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Autore: Janis Hush    09/07/2014    8 recensioni
AU.
Stiles è un giovane insegnante d'asilo chiacchierone e confusionario,amato dalle vecchiette del suo quartiere per le sue doti culinarie e adorato dai bambini.
Derek è uno scorbutico giovane uomo aspirante direttore di museo.
Il loro primo incontro avviene in modo abbastanza disastroso e dopo un piccolo battibecco sembrano destinati a non rivedersi mai più...il destino però ha altri piani in mente.
Derek infatti è un padre single e ha da poco iscritto suo figlio nella scuola materna dove lavora Stiles.
Il loro rapporto sembra pian piano migliorare. Derek è misterioso e Stiles incredibilmente curioso.
Nasce così un divertente e stuzzicante tira e molla fatto di battute e scontri.
Quando però Stiles viene a conoscenza dei metodi poco ortodossi che Derek è costretto ad usare per mantenere il figlio,la faccenda diventa molto più seria...
STEREK
Genere: Angst, Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Nuovo personaggio, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: Shake it out
Beta:  WibblyWobblyAngel  e Im a creep
Fandom: Teen Wolf
Personaggi:
Stiles, Derek,nuovo personaggio,Cora,Isaac,Scott,Lydia e Danny principalmente, un po' tutti
Pairing: Stiles/Derek
Rating: Giallo
Genere: Angst, Sentimentale, Commedia
Note e avvertimenti:
- Au
-  OOC( leggero,spero u.u)
 
I personaggi non mi appartengono,ma sono di proprietà di Jeff Davis. La storia non è scritta a scopo di lucro.
 
 
 
 
Oookay, salve gente :)
Sono consapevole di essere in enorme ritardo e me ne vergogno profondamente, ma spero sarete così adorabili da perdonarmi *faccia da cucciolo abbandonato in una serata di pioggia*
Beh, niente, vi lascio al capitolo sperando che vi possa piacere, anche se, vi avverto fin da subito, è un capitolo di passaggio. Dal prossimo cominceranno ad essere rivelate cose interessanti! ... spero.
Le note a fine capitolo! :)
 
 
 
3.  Di The verde al ginger e soprannomi assurdi
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Era trascorsa una settimana dall’incontro al museo e tutto sembrava andare per il verso sbagliato.
Cioè, al lavoro tutto trascorreva tranquillo come al solito; in realtà anche con i suoi amici era tutto a posto; suo padre stava bene; la sua vecchia jeep non dava particolari problemi.
Derek però lo stava palesemente ignorando e dato che Stiles si era prefissato l’obiettivo di scoprire qualcosa in più su di lui, e odiava non riuscire a raggiungere una meta, per lui tutto andava male, senza alcuna eccezione.
 -Potresti smetterla di sbuffare ed aggirarti come un’anima in pena?-
Ennesimo sbuffo.
-Santo cielo, almeno spiegami che cosa ti turba tanto.-
Uno sbuffo più poderoso.
-Stiles. Mi stai ascoltando? Stiles!-
Il libro di Cappuccetto rosso con la copertina plastificata colpì il ragazzo dritto in fronte.
-Lydia, sei impazzita? Questo aggeggio è un’arma!-
-Non mi stavi prestando attenzione.- si giustificò serafica lei.
Il giovane fece una smorfia e si lasciò cadere su una delle piccole sedie di plastica che usavano i bambini. Appoggiò i gomiti spigolosi sulle ginocchia e fece ciondolare la testa sui palmi aperti con un sospiro stanco.
Lydia lo fissò per qualche minuto in silenzio, poi si alzò e raggiunse la borsa e tirò fuori un thermos argentato. Svitò il tappo e afferrò un bicchiere dal tavolo della merenda, poi versò il contenuto chiaro e dorato e lo porse a Stiles senza dire una parola.
Il ragazzo alzò la testa e fissò il contenuto del bicchiere.
-The verde al ginger? Lo bevi ancora?-
-Sempre.- confermò la rossa con un sorriso.
Quella bevanda costituiva un elemento fondamentale della vita del castano.
Sua madre, amante delle tisane, la preparava sempre. Stiles amava osservarla mentre si muoveva in maniera leggiadra per la cucina, trafficando nelle dispense talmente ricolme di spezie ed erbe da fare invidia ad un erborista.
Vederla preparare ogni giorno un infuso dal colore e dal profumo diverso, gli ricordava le storie degli alchimisti che leggeva nei libri fantasy di cui era tanto appassionato.
Dopo la scomparsa di sua madre, non aveva più assaggiato il the verde al ginger che caratterizzava i suoi pomeriggi di studio diffondendo un odore fresco e frizzante.
Durante uno dei pomeriggi a casa di Lydia però, Stiles aveva riconosciuto quel profumo mai dimenticato e aveva scoperto che quella bevanda era una delle preferite della ragazza.
Così ogni qualvolta che uno dei due era triste, abbattuto o semplicemente malinconico, passavano i pomeriggi e le serate sul divano avvolti da una coperta, guardando Il diario di Bridget Jones e bevendo teiere intere del liquido ambrato.
Il maestro d’asilo fece un sorrisetto e accettò i the.
-Ora mi spieghi che cosa ti tormenta?-
-Non c’è nulla che mi tormenta Lydia. Non è niente, è solo che penso di avere sbagliato tutto con Derek.-
-Derek Hale?- domandò lei sorpresa.
-Quanti Derek conosci?- mugugnò Stiles infastidito.
-Beh, c’è il commesso del negozio d’abbigliamento dove compro sempre quegli adorabili abiti fiorati, poi c’è l’idraulico, il fattorino biondo delle pizze, il…-
-Sì, Derek Hale! Risparmiami la lista dei bellimbusti che ti sbavano dietro, ti prego.- esclamò lui esasperato, mettendo le mani avanti per bloccare quella lista infinita.
-Non è un vero problema in realtà,- riprese poi- è che dopo l’incontro al museo non faccio che chiedermi se per caso ho sbagliato qualcosa. Non so mai come comportarmi con lui! Mi sento sempre agitato e comincio a straparlare e lui non cambia mai espressione, sembra un busto di marmo! Muove solo in modo criptico le sue stupide sopracciglia e più lui rimane immobile, più io gesticolo! Poi mi fissa come se fossi una specie rara e non si rende conto di risultare inquietante mentre ti guarda con la sua espressione cupa da assassino seriale, o forse lo sa benissimo e continua a farlo ogni volta solo perché sa che mi rende nervoso!-
-Stiles, calmati. Respira.-
Il ragazzo ingoiò in un fiato metà del contenuto del bicchiere e puntò gli occhi sgranati sulla figura davanti a sé.
-La cosa che non capisco, è perché ci tieni tanto a fare amicizia con lui.-
-Non voglio fare amicizia con lui!- sbraitò indignato.
-Beh, a me sembra che tu ti stia impegnando parecchio invece. Sbaglio o sei andato al museo solo sperando di incontrarlo?-
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo e borbottò.
-Questo te lo concedo, ma la storia del “voler fare amicizia” non c’entra Lydia. Davvero, non è questo. Non ho neanche deciso se quel tizio tutto ringhi e sopracciglia mi vada del tutto a genio.-
-Di cosa si tratta allora?- mormorò lei, cercando i suoi occhi ambrati.
-Non lo so.- ripeté per l’ennesima volta il castano- Non lo so. Non lo so! Ed è questo che mi manda fuori di testa!- le mani pallide andarono a torturare le ciocche spettinate.
La ragazza sorrise dolcemente e gli afferrò delicatamente le mani, poi lo guardò in viso, aspettando che l’amico continuasse.
-C’è qualcosa Lydia, lo so. Lo sento. C’è qualcosa che mi attira a lui e non ho idea di cosa sia. Non so se sia qualcosa di giusto o sbagliato. Non so come dovrei comportarmi. È solo…è solo una stupida sensazione.-
- Magari dovresti solamente seguire questa tua stupida sensazione.- la rossa mimò delle virgolette con le dita.
-E se mi stessi sbagliando?-sospirò alzando la testa, ma mantenendo le spalle curvate in avanti.
-Almeno non avrai il rimpianto di non averci provato.- rispose semplicemente lei, facendo svolazzare i lunghi capelli.
-Comunque, se devo proprio essere sincera, poche volte le tue sensazioni si sono rivelate stupide.-
affermò poi.
Stiles alzò di scatto lo sguardo. Lydia non era una persona che elargiva facilmente complimenti e lui lo sapeva bene: la sua migliore amica aveva un bel caratterino.
Continuò a guardarla meravigliato e lei sorrise furba facendogli l’occhiolino.
-Non abituarti Stilinski. Non lo dirò di nuovo.-
 
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Altri quattro giorni erano passati e la situazione non accennava a migliorare.
Non c’era alcun segno di cambiamento. Derek si limitava alle conversazioni di circostanza, in realtà la maggior parte delle volte faceva fatica a dire qualcosa che non fosse “buongiorno” e “a domani”. Nemmeno un cenno con la testa o qualsiasi altro gesto che potesse significare: ehi Stiles, mi comporto così perché sono un grizzly burbero e allergico alle relazioni sociali, non perché hai fatto qualcosa di male!
Così Stiles decise di compiere una prima mossa. Come era prevedibile.
Aspettò pazientemente l’arrivo delle quattro e mezza del pomeriggio controllando l’orologio ogni cinque minuti, alternando espressioni determinate ad altre che lo mostravano sull’orlo del panico.
Quando il primo genitore fece il suo ingresso, Stiles saettò con lo sguardo verso la porta e le sue spalle sussultarono talmente forte da far rovesciare lo scatolone dei lego che si sparpagliarono per tutta la stanza.
Lydia sbuffò teatralmente e Danny, cercando di calmare i bambini che stavano correndo eccitati tra le migliaia di mattoncini sparsi per la stanza, scivolò su uno dei pezzi e cadde all’indietro distruggendo la capanna di materassi gonfiabili che avevano costruito quel pomeriggio.
Ogni qualvolta un genitore faceva tintinnare i campanelli della porta d’ingresso, la scena si ripeteva seguendo differenti modalità.
Stiles riuscì ad inciampare su una bambola di pezza rischiando di rimetterci il naso, riempì la biscottiera di animaletti di plastica e posò i biscotti rimanenti nella cassetta dei giocattoli e fece cadere il cellulare nella sabbiera. Finché Lydia non lo afferrò per le spalle e gli sibilò di non muoversi fino a nuovo ordine.
Finalmente Derek arrivò, si bloccò con ancora la mano sulla maniglia e squadrò accigliato la distesa di lego e i bambini che stavano saettando senza meta, completamente esaltati da tutto quel disordine.
Stiles si alzò con un balzo, poi si rimise seduto e si bloccò, come pietrificato, continuando a fissare Derek con la speranza, vana, di non essere visto. 
-Che stai facendo? Muoviti!- gli soffiò Danny a denti stretti, mentre cercava di reggere una bambina dalle lunghe trecce in braccio e altri due maschietti che gli si erano abbarbicati sulla schiena.
Il castano si scontrò con l’espressione stravolta dell’Hawaiano, che nonostante il viso rosso, i capelli sparati per aria e i tre demonietti che non avevano intenzione di smettere di dimenarsi, stava continuando ad incitarlo. Aveva provocato tutto quel pandemonio, almeno doveva riuscire ad affrontare Derek.
Così si alzò e si diresse verso il moro che stava già aiutando il figlio ad indossare la giacca.
-Ciao!- esordì con troppa energia e mentalmente si schiaffò una mano immaginaria sulla fronte.
-Ciao!- rispose l’altro imitando il tono esageratamente esuberante di Stiles con sarcasmo, alzando per un istante la testa, per poi continuare ad allacciare la giacca tenendo il viso rivolto verso terra.
Stiles tentò di nascondere una smorfia d’irritazione dietro un falso sorriso.
-Hai un momento?-
-In realtà no. Devi dirmi qualcosa riguardante Daniel?-
-No, non riguarda Daniel.-
-Allora temo che saremo costretti a rimandare il tutto ad un’altra volta. Saluta Stiles, Dan.-
pronunciò il moro già diretto verso l’uscita.
-Ci terrei particolarmente ad affrontare questo discorso oggi.- Stiles bloccò l’uscita sfidandolo.
Derek lo guardò in cagnesco, ma mantenne stampato in faccia il sorriso finto di poco prima.
-Dan, potresti lasciare un attimo soli me e papà e andare a giocare con Seth?- si rivolse gentilmente al bambino, che annuì e lasciò la mano del padre, già pronto per correre dall’amico.
-No, Dan. Dobbiamo andare a casa.-
-Impiegherò solamente cinque minuti.-
-Ne ho già persi abbastanza ora.-
Daniel alternava lo sguardo tra il maestro e il padre, indeciso su cosa fare.
-Dan, potresti per favore…-
-Sono io suo padre, non tu.-
-Non usare la scusa del “io sono il padre” per fuggire via.- gli sibilò Stiles all’orecchio per non farsi udire dal bambino, che li stava ancora fissando.
Derek lo scrutò per alcuni secondi e il più piccolo era sicuro che stesse decidendo il modo più veloce per ucciderlo senza sporcare eccessivamente i muri di sangue.
Poi inaspettatamente lasciò la mano del figlio e gli sussurrò che avrebbe impiegato solamente pochi minuti, per poi rivolgere un’occhiata assassina a Stiles.
-Che problemi hai?- gli ringhiò poi.
-Che problemi ho io?- rise istericamente, trascinandolo in un angolo più appartato- Che problemi hai tu! Sei tu quello che sembra affetto da gravi disturbi comportamentali, non di certo io!-
-Davvero? Perché ora quello fuori di testa sembri tu.-
Stiles bloccò immediatamente le braccia che si stavano agitando sconclusionate sopra la sua testa.
-Senti. Forse hai ragione, forse quello disturbato sono io, dato che non è normale farsi così tanti problemi per una persona che neanche conosco e che è evidentemente problematica e contraria a qualsiasi forma di socializzazione! Ma ehi, sono una persona strana e con tendenze masochiste evidentemente, perché sto continuando a chiedermi se per caso ho fatto qualcosa di sbagliato al museo, dato che è da più di una settimana che non mi parli! Non che prima fossi un maestro d’eloquenza, ma almeno mi guardavi in faccia e ora neanche mi fissi negli occhi! E questa cosa mi fa impazzire perché non mi piace non capire le cose, okay?  Non mi sembra di aver fatto niente di sbagliato, ma se per caso non è così, potresti semplicemente dirmelo? Giuro che mi metterò il cuore in pace e non ti disturberò più. Voglio solo capire. Oppure magari non ho fatto nulla di male, ma tu semplicemente non mi sopporti, beh dimmelo! Vuoi mantenere un formale e distaccato rapporto insegnante- genitore? Okay, nessun problema. Sono abituato a creare un rapporto più disteso e sereno con i parenti dei miei alunni, ma se tu non sopporti i miei metodi amichevoli, perfetto.
Lasciami dire però che anche tu non te la cavi male in quanto a stranezza, perché sai, prima mi guardi come se ti avessi investito il gatto, poi al museo ti offri di farmi da guida e sembri quasi una persona normale e poi smetti di parlarmi, wow! Fai pace con il cervello veramente, perché i semplici mortali come me hanno dei sentimenti e…-
-Stiles.-
-No, questa volta non basterà uno “Stiles” ringhiato con la tua voce minacciosa per zittirmi!-
-Stiles!-
-Piantala di ripetere il mio dannato nome! Non voglio…-
-Taci, maledizione! Calmati.- Derek gli afferrò un polso per placare i suoi movimenti convulsi.
Il più giovane si guardò attorno e notò che Lydia e Danny li stavano fissando di sottecchi e che alcune nonnine già risplendevano entusiaste per avere un nuovo pettegolezzo di cui discutere.
-Okay ascoltami,- sospirò il moro- e apri bene le orecchie perché te lo dirò solamente una volta.
Può darsi che io abbia sbagliato a comportarmi in questo modo.-
-Può darsi?- domandò retoricamente con tono acido l’altro.
-Vuoi piantarla di interrompermi?-
-Vorrei solo che tu mi dicessi chiaramente che cosa pensi di me. Vorrei che ti rivolgessi a me come se stessi parlando con Stiles Stilinski e non con l’insegnante di tuo figlio.-
-Sicuro?-
-Assolutamente. Ho bisogno di saperlo.-
-Devo essere totalmente sincero?-
-Al cento per cento.-
-Bene. Te la sei cercata. Io penso che tu sia insopportabilmente logorroico e petulante in modo esasperante. Non reggo il tuo sarcasmo semplicemente perché spesso non trovo le parole giuste per ribattere. Odio il tuo essere sconclusionato e confusionario. Il tuo costante sorriso stampato in faccia e il tuo modo positivo di affrontare le cose, perché sai, non viviamo dentro una scadente pubblicità. M’irritano i tuo enormi occhi di quel colore ridicolo. Odio il fatto che riesci sempre a vedere al di là delle apparenze e noti cose che nessuna persona normale noterebbe.-
-Ma!- aggiunse poi, quando Stiles stava già per andarsene furioso - Non ho mai visto Daniel così felice di venire a scuola. Alla mattina si alza con il sorriso e sembra sempre contento di venire qui e se i problemi ora sono che parla con pochi bambini o deve essere sempre spronato per affrontare la sua timidezza, beh ti assicuro che in tutte le altre scuole faceva fatica anche solo ad emettere un suono. Non aveva nessun amico e portarlo all’asilo ogni mattina era un’impresa.
Tu, Lydia, Danny gli piacete Stiles. Si è affezionato a voi e a me sta bene. Davvero. Penso che tu sia bravo nel tuo lavoro e ti sono grato per i miglioramenti che Dan è riuscito a compiere. E forse, e ripeto: forse, se prima tutti quei tuoi lati del tuo carattere mi facevano salire la pressione e provavo la voglia di sbatterti la testa su qualsiasi superficie, ora ho quasi imparato a dominare gli istinti omicidi e non li trovo più così tremendamente irritanti.-
Rimasero in silenzio alcuni minuti a fissarsi senza battere ciglio.
-Allora, prima cosa: sono sconvolto. Penso che tu abbia detto all’incirca un centinaio di parole e ti giuro, neanche nelle mie fantasie più sfrenate avrei pensato che potessi parlare tanto.
Secondo: suppongo che nell’ultima parte stessi cercando di avvicinarti un minimo al significato si gentilezza. Quindi grazie e prenderò l’ultima frase come un complimento.-
-Era un complimento.-
-Oh certo, in qualche universo parallelo probabilmente sarebbe considerato in questo modo.
In ogni caso grazie Derek, davvero, apprezzo tutto ciò che mi ha detto riguardo Daniel.-
Il più grande annuì semplicemente e si voltò per richiamare il figlio.
-E comunque,- disse prima di raggiungere l’uscita- forse mi sono comportato in quel modo perché anche io non ho la più pallida idea di cosa dovrei fare.-
 
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Era passato qualche giorno ed ogni cosa sembrava aver ripreso l’abituale ritmo tranquillo.
Quel giorno non si era verificato nessun particolare problema e l’ora del ritorno a casa era arrivata sorprendentemente in fretta.
Ormai tutti i genitori avevano già recuperato i propri bambini. Stiles controllò l’orologio: le quattro e cinquanta.
Sospirò soddisfatto e decise di fare un ultimo girò di ispezione, quando un pensiero gli balenò in testa: non aveva visto Derek quel giorno. Neanche Cora. E neppure Isaac. Questo significava che…
-Daniel, tu sei ancora qui!-
Il bambino mosse la testa in segno d’assenso. Non sembrava particolarmente turbato.
-Vedrai che papà Derek arriverà da un momento all’altro.-
Il bimbo annuì nuovamente, senza parlare.
-Intanto giocherò io un po’ con te.- affermò Stiles gentile, poi andò in cerca di Lydia e le disse di telefonare a Derek per sapere se era tutto a posto.
La ragazza afferrò l’elenco con i numeri di cellulare e compose il numero.
-Con cosa vorresti giocare?-
-Uhm.- Dan si guardò intorno- Con queste!- esclamò poi afferrando alcune macchinine.
-Perfetto!- Stiles andò a sedersi su un grande tappeto e fece segno al bambino di raggiungerlo.
Iniziarono subito a far scivolare le auto lungo la pista che si estendeva per gran parte del pavimento.
-Stiles.- Lydia attirò l’attenzione del ragazzo che la raggiunse in un attimo- Derek non risponde e neanche Cora.- bisbigliò la rossa, cercando di non farsi udire dal bambino che ora stava portando avanti il gioco con Danny.
-Okay, andate pure a casa. Starò io qui con lui. Aspetterò ancora qualche minuto, poi vedrò cosa fare.-
-Ne sei sicuro?-
-Sì, andate pure.- li rassicurò con un sorriso.
Lydia e Danny salutarono  Dan e si diressero all’uscita.
-Chiamaci se hai bisogno.- urlò l’Hawaiano all’amico, che alzò i pollici in alto.
Continuò a giocare con il bimbo, tentando di non compiere gesti che potessero in qualche modo allarmarlo.
Provò ancora a telefonare a Derek, ma il ragazzo non rispose nuovamente e lui stava iniziando ad essere preoccupato, finché verso le cinque e venti non vide la Camaro parcheggiare e Derek scendere di corsa dall’auto e raggiungere letteralmente volando l’entrata.
-Eccomi!- esalò senza fiato- Sono qui! Scusate, ho fatto tardi!-
Stiles lo vide cercare Dan con lo sguardo, era completamente in panico.
Una volta individuato si fiondò verso il bambino.
-Scusa Dan! Sono qui ora, non volevo arrivare così in ritardo!- esclamò concitato, inginocchiandosi davanti al figlio che ora era seduto su una delle piccole sedie.
-Lo so.- disse semplicemente lui, abbracciandolo.
-Scusami, ti prometto che non succederà più, davvero. Mi dispiace, mi dispiace.-  continuava a ripetere ricambiando l’abbraccio.
-Va tutto bene papà. Sapevo che prima o poi arrivavi* e poi c’era Stiles con me.- affermò tranquillo, poggiando una manina sulla guancia ricoperta di barba del padre.
Stiles notò lo sguardo che Derek stava rivolgendo al figlio e gli si accartocciò lo stomaco.
Dio, sembrava che in presenza di Dan il moro lasciasse sciogliere la cortina densa che lo nascondeva agli occhi degli altri e permettesse alla miriadi di emozioni che celava di scorrere libere lungo il suo volto, rendendolo un lago limpido e chiaro. Stiles lo trovava meravigliosamente bello quando questo accadeva.
-Grazie. Ho fatto tardi al lavoro, Cora aveva lezione all’università ed ho cercato di arrivare il prima possibile.- si rivolse poi al castano.
-Nessun problema, non angosciarti. Ci siamo divertiti a giocare insieme.- mormorò, lasciando una carezza sulla testolina ricoperta di ricci di Daniel.
-Pensavo di trovarlo completamente nel panico. Di solito al vecchio asilo quando tardavo anche solo un minuto cominciava a piangere.- ammise Derek, ancora inquieto, mentre il bambino era andato a recuperare il giubbotto.
-Era totalmente sereno.- cercò di rassicurarlo Stiles.
-Non capiterà più.- ripeté per l’ennesima volta l’altro.
-Derek, lo so. Lo so.-
Sorrise al più grande che ricambiò con un leggero sorriso e caricò il figlio in auto.
Stiles rimase a fissarli, poi recuperò le chiavi della jeep.
Avvertiva ancora una strana sensazione d’occlusione allo stomaco, che era aumentata quando Derek aveva risposto al suo gesto. Perché anche se era un sorriso lievemente accennato, era sincero.
 
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Cora fece una smorfia mentre percorreva a velocità spedita il corridoio d’entrata dell’ospedale.
Detestava il colore severo e anonimo delle pareti, l’odore di medicinali e dolore che permeava l’aria e il silenzio innaturale che creava un’atmosfera di perenne ansia. E tutto quel bianco.
Il bianco regnava sovrano ed era così neutro e accecante da ferirle gli occhi. Sembrava volesse risucchiarla.
Affrettò il passo, tenendo lo sguardo fisso davanti a sé per cercare di ignorare cosa la circondava.
Sentì Isaac accelerare per riuscire a starle dietro, senza però lamentarsi.
Sapeva bene quanto la ragazza fosse terrorizzata da quel posto, anche se lei non lo avrebbe mai ammesso, e aveva imparato altrettanto bene che il modo migliore per aiutare Cora in quei casi era tacere e starle semplicemente accanto; ed era ciò che Isaac stava facendo in quel momento.
La bruna frenò improvvisamente davanti ad una delle cartine appesa ai muri che illustravano la posizione dei vari reparti e dopo un rapido sguardo riprese a passo di marcia il percorso che portava al pronto soccorso.
Isaac continuò a seguirla con le mani in tasca guardandosi attorno con espressione smarrita.
L’ospedale era un intrico d’edifici collegati fra loro tramite moderni ponti di vetro e quel dedalo di corridoi gli stava facendo girare la testa.
Cora continuò a seguire le indicazioni ricevute dall’infermiera alla reception e avanzava a ritmo sempre più frenetico, quando finalmente arrivarono davanti ad una serie di porte gialle.
Isaac si guardò intorno finché non incrociò una testa ricoperta da folti capelli neri e delle ampie spalle vestite da una maglietta attillata.
-Derek!- esclamò correndogli incontro. Lo raggiunse e gli si fiondò addossò stringendolo in un abbraccio stritolante. Isaac di certo non era una persona espansiva, ma non poteva evitare di trasformarsi in un cucciolo d’orso davanti a Derek, Cora e Daniel: erano la sua famiglia.
Udì Derek sibilare per il dolore e si scostò immediatamente.
-Scusami!- bisbigliò dispiaciuto.
-Non è nulla, Isaac. Sto bene.-
I due ragazzi si voltarono ed incrociarono la figura di Cora che spiccava al centro del corridoio:
gli occhi cioccolato fiammeggianti e una espressione talmente furiosa da fare rabbrividire entrambi.
-Oh oh.- mormorò il biondo rafforzando la presa sulla spalla dell’altro.
-Sei un idiota.- saettò la ragazza- Hai una vaga idea dello spavento che mi hai fatto prendere?-
-Cora, calmati. Non è successo nulla di grave…-
-Chiudi quella bocca, Isaac.-
Il ragazzo alzò una mano in segno di resa e a testa bassa lanciò a Derek uno sguardo di scuse per il suo fallito tentativo di difesa.
-Non solo sei stato talmente idiota e irresponsabile da fare un incidente,- continuò – ma hai anche aspettato due ore prima di avvertirmi.-
-Sapevo di non essermi fatto nulla di grave, non c’era motivo di chiamarti.- tentò il fratello- E poi voi eravate a casa con Dan. A proposito dove lo avete lasciato?-
-Con la signora Smith, la tua vicina. Fortunatamente è una delle vecchiette più comprensive e disponibili che abbia mai conosciuto. Non hai idea di quanto sia stato imbarazzante bussare alla sua porta alle tre del mattino..-
-In realtà la cosa peggiore è stata vederla in bigodini e vestaglia con la faccia ricoperta di crema per le rughe verde acido.- disse Isaac con un brivido- Spero solo che Dan non faccia incubi.-
I due ragazzi sghignazzarono, per poi smettere immediatamente quando notarono lo sguardo di Cora.
La ragazza rimase a fissare il fratello per alcuni secondi, poi sospirò e rilassò le spalle.
Isaac vide la rabbia cocente e l’angoscia scivolarle addosso per lasciare posto ad una prepotente, ma decisamente più mite preoccupazione.
-Cosa ti sei fatto?- domandò sfiorando il cerotto posto sull’ampia fronte del fratello.
-Niente di sconvolgente. Un polso rotto e qualche taglio e graffio qua e là.-
-Come è successo?- chiese dopo un po’ ed Isaac notò la ragazza sforzarsi per mantenere un tono pacato e la voce ferma.
-Pioveva ed ero stanco. Mi sono distratto un attimo ed ho perso il controllo dell’auto. Se non ci fosse stato l’asfalto bagnato non sarei neanche uscito di strada, davvero. Solo che le gomme sono scivolate e ho urtato un muretto lungo la curva. Non è niente di grave, credimi.-
-Smettila di ripeterlo.- ribatté lei deglutendo.
Ci fu qualche minuto di silenzio in cui Cora parve persa tra i propri pensieri.
-Cosa ha detto il medico?-
-Sto aspettando che torni per comunicarmi le ultime cose, ma mi ha riferito che posso già tornare a casa.-
-Domani non vai al lavoro.- non era una domanda, era un’imposizione.
-Cora lavoro al museo da neanche quattro mesi, non posso stare a casa.-
-Cosa significa? Solo chi ci lavora da anni può permettersi di fare incidenti?- disse brusca. Derek sospirò. -Domani mattina telefoni e comunichi che ti prendi un giorno per malattia. È deciso, e Dan starà a casa con te. Era molto spaventato quando al suo risveglio non ti ha trovato.-
-Non solo lui.- mormorò Isaac con un sorriso e Cora alzò gli occhi al cielo.
Stava cercando d’essere forte e le battute fuori luogo del suo “fratello acquisito” di certo non erano d’aiuto.
Derek rilassò le labbra sorridendo, poi afferrò delicatamente la mano della sorella; sembrava così piccola stretta in quella grande e forte del moro.
Derek la guardò negli occhi e quando vide che faceva di tutto per evitare il suo sguardo, le bloccò dolcemente il mento con la mano sana.
-Non puoi farmi prendere degli spaventi del genere.- mormorò lei con un sospiro tremulo.
Il fratello l’attirò a sé e la strinse, mentre lei affondava il viso contro la sua spalla.
-Non sembra una scena di un film strappalacrime?- domandò Isaac unendosi all’abbraccio.
Risero insieme e tra le risate cercarono di mimetizzarsi, con scarso successo, anche alcuni singhiozzi.
-Derek, io…io penso che tu debba prenderti una pausa. Seriamente. Non… non puoi continuare così.-
Lui si tirò indietro e la fissò, le sopracciglia unite in una linea dura.
-Ho impiegato settimane per capire come organizzarmi e ora che le cose funzionano non metterò in dubbio…-
-Le cose funzionano? Le cose non funzionano, Derek! Hai distrutto la macchina contro un muretto, ok? È un miracolo che tu abbia solamente un polso rotto! Le cose non funzionano!- strepitò lei, con gli occhi lucidi.
-Cora calmati.- Isaac le afferrò i fianchi e controllò che i loro toni di voce non avessero disturbato qualcuno- Comunque io penso che abbia ragione. Hai dei ritmi troppo pressanti. So che vuoi fare il possibile per cavartela da solo, ma…-
-Permettici di aiutarti, Derek. Per favore.- intervenne la ragazza.
Il maggiore si strofinò una mano sulla fronte e prese un profondo respiro.
-Fate già abbastanza. Vi occupate di Dan tutte le sere, quando potete lo andate a prendere da scuola, non potete fare di più. Avete l’università e la vostra vita. Avete il diritto di uscire e divertirvi.-
-Ah davvero? Perché tu pensi che io possa uscire la sera con le amiche, quando so che probabilmente mio fratello sta rischiando di schiantarsi in auto perché ha ritmi umanamente impossibili da sostenere ed è troppo cocciuto e stupido per farsi aiutare?- affermò lei con un tono che sfiorava l’isterico.
-Non ci pesa stare con Dan, Derek. Amiamo quel bambino. Come puoi pensare che rischiare di fare un incidente sia la soluzione migliore?- domandò Isaac continuando a trattenere la ragazza.
-State esagerando. Ero stanco e stava piovendo, è capitato. È stato un caso.-
-Non è stato un caso. Ti rendi conto che a casa non ci sei mai? Che riesci a malapena a dormire?
Basterebbe che ti lasciassi aiutare da qualcuno, in modo da riuscire a fare le cose con più calma.-
-Non posso permettermi una baby sitter.- sibilò Derek.
-Il problema più pressante ora non è trovare una tata economica, è convincere te ad accettare di averne bisogno!- Cora alzò nuovamente la voce, mentre una leggera lacrima traditrice le rotolava lungo la guancia.
Isaac cercò di stringerla tra le braccia e le accarezzò la testa, ma lei si scostò bruscamente, strofinandosi forte gli occhi con la manica della felpa.
-Derek, lasciati aiutare. Se non vuoi farlo per te, pensa a Daniel, ad Isaac! Pensa a me.-
Il biondo continuava a fissarli, intanto che i due fratelli immergevano lo sguardo l’uno negli occhi dell’altro, portando avanti uno scambio di parole da cui Isaac era escluso.
Poteva quasi sentire il cuore di Cora battere frenetico e rimbombargli nelle orecchie. Derek accelerò il respiro e strinse il pugno. Il riccio era sicuro che stesse pensando a talmente tante cose da avvertire le tempie pulsare.
Si accorse che le gambe della ragazza avevano iniziato a tremare e rafforzò la presa per sorreggerla. Capì subito quali ricordi la stessero tormentando.
-Non pensarci. Non ora. È andato tutto bene questa volta.- le mormorò all’orecchio.
Quando Derek aprì la bocca per parlare, il corpo di Cora s’irrigidì di colpo e Isaac intrecciò le dita alle sue.
-Va bene, avete ragione. Troverò una soluzione.-
 
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-Stiles! Stiles!- il ragazzo rivolse lo sguardo verso il basso e incontrò due enormi occhi scuri che lo fissavano curiosi.
-Non c’è Daniel oggi?-
-No Seth. Mi dispiace.-
Il bambino fece una piccola smorfia di disappunto e corse verso Danny che stava distribuendo biscotti.
Era davvero strano non trovare la presenza silenziosa di Daniel. Da quando la scuola era iniziata non era mancato neanche una volta ed era una sensazione assurda non vederlo ridere in compagnia del suo migliore amico.
Probabilmente però si era solamente ammalato, molti bambini erano colpiti dall’influenza in quel periodo dell’anno. Non era il caso di preoccuparsi, stava diventando paranoico.
Odiava non riuscire a dominare le emozioni e lasciarsi sempre travolgere da esse come un fiume in piena. Il fatto era che avvertiva un senso di protezione talmente forte per quel bambino da non poter fare ameno di domandarsi se stese bene o meno.
 
 
La mattina dopo arrivò in anticipo. Durante la notte c’era stato un forte temporale e non era riuscito a dormire tranquillamente. Entrò dentro all’asilo e saluto miss Brown, l’addetta alle pulizie, poi si diresse a sistemare alcune cose attendendo l’arrivo delle otto e mezza.
Poco dopo vide attraverso il grande pannello di vetro una macchina argentata parcheggiare affianco alle auto di Lydia e Danny.
Riconobbe subito la vettura di Cora e si aspettò di vederla uscire seguita dal nipote, poi però notò Derek seduto al lato del passeggero.
Vide i due fratelli bisticciare per qualche minuto e il bambino ridacchiare quando il padre faceva delle smorfie o arcuava esageratamente le sopracciglia, imitato dalla ragazza.
Qualche secondo dopo Derek scese dall’auto e aprì la portiera per aiutare il figlio e scendere.
Stiles distolse velocemente lo sguardo per poi fingersi sorpreso dell’arrivo dei due. In realtà un po’ lo era, era convinto che Daniel fosse malato e di non rivederlo prima di tre o quattro giorni.
Il bimbo però sembrava particolarmente felice e varcò la soglia quasi saltellando, trascinando il suo pupazzo a forma di lupo per una zampa.
-Ehi ciao! Tutto bene piccolo?-
-Sì, io sto bene.- rispose lui continuando a fare piccole piroette.
-Che stai facendo?- domandò perplesso Stiles a Derek dopo averlo salutato.
-Io? Niente.-
-Allora perché sei in quella posizione assurda?-
Insegnante d’asilo e alunno fissarono Derek che stava girato di lato, torcendo le spalle, in modo da risultare di profilo.
Il moro cambiò posa con uno scatto nascondendo però sempre il lato destro del corpo.
-Sei sicuro che vada tutto bene, Derek?-
-Certo- rispose immediatamente quest’ultimo indietreggiando con una mossa fulminea quando Stiles avanzò nella sua direzione.
-Cosa ti sei fatto in viso?-   esclamò notando i vari cerotti e il lungo graffio che percorreva la tempia.
-Nulla.-
-Derek.-
-Non sono affari che ti riguardano. -ringhiò lui continuando a scostarsi.
-Sei sempre il solito scorbutico.- mugugnò l’altro.
-E tu non sei mai capace di farti gli affari tuoi.-
Entrambi si voltarono verso la vetrata e videro Cora che li stava fissando, per poi lasciare cadere la testa contro il volante, esasperata. Dovevano essere davvero comici visti da lontano.
Il più piccolo che gesticolava senza sosta e l’altro che sgusciava via da ogni tentativo d’avvicinamento, tentando disperatamente in tutti i modi di nascondere il lato ferito.
-Stiles non mi toccare.- abbaiò, quando gli posò una mano sul braccio sano.
-Volevo solo accertarmi che stessi bene.-
-Ripeto: non sono affari tuoi.-
-Va bene, va bene.- si arrese l’altro -Orso sociopatico.- borbottò poi a bassa voce.
Derek lo guardò in cagnesco e andò a salutare il figlio, muovendosi sempre il quel modo ridicolo. Stiles lo fissò con noncuranza, spiandolo di sottecchi: ora era completamente scoperto, nessuna possibilità di fuga. Era il momento di agire.
Aggirò la figura di Derek, deciso a scoprire cosa nascondesse e -Ah ah!- esclamò afferrandogli la spalla.
Il moro sibilò e si ritrasse come scottato per poi girarsi di fronte a Stiles.
-Oddio! Oddio! Hai il braccio rotto! Oddio, scusami! Non volevo, non lo sapevo! Oddio!-
Derek quasi ruggì.
-TI ricordo che siamo dentro ad una scuola materna, sono presenti dei bambini che potrebbero rimanere traumatizzati a vita e che l’omicidio è punibile anche con l’ergastolo.-
Il più grande sbuffò aria dalle narici, sembrava un toro infuriato dentro l’arena pronto ad incornare il torero.
-Ho fatto un incidente in macchina.- borbottò poi -Contento?-
-Certo che no! Scusami. Spero non si sia fatto male nessun altro.-
-No, ero solo in auto ed ho praticamente sfondato un muretto. Nessun essere vivente danneggiato.-
-A parte te.-
-A parte me.-
-Ecco perché sei arrivato con Cora questa mattina.-
-Già, mi porta lei al lavoro, non posso guidare con un polso rotto e la mia Camaro non è in buone condizioni.-
-Immagino il dolore. Devi essere uno di quei tipi che mentre pulisce l’aiuto le sussurra parole dolci.-
-Quanti telefilm ti guardi, santo cielo?- esclamò l’altro esasperato.
-Forse sei tu che non ne guardi abbastanza.-
-Ne dubito e ad ogni modo sono in ritardo. Devo andare.-
-Okay, sourwolf. Fai attenzione, mi raccomando!-
-Come mi hai chiamato?-
-Ho notato che quando fingi di minacciarmi o t’innervosisci per qualcosa hai reazioni molto, come dire, animalesche. Sembri un lupo scontroso. Mi piace questo soprannome, è adatto a te.-
-Ripeti un’altra volta quel nome e al posto del muretto la prossima volta ci sarai tu.-
-Chi è che si rivolge in questo modo all’insegnante del proprio figlio?!-
-Stiles, quando mai abbiamo avuto un comune rapporto insegnante- genitore?-
-Ah! Allora lo ammetti! Oddio lo sapevo, lo sapevo!- Stiles emise dei gridolini improvvisando una strana danza-Vedi che non sei così misantropo come vuoi far cred…-
Il pallido naso all’insù del castano si schiantò dolorosamente contro la porta che il moro aveva appena chiuso.
-Scusa.- gli mimò questi con un ghigno attraverso la porta a vetri, mentre l’altro si reggeva il naso.
 
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Quando giunse il momento di riportare a casa i figli fu Isaac ad accompagnare Derek alla scuola.
Il biondo entrò ciondolando e corse incontro a Daniel che fece lo stesso gesto.
-Ehi piccoletto. Guarda cosa ti ho portato.- esclamò, caricandosi il bambino sulle spalle.
Immerse una mano nella tasca della giacca e tirò fuori una barretta al cioccolato bianco.
-La mia preferita! Grazie zio Isaac!-
-Di niente nanetto.- rispose lui facendogli il solletico e reggendolo per una gamba.
-Isaac fai attenzione.- lo ammonì Derek.
-Sì, Derek. Stai tranquillo. Ogni giorno che passa assomigli sempre di più ad una quarantenne ansiosa. Io e Dan ce la caviamo alla grande.-
Stiles lasciò che fosse Danny ad occuparsi di loro. Si era sentito enormemente agitato per tutto il pomeriggio. Gli era balenata in testa un’idea assurdamente folle e non sapeva se esporla a qualcuno o tacere. Derek lo avrebbe sicuramente ammazzato questa volta. Forse la cosa giusta era parlarne con Cora. Però se Derek per qualche malaugurato caso ne fosse venuto a conoscenza lo avrebbe ucciso comunque e in modo doloroso.
 Probabilmente la cosa giusta da fare era starsene zitti. Decisamente.
Ma d’altronde lui era Stiles. Quando mia faceva cose normali?
Non poteva ignorare la situazione e stare con le mani in mano, non era da lui.
Beh, in ogni caso poteva prendersi un paio di giorni per rifletterci e…
-Derek posso parlarti?- Oddio. Era stato lui a parlare? A giudicare dalle tre paia d’occhi che avevano rivolto l’attenzione verso di lui sì.
Accidenti! Perché il suo collegamento cervello-bocca doveva sempre andare in blackout nei momenti meno opportuni?
-Dimmi. Spero che questa cosa del “posso parlarti cinque minuti” non diventi un’abitudine.-
-Oh.- aggiunse immediatamente- Sei più agitato del solito. Non hai neanche fatto la tua solita smorfietta sarcastica. Devo preoccuparmi?-
-In realtà sì.-
-Oh santo cielo.-
-Veramente, Derek? Veramente?-
-Che cosa?-
-Uno come te che esclama “santo cielo”? Mi aspettavo qualcosa di più virile.-
Il moro sbuffò- Vuoi deciderti a parlare?-
-Okay, okay. Stavo cercando di prendere tempo. Ehm ecco, vedi, so che non sono fatti miei. Hai reso questo concetto molto chiaro, te lo assicuro. È che proprio non riesco a non impicciarmi. Sono molto affezionato a Dan, tengo a lui, perché sai abbiamo storie simili e lo capisco.-
Derek inarcò le sopracciglia.
-E ora cosa volevi dire arcuandole in quel modo, eh? Cos’era? Sorpresa? Disappunto? Confusione? “Non me ne frega assolutamente nulla?”-
 -Stiles, prosegui.-
-Sì, sì. Un attimo. Stavo dicendo, ho questo costante bisogno di proteggerlo e so che tu sei un bravo padre, Derek. Credimi. Le riconosco queste cose e so che faresti di tutto per lui. Non m’importa cosa pensi tu.- aggiunse quando vide l’altro pronto a ribattere.
-E alla fine anche tu non sei così male. Cioè sei un orso delle caverne che ringhia e borbotta, ma sto imparando a capirti, davvero. Beh comunque so che fai fatica a fare tutto, che vai sempre di fretta e che Cora ed Isaac ti aiutano come possono, ma hanno l’ultimo anno di università e devono studiare e…-
-Chi ti ha detto queste cose?-
-Oh. Me ne ha parlato Cora. Non alterarti! Placati! Non mi ha rivelato fatti strettamente personali o informazioni segrete! Mi ha solo accennato la situazione. So solo questo davvero!-
Derek sospirò ancora contrariato appuntandosi di fare un bel discorsetto a quell' impiastro della sorella.
-Insomma, ciò che sto tentando di dirti è che io finisco di lavorare più o meno sulla cinque, massimo cinque e venti e non è che abbia cose di vitale importanza che mi tengono impegnato al pomeriggio…quindi potrei…occuparmi…di…Daniel.- mormorò strofinandosi i capelli con una mano.
Derek lo fissò per cinque minuti buoni con una delle espressioni più inquietanti che Stiles gli avesse mai visto.
-Io accetterei.- s’intromise Isaac.
-Ehi doveva essere una conversazione privata! Stavi origliando.- gli borbottò il castano.
-Fino a prova contraria tu hai pronunciato il mio nome. Era normale sentirsi tirati in causa. All’inizio pensavo che volessi semplicemente chiedergli di uscire, ma…-
-Isaac chiudi quella…-ruggì Derek rianimandosi.
-Chiudi quella bocca, lo so. Lo so. La frase cult della mia vita.-
 
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-Quindi ne parlerai con Cora?- domandò Isaac buttandosi sulla vecchia sedia a dondolo che stava nella terrazza dell’appartamento di Derek.
-Penso di no.- ripose il moro
-Perché? È una grande occasione. Stiles è un bravo ragazzo e Daniel è affezionato a lui. Ti ha detto che sarebbe disposto a farlo gratis. Dove trovi un’altra persona capace di occuparsi così bene di Dan e che in più non pretende un soldo? Lui lavora con i bambini perché li adora. E lasciami dire che è strano forte. Chi sarebbe così felice di passare quasi un’intera giornata con un branco di marmocchi urlanti? Io credo che dovresti parlarne con lei.-
-Parlarne con Cora significherebbe automaticamente accettare.-
-Per quale motivo non vuoi farlo?-
-Hai mai sentito un insegnante dell’asilo che fa da baby sitter ad un suo alunno?-
-Okay, è un po’ strano. Parecchio. Ma non è nulla di male. Non è illegale. È lo stesso meccanismo degli insegnanti che danno ripetizioni al pomeriggio, suppongo.-
Derek piegò la testa, non pienamente convinto.
-E poi andiamo! Vuoi davvero continuare a lasciare Dan con la signora Smith? È una cara nonnina, per carità e cucina anche degli ottimi biscotti. Ma ha il vizio di stritolare le guance di chiunque e di fare domande imbarazzanti. Poi gironzola tutto il giorno con quelle orride creme dai colori improponibili spalmate in faccia. Davvero, rischi di provocare traumi indelebili a tuo figlio. È questo che vuoi?-
Derek rise e Isaac ne approfittò per rubargli la lattina di birra.
Ne prese un sorso e fece una smorfia schifata.
-Non capisco perché ti ostini ad assaggiarla se poi ti contorci come se avessi ingoiato cianuro.-
-La maggior parte dei miei parenti sono inglesi, Derek. Hai mai visto Inglesi disgustati dalla birra?-
-Più di quanti immagini in realtà.- disse lui serafico bevendone una sorsata.
-Beh, non c’è da stupirsene. Quella roba fa schifo. Vado a prendere una coca cola.-
Derek rimase a fissare il cielo con lo sguardo perso. Non sapeva cosa doveva fare. Ogni decisione sembrava sbagliata. Per lui la scelta giusta era rifiutare la proposta di Stiles. Era intenzionato a farlo. Allora perché fare la cosa giusta in quel momento appariva così sbagliato?
 
 
 
 
 
*Ho ovviamente dovuto tenere in considerazione che chi sta parlando è un bambino di quattro anni e mi sembrava davvero troppo strano e assolutamente non realistico fargli dire: sapevo che saresti arrivato.
Quindi ho brutalmente ucciso e tralasciato il periodo ipotetico e mi sono adattata al personaggio.
 
 
 
 
Note:
Eccoci qui! :)
Mi scuso di nuovo per il ritardo, ma con tutti gli impegni coordinarsi in tre è davvero complicato. :)
A proposito, se il capitolo vi è piaciuto ringraziate anche le mie beta perché il loro aiuto è daaaavvero prezioso.
Bene, come avevo già accennato questo è un capitolo di passaggio e mi serviva per introdurre gli eventi principali che daranno il via alla storia vera e propria.
Non ne sono molto soddisfatta, per questo sapere la vostra opinione sarebbe daaaavvero importante per me :)
Quindi spero che sarete così gentili da lasciarmi una recensione. Così io sarò felice e ci sarà più felicità nel mondo e con tutti i sorrisi nasceranno tante nuove fatine! Sì, ho appena finito di guardare un cartone della Disney con mio cugino di quattro anni, lasciate stare…
In ogni caso spero davvero di ricevere i vostri pareri!
Bene, il prossimo capitolo non dovrebbe arrivare fra molto. Non scrivo una data indicativa perché ho notato che non sono molto brava nel rispettare i tempi ahaha *grilli in sottofondo*.
Però dovrei riuscire a pubblicare entro due settimane.
Quindi niente, grazie a tutte le adorabili persone che hanno recensito il capitolo precedente *abbraccio* e grazie anche a chi ha inserito la storia in una delle tre categorie!
A presto! :)
 
 
 
 
 
                                                                                                                                  
 
 
 

 
  
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