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Autore: istrice_riservato    09/07/2014    1 recensioni
I fatti descritti in questa storia sono immaginari. Ogni riferimento a cose o persone reali è puramente casuale. I personaggi sono ispirati a persone realmente esistite.
“[...] Ed era sempre un po’ così con lui: le creava confusione in testa, le stravolgeva tutte le idee e le metteva sottosopra il mondo, facendole dimenticare anche da che verso quello girasse, la faceva ricredere su ogni cosa perché atterrava tutte le sue convinzioni con un soffio, come fossero state un castello fatto di carte e annullava completamente quel filtro che c’era tra cervello e bocca oppure, come in quel caso, tra cervello e qualche parte del suo corpo. [...]”
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Mmh… Salve, caro fandom. <3
Dopo un paio di settimane di silenzio, sono tornata tra voi con una nuova OS piccina piccina :3
Metto queste note all’inizio – anche se, onestamente, continuano a non piacermi – perché non voglio rovinare quello che leggerete di qui a breve con i miei soliti discorsi senza senso logico.
E poi boh, non so che altro dirvi LOL
Ah, già. Tutto quello che leggerete qui sotto sono un’accozzaglia di prompt che mi sono stati forniti da una personcina particolare, che è tanto cotta di un micio in particolare :3
Spero piaccia a tutti, soprattutto a questa personcina particolare. <3








Era un afoso pomeriggio estivo. Dalla tapparella semi abbassata entrava una leggera aria calda e qualche spiraglio di luce solare, quel tanto che bastava perché la camera da letto risultasse in penombra.
Zayn dormicchiava, di pancia sul materasso. La sua guancia destra era spiaccicata contro il cuscino – sicuramente avrebbe avuto le pieghe della stoffa stampate sulla pelle una volta alzato – , i suoi capelli erano scompigliati e sudaticci e la sua bocca appena dischiusa, per permettere che da essa uscissero respiri bassi, lenti e cadenzati.
Lei, dal canto suo, era sveglia. E lo stava osservando.
Le piaceva starlo a guardare senza fare altro, soprattutto quando il ragazzo dormiva perche metteva su quell’espressione innoqua e rilassata che, da sveglio, non avrebbe mai e poi mai avuto – e, se pensava alla solita espressione che aveva da sveglio, le si accartocciava lo stomaco.
Lasciò che i suoi occhi vagassero sulla sua figura distesa sul letto. Percorse il profilo della fronte e del naso, quello della bocca – sentendosi il cuore quasi scoppiare per colpa di quelle maledettissime labbra – e della schiena nuda fino a dove il leggere lenzuolo, che copriva il resto del corpo del ragazzo, permetteva.
Poi, all’improvviso, una sua mano scattò verso il corpo di Zayn. Fu un movimento veloce, inaspettato, del quale si rese conto soltanto dopo averlo effettivamente compiuto.
Ed era sempre un po’ così con lui: le creava confusione in testa, le stravolgeva tutte le idee e le metteva sottosopra il mondo, facendole dimenticare anche da che verso quello girasse, la faceva ricredere su ogni cosa perché atterrava tutte le sue convinzioni con un soffio, come fossero state un castello fatto di carte e annullava completamente quel filtro che c’era tra cervello e bocca oppure, come in quel caso, tra cervello e qualche parte del suo corpo.
Le sue piccole dita si poggiarono sul collo del moro nella maniera più gentile che potesse esserci, per evitare di disturbarlo. Pian piano si spostarono poi verso la nuca, dove rimasero per un po’ fino a quando non si arricciarono, per permettere alle lunghe unghie smaltate di un bel blu elettrico di entrare in contatto con la pelle ambrata.
Se c’era un’altra cosa che le piaceva fare, erano proprio i grattini. La rilassavano, la estraniavano da tutto il resto e la facevano entrare in un mondo dove non c’era nient’altro se non lei e Zayn – come se poi, le volte in cui non faceva grattini, fossero tanto diverse.
Così lasciò che le sue unghie – le quali piaceva tanto sia a lei che al ragazzo, anche se per motivi diversi – solleticassero la sua nuca, il suo collo, le sue spalle magre ma possenti, le sue braccia e la sua schiena, senza che il moro si destasse dal suo dormicchiare. Solo dopo essere state in tutti quei posti, risalirono fino alla pelle delicata dietro l’orecchio per poi infilarsi subito dopo tra i suoi capelli. Si prometteva sempre di andare a tagliarli, Zayn, ma alla fine non lo faceva mai perché sapeva quanto la ragazza avesse un debole per i capelli belli e folti e lunghetti che lui stesso possedeva.
Dalla testa del moro, la mano di lei scivolò su di una guancia e raggiunse le sue labbra, ancora dischiuse. Le accarezzò per un brevissimo istante: erano un po’ secche e screpolate per via del suo stesso respiro, ma niente di grave a cui non vi si potesse porre rimedio – con un bacio, magari. Ebbe l’impressione che della dinamite gli fosse scoppiata in petto a quel contatto e dovette prendersi un paio di minuti per tranquillizzarsi e per tornare a respirare normalmente.
Agganciò con l’indice il suo labbro inferiore e lo mosse appena verso il basso. Dopo un paio di volte, Zayn arricciò il naso nel sonno, infastidito. Lei ridacchiò a causa della sua buffa espressione e coprì la propria bocca con la mani libera per non fare troppa confusione.
Torturata accuratamente la sua bocca, la ragazza sollevò lo sguardo e si accorse che il moro fosse sveglio. O, meglio, che la stava fissando con un solo occhio aperto. S’irrigidì, lei, arrossendo, mentre lui le regalava un sorriso pigro ed ancora pieno di sonno.
Zayn si umettò le labbra, passandovi velocemente sopra la lingua. « Sembri ancora più piccina quando arrossisci » disse. La sua voce era roca ed impastata a causa del dormicchiare interrotto da poco.
Le guance della ragazza andarono letteralmente a fuoco dopo quella frase ed il loro rossore si espanse fino al collo.
Il moro si stiracchiò, stropicciandosi un paio di volte gli occhi con le mani chiuse a pugno per tentare di scacciare via gli ultimi rimasugli di sonno, dopodiché si girò su un fianco e si puntellò con un gomito sul cuscino, appoggiando la testa sul palmo aperto. Poi le passò una mano dietro la schiena e l’avvicinò a sé.
Quando la ebbe vicino, nascose il naso tra i suoi capelli e respirò profondamente. Lo strisciò poi sul suo collo e sulla sua guancia, come un piccolo micio alla ricerca di coccole ed attenzioni.
La baciò dolcemente, muovendo piano le labbra sopra le sue. Le accarezzò il viso, sfiorandolo con la punta delle dita, e pian piano si portò sopra di lei che, nel frattempo, gli aveva fatto posto tra le sue gambe. Scese a baciarle il mento, il collo e le clavicole, lasciate scoperte dal leggero vestitito estivo che indossava, fatto di nemmeno un metro di stoffa in totale.
La ragazza sospirava piano, in completa balia di lui, dei suoi movimenti gentili e calcolati, dei suoi baci, dei suoi leggeri morsi che le lasciavano un evidente segno rossasto sulla pelle diafana.
Poi, il telefono di casa prese a squillare nel silenzio assoluto dell’abitazione. Il suo rumore rimbombava sulle pareti spoglie del corridoio lungo cui si trovava, arrivando alle orecchie dei due con insistenza.
Dopo un paio di istanti di indecisione – dove il cervello di lei valutò i pro e i contro dell’andare o meno a rispondere – , tentò di liberarsi dalla presenza che la stava sovrastando.
« Se è importante richiameranno » mugugnò Zayn con la bocca attaccata al suo corpo.
Poco dopo, il telefono smise di suonare. E poi, dopo un paio di minuti – in cui i due aveva continuato a baciarsi e a strusciarsi l’uno contro l’altra, tanto che il moro stava iniziando a sentire i boxer appena più stretti del normale – , ricominciò.
E allora lei poggiò entrambe le mani sul petto nudo del ragazzo e lo spinse via perché, se avevano richiamato nel giro di così poco tempo, doveva essere qualcosa di importante. Lo sentì sbuffare sonoramente mentre si alzava dal letto e, sistemato il vestitino che indossava, correva a rispondere senza nemmeno prendersi la briga di infilarsi le ciabatte ai piedi.
Ritornò indietro qualche minuto più tardi.
« Chi era? » le chiese Zayn.
« Mio fratello. Ci ha invitati a cena, giovedì sera ».
Il moro si passò entrambe le mani sul viso. Era seccato da quell’invito e da chi l’aveva fatto, sia perché li aveva interrotti con la sua chiamata, sia perché proprio non lo sopportava quell’individuo, meglio definito come fratello della sua fidanzata.
« Non verrò a cena a casa di quell’idiota, lo sai » borbottò.
« Christopher non è un idiota » lo riprese la ragazza. Aveva un tono duro, che non ammetteva alcun tipo di replica. Dopotutto, il moro stava parlando di suo fratello e ascoltarlo mentre spendeva parole poco carine nei suoi confronti la infastidiva.
« Ah, non è idiota? » continuò ancora lui, « Vuoi dirmi che c’è qualche altro modo per definirlo? »
Ed il suo tono era tutt’altro che gentile o amichevole. Era, semplicemente, pieno di odio. Perché Zayn odiava Christopher. Odiava la sua perenne aria da saputello e da spocchioso; odiava il modo in cui lo faceva sentire meno di niente nel giro di due frasi; odiava la sua faccia da schiaffi, con quei lineamenti così simili eppure così diversi da quelli della ragazza dall’altra parte del letto. E ci aveva anche provato a farselo andare bene come parente acquisito – perché ognuno è quello che è – , ma non ci era mai riuscito nemmeno per un istante.
Per lui, Christopher era solo il fratello idiota della sua fidanzata, con il quale voleva avere a che fare il meno possibile per evitare di perdere inutilmente le staffe.
« Smetti di chiamarlo in quella maniera, Zayn ».
« Come? Idiota? Mi spiace ma ce lo chiamerò per tutta la vita perché è quello che è… un idiota! »
Dopodiché si alzò dal letto e, a grandi falcate, abbandonò la stanza.
La ragazza si lasciò cadere di schiena sul materasso. Era proprio testardo Zayn, quando voleva. Talmente testardo che nemmeno un miracolo sarebbe riuscito a fargli cambiare idea.
Ed era sempre così quando veniva tirato in ballo Christopher. Le convinzioni – e l’odio – che aveva nei suoi confronti erano così radicate dentro di lui da rendere impossibile anche solo provare a farlo ragionare o tentare di spiegargli che sì, Christopher era un po’ particolare e con qualche difetto ma che, tutto sommato, non era poi così male se lo si prendeva nel modo giusto.
Sentiva il sangue ribollirle nelle vene per lo stupido comportamento del moro che, ogni santissima volta, s’innervosiva e poi abbandonava la stanza per raggiungerne un’altra e borbottare al suo interno per i successivi dieci minuti. Lo trovava estremamente infantile in quei casi.
Stava ancora rimuginando sull’accaduto, quando udì quello che non si sarebbe mai aspettata: qualcuno stava suonando il pianoforte. E lei sapeva bene chi fosse quel qualcuno, perché il suono dello strumento giungeva così nitido alle sue orecchie che era impossibile sbagliarsi.
Chiuse gli occhi, lasciando che le note la cullassero. Riconobbe nella melodia “Claire De Lune” di Claude Debussy: Zayn l’aveva suonata così tante volte da quando stavano insieme che lei aveva imparato a distinguerla da tutte le altre – e, seppure il ragazzo non l’avesse mai ammesso, in cuor suo sapeva fosse il suo pezzo preferito.
Si alzò e si diresse in corridioio, mentre la melodia proveniente dal salotto andava in crescendo –come i battiti del suo cuore – , e si poggiò con la spalla allo stipite della porta, incrociando le braccia al petto. Da quella posizione riusciva a vederlo bene mentre suonava: la schiena era leggermente ricurva e sul viso aveva un’espressione concentrata, che inspessiva il leggero solco tra le sopracciglia nere; le dita lunghe, affusolate e curate, sfioravano il bianco ed il nero della tastiera nei punti giusti ed al momento giusto ed i piedi nudi pigiavano sui tre pedali – dei quali Zayn le aveva più volte spiegato le funzioni, ma che lei ancora faticava a ricordare – quando più opportuno.
La ragazza gli si avvicinò piano, cercando di essere il più silenziosa possibile. Si sedette sulla parte dello sgabello che il moro non stava occupando e, passandogli le braccia intorno al busto, lo abbracciò da dietro, appoggiandogli la testa sulla schiena e socchiudendo gli occhi.
Lui non si scompose minimamente a quel contatto, continuando a suonare come se niente fosse, fatta eccezione per quel piccolo sorrisetto che gli spuntò sulle labbra.
Sincronizzarono i respiri ed i battiti dei loro cuori; il pezzo che si avvicinava sempre più alla fine. Quello era, essenzialmente, il loro modo di fare pace.

   
 
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