finale. Tutti, a qualsiasi età, potevano avere un compito. Nessuno era inutile, tranne i traditori.
Allontanati dall’Ordine e rischi la morte. Restaci dentro e, toh, guarda, corri lo stesso pericolo.
Perché non potevo semplicemente andare in pensione? Ritirarmi a vita privata e lasciare che gli altri svolgessero il lavoro per me?
L’unico motivo che avevo, l’unico sempre lì a puntellarmi la mente come un picchio fastidioso su un tronco d’albero, era il Grande Tempio. Ero sopravvissuto a due impiccagioni scoprendo di essere indispensabile per quella dannata reliquia. La curiosità era più forte della paura di morire.
Poteva davvero essere peggio di tutto ciò che avevo vissuto?
Sorrisi vedendo Thomas che sghignazzava nell’aiutare Connor a rialzarsi e poi lo ributtava giù con un pugno nello stomaco.
Stentavo a crederci.
– Hai visto, bastardo? Non siamo facili da uccidere come sembra – sghignazzò Tom sputando a terra e passandosi una mano tra i capelli. Continuava a sorridere con aria famelica, un animale che sa di avere la preda in pugno.
Connor, dal canto suo, era piegato in due con una mano sul petto e il fiato grosso, la casacca impregnata di sudore. Sembrava che non avesse mai tirato di spada in vita sua, ed effettivamente le uniche volte in cui l’avevo visto battersi non erano state esattamente dimostrazioni di grande talento. Scrollai il capo ridacchiando e Thomas si girò verso di me, le guance gonfie d’aria e gli occhi al cielo. – Porco demonio – sbuffò passandosi le mani sulle cosce. – Che schifezza. Non ne vale nemmeno la pena.
Sogghignai, passandomi le dita sulla tempia. – Pensavo ti piacesse vincere.
– Già – grugnì. Lanciò un’occhiata a Connor e tirò su col naso, disgustato. – Non così, però. Non ha mai avuto qualcuno con cui combattere veramente – sentenziò Thomas con occhio critico, asciugandosi il sudore dalla fronte. – Solo quel vecchio che, francamente, non credo sia il massimo. Mai prese delle vere lezioni di scherma. – Si voltò nuovamente verso il ragazzo, la punta della spada che tremolava nell’aria. – Hai la forza, e volendo potresti anche raggiungere un minimo di tecnica, caro il mio bastardo, ma – si girò rapidamente la spada in mano e assestò un colpo con l’elsa al poplite di Connor, che non crollò a terra come un sacco di patate solo per un misero colpo di fortuna, – ti mancano le basi.
Mio figlio si passò le dita nei capelli, come se cercasse di recuperare la propria dignità. Probabilmente l’Assassino più attivo dell’intera Confraternita. Ha ammazzato un Templare, eppure combatte come una ragazzina. – Be’ – Thomas prese un gran respiro e si sfregò le mani, rivolgendomi il consueto ghigno da lupo che ha appena stanato la preda. – Io vado a bere qualcosa. Forse tuo padre mi darà il cambio dopo, non è vero, capo? – esclamò con una strizzatina d’occhio prima di lanciarsi su per le scale come se avesse ancora vent’anni.
Rimasi solo con Connor tra quelle quattro mura, i ritratti dei miei vecchi amici a scrutarmi dalla parete. Osservai con un sopracciglio inarcato mio figlio che sferrava un calcione alla vecchia scrivania. – Diavolo! – sbottò con uno sbuffo irritato. Mi venne spontaneo sorridere.
– Non preoccuparti – dissi, le mani in tasca, abbandonandomi mollemente su una sedia. – Gonfiamo un po’ la dote e qualcuno ti sposerà comunque. Abbi un atteggiamento più positivo, ragazzo.
Se lo sguardo potesse uccidere, immagino che sarei almeno ferito dopo l’occhiataccia di Connor. Io, al contrario di lui, so difendermi. – Senti, toglimi una curiosità. – Accavallai le gambe e cominciai a giocherellare con il meccanismo della lama celata, facendolo scattare tanto per. – Come hai ucciso John? So che lui non era un grande sostenitore della violenza, ma non significa niente. Era un buon soldato, uno stratega in gamba. Come sei riuscito a mozzargli la gola se stramazzi al suolo per un calcetto?
Sollevò lo sguardo dalle proprie ginocchia e sospirò. Provava vergogna? Ansia? Paura del mio giudizio?
Quant’è bello essere padri. – Non mi sono fatto vedere. L’ho ucciso silenziosamente, calandomi da un ramo. Colto di sorpresa. Sono bravo a non farmi scoprire.
Sbuffai, ripensando a quando Giunone l’aveva fatto impazzire, facendogli credere che Charles avesse bruciato casa sua, ucciso sua madre, eccetera. Non cercavano la verità, in fondo? Allora perché continuava a credere in quella menzogna? Sciocco. – Non sempre, direi – brontolai come un vecchio. – Un metodo un po’ vigliacco, se posso permettermi.
– Mi avrebbero ammazzato, altrimenti. – Abbassò lo sguardo. – So che l’avresti preferito.
– Oh, smettila di fare la vittima facendomi sembrare il padre cattivo! – esclamai sollevando gli occhi al soffitto. – Povero ragazzo, tua madre è morta, tuo padre è uno stronzo, il tuo Mentore non t’insegna nemmeno a combattere, adesso prendo i fazzolettini, non riesco a trattenere la commozione! – Agitai il braccio in un gesto scocciato. Non lo sopportavo più. – Piantala, per piacere! Sei patetico. Se vuoi davvero cambiare le cose prendi quella spada e combatti. Thomas ti tempesta con i suoi attacchi all’elsa e i colpi bassi? Svicola e spingilo al muro, maledizione. Usa il cervello. Fallo indietreggiare e guardagli i piedi. – Sputai a terra. Urlare in quel modo mi fece montare una strana sensazione nel petto. Per un attimo ero tornato a intestardire gli altri Templari con i miei insegnamenti. Tutti utili, ovvio.
Finché un Assassino non decide di giocare sporco e ammazzarti da un albero. – Io… – Connor non riusciva nemmeno a guardarmi in faccia. – Scusami. Non…
– È ciò che pensi. Non devi scusarti. – Incrociai le braccia e m’alzai, guardandolo dritto negli occhi. – Tieni gli occhi sui piedi di Tom. Ricordatelo. Sono il suo punto debole. – Sogghignai. – Se fossi davvero stronzo avrei lasciato che lo scoprissi da te. Pensaci su.
Con un grugnito, Connor prese a camminare in tondo per la stanza, lo sguardo sui propri piedi. Tornai ad accasciarmi sulla mia sedia, la polsiera ricominciò a scattare nel più totale silenzio.
O quasi. All'inizio non lo sentii, lo ammetto. Lo scambiai per il più familiare e rassicurante clic della lama celata. Connor, invece... chi lo sa. Perché mi chiedo ancora cosa passi per la mente di quel cretino? Sorvolate. Diciamo solo che nemmeno Connor lo sentì. Fummo terribilmente stupidi, da quel punto di vista.
Ci accorgemmo del terribile errore che avevamo compiuto solo quando sentimmo il grido. Un grido che mi fece scattare in piedi e raggelare il sangue. La voce era quella di Thomas, poco ma sicuro, e sembrava che gli avessero squarciato lo stomaco e infilato la mano nuda tra le viscere. Era un urlo sorpreso. Udii il rumore dei vetri infranti e – Dio santo, pensai, fa che sia solo parte della mia immaginazione – mi parve di sentire il viscido sgusciare di una lama nella carne.
Sollevai lo sguardo verso la porta e prima che Connor potesse anche solo aprire bocca furono le mie gambe ad agire, rovesciando la sedia con violenza e scavalcando i gradini due a due. Poggiai le dita sul gelido metallo della maniglia e girai, già pronto a lanciarmi nel corridoio per soccorrere Thomas.
La mia mente era intenta a ipotizzare chi avesse mai potuto organizzare quell’attacco. Reginald? Benjamin? Le giubbe rosse che ancora ci stavano cercando dopo il casino di New York?
Ogni idea mi pareva peggiore della precedente. Dovetti abbassare la maniglia un altro paio di volte prima di rendermi conto che la porta non si era aperta.
Chiusa a chiave.
I rumori della lotta mi raggiunsero attraverso il legno massiccio. Sentii il sangue collassare nei miei piedi e mi voltai verso Connor con gli occhi sgranati, senza riuscire a smettere di battere le palpebre. – È chiusa – sussurrai con la bocca asciutta.
Connor sussurrò una sola parola, ma bastò. Probabilmente in quel caso, per quanto mi dolga ammetterlo, il suo cervello fu più veloce del mio. – Achille – disse a voce bassissima, praticamente un soffio.
Ci mancò poco che cadessi a terra per lo stupore. – No – sussurrai. Non riuscivo nemmeno a immaginare Thomas lottare con Achille. Che cosa passava per la testa di quel vecchio? Non ero un pazzo, allora. Non il solo. – Figlio di puttana! – gridai battendo il pugno contro la porta. – Maledetto figlio di puttana!
Pensare che non avevo mai nemmeno fatto caso alla serratura che chiudeva quella porta. Entravo e uscivo dalla stanza segreta degli Assassini come avrei fatto in qualsiasi altra camera della mia vecchia casa. Non pensavo potesse essere chiusa. E, soprattutto, non avrei mai pensato che Achille avrebbe potuto mettersi contro Thomas.
Potevo perdere tutto il tempo che volevo ipotizzando i motivi per cui il vecchio Mentore figlio di troia se l’era presa così tanto con Hickey, ma dovevo intervenire. In qualsiasi modo. Oltre la porta non si sentiva alcun gemito, niente che potesse far intendere chi stesse avendo la meglio in quello scontro. Ed era questo a farmi più paura.
Ma come potevamo pensare di intervenire, maledizione? Aveva architettato tutto, quel bastardo. Erano entrambi abituati ad uccidere senza farsi sentire. Achille aveva escogitato quella follia nei minimi dettagli, così da non farsi beccare. Così da avere le spalle coperte.
Che bravo maestro. Aveva istruito mio figlio su ciò che sapeva fare meglio, essere un fottuto vigliacco che si muoveva di nascosto. 
A mio favore, però, va detto che i Templari non sono degli sciocchi. Thomas non lo era stato, almeno. Aveva gridato, almeno. E ora io e mio figlio ci ritrovavamo paralizzati davanti a una porta chiusa, una porta che avrebbe stabilito la vita o la morte del mio socio. – Sfondala, Connor.  – Mi voltai a guardarlo con i palmi zuppi di sudore. Aveva gli occhi sgranati e fissi sul vuoto, la spada in mano, ma non sembrava sapere bene cosa farsene. – Cristo santo – grugnii passandomi le mani tra i capelli. Pareva ormai chiaro che non avrei potuto fare affidamento sul ragazzo. – Cristo santo! – gridai, colpendo la porta con un calcio. Non potevo lasciar morire Thomas dall'altra parte di quel pezzo di legno, non me lo sarei perdonato. Mai. Anche se aveva ammazzato Tiio e probabilmente lo meritava, ma non lo avrei permesso. Ammazzare un mio uomo così, davanti al mio naso? No. Inammissibile.
Un'altra occhiata astiosa a Connor mi convinse del fatto che fosse stupito almeno quanto me e non sapesse niente di quella pazzia. D'altro canto, m'interessava relativamente. Avevo bisogno di uscire da lì. Subito. – Aaagh! – sentì Thomas gemere e d'istinto strinsi i pugni. Achille fu colpito da un accesso di tosse proprio mentre colpivo la porta con una spallata, senza sentirla smuoversi di un millimetro.
– Porco... demonio! – sussurrai affondando le mani nelle tasche alla ricerca dei grimaldelli. Maledizione, dovevo uscire di lì. Il prima possibile. Strinsi le dita attorno ai pezzi di metallo e li tirai fuori, affondandoli nella serratura e agitandoli con le mani tremanti. – Porca puttana. Porca puttana.
Sentii i ferri bloccarsi e abbassai con violenza il tensore, più e più volte, lasciando che il grimaldello sfiorasse con mano esperta gli ingranaggi, nell’attesa di sentire quella maledetta serratura scattare. Oltre la porta, come in un universo lontano, udivo solo una sinfonia di colpi, rumore di piatti rotti. Posate che si schiantavano a terra. – Cazzo! – La serratura scattò con il clic di repertorio e mollai un'altra spallata, facendomi solo un male del diavolo. – E porca merda!
– Il chiavistello – mugugnò Connor alle mie spalle. Non feci nemmeno troppo caso al suo tono da ragazzina spaventata.
Mi voltai lentamente, massaggiandomi il braccio destro con la mano. Cazzo, se faceva male. – Come... hai detto, scusa? – Se aveva davvero tirato fuori ciò che credevo... Oh, Dio.
– C'è un chiavistello esterno. Per... per le emergenze. – Connor si grattò il sopracciglio come se non sapesse nemmeno di averlo, un’appendice sconosciuta del suo corpo. – Non ho mai capito a che servisse davvero – grugnì con sguardo ebete, quasi bovino.
Un chiavistello. Per le emergenze? – Oh, Gesù santo – sibilai a testa bassa. Che razza di scusa era, "per le emergenze"? Mio figlio aveva seriamente qualche problema. Non ci pensai due volte e mi lanciai verso la scrivania, spostando le scartoffie con le mani fino a stringere le dita attorno al manico del tomahawk di Connor, abbandonato lì quando aveva sguainato la spada. – Diavolo. – Levai il braccio indietro per caricare il colpo e affondai la lama con tutta la mia forza nel legno massiccio. Più volte, come se volessi amputare un arto a un cadavere, mentre Connor sembrava proseguire con la sua inattività alle mie spalle. Imbecille. Imbecille e ancora imbecille. Come può essere figlio nostro? Che razza di parenti avevi, Tiio? Scrollai il capo, sentendo il sudore correre verso le orecchie, passandovi dietro e solcando le arterie del collo, poi sollevai l'accetta da guerra e calai un altro colpo da boia. Un'asse di legno si spaccò di netto e saltò via, mancandomi di tanto così e schiantandosi sulla faccia di Connor.
Come minimo gli aveva rotto il naso. In un altro momento avrei riso, magari mi sarei anche scusato – Gesù, no, siamo seri. Però non ne avevo il tempo. Allungai il braccio dall'altra parte dello squarcio e scostai il metallo freddo del chiavistello, spingendo la porta e correndo come un pazzo per la casa. Sentivo la gola secca e la lingua come un grosso boccone di tacchino stopposo che non riuscivo a mandare giù. D'istinto portai la mano all'elsa della spada, ma agguantai solo il vuoto. L'avevo lasciata di sotto. Porca merda, pensai di nuovo. Bastava che uno dei due gridasse, e io li avrei trovati. Quel silenzio, invece, mi stava angosciando, perché come minimo significava che uno dei due era morto e l'altro stava a guardare come un povero idiota. Artigliai la parete per cercare di restare in posizione eretta, ma fui sconvolto da un paio di violenti crampi allo stomaco, pur senza vomitare. Merda. Attraversai l'ampio androne della villa e mi infilai nella sala da pranzo costeggiata da quella stupida credenza. Vuota, tolto il nuovo tappeto di stoviglie rotte e coltellini da burro. Biascicai una bestemmia a mezza voce e mi infilai nella stanza accanto, la cucina.
Il luogo dei coltelli.
Non riuscii a dire niente, e per un istante mi parve di essere morto. Che il mio cuore si fosse fermato per sempre. Tum, e poi più niente.
Giacevano a terra, tra i due tavoli.
M'inginocchiai di colpo accanto ad Achille, privo di sensi e con una macchia di sangue raggrumato vicino all'attaccatura dei capelli scuri, e poggiai la testa sul suo petto scarno. Si sentiva un battito costante, scandito dal lieve raschiare dell'aria nei polmoni.
Mi rizzai in piedi con un certo sollievo e m'accostai al mio socio, preoccupato ma al tempo stesso un po' più tranquillo. Almeno non erano morti.
Non ancora.
Tom aveva un ginocchio sollevato e l'altra gamba distesa, il braccio sinistro in una posa scomposta, la mano destra alla gola. Vicino alle dita tese della mano sinistra c'era la pistola. Riuscii addirittura a scorgere del sangue sul calcio.
Il suo capo era circondato da un velo di sangue simile a un'aureola.
– Fa' vedere – sussurrai gettandomi a terra. I calzoni assorbirono il sangue come spugne, merda.
Tom grugnì come un bambino all'idea di staccarsi la mano dal collo, quindi lo feci io. Afferrai le sue dita – una per una – e le allontanai dal collo con slancio. Ero terrorizzato all'idea di vedere il sangue zampillare in spruzzi, la gola squarciata fino alle orecchie con un taglio così profondo da ammazzarlo.
Invece era poco più che un brutto graffio. Il coltello non era affondato abbastanza da recidere un'arteria, ma abbastanza da fargli credere di essere in pericolo di vita. E lo capivo, povero lui. Chiunque avrebbe reagito allo stesso modo, colto di sorpresa da un vecchio fuori di testa armato di coltello. – Va tutto bene, Tom – sussurrai mollandogli uno schiaffetto leggero sulla faccia. – Sta' tranquillo, d'accordo? Io vado a prendere delle bende e...
Avrei volentieri finito la frase se non avessi avvertito la gelida pressione di una lama di piatto sulla mia nuca e una mano artritica afferrarmi per i capelli. Spostai lo sguardo senza movimenti bruschi. Alla mia destra, il corpo di Achille non c'era più. Che tempismo. – Non ti muovere – alitò il Mentore nel mio orecchio. Sembrava di parlare con il diavolo. – Altrimenti ti sgozzo. E poi sgozzo per bene anche lui, dannato figlio di puttana!
Thomas, dal canto suo, non m'aiutò. Prese a tossire alzandosi lentamente a sedere, schiena contro il tavolo della cucina. – Achille – sussurrai cautamente. La mia unica arma era la lama celata e non potevo ucciderlo, così come non avrebbe potuto farlo nemmeno Tom. Con Achille morto e niente in mano, l'intera operazione andava a puttane. Tutti i miei sforzi buttati in una squallida latrina insieme al resto della merda. – Achille, ti prego, cerchiamo di ragionare.
– Col cazzo! – strillò, e la lama mi gelò la spina dorsale. – Non si tratta di ragionare. Io sono un Assassino e tengo due di voi in casa! Qui! Con il pieno accesso alla mia vita, ai miei segreti e a quelli della Confraternita quando dovrei solo ammazzarvi entrambi! Ammazzarvi come si fa con i parassiti, perché è questo che siete voi, solo dei fottuti dannati parassiti!
Mi stavo mordendo il labbro a sangue nell'attesa della prima coltellata nella schiena. La morte mi aveva a portata di mano, eppure si faceva aspettare. Era sempre stata una grande stronza. – Due Templari! Nella mia casa? No. – Il vecchio Mentore tossì e raschiò come se i polmoni gli si stessero sganciando dalle costole. – Io non tollererò tutto questo. Voi siete la nostra rovina! Noi dovremmo uccidervi tutti, e io ne ho accolti due come farei con il sangue del mio sangue!
Avevo lo sguardo fisso su Thomas – e dove altro avrei potuto guardare? – mentre il sudore gelido spruzzava la mia schiena. Hickey si allungò debolmente verso la pistola abbandonata a terra, controllando che il proiettile fosse in posizione e puntandomela contro. Perfetto. Prigioniero tra due fuochi.
A quella vista, Achille cambiò la posizione del coltello, facendolo scorrere sulla mia gola, il filo premuto contro la pelle. La parte destra del collo di Thomas presentava quello squarcio slabbrato e una macchia rossa e acquosa che arrivava fino al collo della camicia. – Che cosa vuoi fare, eh, bastardo figlio di puttana? Vuoi spararmi? Fallo e lui morirà.
– Non ti ucciderò, se non mi costringerai. – Che belle parole dette dal nostro amico mediatore, complimenti, bastardo. – Ce l'hai con me per quello che ho fatto? Per come sono andate le cose, lo so. Mi vorresti morto, ma io sono qui per aiutarti, in fondo. Vogliamo la stessa cosa, no?
Avrei anche potuto sibilargli di smetterla con quel discorso patetico che chissà dove aveva sentito, ma Achille incise una linea sottile con la lama sulla mia trachea. E se fosse diventata più lunga e profonda avrebbe anche potuto uccidermi. Non me la sentivo di correre il rischio. – Sta' zitto, brutto bastardo, zitto! Tu sei peggio di tutti loro! Tutti quanti!
Tom sbuffò. – Sono un uomo diverso.
– Ma impugni la pistola e minacci di morte come se non fosse cambiato niente – rispose Achille disgustato. Per la prima volta da quando lo conoscevo avevo voglia di erigergli un statua. Finalmente diceva qualcosa di sensato.
Thomas deglutì lentamente e lo vidi sbiancare. – Non puoi ucciderci, Achille. Né me, né lui. Smetti di combattere e...
Cazzo di merda! La lama del Mentore filò nell'aria sibilando a mezzo millimetro dal mio orecchio per affondare nella tappezzeria, proprio dove fino a meno di secondo prima c'era l'occhio destro di Tom. Aveva avuto la prontezza di riflessi di gettarsi a terra con una mano sul petto. Non era spaventato, solo sorpreso. La signora con la falce non ci metteva paura, ma quando s'affacciava sulle nostre patetiche vite era sempre un bell'infarto. – Non posso tenervi in casa mia! È disonorevole! Una vergogna per me e per l'intera Confraternita, come Mentore. –  Serrò le mani rugose intorno al mio collo e istintivamente mi irrigidì. Il vecchio cominciava a farmi preoccupare, perché sembrava che, potendo, ci avrebbe veramente ammazzati entrambi. Alla faccia della follia momentanea. Non può, mi aggrappavo a quell'inutile speranza. Io sono la Chiave del Grande Tempio, non può uccidermi.
Ancora?, mi rispose la voce del raziocinio. A nessuno frega niente di quel maledetto Tempio, lo vuoi capire? Solo a te. Ti tengono in vita così da ammazzarti per ultimo, immolarti come un agnello sacrificale.
A Connor interessa il Tempio, replicai per non dare ragione a quella stupida vocetta. Non lascerà che mi uccida. Non lascerà che questo stronzo ci ammazzi tutti e due.
Chi, tuo figlio? Quello che non ha nemmeno avuto il fegato di sfondare una porta, paralizzato come un bambino che si caga sotto per ogni inezia? Fiducia ben riposta, la tua.
Che idiota. Mi stavo sforzando di sperare quando, da Templare, sapevo benissimo che non serviva a niente. Era nella natura umana, la speranza. Perché? Perché, se tanto non ci salverà mai, la speranza è parte dell'uomo, primordiale come l'istinto di sopravvivenza?
Come no, vuoi anche del tè, pasticcini, un massaggio ai piedi per concentrarti e giungere a capo di cotanto mistero? Coglione.
Grazie, raziocinio. Chiusi gli occhi e mi preparai alla morte, ma in quello stesso istante per la casa risuonarono i passi di Connor, pesanti come quelli di un animale spaventato. Lo stava facendo di proposito, suppongo. Voleva che il suo Mentore si salvasse certamente più di quanto voleva che io mi salvassi. Però non aveva scelta fuorché lasciarmi vivere. Il mio spirito si risollevò, dato che forse avevo la possibilità di arrivare alla fine della giornata che ancora respiravo. – Lascialo – sentii la sua voce alle mie spalle e sollevai lo sguardo con sollievo. Grazie a Dio. – Achille, per piacere, lascialo andare. E non ucciderli.
Il vecchio mi spinse a terra e si voltò verso Connor. Non sanguinavo. Stavo bene. Mi alzai accanto a Thomas mentre la lama scattava col solito clic. – Che cosa vuoi saperne, tu? – ringhiò il vecchio levando i pugni rachitici come se potessero fargli del male. – Noi siamo votati ad ucciderli, Connor! È il nostro compito, il nostro giuramento!
Mi ritrovai a pensare quanto tutto ciò fosse assurdo. Noi ci impegnavamo a difendere la causa, non necessariamente a uccidere gli Assassini. Anche se alla fine accadeva lo stesso, per carità, ma loro non avevano il concetto di neutralizzazione. Noi Templari o eravamo morti o rappresentavamo il pericolo. E un pericolo non si lascia in vita. Non lo si fa camminare tranquillamente per casa, con la libertà di sapere dove sono le armi, il grog e le stanze segrete. Per gli Assassini, un pericolo si ammazza come un qualsiasi scarafaggio.
Thomas Hickey non faceva la differenza soltanto perché era amico mio. Nemmeno per me era diverso. Vedevo bene quanto Achille avrebbe voluto appendere la mia testa al muro come un trofeo di caccia. – Sono un cancro! – strillò di nuovo il Mentore. – Ci stanno massacrando dall'interno! Cacciamoli di qui o li ammazzo tutti e due, hai capito bene? Tutti e due.
– Achille, noi...
– Sono io il maledetto Mentore, qui, stupido novellino, e se ti dico di fare qualcosa tu obbedisci, chiaro?
Più che il tono di voce o il modo in cui Achille si rivolse a Connor, mi fece sobbalzare il ceffone. Un grosso schiaffo scaricato proprio sulla faccia del ragazzo, come quello che si da a un bambino cattivo. Trasalii, lanciando una piccola occhiata a Thomas. Per una volta, la violenza non lo stava divertendo. – Fa' quanto ti ho detto – grugnì Achille tra i denti – prima che decida di sgozzare anche te.
Detto questo, emise un ultimo ruggito esausto e uscì ad ampie falcate. Non l'avevo mai visto così furioso. Ci lasciò a noi stessi, due Templari rassegnati all'idea di una vita fuori da quella dannata casa, un po' più libera ma anche un po' più pericolosa, e un Assassino sconvolto dai trattamenti del suo stesso Mentore, la mano incollata alla guancia che il vecchio gli aveva percosso.
– Be' – Thomas ruppe il silenzio con voce roca, guardandosi le dita sporche di sangue e pulendosele sulla tappezzeria. – Direi che ci tocca fare i bagagli, capo. Ehi, bastardo – esclamò in direzione di Connor – sai per caso dove posso trovare delle bende?
Non so dire se fu per il nervosismo, ma scoppiai a ridere come un cretino davanti all'espressione di Connor.
D'altronde, credo sia così che si affrontano le cose.
 
Thomas Hickey stava fischiettando, stravaccato sul letto con le gambe accavallate e allungate sulla tappezzeria della camera, come se il vecchio Mentore non gli avesse mai affondato un coltello nel collo. Si limitava a fissare il soffitto con il cappello piantato in testa e le dita che giocherellavano con la benda candida sistemata a coprirgli la ferita. Connor si era reso utile fornendomi il necessario per medicare Tom, poi si era lasciato cadere su una sedia nella sala da pranzo e non aveva più aperto bocca.
D’altronde non avevamo certo bisogno del suo ingegno per capire che i nostri giorni di quiete – Gesù, se possiamo definirla tale – alla tenuta erano finiti e ci toccava infilare i nostri averi nelle valigie, togliendoci definitivamente dai piedi. Thomas aveva quasi fatto i salti di gioia davanti alla prospettiva di uscire da quella casa e tornare in città. Gli sarebbe bastato qualunque paesino inculato con un bordello. Non gli importava nient’altro.
– Capo – brontolò voltandosi a pancia in giù e lanciandomi un’occhiata preoccupata. – Tutto bene?
Mi ero accasciato un attimo con il fianco contro il muro, fissando le chiazze biancastre che gli stivali di Tom avevano lasciato sulla tappezzeria spessa. Da un lato non riuscivo a comprendere la reazione di Achille, ma una parte di me lo capiva eccome. Mi avevano dato pieno accesso ai loro segreti, alle loro armi e ai loro piani – un paio dei quali ero anche riuscito a sventare –, ma se di me potevano minimamente fidarsi, quale uomo dotato di senno avrebbe dato le chiavi di casa propria a Thomas, un falsario omicida dipendente dall’alcool e dal sesso?
Forza, datemi dell’idiota. Aveva persino ucciso la madre di mio figlio, è un vostro diritto darmi dell’idiota per questo.
– Diciamo di sì – esclamai tornando a spalancare l’armadio addossato alla parete. Le camicie e i calzoni di entrambi erano disposti nel caos più totale. Avevo detto fin dall’inizio che non volevo saperne niente di bucato – soprattutto di corde da bucato, per l’amor di Dio –, quindi Connor si occupava di strappare i nostri abiti quand’erano asciutti e scaricarli nell’armadio. Era la donna di casa, ma probabilmente voleva conservare un briciolo di dignità.
O forse era solo sfaticato. Chissà. – Come va il collo? – chiesi con un lungo sospiro, lanciandogli un paio di calzoni chiari e costellati di toppe. Decisamente suoi. Sollevai una bracciata di abiti e li scaricai sul letto, spalancando una delle due vecchie valigie che Connor ci aveva fornito.
Thomas si rimise nella comoda posizione di prima, rigirandosi i calzoni in mano. – Si respira ancora, capo. Si respira ancora.
Dopo quell’attentato, la voglia di conversare tra noi era scesa sotto i piedi, ma non volevo arrendermi. Avevo bisogno di chiarirmi con lui, almeno. – Mi dispiace – dissi piegando alla bell’e meglio una camicia. – Sono stato io a coinvolgerti in questa storia.
Ridacchiò. – E a liberarmi da Bridewell. Sì, dovresti proprio scusarti per una cosa del genere. – La sua voce si era fatta nostalgica e quasi gentile, come non l’avevo mai sentita. Forse era davvero cambiato. – Capo, non preoccuparti per me. Sto bene. Non m’aspettavo un’accoglienza del genere, lo ammetto, e quel vecchiaccio è stato un maledetto bastardo per avermi attaccato in questo modo, ma non sono uno stupido.
Una domanda mi balenò in testa e non potei fare a meno di sogghignare mentre gliela ponevo. – Thomas, se avessi la possibilità di uccidere un solo uomo tra Ben e Achille, chi ammazzeresti? – Di proposito non gli avevo chiesto di scegliere tra Achille e Reginald. Sarebbe stato troppo facile. Almeno per me.
Sbuffò. – Colpo basso – esclamò svogliatamente. – Non possiamo uccidere Achille e non sappiamo quanto convenga uccidere Ben. Un bel casino.
– Mi capisci, quindi? – chiesi sedendomi sul letto di fronte a lui. Parlare col suo tricorno era un’esperienza interessante, lo ammetto. – Mi avresti capito, se avessi deciso di ucciderti?
Mi rispose sospirando, ovvero nel modo migliore. Stava confermando la mia teoria: se avessi deciso di farlo fuori il vecchio Thomas Hickey, quello che impiccava bambini e viveva consapevole delle proprie malefatte, senza rimorsi, sarebbe saltato fuori per accoltellarmi alla gola prima che potessi farlo io. Scossi il capo con tristezza. – Ehm – gorgogliò Connor infilando la testa nella porta. Mi fece prendere uno spavento tale da farmi sobbalzare, per quanto tentassi di non darlo a vedere. – Achille ha detto solo di… fare in fretta. – E sparì, così com’era entrato, come se stando troppo vicino potessimo infettarlo con la nostra pericolosissima malattia.
Scrollai le spalle e afferrai un’altra camicia, gli occhi che scrutavano nostalgici la valigia.
– Mastro Kenway! Mastro Kenway!
Un sorriso triste m’attraversò il viso. Quanto tempo era passato? Dov’era finita quella valigia, poi? Era uno dei pochi gingilli che ero riuscito a salvare da casa mia e che mi ero portato dietro da sempre, fin dai miei primi viaggi con Reginald. In Francia, e poi sulla Providence. Fin lì. Addirittura nella repubblica olandese. Ricordai con un mezzo sorriso l’ultimo luogo in cui l’avevo lasciata, addirittura dopo il Green Dragon.
Era rimasta nei miei alloggi, immagino. Fort George.
Pensai con un sorrisetto all’espressione che Washington poteva aver fatto trovando una valigia abbandonata con il mio nome inciso sopra. E il vecchio indirizzo, addirittura!, quando ancora abitavo nella piazza della Regina. L’indirizzo di mio padre, che forse per lui era sempre rimasto un brigantino ormeggiato a Nassau.
– Per caso tu sei il figlio di John e Isabella? – avevo chiesto a quel giovanotto così sicuro di sé e contemporaneamente tanto ansioso all’idea di incontrare un uomo del mio calibro. Glielo si leggeva negli occhi. Aveva predisposto tutto per il mio arrivo, dalla prima all’ultima quisquilia. Aveva addirittura fatto in modo che i miei averi arrivassero al Green Dragon senza che mi dessi pena di portarmeli dietro. 
– Il solo e unico. – Già. Non mi ero mai chiesto che fine avessero fatto i suoi genitori, mi bastava sapere che la sua famiglia era la mia. L’Ordine. Già questo – e il fatto che mi ammirasse come pochi altri – lo rendevano una brava persona ai miei occhi. La migliore che potesse mai accogliermi, dopo un viaggio faticoso come quello. – Se devo servire l’Ordine, non posso immaginare un mentore migliore di voi.
Dovetti trattenermi da stringere la testa tra le mani. Lo stesso ragazzo mi aveva minacciato di morte. Aveva detto che non valevo più niente. Che non ero più nessuno. E, allo stesso tempo, avevo letto il terrore nel suo sguardo mentre Reginald gli chiedeva – ordinava, prego – di unirsi a lui nei suoi giochetti perversi. Sentivo che avrebbe preferito avere me al suo fianco, in quell’istante.
Le stupide illusioni di un padre che preferirebbe avere qualcun altro come figlio. Che potevo farci? Era nella mia natura.
Sospirai e serrai la valigia con i miei pochi averi all’interno. Avevo tutte le armi addosso, una redingote appena più leggera all’interno del bagaglio, il cappello calato in testa. Aspettavo solo che ci dessero l’ordine di andare. Saremmo stati liberi. Avremmo avuto finalmente la possibilità di abbandonare quella casa soffocante per dedicarci ai nostri affari.
Allora perché sentivo un vuoto nel petto alla sola idea di non vedere più la tappezzeria scura e i nostri rassicuranti ritratti nella stanza segreta, una stanza che rappresentava solo più brutti ricordi sia per me, sia per Thomas?
Due poderosi pugni sferrati alla porta mi fermarono prima che potessi rispondere. Tom saltò giù dal letto e andò ad aprire nonostante non ve ne fosse bisogno, preparando un ghigno sufficientemente carico di disprezzo e sarcasmo da spezzare qualsiasi convinzione di aver vinto avesse preso piede nella mente degli Assassini.
Eppure l’unico che sembrava soddisfatto della situazione era proprio Tom. Finché non aprì la porta e s’imbronciò di colpo, non trovandosi davanti Achille. – E tu chi cazzo sei? – grugnì appoggiandosi con la smorfia di chi voleva solo attaccare briga stampata in faccia.
– Credo che il tuo amico mi conosca, Hickey.
Il modo dispregiativo in cui il nuovo arrivato pronunciò il cognome di Tom mi spinse a voltarmi, quasi più del fatto che avesse detto di conoscermi. La cornice della porta era occupata, oltre che da Thomas, da un Assassino con il cappuccio abbassato, la carnagione olivastra e gli occhi scuri come l’inchiostro, dello stesso colore dei capelli impastati, infossati nelle orbite e circondati da un paio di brutte occhiaie. Si dedicavano ancora tanto assiduamente alla protezione di George Washington da non andare nemmeno a dormire? Che brutta vita. Con due Templari morti e altri due sotto controllo, chiunque avrebbe acchiappato al volo l’occasione per una vacanzina. Un po’ di tranquillità. Gli Assassini non sanno cosa voglia dire rilassarsi, suppongo.
– Joseph London – dissi alzandomi in piedi, stupendomi della rapidità con cui quel nome era tornato alla mia mente. Uno degli Assassini che tanto tempo prima mi teneva d’occhio, socievole e simpatico come un calcio nel culo.
In quel momento, però, sembrava addirittura messo peggio. – Già – disse porgendo con una smorfia la mano a Thomas, che la strinse lanciandomi un’occhiata interrogativa. Mi stava chiedendo se potesse fidarsi o meno di quel tipo. Lasciai scoprisse da solo che razza di persona era. Un Assassino come tutti gli altri, niente più e niente meno.
– Che ci fai qui? – chiesi sollevando la valigia. – Sei venuto a salutarmi?
Abbassò lo sguardo, le labbra contratte severamente. Quanti anni poteva avere, pochi meno di trenta? Eppure sembrava un vecchio, sfinito almeno quanto Achille. – Faccio parte della vostra scorta. – Immaginai, per un attimo, di cogliere un sorrisetto sul suo viso davanti alle nostre espressioni improvvisamente sbigottite. – Pensavate davvero che vi avremmo lasciati liberi di scorrazzare per le Colonie mettendo in atto i vostri piani? Che vi avremmo permesso di distruggerci più di quanto avete già fatto?
Aggrottai la fronte, un po’ scioccato da quell’affermazione. – Quanti ne sono morti da quando sono qui? – chiesi semplicemente, perché sapevo dove voleva arrivare. Tra la tentata cattura di Tom e tutti i guai che dovevo avergli fatto passare in precedenza era ovvio che qualcuno ci avesse lasciato le penne. Probabilmente ammazzati da me medesimo.
Avevo tentato di non ucciderli, davvero. Posso giurarlo in questo momento, davanti a Dio. Immagino fosse stata la forza dell’abitudine. La paura di fallire a così poco dal traguardo. Non fate di me un mostro. – Joseph. Quanti? – Non volevo saperlo davvero. Allora perché lo chiedevo? Per sentirmene addossare la colpa? Per farmi ripetere che ero soltanto un bastardo assetato di sangue? Ci provavo gusto?
– Arthur è morto. Anche Foster. – L’Assassino fissò un punto imprecisato al di là della mia testa, come se riuscisse a vederli sorridere dall’oltretomba. Arthur. L’unico di loro che mi avesse mai rivolto la parola in modo gentile. Gesù. – Kenway, per coprire voi e i vostri stupidi traffici alcuni di noi ci hanno rimesso la pelle. Le giubbe rosse di Pitcairn hanno catturato Belladonna. – Si morse il labbro. Intesi facilmente cos’era successo. – L’hanno stuprata e le hanno mozzato le gambe. Non abbiamo potuto fare niente per lei.
È ciò che succede ad avere una donna con le tette grosse tra le vostre fila, sibilò con una certa acidità la mia parte più insensibile. E poi quella non mi era mai andata giù. A Thomas sarebbe piaciuta. – Mi dispiace per le vostre perdite, London.
Avrebbe potuto prenderla con filosofia, dicendo che cose simili erano già capitate. Si chiuse nel mutismo, invece, e tenne la porta aperta per farci uscire. Quando gli passò accanto, Tom gli mollò un pugnetto amichevole sul petto. In risposta, l’Assassino gli mollò uno scappellotto sul collo. Ringraziai di dare le spalle a Joseph, perché un risolino isterico mi uscì di bocca prima che potessi fermarlo, proprio mentre varcavamo la porta d’ingresso.
Il sentiero era occupato da una vecchia carrozza, Connor che cincischiava lì accanto, prendendo a calci i sassi. Quando mi vide uscire sollevò lo sguardo e l’abbassò di colpo. Si vergognava di averci accolto e trattenuto in casa propria per tutto quel tempo? Oppure, al contrario, la causa del suo imbarazzo era proprio il vecchio Mentore, probabilmente chiuso in casa a brindare sperando che la carrozza si ribaltasse nel corso del viaggio? Senza uccidere i suoi preziosi Assassini, naturalmente. Non sia mai.
Scaricai la mia valigia a un Assassino, notando con uno sbuffo la scritta stampata sul fondo, Abigail Davenport. Un’altra idea di quel geniaccio di Achille per umiliarmi. Che grand’uomo. Almeno aveva dimostrato un minimo di senso dell’umorismo. Oppure era semplicemente uno stronzo, e non che la cosa mi stupisse. Thomas, trotterellando dietro di me, poggiò la valigia sul vialetto e scoccò un’occhiata nervosa alla nostra scorta. I nostri carcerieri fuori di lì. Il cocchiere, un Assassino armato di spadone – santo cielo, da quanto non vedevo uno spadone? Gran bella arma, comunque – scese con grazia e ci venne incontro. Come se stessimo andando in vacanza. – Abbiamo predisposto tutto – tuonò, la voce potente. Non l’avevo mai visto prima, eppure la sua sicurezza mi ricordava mio padre. E, osservando di sbieco sotto il cappuccio sollevato, notai che non era poi così giovane. Qualche anno più di me, addirittura. Con uno spadone. Tanto di cappello. Avevo sempre pensato che quelle armi fossero da giovani, in quanto necessitavano di più forza che astuzia. Avrei visto bene Connor, con una lama del genere. – Vi spiegheremo una volta arrivati. Forza.
Thomas mi guardò, aspettando che gli concedessi con un’occhiata il permesso di sguainare la spada e impalare quel guastafeste, o come minimo sputargli in faccia. Scossi appena il capo e la saliva di Tom, già bella che pronta sotto la sua lingua, si schiantò sul vialetto. – Bella merda, la libertà – grugnì spalancando lo sportello della carrozza e stravaccandosi sul sedile, le gambe stese di fronte a sé. Accese addirittura la pipa.
Osservai la scena con un sorriso e vidi Connor affiancarmi con pochi passi pesanti. – Mi dispiace – sussurrò con gli occhi su Hickey. Non aveva nemmeno il coraggio di guardarmi in faccia. – Non volevo andasse a finire così.
Scrollai le spalle, voltandomi per primo verso di lui. – Boston? – chiesi senza grande interesse. Qual era la differenza, in fondo? Boston, New York, una qualsiasi delle altre Colonie. Non sarebbe cambiato nulla. Sempre prigionieri eravamo, anzi, senza Connor sarebbe andata peggio. Lo sapevamo entrambi. Chapman, uno dei vecchi Assassini rimasti in vita, un nero grande come una montagna, abbatté le nocche sul finestrino di Thomas appena vide il fumo invadere l’angusto ambiente.
Sapevo di avere un minimo di potere sul ragazzo. Gli altri erano ossi più duri, perché nessuno riponeva la minima fiducia in me. Oh, be’, pensai guardandomi la mano sinistra, non sono gli unici. Ci sto facendo l’abitudine. – Già – sussurrò, fissandomi ostentando sicurezza. Era solo una mia impressione o aveva gli occhi lucidi? – Boston.
London emise un lungo fischio tra i denti e mi fece un secco cenno con la testa, invitandomi a entrare nella vettura. Mollai una pacca sul petto di Connor. – Tienici informati, ragazzo. Ritengo tu sappia dove trovarci. – Aprii il piccolo sportello e feci per salire, ma mi bloccai. Avevo ancora qualche cosetta da dirgli. – Ah, e prova ad ammazzare uno dei miei senza che io lo sappia e te ne pentirai. Anche se si tratta di un bastardo come Church. – Soprattutto se si tratta di Church. L’idea di poter appendere un traditore mi faceva sentire di nuovo forte. Un membro effettivo dell’Ordine.
Si morse il labbro, lo sguardo colmo di rammarico. – Io sono votato a farlo, Haytham. – Usò le stesse parole di Achille, e non seppi se prenderla o meno come un’offesa personale.
Gli sputai comunque un commento acido addosso. – Ti sembra un buon motivo per agire, sorella? – ribattei con mezzo ghigno. Avrebbe anche potuto sorridere, sarebbe stato gentile. Chi altro avrebbe avuto la forza di scherzare in un momento simile? Il momento in cui smetteva di trattarmi, non dico da padre, ma da conoscente e diventavo a tutti gli effetti un prigioniero, un essere umano da affidare a una scorta e di cui non interessava praticamente nulla a nessuno. – Questa è davvero tutta la vostra profondità? Complimenti. Avrei dovuto ucciderti fin dall’inizio e fare una grigliata con le tue palle, sempre che fossi riuscito a trovarle.
Abbassò lo sguardo. Niente, non funzionavano nemmeno le frecciatine da stronzo. Ero proprio senza speranza. – Haytham, mi spiace – ripeté con una mano sulla nuca. – Ci rivedremo. Giusto?
Ridacchiai. E cosa ne potevo sapere io? L’idea di cacciarci era stata loro. Chissà quando avrei avuto un’altra occasione per parlare con lui. Il tempo passato a contatto mi era sembrato insopportabile, ma al tempo stesso mi sentivo come se non l’avessi sfruttato a sufficienza. Ma non è finita qui, sussurrò una vocetta dentro di me. Lo rivedrai. Giusto? Scrollai le spalle e gli porsi la mano per salutarlo. – Magari dall’altra parte di una lama.
Deglutì annuendo con una certa violenza, le dita carnose strette intorno al mio palmo. Dopodiché saltai sulla carrozza con Chapman e Joseph London a oscurarmi la vista sull’esterno con le loro enormi spalle. Il cocchiere si fece scrocchiare il collo e io m’infossai mollemente nel sedile. – Spegni quella merda – intimò Joseph a Thomas.
Le volute del tabacco svanirono nell’aria più o meno quando oltrepassammo il vecchio cartello di legno che indicava l’ingresso nella tenuta di Davenport.
Chiusi gli occhi. L’unica cosa che volevo vedere quando li avrei riaperti era l’insegna di una locanda con una cucina decente e letti comodi. E, trattandosi della grande Boston, non era certo pretendere chissà cosa, no? 

 
  
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