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Autore: a_marya    09/07/2014    0 recensioni
Abigayle lavora all'HRose Post da un mese quando ottiene il suo primo servizio: una ragazza identica a lei, con un nome quasi identico al suo è scomparsa dalla sua cittadina natale, Littletown, a 700 miglia da NY e il fratello ha chiesto al giornale di raccontare la storia di Abbie, nella speranza di far luce sul suo mistero.
Abigayle è quindi costretta a partire per Littletown insieme ad Aaron Wade, giornalista esperto a cui il capo l'ha affidata, per scoprire se la sua gemella è davvero scappata e perchè. Per farlo, però, dovrà trovare la verità tra segreti, bugie e ricatti, col solo aiuto di Theresa, una donna ancora bambina, a causa di una menomazione. Dovrà arrivare a conoscere quella gemella sconosciuta attraverso le parole e i pensieri degli altri, dovrà scavare nel proprio passato e arrivare a conoscere se stesse e la sua storia.
Genere: Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Arrivo all’appuntamento con appena una decina di minuti di ritardo, un vero record considerato il traffico sulla strada, e individuo McPherson piuttosto alla svelta.
È talmente fuori luogo in questo posto da sembrare un pugno nell’occhio e lui stesso ha un’aria sperduta, come se non sapesse bene cosa ci faccia in un luogo simile.
Mi avvicino lentamente, per avere modo di guardarlo per bene e farmi un’idea: magro, alto per la media, viso squadrato dalle linee forti, aria da bravo ragazzo di campagna. Di certo non lo si può scambiare per questi newyorkesi pieni di gelatina e firme costose.
I suoi vestiti, anzi, sembrano essere passati di moda da qualche decennio, però gli vestono bene, gli danno un’aria mascolina e… caratteristica. In senso buono però. Anche i capelli, decisamente fuori moda con quelle basette sottili e il ciuffo un po’ più lungo sulla fronte, gli donano, gli danno un’aria sbarazzina che smorza l’effetto delle rughe intorno agli occhi e alla bocca.
Diciamo che ce lo vedrei benissimo in quelle commedie romantiche col bravo ragazzo carino che spacca legna e festeggia il Natale con i nonni, senza però sembrare uno sfigato. Anzi, a guardarlo bene somiglia anche a un attore, anche se non riesco a ricordare quale con precisione…
Nell’insieme, comunque, sembra una persona posata, credibile come fonte per delle informazioni e già questo mi sembra un buon passo avanti.
Quando sono vicina al tavolo tossisco per non spaventarlo (ha l’aria di uno che si aspetta di essere derubato da un momento all’altro) e non appena si volta mi presento.
Lui però non risponde subito, si limita a fissarmi a bocca aperta, come se fossi un fantasma o avessi due teste. Evidentemente, Phil non deve averlo preparato a quanto somiglio alla sorellastra scomparsa.
- Mi scusi, devo sembrarle un vero maleducato a fissarla in questo modo – si scusa poco dopo, ma senza smettere di fissarmi.
- E’ che lei è talmente identica ad Abigail che…
Scuote la testa, come per scacciare un’immagine mentale o un pensiero inopportuno, poi mi fa un impacciato gesto per invitarmi a sedere.
- Deve pensare che sono un maleducato. Solo che Abigail è scomparsa da un mese ormai e ora rivedere il suo viso, così uguale al suo…
Torna a fissarmi sbalordito per qualche secondo e io cerco di smorzare l’imbarazzo con un sorriso. In effetti, sembra un po’ matto in questo momento, con i suoi vestiti fuori moda e l’aria stralunata, intento a fissarmi come se fossi un fantasma.
Nonostante l’aria stralunata, però, devo ammettere che ha il suo fascino questo tizio. Non ha un viso particolarmente bello ma il suo sguardo è magnetico ed emana una sorta di fascino retrò, come se venisse dal secolo scorso.
All’improvviso mi viene in mente a quale attore somiglia: non so il nome ma ricordo che ha interpretato il protagonista di un qualche film sui soldati e il paragone sembra calzare a pennello anche col personaggio del film. In divisa, questo tizio, starebbe divinamente.
La mascella squadrata, il naso aquilino, quell’ombra di barba che sottolinea la linea dura del volto, l’espressione di chi ne ha viste tante nella vita ed è sopravvissuto a tutto senza tante storie, senza panico e drammi inutili. 
- Sono felice che almeno lei mi creda quando dico che non sono Abigail McPherson – butto lì, cercando di smorzare un po’ l’atmosfera imbarazzante, mentre faccio segno alla cameriera di avvicinarsi.
- No, no, lei non è certo mia sorella. Nonostante la somiglianza, non potrei mai scambiarla per Abigail – mi rassicura. Poi però fa una smorfia e si affretta a specificare.
- Non in senso negativo, è ovvio. Non se la prenda. Solo che sa, Abigail è mia sorella e la riconoscerei tra mille, anche in un altro corpo, come diceva un film di qualche anno fa.
Io gli sorrido, per fargli capire che non importa, mentre do un’occhiata al menu e decido per un bel the caldo.
- Perché non mi parla un po’ di Abigail? – domando, dico dopo aver chiuso il menu, tanto per introdurre l’argomento. Temo che se aspetto che il signor McPherson smetta di fissarmi, faremo notte.
Lui ci pensa un po’ su, forse per raccogliere le idee, poi fa un sorriso triste che gli dona moltissimo.
- Abbie è… speciale. È allegra, gentile, responsabile… lavora per gli anziani del paese e credo che questo dica molto di lei…
La descrizione, più simile a un’ovazione a dire il vero, continua ancora per un po’, con una tale ammirazione e devozione nella voce da sembrare quasi una parodia se non fosse per l’espressione di questo tizio. Adorazione pura, come se parlasse di una santa ascesa al cielo, invece che di una infermiera che è scappata di casa.
Il che è piuttosto inquietante, visto che è suo fratello. Da un marito te l’aspetti pure la manfrina smielata sulle qualità della donna scomparsa, ma dal fratello? Io adoro mia sorella Sarah, eppure saprei citare decine di difetti.
Intanto, la cameriera si avvicina e prende le nostre ordinazioni mentre io tiro fuori il mio taccuino per gli appunti. Che emozione utilizzarlo finalmente! È chiuso in un cassetto dal giorno in cui me l’hanno regalato, alla mia laurea.
Quando la cameriera si allontana, McPherson riprende a parlare in tono più concreto, come se si fosse reso conto di aver perso il filo.
- La settimana scorsa è passato un mese esatto dalla sua scomparsa. L’ultima volta che l’ho vista aveva preso l’auto per andare in centro, perché doveva incontrare una persona…
Si interrompe, come se il solo ricordo lo sconvolgesse al punto da impedirgli di parlare, poi però si ricompone e cerca di continuare in tono più controllato.
- Il giorno dopo la sua auto è stata trovata in riva al lago, sommersa per metà, ma nessuna traccia di Abigail.
- Quindi potrebbe essere annegata? – domando, aggrottando la fronte. Non era il caso di dirlo prima?
Subito però mi rendo conto di aver fatto una gaffe. Non era il caso di dire una cosa del genere in maniera tanto brusca e cerco di riparare in qualche modo.
- Voglio dire, sono state condotte delle indagini in quel senso?
McPherson, fortunatamente, non sembra aver preso male la mia uscita poco delicata.
- Sì, ma il corpo non è stato trovato e comunque sarebbe potuta uscire, con un po’ di sforzo.
Questa volta mi trattengo dal dire che molto spesso, in questi casi, la morte è causata soprattutto dalla perdita dei sensi prima di rendersi conto che si sta morendo affogati.
Però, in effetti, una macchina sommersa a metà non è necessariamente una trappola mortale per una donna giovane e in salute.
- Abigail aveva qualche malattia?
McPherson mi lancia un’occhiata quasi feroce.
- Abigail non era depressa – assicura con un ringhio.
Ripensandoci, non era il caso di chiederlo così sgarbatamente, soprattutto perché l’uomo sembra entrato in modalità venerazione ed è poco probabile che si renda conto che sua sorella poteva non essere felice come credeva.
Abbozzo un sorriso rassicurante, quindi, e mi affretto a correggermi.
- Voglio dire, qualche patologia che le avrebbe potuto impedire di uscire da quella macchina in tempo. Tipo asma, fobia dell’acqua, emofilia…
- No, era una donna in perfetta salute – risponde lui, più calmo.
Evidentemente devono essere in molti a chiedergli se soffriva di disturbi di altro tipo, come depressione o esaurimento. Forse perché gli altri avevano notato qualche comportamento strano? Segno sul taccuino di fare qualche domanda in proposito, magari al medico della ragazza.
- Ammesso che si sia allontanata di sua volontà, quale potrebbe essere stata la ragione? – domando dopo un altro sorso di the.
- Davvero non saprei. Tutti le vogliono bene al paese e lei sembrava felice…
- Lei e sua sorella vivevate insieme? – gli chiedo. È molto più facile nascondere qualcosa, tipo una relazione segreta, se abiti un due case diverse. Ma qualcosa mi dice che questi due dormivano nello stesso letto.
- Si, vivevamo ancora nella casa dei miei genitori. Nessuno dei due aveva un’altra famiglia e Abbie diceva che ho disperatamente bisogno di una donna nella mia casa, così…
Come immaginavo. Ma questo non vuol dire che non ci sia qualche segreto ben nascosto, ho fumato per quasi tre anni senza che i miei genitori sospettassero niente.
Basterà fare qualche domanda in giro nel loro paesino, di certo un paese così piccolo conterà qualche simpatica pettegola più disposta di McPherson a spifferare i panni sporchi di famiglia. Anche se, adesso che so con che razza di sbruffone dovrei viaggiare, l’idea di raggiungere la microscopica Littletown non mi entusiasma nemmeno un po’.
- E non ha notato niente di strano nei giorni prima che sua sorella sparisse? Non aveva conosciuto qualcuno, non aveva avuto problemi di nessun genere?
Per la prima volta, McPherson sembra esitare.
- Non credo, ma non ne sono certo. Ultimamente io e Abbie… ecco, avevamo opinioni diverse riguardo ad alcune cose e così… era qualche giorno che c’era un po’ di tensione tra noi… - risponde alla fine, evitando il mio sguardo e grattandosi un orecchio, come un bambino imbarazzato.
Prendo di nuovo nota sul taccuino: scoprire per cosa hanno litigato Hansel e Gretel è decisamente uno dei primi passi da fare quando sarò in quel paesino sperduto. Poi continuo con la mia raffica di domande, sentendomi più un poliziotto che un giornalista.
- Dove avete già cercato?
- Tutte le case delle sue amiche, quelle che si erano trasferite dopo il liceo. Ospedali e alberghi nella nostra contea… Abbie è sempre vissuta a Littletown, non so proprio dove altro potrebbe essere andata.
A New York, mi viene da pensare. Non a caso è comparso un indirizzo di New York che sembra legato a questa storia ed è una città grande e lontana da casa. Il posto perfetto per sparire.
- Mi scusi se le sembro indiscreta ma ha già cercato delle… stranezze nei suoi conti bancari? Sono spariti dei soldi? Ci sono stati movimenti inspiegabili con le carte di credito?
- La polizia locale ha cercato in quel senso ma non è venuto fuori niente di utile.
Si interrompe e finisce di bere il suo caffè in un ultimo sorso, poi si strofina gli occhi e mi fissa con lo sguardo più penetrante che abbia mai visto in vita mia.
- Nelle sue ricerche deve tenere presente una cosa: Abbie è una brava ragazza, responsabile, coscienziosa… non è il tipo che scompare così, da un giorno all’altro, perché ha voglia di cambiare aria.
Dal tono in cui parla, mi sembra di capire che deve essersi ripetuto questa battuta almeno una decina di volte al giorno, forse per rassicurarsi, perciò evito di fargli notare che, a dispetto della sua coscienziosità, sua sorella è appunto sparita da un giorno all’altro.
- Va bene. Ammettiamo che lei ha ragione e che non si sia allontanata volontariamente. C’è qualcosa che potrebbe aver… scoperto, diciamo, che l’ha costretta a fuggire?
McPherson mi guarda perplesso e per la prima volta provo un moto di stizza nei suoi confronti. Se alla sua età, che deve essere intorno ai trent’anni, è ancora così ingenuo, o è uno stupido oppure sta giocando alla parte dello sprovveduto ragazzo di campagna. E in entrambi i casi mi sta solo facendo perdere tempo.
- C’è qualcuno che ha degli affari poco puliti nel vostro paesino? Un banchiere corrotto, un prete pedofilo, qualcosa che sua sorella può aver scoperto e per cui è stata fatta… costretta a sparire?
“Fatta sparire” era quello che stavo dicendo ma non è certo una forma delicata da usare.
Per tutta risposta lui rivolge un sorriso stanco.
- Non ce lo vedo proprio il reverendo Dobrev a fare il pedofilo e non abbiamo banchieri in città.
Per poco il suo scellerato uso del termine città riferito a un posto che conta trenta costruzioni, negozi compresi, mi fa scoppiare a ridere. Tuttavia, non mi sembra molto professionale fare commenti sulle dimensioni del suo paese, perciò cerco di trattenermi.
- Littletown è così piccola che tutti sanno tutto di tutti nel giro di una giornata, senza bisogno di giornali. Le assicuro che c’è ben poco che Abbie poteva sapere che non sapesse già tutta Littletown.
Io sto per contraddirlo ma alla fine chiudo la bocca e mi limito a prendere un altro appunto sul taccuino. Magari in città mi sapranno dare qualche informazione più interessante, perciò decido di rimandare la questione a più tardi e cambio discorso, dando una rapida occhiata all’orologio.
- E posso chiederle come mai in tutto questo lei ha pensato di rivolgersi al mio giornale?
McPherson sembra esitare di nuovo, poi si decide a rispondermi, anche se con l’aria piuttosto imbarazzata, come se temesse che io lo prenda in giro.
- A dire il vero questa è una storia strana. Nel mio paese vive una signora, Theresa, che è affetta da una deformazione al cervello. Era una delle pazienti di mia sorella – mi spiega.
- In realtà, Theresa era la paziente più importante per Abbie, passavano insieme ore e ore e Theresa dice spesso che è la sua migliore amica, poveretta. Ha sofferto molto la mancanza di Abbie.
Di nuovo scuote la testa, come per scacciare dalla mente i ricordi e riprendere il giusto filo del discorso. Mi sa che è uno di quelli a cui piacciono le digressioni.
- Comunque, da alcune settimane, Theresa non fa che ripetere lo stesso indirizzo, continuamente, senza saper spiegare nemmeno lei a cosa si riferisce e ho pensato che potesse riguardare Abbie.
Si interrompe di nuovo, come se non sapesse come proseguire. Io ne approfitto per segnarmi il nome di Theresa per altre ricerche e sorseggio a mia volta il the.
- Vede, Theresa, a causa della sua deformazione, è un po’ come una bambina autistica, alle volte. Così capita che senta una parola che la colpisce per qualche motivo e la infila nei suoi discorsi anche a caso.
Io lo guardo un po’ confusa e lui deve accorgersene perché cerca altre parole con cui spiegarmi.
- Per esempio, Theresa sente sua madre dire: “la sciarpa rossa”. Nei due o tre giorni a seguire, tutto è “rossa” per Theresa. La sua bambola è rossa, vuole mangiare rossa, il sole sembra rossa. Capisce?
Sì, più o meno, anche se non ho mai conosciuto una persona affetta da un disturbo simile. Il che mi porta a chiedermi che tipo deve essere questa Abigail, per essere così legata a una persona gravemente disabile, fare l’infermiera agli anziani e poi sparire da un giorno all’altro.
- Così, quando ha cominciato a dire che la sua bambola si chiamava Hellrose 11 di NY, non ci ho fatto caso e lo stesso quando diceva che la zia vestiva Hellrose 11 di NY e che la nuova infermiera veniva da Hellrose 11 di NY, anche se non era vero.
Hellrose 11 è ovviamente l’indirizzo degli uffici del giornale per cui lavoro, l’HRose Post per l’appunto.
- Poi mi è venuto in mente che ha cominciato a ripetere quell’indirizzo quando il giornale ha pubblicato un articolo sulla scomparsa di Abigail. Così mi sono chiesto se per caso non l’avesse sentito dalla stessa Abbie e sentirla nominare gliel’ha fatto tornare in mente…
Effettivamente, sembra una teoria possibile, tranne che sono abbastanza certa che nessuno si sia presentato ai miei uffici in quest’ultimo periodo con la faccia identica alla mia. Non siamo in molti a lavorare per il giornale e ci conosciamo tutti almeno di vista, qualcuno avrebbe notato la somiglianza e me ne avrebbe accennato.
- Difficile, ma non è detto che non sia successo. Farò qualche controllo al giornale, tanto per essere sicuri.
McPherson annuisce speranzoso, poi sorseggia di nuovo il caffè. Io intanto penso a quale assurda coincidenza del destino può aver portato la mia sosia a venire proprio nel giornale dove lavoro io. E se ci fossimo incontrate? Se si fosse rivolta proprio a me per una qualsiasi ragione, come avremmo reagito? Sarebbe stato stranissimo parlare con un’altra versione di me stessa.
- Certo è strano che ci abbia trovato lei a quell’indirizzo. È così uguale ad Abbie…
- Potrebbe essere questo il motivo per cui sua sorella ha nominato il giornale? Poteva avere qualche conoscente a New York che le può aver detto che c’era una sua gemella a quell’indirizzo? Le dirò, io ho subito pensato a una gemella e una persona molto curiosa…
Lui sembra rifletterci su per un po’. Probabilmente l’idea non gli era passata per la mente finora ma secondo me potrebbe essere un’ipotesi. In fondo non dovevano succedere molte cose emozionanti nella sua vita e lo spiraglio di aver trovato forse una sorella gemella perduta…
- Ha detto che anche lei ha pensato a una gemella. Non sa quante sorelle ha? – domanda giustamente McPherson, dopo qualche secondo.
- Sono stata adottata anche io quando ero molto piccola, perciò non lo escluderei a priori.
Vedo i suoi occhi sgranarsi e mi viene da sorridere.
- Potrebbe davvero essere la sorella gemella di Abigail? – mi domanda cauto, forse preoccupato di sconvolgere il mio equilibrio personale. O il suo.
- Ne dubito, perché sono piuttosto certa che la legge preveda di dare in adozione i fratelli alla stessa famiglia e comunque né i miei genitori, né i suoi mi pare di capire, hanno mai saputo nulla riguardo a una gemella. Ma è un’altra cosa da controllare.
Non aggiungo che spero proprio che non sia così, specialmente ora che scopro che la mia possibile gemella è una perfettina sicuramente insopportabile.
- Posso chiederle il suo nome? – mi domanda lui, dopo un po’.
- Abigayle Metthews.
Di nuovo la faccia di McPherson è così buffa da strapparmi un sorriso, che questa volta non riesco a nascondere.
- Mi perdoni… è che… sembra una storia da talk show. Nomi quasi identici, volti quasi identici…
Vite diametralmente opposte, mi pare di capire. Ma questo non lo dico, perché potrebbe risultare offensivo e questo tipo mi pare avere i nervi particolarmente scossi.
- In realtà mi sembra strano che due sorelle abbiano nomi così simili. Sa se i suoi hanno cambiato il nome della bambina quando l’hanno adottata?
- No, non che io sappia. Ma a casa ho ancora la copia dei documenti dell’adozione. Forse lì c’è qualcosa a proposito…
Prendo nota di chiedere ai miei genitori se per caso non hanno cambiato il mio nome, anche se sono piuttosto sicura che non sia così.
Il suono del mio cellulare interrompe la nostra comunicazione e sono costretta a cercare nella borsa, per poi scoprire ancora una chiamata da un numero sconosciuto. Questa volta non mi prendo la briga di rispondere, chiunque sia, e schiaccio direttamente il tasto per interrompere la chiamata.
- Mi scusi – dico, spingendo il fastidio che mi provocano queste chiamate in un angolo della mia mente. Non è proprio il momento, ma prima o poi dovrò affrontare la questione.
- Si figuri, sono io a dovermi scusare. Le ho rubato fin troppo tempo e si è fatto tardi anche per me, ho un treno tra poco più di un’ora – mi avverte McPherson, alzandosi e infilandosi alla svelta il giacchino di pelle.
- Il suo capo mi ha detto che ha intenzione di venire a Littletown la prossima settimana, per raccogliere altre informazioni.
Cerca nella tasca del giubbotto per qualche secondo, quindi mi porge un bigliettino stropicciato.
- Questo è il mio numero, mi chiami prima di arrivare, così la vengo a prendere dalla stazione e le trovo una sistemazione adatta. Verrà da sola?
A denti stretti, mi costringo a spiegare la presenza anche di Wade, sebbene la spaccio per una “possibilità”. Non appena posso, infatti, ho tutte le intenzioni di convincere Phil a togliermi di dosso quel tizio, meglio Mel a questo punto.
- Bene, vedrò di trovare qualcosa di comodo per entrambi allora e tirerò fuori tutto quello che può esserle utile. La ringrazio davvero di cuore per il fastidio.
Detto questo, scompare verso il bancone e dal tavolo riesco a vedere che paga il conto, poi mi fa un cenno ed esce definitivamente dal locale, mentre io ho ancora mezzo bicchiere di the da terminare, anche se ormai è appena tiepido.
Mentre finisco la mia ordinazione, rileggo gli appunti che ho preso durante l’incontro e mi sento soddisfatta di me stessa. Credo di aver fatto le domande giuste, nel modo giusto e le informazioni mancanti non sono difficili da reperire, basterà chiacchierare con le persone giuste una volta sul posto.
Inoltre, contro le più nere previsioni, c’è abbastanza incertezza intorno a tutta la faccenda per poter costruire una storia abbastanza interessante proprio come vuole Phil, senza irritare parenti e amici.
Una giovane donna scompare in un paesino sperduto. Una matta che ripete l’indirizzo del giornale dove lavora una sua sosia, forse addirittura la sorella gemella persa alla nascita, che ha un nome uguale al suo. Un segreto, forse, che nemmeno l’adorato fratello conosce e che la costringe a fuggire o la fa ammazzare.
Una relazione segreta, forse? Un’accidentale intrusione negli intrighi di qualcun altro? Un reato di cui ancora non sono a conoscenza? Il fratellone amorevole tende a bere più del necessario?
Le possibilità sono tante e col giusto pizzico di creatività la storia può diventare piuttosto intrigante. Certo, non esattamente una storia da NY Times, ma quanto basta per avere il mio primo articolo vero e proprio.
Il che però mi riporta il pensiero all’odioso Wade, perciò faccio un altro tentativo disperato di chiamare Phil per convincerlo a farmi fare da sola.
Sfortunatamente, il mio capo si dimostra piuttosto soddisfatto delle informazioni raccolte finora, ma è irremovibile sulla storia del collega e non accetta nemmeno di sostituire Wade con qualcun altro.
- Ringrazia che mi serve la tua faccia per fare il pezzo e accontentati. Potresti addirittura imparare qualcosa, già che ci sei – mi suggerisce nel suo solito tono sprezzante, come se non avessi una laurea in giornalismo e due tirocini in testate migliori della sua (che però, sfortunatamente, non avevano nessuna intenzione di assumermi e pagarmi lo stipendio).
Alla fine, scoraggiata, chiudo la comunicazione e do un’occhiata all’orologio. Mancano appena quaranta minuti alle sette, quindi perché non raggiungere il mio maledetto collega e scoprire qualcosa in più anche su di lui?
Magari di persona è meno odioso di quanto è sembrato al telefono, oppure, ipotesi ancora migliore, decide che la storia non gli interessa e si tira fuori da solo da tutta la faccenda. Persino troppo bello da sperare.
Finisco quindi il the, rimetto tutto nella borsa e mi fiondo a cercare un taxi, mentre mi preparo ad affrontare la situazione da vera giornalista di professione.
  
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