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Autore: _Hale_    09/07/2014    4 recensioni
Il desiderio che avevo di lei era opprimente. La voglia di averla vicino e sentire il suo odore annientava i miei sensi. La forza che traevo nell'osservarla e nel percepirla era talmente intensa da spingermi a tentare l'impossibile.
Lei era radiosa, solare e felice. Bella. Esattamente tutto ciò che mai avrei potuto avere.
Molti la paragonavano al sole... io, personalmente, odiavo porla in relazione con ciò che più odiavo e che non mi permetteva di vivere. La luna, invece, era un paragone decisamente più azzeccato, qualcosa senza il quale non sarei riuscito ad andare avanti.
La mia esistenza era stata lunga, tortuosa e ricca di talmente tante sfaccettature da non ricordarle neppure nella loro totalità. In verità, tutto quel che esisteva prima di lei scomparve nel momento stesso in cui la vidi, incapace di riflettere sul perchè il suo profumo fosse divenuto la mia unica ragione di vita.
Impossibile dimenticare il momento in cui, per la prima volta, i miei occhi scorsero i suoi, in una giornata di fine estate, quando il mio primo anno all'Istituto di Joskow ebbe finalmente inizio.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Threesome, Triangolo | Contesto: Universitario, Sovrannaturale
Capitoli:
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Angolino dell'autrice:
Questa volta non inserirò alcun commento a fine capitolo perchè, ahimè, non saprei davvero cosa aggiungere.
Daphne ed Elessar ci abbandoneranno in questo capitolo e la loro storia avrà qui un finale, bello o brutto che sia.
Anne e Gabriel, beh, avranno il loro da fare e, personalmente, non posso negare di aver amato tutti e quattro questi personaggi dall'inizio alla fine.
Godetevi il finale della prima parte (strutturato in due capitoli) e attendete l'inizio della seconda che, spero, arriverà tra qualche giorno <3

-Fra
 


"Non voglio perderlo". 
Quelle tre parole, forse troppo semplici e banali, le avevano impedito di chiudere occhio per tutta la notte.
Daphne, nonostante ci avesse tentato, non era riuscita a darla a bere alle due amiche che, con molto tatto, avevano deciso di non riprendere più l'argomento di Elessar, a meno che non fosse stata lei a volerlo.
Quella sera, appena finite le lezioni, Anne e Rebecca la precedettero verso i dormitori senza fare alcuna domanda, consapevoli che l'amica avesse bisogno di tempo per assimilare quanto era accaduto la sera prima con il vampiro dai capelli ramati. Lei, nel frattempo, credeva di dover riprendere in mano la propria vita e, con esattezza, quella strana e pazzesca ossessione che le impediva di essere felice con qualcuno che, fino a pochi mesi prima, aveva considerato una bestia, una minaccia, un assassino.
Si ritrovò a camminare senza una meta ben precisa, o così pensava, fino a quando non arrivò alle rive del lago che aveva fatto da sfondo all'incontro in cui aveva finalmente compreso di essere legata a Elessar più di quanto a lei stessa non piacesse ammettere.
La brezza quasi invernale la costrinse a stringersi le braccia attorno al corpo, massaggiando senza troppa foga o convinzione il tessuto del cappotto che, teoricamente, doveva servirle per proteggersi dal freddo.
I suoi occhi vagavano sulla lastra d'acqua su cui si rifletteva la luna, alta e non del tutto piena in una serata come quella. Erano quasi le sette e, da quel che ne sapeva lei, Elessar doveva essere già sveglio.
Chiuse gli occhi e sospirò, lasciando che il fiato si condensasse in una piccola e, subito dopo, inesistente nuvoletta, mentre la sua mente andava a ripercorrere quello che era accaduto la notte precedente; come aveva potuto permettere che Michael si avvicinasse tanto a lei da mettere a repentaglio la sua relazione con Elessar? Ma, soprattutto, era stato giusto, da parte del vampiro, reagire in quel modo? In fondo, cosa aveva fatto di male, lei? Aveva solo espresso la sua opinione circa la fretta dimostrata dal ragazzo nel dare a tutti i presenti la notizia della loro relazione.
In fondo, si conoscevano solo da tre mesi.
In fondo, lei era solo una stupida e sciocca ragazzina che non lo meritava affatto.
Con quella consapevolezza, Daphne non poté fare a meno di farsi forza, ripercorrendo un percorso fin troppo doloroso persino per lei. Prima di scendere in giardino aveva fatto una capatina in dormitorio e aveva recuperato il suo tesoro più grande, quello che portava sempre con sé ma che, fino ad allora, non aveva mai avuto il coraggio di tirare fuori dal cassetto dei ricordi.
Forse era giunto il momento.
Forse fu per questo che, quando una ciocca di capelli le andò davanti agli occhi e la infastidì, si mise una mano nella tasca del cappotto e, prendendosi il tempo necessario per dire addio a una parte della sua vita che l'aveva tormentata fino a quel momento, ne estrasse un piccolo e consunto berretto da baseball, sfilacciato ai bordi e con una macchia indelebile sulla visiera che non ricordava neppure come si era procurata.
Il berretto che le aveva regalato suo padre molti anni prima, il suo unico, vero tesoro.
Lo indossò con le mani che tremavano e gli occhi lucidi di lacrime che erano sempre appartenute al ricordo del suo vecchio papà, colui che la vedeva come una principessa nell'animo e la chiamava "campione".
Aveva sempre pensato che fosse stato lui a soffrire di più per quello che gli era accaduto ma, a rifletterci meglio, Daphne non poté non pensare che, forse, essere ucciso era stato il male minore per lui; se una cosa simile fosse capitata a un qualunque altro membro della famiglia, cosa sarebbe successo a suo padre? Si sarebbe roso nel dolore, arso nella vendetta o avrebbe accettato la cosa come segno del destino? Daphne non poteva saperlo, ma di una cosa era certa: quando qualcuno che amiamo ci abbandona per sempre, a lui basta un attimo per rendersene conto, a noi una vita intera non sembrerà mai abbastanza per superarne la perdita.
Con il berretto finalmente in testa, la bruna notò quanto ormai le andasse stretto. Tuttavia, non se lo tolse, rimase a osservare l'orizzonte con le mani in tasca e le lacrime che, silenziose, le rigavano il volto.
Cosa avrebbe detto suo padre di Elessar? Come minimo lo avrebbe trovato affascinante, terribilmente educato e avrebbe avuto qualcosa da ridire contro quelle arie da uomo d'altri tempi che, in realtà, facevano parte di lui. Ma non avrebbe fatto alcun accenno sulla natura del ragazzo, lo avrebbe massacrato di domande e raccomandazioni così come avrebbe fatto con un qualunque essere umano.
E, soprattutto, dopo il primo incontro, l'avrebbe presa da parte e con un'espressione dannatamente seria - tipica solo dei momenti importanti - le avrebbe posto un'unica, importantissima ed essenziale domanda: ti rende felice?
Perché era così, suo padre, metteva lei prima si qualsiasi cosa. Lei e la sua felicità. 
E quando Daphne avesse risposto di sì, suo padre avrebbe sorriso e l'avrebbe stretta tra le braccia, dicendole che, a dire il vero, Elessar sembrava davvero un ragazzo in regola.
Perché a lui non erano mai importate le differenze tra umani e vampiri, a lui non importava che la sua principessa indossasse un vecchio e logoro berretto da baseball o un abito da cerimonia, per lui le apparenze non erano mai state importanti quanto ciò che si ha nel cuore.
E Daphne, dopo anni e anni, si rese finalmente conto che suo padre non avrebbe mai voluto vederla rodersi nel rancore per una morte accidentale che, sì, avrebbe cambiato la sua vita, ma le avrebbe anche fatto capire di godersi ogni giorno, ogni attimo, perché sarebbe potuto essere l'ultimo.
E la vita era troppo bella, nonostante tutto, per lasciarsela scivolare via dalle mani con tanta passività.
<< Non pensavo di trovarti qui. >>

<< Vuoi smetterla di farmi sempre la stessa domanda? Ho detto che non voglio parlarne! >>
<< SHH! >>
Michael si mise a sedere, guardandosi attorno con aria piuttosto imbarazzata. Rebecca, che gli sedeva di fronte al di là del lungo e massiccio tavolo di legno, non poté fare a meno di sghignazzare. La biblioteca non era il posto più adatto per mettersi a urlare ma, se Michael aveva tali tendenze, chi era lei per fermarlo?
<< D'accordo, d'accordo, farò finta che l'incontro con Elessar di ieri sera non ti abbia turbato più del dovuto. >>
Ebbene sì, tutti, all'interno dell'istituto, erano venuti a sapere del triangolo amoroso costituito da Daphne, la bella umana, Elessar, l'affascinante vampiro, e Michael, il guastafeste.
Non che Rebecca lo odiasse, no, figuriamoci, lei non odiava nessuno! Eppure, a onor del vero, non poteva fare a meno di pensare che quel ragazzo avrebbe dovuto rispettare i sentimenti della coppia e mettersi da parte. 
E poi, diciamocelo, alla rossa piaceva moltissimo Elessar. Rebecca era davvero affezionata a Daphne e ciò che le stava più a cuore era la felicità dell'amica, un'amica che aveva iniziato a sorridere e assumere un'aria trasognata proprio quando aveva conosciuto il vampiro dai capelli ramati.
Con un sospiro e chiudendo il tomo che aveva davanti, Rebecca poggiò il mento sulla mano destra e si mise a scrutare il cielo, ormai privo di luce, al di là della finestra.
Chissà se quei due sarebbero riusciti ad appianare le proprie divergenze. Lei era convinta di sì, assolutamente, ma era pur vero che fosse dannatamente ottimista e positiva.
<< Ehi, non pensavo facessero sul serio. Daphne mi piace, ovviamente, ma se avessi saputo che quel vampiro mi avrebbe ucciso se mi fossi avvicinato a lei... >>
<< Cuor di leone, non c'è che dire. >>
Rebecca ridacchiò nuovamente e la bibliotecaria, passando di fianco al loro tavolo, le fece cenno di fare silenzio, con quell'aria burbera e imbronciata che alla rossa proprio non piaceva. 
"Un sorriso al giorno leva il medico di torno" affermava sempre con gran convinzione.
<< Dico solo che non avresti dovuto metter loro i bastoni tra le ruote. >>
Michael le scoccò un'occhiataccia e la ragazza si morse il labbro per evitare di continuare a parlare.
<< Se sono così pazzamente innamorati non si lasceranno certo per causa mia, non credi? >>
E a quel punto, la rossa non poté che dargli ragione.
Evidentemente c'era sotto qualcos'altro, cose che nessuno dei due diretti interessati si sentiva di svelare al mondo e andava bene così; Rebecca non poteva fare a meno di sperare che la situazione si sistemasse, in fondo Daphne era riuscita a trovare il grande amore, quello vero, cosa che non capitava a tutti. Anzi, per quanto potesse essere positiva, Rebecca era certa di non riuscire ad essere tanto fortunata nella sua vita.
Ma andava bene così.
<< Io credo semplicemente che se non chiudi quella boccaccia potrei decidere di strappartela via a morsi. E poi ti ucciderei. >>
Rebecca scattò sulla sedia e rivolse lo sguardo in direzione dei due vampiri appena giunti al loro tavolo: Lucien la osservava con fare tranquillo e un sorriso dipinto sul volto gentile e quasi assonnato; Excess, che aveva appena proferito parola, se ne stava poggiato contro la libreria a braccia conserte, gli occhi blu a scrutare con attenzione il volto della ragazza.
<< Via via, Ex, non essere scortese. >>
Lucien prese la parola e si rivolse prima a Rebecca, facendole l'occhiolino, poi a Michael, su cui soffermò lo sguardo un attimo di troppo.
Il ragazzo, ancora evidentemente scosso dall'incontro della sera prima con Elessar, osservò la scena con i muscoli tesi e uno sguardo d'odio in direzione dei due vampiri.
<< Lucien, Excess, buonasera. Come mai da queste parti? >>
Rebecca si rivelò un po' troppo formale, cosa che in genere avrebbe fatto sorridere Lucien e le avrebbe fatto ottenere la sua approvazione; ma in quel frangente il vampiro sembrava essere attratto da qualcosa di più interessante. Fu Excess che, resosi conto della distrazione del fratello, riprese a parlare. 
<< La prossima settimana abbiamo il compito di anatomia umana e ci servirebbe qualche libro per... oh, ora che ci penso, tu potresti farci da cavia. >>
Il vampiro sorrise in direzione di Rebecca lasciandole scorgere i canini appuntiti, su cui passò la lingua con fare lento e calcolato. Rebecca rabbrividì vistosamente, prima di dissimulare il disagio pizzicandosi il lobo dell'orecchio destro.
<< Io... ecco, non credo di... insomma... >>
<< Per l'amore del cielo, Ex, vuoi lasciarla in pace? Non è divertente. >>
Lucien, che improvvisamente sembrò riprendersi dallo stato di torpore in cui era momentaneamente caduto, si passò distrattamente le dita di una mano sulle labbra, soffermandosi nei punti in cui avrebbero dovuto trovarsi i canini, in un moto di insofferenza.
Excess, in risposta al rimprovero del fratello, si strinse nelle spalle e puntò gli occhi al soffitto, evidentemente annoiato dalla piega degli eventi.
<< Posso chiedervi se sapete dove sia Elessar? >>
La domanda che le uscì dalle labbra colse alla sprovvista tutti i presenti e la cosa la fece arrossire. Non era solita porre domande così poco velate, ma l'idea che il vampiro potesse aver abbandonato Daphne e non avesse intenzione di parlare con lei e chiarire il malinteso la faceva impazzire.
Lucien fu il primo a riscuotersi e le rispose con un sorriso accondiscendente e uno sguardo di intesa.
<< Non preoccuparti, sono certo che le tue paure siano del tutto infondate. >>
Per quanto apprezzasse Lucien, Rebecca era certa di non avergli svelato proprio nulla circa le proprie paure e i propri dubbi. Si diceva, in effetti, che i due fratelli vampiri godessero di doni eccezionali persino per la propria razza, e si vociferava che quello di Lucien fosse la lettura della mente. Ma, per quanto vera potesse essere l'insinuazione, era possibile che Rebecca fosse un libro aperto per chiunque, a maggior ragione per un essere intuitivo e sveglio come Lucien.
<< Andiamo, abbiamo ancora molte cose da fare prima che inizino le lezioni. >>
Excess richiamò l'attenzione del fratello e, dopo un'ultima occhiata a Rebecca, si voltò e si recò verso l'uscita della biblioteca.
<< Ti prego di scusarlo, solitamente non è scorbutico ma... beh, non così tanto. >>
Lucien sorrise alla ragazza che, prontamente, ricambiò, prima di notare nuovamente lo sguardo del vampiro soffermarsi su Michael.
<< Credo che qualcosa in te lo spinga a mettere in mostra il suo lato peggiore. >>
Seppur l'attenzione fosse attirata dall'umano, le parole di Lucien erano inequivocabilmente rivolte a Rebecca.
<< Ed è un male, immagino. >>
Domandò lei volgendo gli occhi laddove, poco prima, si trovava il vampiro dalla pelle scura e i capelli corvini.
<< Non necessariamente. >>
Lucien si riscosse per l'ennesima volta e, con un cenno di saluto e un sorriso, si incamminò elegantemente verso l'uscita della biblioteca.
Rebecca sentì Michael ricadere pesantemente sulla sedia, ma lei non riuscì a distogliere lo sguardo dal vampiro dai capelli color platino.
<< Bleh, vampiri. >>
Disse Michael, prima che la bibliotecaria spuntasse nuovamente tra gli scaffali, facendolo sobbalzare. 
<< Sh! >>

Quando quella domanda la colse di sprovvista, Daphne si voltò in direzione di colui che le aveva dato voce, illuminandosi nel momento stesso in cui un viso conosciuto e terribilmente nostalgico le apparì di fronte.
<< Cosa ci fai qui? >>
Elessar a breve avrebbe cominciato le lezioni e non aveva senso, per lui, presentarsi a quell'ora in un posto che, per loro, aveva avuto un certo significato. Per lo meno, lo aveva avuto per lei.
Era stato lì, pochi metri più avanti, che Elessar l'aveva stretta tra le braccia e le aveva detto, per la prima volta, cosa provava per lei.
<< Volevo solo prendere una boccata d'aria. >>
Il vampiro, che evidentemente non pensava di trovarla lì, sembrò a disagio, sul punto di andarsene e lasciarla in completa solitudine.
Ma non l'avrebbe mai fatto. Per senso del dovere.
Fece qualche passo in avanti e si fermò al fianco di Daphne che, improvvisamente più serena, puntò nuovamente lo sguardo sull'orizzonte.
<< Vuoi che ti lasci sola? >>
Domandò lui senza neppure guardarla. Lei lo osservò con la coda dell'occhio.
<< No. Va bene così. >>
Piombarono in un silenzio che si protrasse per qualche minuto, quando Elessar fece un passo indietro e si preparò, probabilmente, a salutarla.
<< Vorrei parlarti. >>
Lo precedette lei, voltandosi finalmente a guardarlo.
<< Daphne, ti prego, non... >>
<< Per favore, lasciami parlare. Ti prometto che, se dopo non vorrai più vedermi, non ti cercherò oltre. >>
Daphne non seppe con esattezza cosa convinse Elessar ad accettare la sua proposta; forse la supplica che gli rivolse, gli occhi ancora lucidi per le lacrime di poco prima... no, fu quel berretto di cui tanto gli aveva parlato a convincerlo che, forse, se aveva avuto il coraggio di tirar fuori un ricordo così prezioso da un cassetto colmo di dolore, probabilmente sarebbe riuscita a dire ciò che lui sperava. O aveva sperato.
Elessar annuì e i suoi occhi, del colore dell'ametista, si puntarono in quelli ambrati di lei.
Daphne si sentì venir meno per un momento, non più certa di riuscire a fare quanto si era proposta.
Poi, decise di ascoltare ciò che le avrebbe detto suo padre. Avrebbe colto l'attimo e fatto di tutto per non perdere l'unica persona senza la quale sarebbe stato difficile andare avanti.
<< Mi dispiace. Credo che delle scuse siano d'obbligo per tutto quello che ti ho fatto passare. Sono stata insopportabile, me ne rendo conto, sempre così dannatamente indecisa e poco coerente. Riconosco quello che hai fatto per me e l'ho sempre apprezzato, credimi, ma la paura di legarmi a qualcuno che potrei perdere è qualcosa che non credo di poter superare per la seconda volta. >>
Elessar inarcò le sopracciglia e distolse lo sguardo, consapevole, forse, di ciò che un tempo Daphne gli avrebbe detto. 
Le mani in tasca e il piede che, nervosamente, batteva il tacco sul terreno, erano segnali evidenti del fatto che non gli piacesse la piega che stava prendendo la conversazione.
Poi, Daphne si sfilò il cappello e l'attenzione del vampiro fu di nuovo su di lei.
<< Ne ho passate tante nella mia vita e sono cambiata, radicalmente. Dopo la morte di mio padre non sono stata più la stessa, il sorriso luminoso che mi caratterizzava da sempre svanì, lasciando il posto a un'espressione insolitamente seria e imbronciata; la mia esuberanza venne sostituita dalla responsabilità e dalla maturità che una ragazzina non dovrebbe avere e la mia predisposizione a legarmi a qualcuno lasciò il posto al desiderio di solitudine e alla necessità di non soffrire ulteriormente. >>
La ragazza strinse le dita della mano attorno al berretto, ma i suoi occhi erano tutti per Elessar che, inaspettatamente, la osservava rapito.
<< Poi sono arrivata qui e ho conosciuto Anne e Rebecca. Due ragazze così diverse da me, con esperienze di vita totalmente differenti, eppure, così buone e sincere da riuscire a sciogliere un cuore di pietra come il mio, a ricordarmi quanto fosse bello lasciarsi amare da qualcuno e, soprattutto, fidarsi nuovamente di persone che avrebbero potuto rimanermi accanto per molto, moltissimo tempo. >>
Daphne abbassò lo sguardo, ma non smise di parlare.
<< Infine sei arrivato tu, quel vampiro buono che ha cercato di convincermi di non essere un assassino, quel ragazzo che è riuscito a penetrare oltre la dura scorza che mi ero costruita a fatica negli anni e distruggerla con facilità, giorno dopo giorno, parola dopo parola. Quella persona che, dopo anni in cui credevo di essermi persa per strada, è riuscita a farmi sentire nuovamente come un tempo, a riportare a galla un sorriso che mi mancava da morire. E allora ho capito di poter cedere a un amore che mi avrebbe fatto soffrire nuovamente e irrimediabilmente. >>
<< Daphne, io... >>
<< Quello che non avevo capito, però, è che preferisco aver vissuto con mio padre quei pochi anni di vita piuttosto che non averlo mai conosciuto. E, francamente, credo di poter dire con certezza che preferisco vivere questi attimi che ho a disposizione con te, piuttosto che perderti per paura e non ritrovarti mai più sul mio cammino. >>
A quel punto, quando Daphne sollevò il viso per osservare il vampiro negli occhi, Elessar si avvicinò a lei e le sfiorò la guancia con le dita di una mano, stranamente calde.
Era evidente che cercasse di trattenersi, voleva ascoltare tutto ciò che Daphne aveva da dire, ma moriva dalla voglia di baciarla come non aveva ancora fatto fino ad allora.
<< Quello che sto cercando di dirti è... beh... >>
<< Puoi farmelo capire in altri modi, se non riesci a dirlo. >>
La ragazza sorrise ed Elessar avvolse la sua vita con le braccia, attirandola a sé.
<< Dirti che mi sto innamorando di te dovrebbe essere la parte più... >>
Elessar non seppe mai come dovesse essere quella parte, perché sentire quelle parole fu abbastanza per convincerlo ad attirare Daphne a sé e assaggiare le sue labbra come da tempo immemore sognava di fare tutte le notti, senza alcuna eccezione.
Nessuno dei due ricorda esattamente come fecero ad arrivare nella camera da letto di Elessar, dove decisero tacitamente di conoscersi nel modo più intimo in cui due persone possano fare. Elessar fu dolce, paziente, la svestì con calma e la sfiorò con una predilezione che commosse Daphne; nessuno l'aveva mai toccata in quel modo, nessuno aveva mai mostrato tanta adorazione per lei.
E quando, finalmente, si unirono in una cosa sola, Elessar fece l'amore con lei come se fosse la loro prima e ultima volta, godendo appieno di quei momenti di felicità assoluta.
Ripeté il suo nome costantemente, dicendole che l'amava, assicurandole che fosse l'unica.
Poi, la mano di Daphne andò a sfiorare l'enorme cicatrice che sostava al centro del torace del vampiro ed Elessar si irrigidì.
Lei, sdraiata al suo fianco e coperta unicamente da un lenzuolo, si portò sopra di lui e abbassò il capo fino a sfiorare, delicatamente, la cicatrice con le labbra, lasciando su di essa una scia di baci dolci e rassicuranti.
<< Amo anche lei, sai? >>
Sussurrò passando con cura le dita su quel marchio indelebile.
Elessar la guardò a disagio, ma ciò non gli impedì di risponderle.
<< Potrebbero essercene altre, in futuro. >>
<< Allora, vorrà dire che le amerò tutte, una dopo l'altra, in un futuro che sarà solo nostro. >>
E, a quel punto, Elessar sorrise e invertì le posizioni, annidandosi tra le gambe di Daphne ed entrando nuovamente in lei, scontrandosi contro il suo corpo e guardandola negli occhi per tutto il tempo.
Dopo una vita di sofferenza e rinuncia, Daphne aveva finalmente capito che quel vampiro era tutto ciò che le serviva per tornare quella di un tempo. Elessar era la sua felicità, una felicità che, seppur momentanea, valeva la pena di essere vissuta.
   
 
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