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Autore: a_marya    09/07/2014    0 recensioni
Alexis ha una missione da compiere, affidatagli dal padre naturale: recuperare i capitoli di una storia scritta dallo stesso, prima che fosse assassinato. Quella storia, infatti, contiene informazioni preziose che qualcun altro, da qualche parte nel mondo, intende usare per smascherare l'Organizzazione, un gruppo di fanatici responsabili di molti omicidi, tra cui quello del padre di Alexis. Ma recuperare quelle pagine è tutt'altro che semplice: con l'Organizzazione sulle sue tracce, Alexis deve fare di tutto per restare nell'ombra, se vuole proteggere se stessa e coloro che le vogliono bene. Ma restare nell'ombra non sarà più possibile, quando l'enigmatico Alex e il brillante Giulio entreranno a far parte della sua vita e allora non le resterà che lottare per difendere se stessa e la memoria dei suoi genitori naturali...
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- E io sono felice di aver avuto l’opportunità di assaggiare questa prelibatezza prima di morire. Ma credo che non potrei morire davvero soddisfatta prima di sapere quello che avrei potuto scoprire, quindi cosa ne pensa di spiegarmi tutta la faccenda e poi farla finita? Visto che dovrò saltare il mio appuntamento, inutile tergiversare – lo prego alla fine, pregando di avere il tempo e la forza per compiere la mia ultima missione.
Lui sorride tra un boccone e l’altro e si accomoda meglio sulla sedia, forse pensando a come cominciare.
- Da giovane, mi sono sempre chiesto perché Dio permettesse tutte le ingiustizie del mondo. Perché tanti bambini morivano di fame mentre i criminali si crogiolavano nell’oro? Perché delle persone potevano spendere i loro soldi per rifarsi il viso mentre altre non potevano permettersi un’operazione vitale?
Immaginare un giovane Richelieu che si fa queste domande mi suscita una risata inconsulta, che mi sforzo di trattenere per non fargli perdere il filo. Proprio lui parla, che ora è diventato uno di quei mostri pieni di soldi? Lui che a detta di Jean Luis è sempre stato avido e calcolatore?
- Poi un giorno, il mio confessore del seminario mi da una risposta. Non è Dio che lo permette, ma gli uomini.
Continua la sua spiegazione in tono serio e accalorato che mi fa pensare con una stretta al cuore a Giulio, il primo giorno che l’ho conosciuto a lezione. Anche lui aveva spiegato le sue idee con la stessa foga, lo stesso convincimento assoluto che finiva col contagiare tutti quelli che ascoltavano e instillava il dubbio solo per riflesso all’entusiasmo che potevi leggergli negli occhi. Il paragone mi fa rabbrividire.
Dio, continua lui intanto, aveva creato un mondo giusto ed uguale ma gli uomini volevano una vita più semplice e lo pregavano in continuazione. Allora Dio decise di accontentarli e permise che un piccolo popolo che più degli altri aveva dimostrato di avere a cuore la giustizia, cioè i romani, diventasse il più potente della terra conosciuta, nella speranza che questi diffondessero il suo messaggio.
Quelli, invece, non solo non capirono il dono di Dio e continuarono nella loro scempia via pagana ma più conquistavano, più cercavano altri popoli da assoggettare, fino a quando ebbero conquistato tutto il mondo che già conoscevano. Anche allora però la loro ingordigia non gli permise di fermarsi e così due squadre, formate dai migliori centurioni di ogni dove, vennero formate e inviate a scoprire nuove terre da conquistare, una attraverso gli insormontabili monti che separavano Europa e Asia e una a solcare il mare infinito dell’oceano Atlantico.
La squadra che cercò di conquistare l’Asia fallì ma venne comunque ricordata, mentre la squadra che venne inviata per mare compì la sua opera, scoprì una nuova, enorme e ricchissima terra da conquistare ma scomparve alla memoria del mondo.
- Riesce a capire, signorina Blendell? Mesi e mesi di mare aperto e di stenti perché i viaggi in mare dell’epoca erano pieni di tormenti, e quando finalmente l’obiettivo è raggiunto, nessuna traccia ricorda quegli eroi.
Il tono di Richelieu è decisamente più tranquillo di quello di Terenzio ma anche nella sua voce si percepisce la rabbia e lo sdegno, quasi fosse stato lui tra quelli abbandonati su quella costa.
Prima di potermi fermare, faccio la domanda che da troppo tempo mi faccio senza riuscire a trovare una risposta, ormai assorbita nel racconto che è l’origine di tutti i miei mali.
- Ma perché tanto scalpore? In fondo sono stati lasciati in una terra ricca, avrebbero potuto vivere una bella vita sulle coste americane. Perché la vendetta?
Richelieu ride sommessamente e sorride, come il maestro che si sente fare la solita domanda scema ma risponde ogni volta con pazienza, comprendendo la difficoltà del piccolo alunno. E il magnetismo di Richelieu è talmente tanto, che quasi mi sento davvero l’alunna sveglia che per prima ha il coraggio di fare la domanda scontata.
- Lei non deve pensare in termini moderni, dove ognuno è il proprio re. Quegli uomini hanno sacrificato tutta la loro esistenza a un uomo che non hanno mai visto ma che amavano come un amante folle solo perché è l’imperatore. A quegli uomini era stato insegnato fin da quando erano in fasce che l’unica cosa che contava era la considerazione del più alto sovrano, che una sola parola dell’imperatore doveva spingerli a sacrificare la propria vita. Per quegli uomini Roma era la vita stessa.
Fa una piccola pausa per riprendere fiato, parlando lentamente, come a una bambina piccola e il suo tono, insieme alla banalità della risposta, mi fa vergognare di non averlo capito prima. Per me è così inconcepibile adorare un uomo sconosciuto, che non ho mai provato ad immaginare cosa volesse dire per quei centurioni essere lasciati lì. Non che capire mi faccia desiderare di distruggere il resto del mondo però.
- Come si sentirebbe se sua madre la mandasse in qualche buco sperduto dell’universo con la promessa di raggiungerla e poi sparisse lasciandola lì per sempre, sola e lontana da tutto quello che ha sempre conosciuto e amato, dalla sua famiglia, dalla sua sposa, dai suoi figli, dalla sua casa? Lei non odierebbe quella madre, non spenderebbe ogni minuto restante della sua vita per vendicarsi di quel torto?
L’esempio mi rende perfettamente l’idea e annuisco senza accorgermene, finalmente comprendendo quella sete di vendetta. Ma troppe cose ancora non sono chiare.
- Perché i romani preferirono dimenticare quella terra così piena di risorse?
Mi sento un po’ stupida a fare altre domande, come a una lezione di storia, ma ormai la curiosità ha preso il sopravvento. In fondo questa è la storia che cercava mio padre e volente o nolente, questa storia è diventata parte integrante della mia vita. Mi sento come un orfana che finalmente trova un vecchio amico dei suoi genitori. E devo prendere più tempo possibile, per dare la possibilità ad Alex di raggiungermi.
- Immagini cosa deve aver suscitato nei romani scoprire che un popolo molto più antico di loro aveva costruito opere maestose come le ziggurat. Che un popolo che viveva della sola terra aveva oro a non finire. Tutto questo i centurioni lo avevano descritto nella lettera che inviarono con la loro unica nave, nonché unica via di fuga, di nuovo a Roma e così si condannarono a morte.
- Quindi la scoperta sensazionale non era un’erba dal potere miracoloso? – insisto, quasi dimentica ormai anche della minaccia della bomba nascosta sotto la giacca. Quasi.
- No, anche se quell’erba non fece che aumentare l’agitazione dei romani, che decisero di nascondere ogni traccia di quelle sventurato viaggio e raccontarono della pianta velenosa a quei pochi che sapevano troppo e che non si potevano eliminare. Capisce? Non solo il tradimento di essere dimenticati lì a morire, ma anche quello di essere dimenticati dalla storia, l’unica gloria che avrebbe potuto essere di conforto a quei poveri soldati.
Mi astengo dal far notare che comunque dall’America i centurioni non avrebbero mai saputo di essere diventati famosi o meno, perché temo che un’obiezione possa far perdere quest’aria di fervore che si irradia dal cardinale e riempie la stanza. Forse mentre è in questa specie di trance riesco a farlo parlare dell’arma chimica.
- Quindi anche i suoi uomini hanno saputo delle informazioni distorte… - insinuo, sperando di non forzare troppo le cose.
Per fortuna il cardinale sorride e non sembra agitarsi per quel cambio di argomento.
- Se si riferisce ad alcuni documenti che ho redatto, ebbene sì. Il potere della leggenda è molto più grande di quanto si immagini e se erano convinti che la scoperta miracolosa fosse stata quella pianta l’avrebbero cercata con più impegno. E comunque era una bugia parziale e a buon fine.
- Buon fine? – domando, scettica. Quest’uomo è completamente cieco all’evidenza ma addirittura dire che il suo è un buon fine…
- Certo, mia cara. Il nostro obiettivo è quello di ripulire il mondo dal peccato dei romani. Quando Dio vide cosa avevano fatto i romani a quegli uomini capì che l’umanità non era capace di agire secondo giustizia e decise di punirli con la stessa moneta.
Vedendo che non capisco, perché proprio non capisco di che cavolo sta parlando, cerca di spiegarsi meglio.
- Se lei fa un torto a qualcuno qui, domani un bambino innocente morirà lì. Capisce cosa hanno fatto?
Io però resto perplessa. Insomma questo pazzo si è convinto che Dio sia un bambino capriccioso e che segua la legge “occhio per occhio, dente per dente”? E’ questo che un cardinale della Chiesa cattolica predica? È la cosa più ridicola che abbia mai sentito.
Visto che non rispondo, il Cardinale riprende la sua spiegazione, sempre con lo stesso tono impettito del gran professore.
- Fu lo stesso centurione Rofferwaak a scrivere nel suo diario che il suo più grande desiderio sarebbe stato annientare i romani con quell’erba che Roma aveva volutamente ignorato, nonostante la sua forza. Io mi sono limitato ad eseguire gli ordini.
Per un momento l’orrore sostituisce la curiosità. Come può un uomo colto e di religione come un cardinale, convincersi di dover eseguire gli ordini di un altro povero diavolo? Quel centurione deve aver raggiunto il delirio mentre scriveva, affranto dal tradimento che Richelieu mi ha spiegato così bene, e posso anche capirlo.
Ma tutti questi uomini che si sono convinti di esserne gli eredi, che scusa hanno? Come può una sola mente umana distorta riuscire a portare alla sua causa un numero così grande di adepti?
- In che modo? – domando comunque, trattenendo un moto di esultanza. Finalmente siamo arrivati al punto.
Lui non risponde subito, si crogiola qualche istante nell’autocompiacimento e io ne approfitto per provare a fare qualche passo nella stanza, per capire quante possibilità ho di avvicinarmi alla porta. Il cardinale però non sembra nemmeno accorgersi che mi sono spostata e questo mi fa tirare un enorme sospiro di sollievo, anche se dall’altra parte il silenzio è ancora assoluto.
- Vede, signorina, in questi anni le mie industrie hanno portato un sacco di medicine in giro per il mondo. Ma hanno anche contribuito a un altro scopo, cioè fare degli esperimenti sull’erba che Rofferwaak aveva scoperto. La pianta dei centurioni era infatti un allucinogeno che eliminava la percezione del dolore e donava un’apparente forza fisica. Quell’erba era infatti straordinaria per l’epoca ma col progresso il suo potere distruttivo era simile alla marijuana. Niente che oggi potrebbe distruggere più di qualche neurone.
Forse ispirato dai miei pochi passi di prova, anche Richelieu comincia a camminare lentamente per la stanza, sorseggiando il suo bicchiere di champagne, o forse vino pregiato, che io non ho ancora assaggiato.
- Se volevo accontentare il nostro antenato, dovevo fare in modo che quella pianta diventasse un’arma e per molti anni ho speso tempo ed energie a trovare la maniera perfetta, grazie anche all’aiuto di un gruppo estremamente ferrato in fatto di scienza…
- Pyrus. Gli uomini di Pyrus, giusto? Li ha fatti lavorare per lei per sfruttare le loro conoscenze e quando non le servivano più…
- Précisément, signorina. Il loro scopo in fondo era servire la scienza, oltre quello non avevano altro, quindi erano inutili. E poi dovevano pagare a loro volta il tradimento. Proprio come i romani, quando hanno capito l’importanza di quello che Rofferwaak aveva lasciato, hanno cercato di cancellarlo, addirittura distruggerlo. Erano il primo passo per la vendetta finale.
Ora il suo sguardo è più esaltato di quegli assassini che raccontano di aver mangiato la madre perché il peluche gli ha detto che era cattiva. Ma più della follia nascosta in quegli occhi intensi, è la tranquillità e la fermezza con cui afferma le sue manie che mi fa rabbrividire ancora una volta, simbolo della sua depravazione forse più dell’espressione invasata dei predicatori per le strade dell’America.
- Adesso finalmente, grazie anche al loro aiuto, quella pianta è pronta per uccidere lo scempio prodotto dei romani e ricreare un mondo uguale e giusto come lo aveva inteso Dio.
Si ferma per un altro sorso di liquido ambrato e io ne approfitto per lanciare un’occhiata veloce alla porta. Oltre quella porta il corridoio è breve e poi solo la porta d’ingresso mi separano dall’aria aperta, dove so che la radio funziona. Sempre se il problema è un blocco delle frequenze.
Comunque, ad occhio e croce sono una quindicina di passi da qui alla porta e le probabilità che Rosita sia fuori appostata sono poche, non aveva l’aria dell’agente segreto. Mi basterebbe un minuto per precipitarmi fuori… ma potrebbe essere troppo. E la porta di ingresso sarà probabilmente sprangata.
Forse invece quella portafinestra… sarà molto più pericoloso lanciarmi attraverso i vetri ma di certo più veloce.
Oppure potrei spingere il Cardinale stesso nella portafinestra, così si taglierebbe lui al posto mio e mentre si toglie i vetri di dosso, io avrei il tempo di nascondermi nel buio dei cespugli il tempo sufficiente per ripetere quello che scoprirò nel microfono…
- E’ stato un lavoro lungo e penoso, ma ammetto di essere molto soddisfatto del risultato. Ormai è questione di giorni e tutto il mondo conoscerà gli eroici centurioni e l’origine dei nostri mali, prima di perire per quella colpa – continua intanto Richelieu, girandosi verso il camino spento e mettendosi così di profilo a me.
Mentre lui parla, cerco di decidere il modo migliore per sorprenderlo e usarlo per rompere la portafinestra. Dovrei riuscire a fare in modo che si piazzi proprio davanti e poi colpirlo di sorpresa. Forse potrei fingere un tentativo di fuga. Lui mi si parerebbe davanti e di certo non si aspetterà che lo spinga di lato invece che indietro…
- Tra meno di una settimana, lo speciale veleno che ho preparato si diffonderà attraverso tutte le tubature di ogni casa grazie alle reti fognarie. Nessuno si accorgerà della differenza dell’acqua perché i primi effetti sono quelli originari della pianta, allucinogeni, con un senso di benessere generale. Quando cominceranno ad avvertire i primi sintomi sarà troppo tardi, perché non esiste un antidoto e non ci sarà il tempo di sperimentarne uno efficace…
La risata di Richelieu non ha più niente di magnetico e sembra invece lo squittio di un folle. Mi sembra di sentirla sulla pelle come una sciame di insetti e istintivamente mi strofino le braccia, per allontanare quest’impressione disgustosa. Persino il mio bambino si rivolta nella pancia per il disgusto.
- Quindi è questa la vostra vendetta. Un veleno sciolto nell’acqua – riassumo, cercando le parole più brevi adatte a spiegare il punto quando sarò fuori da qui.
- Sì, proprio come si usava all’epoca dei romani. Lo sapeva? Per diffondere le malattie si lasciavano i cadaveri o i loro abiti nelle acque dei pozzi e dei fiumi per appestare l’acqua. Rofferwaak sarebbe orgoglioso del piano.
Per fortuna non devo nemmeno incalzarlo con altre domande perché Richelieu è ormai in preda alla foga del suo stesso racconto e si accorge a mala pena che mi sposto lentamente nella stanza, di modo da lasciare il cardinale tra me e la portafinestra. Ora devo solo aspettare il momento…
- Uno speciale container elettronico che ho fatto piazzare in ogni città con un diga che affluisce nel sistema fognario aprirà la valvola direttamente nelle acque. Sarà questione di giorni prima che tutte le tubature si riempiano di veleno.
- Quindi i container sono già al loro posto. Chi ha il controllo del sistema?
Richelieu ride di nuovo.
- Ma io, naturalmente. Dopo tutti i miei sacrifici, mi sembra di meritarmi questo onore. Custodisco il sensore personalmente da quasi un mese e non vedo l’ora di utilizzarlo. Sarà il più grande spettacolo che l’umanità abbia mai visto, solo i più poveri sopravvivranno, perché non hanno le fognature. Capisce? Si salveranno proprio perché arretrati!
- E se io la uccidessi proprio adesso? – lo minaccio, prima di riflettere davvero, estraendo la pistola dalla fondina sulla schiena così velocemente da sorprendere anche me.
La tengo puntata dritto di fronte a me e cerco di sorridere fredda  come Yvonne per risultare più minacciosa possibile. In realtà non voglio davvero ucciderlo ora ma voglio sapere come ha previsto che il suo progetto prosegua nel caso in cui… be’ gli fosse successo qualcosa. Deve pur aver considerato, se non altro, la possibilità di un incidente o di un malore. Anche se, sfortunatamente, di rado Dio interviene a rendere le cose più facili in casi come questi.
Richelieu infatti si limita a guardarmi e sorridermi, con aria accondiscendente.
- Suvvia signorina, dovrebbe sapere che non le basterà uccidermi per salvare il suo prezioso mondo. Ci sono molti uomini addestrati a completare qualsiasi operazione senza di me e il sensore è programmato per dare il segnale automaticamente tra due settimane e le assicuro che non riuscirebbe mai a trovarlo in questo breve tempo. Perciò da brava, metta via quell’orribile arnese.
La sufficienza con cui tratta la mia minaccia mi fa quasi venire voglia di sparargli ugualmente. Al diavolo la bomba e al diavolo il sensore, tanto moriremo tutti ugualmente.
Ma poi la voce di Juno mi arriva da qualche zona recondita del cervello e mi impone la calma.
Devo condurre il gioco, sapere in anticipo le prossime mosse, il che vuol dire seguire fedelmente il piano. E il piano prevede che riesca ad uscire da questa maledetta stanza almeno il tempo necessario a ripetere tutto quello che ho scoperto nel microfono, nella speranza che forse Lucas possa sentirmi di nuovo…
- In realtà, cardinale, come mi ha appena fatto notare, che lei viva o muoia è indifferente, tanto il mondo salta lo stesso. Quindi perché non dovrei prendermi almeno la soddisfazione di toglierla di mezzo con le mie mani?
Mentre parlo tuttavia non penso alla sua risposta ma cerco di calcolare l’angolazione necessaria per poter usare il corpo di Richelieu come ariete per la portafinestra. È più grosso di me e di certo più pesante, quindi per buttarlo all’indietro mi servirebbe una rincorsa e così svelerei il mio piano. Quindi devo trovare un altro modo.
Devo riuscire a far sì che sia io a trovarmi tra lui e la portafinestra e poi istigarlo fino a che mi si lanci addosso per aggredirmi. Così se riesco a spostarmi al momento giusto, lui finirà dritto nella portafinestra e la romperà col suo peso mentre io potrò uscire scavalcandolo…
Lentamente, mentre lui risponde alla mia domanda, mi avvicino, sforzandomi di non tremare col braccio che impugna la pistola e ringraziando di aver estratto una di quelle che mi ha dato Lucas, che pesano circa un decimo della mia. Se avessi avuto la mia pistola in mano, ora dovrei già massaggiarmi il braccio e la cosa non farebbe molta paura.
- Vista così, in effetti, non sembrano esserci molte ragioni per lasciarmi in vita. Avanti allora mi spari, così si sarà tolta la sua soddisfazione e il mondo potrà andare avanti. O tornare indietro, a seconda dei punti di vista.
Il sorriso gelido che accompagna quest’ultima frase lo fa sembrare così simile a sua figlia, quella strega rifatta, che per poco non mi metto a ridere. Chissà cosa avrebbe detto Yvonne se si fosse resa conto di non essere altro che una pallida imitazione di suo padre.
Con passo morbido per quanto me lo permetta la tensione, mi avvicino fino a sfiorargli la tempia con la canna della pistola, quindi gli giro intorno come per intimorirlo, arrivando in realtà a raggiungere il mio punto “X” tra Richelieu e la portafinestra, pregando con tutto il cuore che funzioni.
- Prima mi tolga un’ultima curiosità. Quale abominio di donna ha mai acconsentito a diffondere la sua progenie maledetta?
Mentre lui è distratto per rispondere, lo colpisco più forte che posso con il calcio della pistola, senza molte speranze di colpirlo davvero. Infatti Richelieu schiva il colpo con dei riflessi inimmaginabili per la sua stazza e, come previsto, si lancia istintivamente contro di me, per restituire il colpo.
Cercando di non pensare e lasciar fare all’istinto come mi ha insegnato Juno, mi butto a un lato, con gli occhi chiusi per evitare, nel caso, qualche scheggia, e solo il suono secco del vetro che si frantuma sotto il peso del cardinale mi conferma che almeno la prima parte del mio piano è riuscita.
Prima di dare il tempo al mio avversario di riprendersi, mi lancio fuori, saltando sul corpo di Richelieu che cerca di proteggersi il viso mentre si toglie i frammenti di vetro di dosso, e mi fiondo, quasi rotolando, nel più vicino cespuglio in ombra.
Quello che non avevo calcolato è che dopo tutto quel tempo nella stanza illuminata anche io, come il mio avversario, sarei stata momentaneamente cieca, così per qualche istante resto stesa immobile a pancia in giù, riprendendo fiato e ringraziando il Signore, in attesa di riuscire di nuovo a distinguere le forme. Almeno una parte è riuscita. Ora devo solo riuscire ad allontanarmi abbastanza nel buio per avere il tempo di riferire tutto prima che mi spari a vista.
Quando l’ombra dei rametti comincia ad acquistare una forma un po’ più nitida, comincio a strisciare molto lentamente all’indietro, muovendo appena la testa per individuare il cardinale, fino a quando lo trovo ancora davanti all’ex portafinestra, intento a scrutare il buio alla mia ricerca.
Mi blocco, temendo che qualche rametto possa rivelare la mia posizione, ma lui sembra concentrarsi su un altro punto, poco alla mia destra.
- Non sia ridicola signorina Blendell, sappiamo entrambi che la troverò e la ucciderò. Non le piacerebbe morire almeno con un po’ di dignità? – mi sbeffeggia Richelieu, scrutando tra le ombre.
Io però avverto la tensione nella sua voce e sorrido, rispondendogli mentalmente a tono. Davvero crede di uccidermi facilmente come ha fatto con i miei genitori?
Vedendo che non intendo rispondere, Richelieu comincia a muovere qualche passo incerto verso i cespugli, continuando a guardarsi a destra e a sinistra mentre probabilmente anche i suoi occhi si abituano al buio, più lentamente dei miei a causa dell’età.
Cerco di appiattirmi ancora di più al suolo e intanto mi sforzo di ricordare la piantina della zona, per cercare di farmi un’idea di come muovermi. Non vorrei indietreggiare fino a finire nel lago, oppure girare intorno alla casa per ritrovarmi più vicina di ora al cardinale.
Fortunatamente, anche da questa posizione riesco a scorgere il bagliore fioco dei lampioni intorno al lago, a un centinaio di metri da me, e riesco quindi a orientarmi con maggior precisione. Se riesco a indietreggiare un po’ sulla sinistra, diciamo un ventina di metri, dovrei riuscire a comunicare nuovamente con Lucas, perché è la direzione da cui sono arrivata e ricordo di averci parlato chiaramente.
Lancio un’altra occhiata alla figura allampanata a pochi metri da me, che si guarda ancora intorno con aria irritata, restia ad allontanarsi dal breve fascio di luce che arriva dall’interno della stanza. Come mai ci mette tanto per venirmi a cercare?
Mi chiedo se per caso, mentre io ero dentro a parlare con Richelieu, i suoi uomini sono tornati e si sono appostati intorno alla villa,  ma scarto questa idea quasi subito perché se ci fosse stato qualcuno armato qui intorno, avrebbe di certo fatto fuoco mentre saltavo il cardinale alle prese con le schegge di vetro.
Ma allora perché non si allontana dal muro? Perché se ne resta lì a scrutare nel buio, ben sapendo che basterebbe qualche passo per vedere dove mi sono nascosta?
- Alexis, venga fuori prima di farsi male. Tutto il giardino intorno è pieno di trappole – mi avverte Richelieu intanto, con un tono quasi premuroso, sempre attento a non uscire dal cono di luce.
Per un momento il sangue mi si gela nelle vene. Che stupida! Delle trappole!
Subito dopo però mi rilasso appena, ricordando di aver visto quella che mi è sembrata una volpe saltellare tra l’erba. Evidentemente non ce ne sono poi così tante.
Questo però non mi aiuta a decidere come muovermi adesso. Maledizione, avrei dovuto immaginare una cosa del genere! Come faccio ora a muovermi?
Improvvisamente, una goccia fredda mi cola lungo il naso, facendomi trasalire. Solo per un pelo riesco a non emettere nessun suono. Mi tocco la scia bagnata ed ecco che un’altra goccia mi bagna il mignolo e poi un’altra la guancia. Finalmente mi rilasso e riprendo a respirare. È solo pioggia. Si è messo a piovere.
- Suvvia, Alexis, non vorrà bagnasi! – la voce di Richelieu vorrebbe suonare canzonatoria ma è anche terribilmente tesa e di nuovo mi chiedo cosa c’è che non va. Sembra quasi che abbia paura del buio…
All’improvviso un’intuizione mi illumina il cervello e quasi mi metto a ridere. Probabilmente il cardinale è convinto che il suo giardino sia letteralmente disseminato di trappole per animali perché ha ordinato a qualcuno di piazzarle, ma non sa esattamente quante ce ne sono, come non immagina che, ammesso che il giardiniere si sia davvero preso la briga di metterne quante ne immagina lui considerando quanto sia faticoso piazzare le trappole, il passaggio degli animali le ha ormai messe fuori uso. Ecco perché ormai gli animali passeggiano indisturbati e io sono arrivata qui incolume.
Inoltre, finchè resta nel cono di luce della stanza alle sue spalle, i suoi occhi non si abituano al buio e lui non riesce a vedere né me, né la mancanza delle temute trappole.
Pregando il Cielo con tutto il cuore che sia così, prendo a strisciare di nuovo lentamente all’indietro, mentre la pioggia comincia a cadere sempre più insistente e crea il tipico fruscio che copre i miei piccoli rumori. Infatti, Richelieu continua a guardare davanti a sé, cioè alla mia destra, senza accorgersi che mi sto muovendo.
Se riesco ad evitare di finire in qualche trappola ancora per pochi metri…
Quando finalmente riesco ad arrivare incolume a una distanza che mi sembra sufficiente, provo a sentire qualcosa nel microfono ma intanto la pioggia ha preso a scrosciare violentemente e copre un eventuale fruscio nel microfono.
A questo punto quindi, ormai bagnata fino al midollo e distesa in quello che ormai sta diventando un pantano, devo prendere una decisione. Se parlo nel microfono, dovrò usare un tono abbastanza alto da coprire il rumore della pioggia e Richelieu individuerà la mia posizione. Ma non posso restare qui per sempre, prima o poi starnutirò sotto quest’acqua gelida…
Un bagliore improvviso nella direzione del mio avversario mi distoglie momentaneamente dal dilemma e sporgo la testa per capire cosa l’abbia causato, poi mi appiattisco ancora di più nel fango, soffocando un’imprecazione.
Il bagliore che ho visto era il riflesso della luce nella stanza sulla canna di un fucile semplicemente enorme, che Richelieu deve aver imbracciato mentre io ero attenta ad indietreggiare senza incappare in qualche trappola.
Dannazione! Se mi prende anche solo di striscio con quel mostro, mi amputa un arto di sicuro. E non c’è niente qui intorno dietro al quale posso ripararmi anche solo un po’.
Col cuore in gola e i brividi di freddo che mi scuotono dalla testa ai piedi, cerco di valutare le possibilità di riuscire a girare intorno alla casa strisciando nell’erba ma scuoto subito la testa. Con tutta quest’acqua non riuscirei mai a coprire tutta quella distanza strisciando prima che sorga il sole.
Ma che alternative ho?
Uno sparo improvviso, più simile al decollo di un aereo, mi strappa un gemito.
- Non crede che sia scortese, signorina, lasciare un uomo della mia età a bagnarsi intanto che lei esce? – mi urla il cardinale, continuando a scrutare le ombre davanti a lui.
Anche se non riesco a vederlo bene a causa dell’erba e della pioggia fitta, non mi sembra che sia riuscito ad individuarmi, perciò credo che stia sparando a casaccio, sperando di strapparmi almeno un suono che possa aiutarlo. Il che mi porta a credere che davvero non ha intenzione di avvicinarsi a quello che pensa essere un campo minato, per mia fortuna.
Un altro sparo sovrasta intanto il rumore della pioggia, che pure cresce costantemente di volume.
Di questo passo tra mezz’ora, se un proiettile vagante non mi avrà perforato qualche organo vitale, dovrò alzarmi per non affogare nel fango. Maledizione!
Possibile che una cosa che mi era amica fino a poco fa si sia trasformata in un’arma a doppio taglio così velocemente?
Ancora uno sparo, questa volta molto più vicino a me.
Non posso continuare a reggere questo stallo. Devo distrarlo e mettermi a correre in una qualche direzione. Oppure potrei sparargli, senza ucciderlo ma ferendolo abbastanza perché non sia più una minaccia.
E poi potrei torturarlo fino a che parlerà e mi rivelerà dov’è il sensore.
Ok, non ho mai torturato nessuno e non sono sicura di riuscire a farlo. Però questo essere ha ucciso tutti quelli a cui tenevo e ha distrutto tutta la mia vita, almeno un tentativo sono sicura di riuscire a farlo. Ma come faccio a distrarlo? Se parlo non avrò tempo di spostarmi…
All’improvviso il mio cellulare si mette a suonare, strappandomi un grido e facendo saltare all’aria tutte le mie precauzioni.
Richelieu, avendomi finalmente individuata, si mette a sparare nella mia direzione una, due, tre volte e solo un miracolo mi consente di restare illesa a quei colpi. Il rumore della pioggia deve aver distorto un po’ la provenienza del suono.
Comunque, prima che la mia dose giornaliera di fortuna si esaurisca, estraggo in fretta il cellulare dalla tasca, sorridendo ironicamente al pensiero che per lo meno ora posso essere certa che nemmeno acqua e fango mettono lo fuori uso, e lo lancio il più basso possibile verso destra. Poi, prima ancora di scoprire se il mio stratagemma funziona, mi metto a strisciare più velocemente possibile verso sinistra, coperta dal frastuono degli spari del bazooka del cardinale e solo dopo qualche metro mi alzo ancora un po’ e cerco di correre carponi.
Quello che non avevo considerato, di nuovo, è che dopo tutto quel tempo distesa rigida sotto l’acqua gelida, il mio corpo sarebbe stato troppo intorpidito per reagire prontamente e così mi ritrovo a zoppicare, più che correre, soffocando i gemiti e il rumore dei miei detti che sbattono per il freddo.
Ovviamente non appena mi sollevo per correre Richelieu riesce finalmente a vedermi e comincia a sparare nella mia direzione ma di nuovo non riesce a colpirmi, tranne una volta e solo di striscio, poco sopra il gomito, e io continuo a correre più veloce possibile verso l’altro fianco della casa così da metterla tra me e il pazzo armato mentre io estraggo l’arma e prendo la mira.
Non appena dietro l’angolo infatti, estraggo la pistola, la punto davanti a me armando il cane e quando la figura di Richelieu supera lo spigolo faccio fuoco. Solo che, a differenza delle detonazioni del suo bazooka, la mia pistola non fa nessun frastuono assordante, né tantomeno “bang” come nei fumetti. Emetto solo un click sordo.
Solo click anche nel senso che a quel buffo rumore, appena udibile sotto l’acquazzone che ci investe sempre più violento, non fa seguito nemmeno la fiammata che mi aspettavo, né l’urlo di dolore di Richelieu.
Solo click e la risata isterica del cardinale.
Questa stupida pistola deve essersi bagnata nel fango e ora non spara più. Evidentemente non ha la stessa resistenza all’acqua del mio cellulare e nemmeno delle pistole dei film, che sparano anche sott’acqua. Dannazione!
La mia unica consolazione è che la situazione è così comica agli occhi del cardinale che, invece di spararmi subito, quello si mette a ridere come un forsennato, sparando un paio di colpi a casaccio col suo mostro perfettamente funzionante e colpendomi ancora una volta di striscio sotto l’anca destra e facendomi perdere l’equilibrio.
Se c’è una cosa buona nel fatto di essere bagnata di acqua gelida fino al midollo è che sono talmente intorpidita che la ferita non mi brucia quanto mi aspettavo e mi da anzi il tempo per avere un’idea.
Invece di rialzarmi e correre, sapendo di non avere più speranze contro quel mostro di acciaio che Richelieu continua a stringere tra le mani, mi stendo nel fango e mi stringo la zona colpita, cercando di impedire che il fango entri troppo a contatto con la ferita e fingendomi molto più dolorante di quanto sia in realtà.
Come speravo, Richelieu è ormai troppo oltre il limite della ragione per riflettere e quando smette di ridere tanto di gusto, punta l’arma nella mi direzione e mi si avvicina, con l’intenzione di finirmi una volta per tutte. Io invece, appena prima che spari il colpo decisivo, afferro con tutta la forza che mi rimane la canna del fucile con una mano e uso lo slancio per colpirlo con un pugno dell’altra mano sui genitali.
Sorpreso e dolorante, Richelieu si accascia su se stesso ma meno di quanto mi aspettassi e soprattutto senza mollare la presa sull’arma, così non mi resta che colpirlo di nuovo, più forte che posso, sulla gola col taglio della mano e poi sulla schiena con i gomiti.
Di nuovo però Richelieu dimostra una resistenza che non immaginavo e invece di crollare per terra, usa il fucile come un bastone e mi afferra con l’altra mano. Di riflesso, più che per un pensiero vero e proprio, gli conficco il pollice libero nell’occhio per liberarmi e, di nuovo più per istinto che per altro, corro alla cieca nella direzione opposta, verso il lago, più veloce che posso.
Solo quando arrivo sul molo di legno mi rendo conto di quanto sia stata stupida la mia idea ma ormai è troppo tardi.
Scendendo verso il lago non ho pensato che la riva è illuminata dai lampioni e ho perso il mio unico vantaggio, il buio.
Per un momento la delusione e la rabbia contro il mio stesso stupido istinto mi annebbia la vista e mi domando se a questo punto non sia meglio buttarmi in acqua e togliere a Richelieu almeno la soddisfazione di uccidermi.
Ma guardando l’acqua scura martellata dalla pioggia, una parte di me si ribella a un destino tanto misero. Non sono arrivata fino a qui per poi suicidarmi nelle acque di un lago, senza combattere.
Se è vero che stasera morirò, è anche vero che farò tutto il possibile per portarmi dietro Richelieu. In fondo, quante sono davvero le possibilità che Alex, ammesso che sia ancora vivo, riesca a rintracciare Richelieu e farlo parlare prima di due settimane?
Spinta da questa nuova ondata di risolutezza kamikaze, mi posiziono meglio che posso sul pavimento di legno, reso terribilmente scivoloso dalla pioggia e tremolante dal moto del lago, scosso a sua volta dalla tempesta.
Con lo sguardo fisso davanti a me per individuare il cardinale, estraggo i coltelli dal loro nascondiglio sotto la manica, sforzandomi di trovare la calma necessaria ad utilizzarli. I coltelli non sono come le pistole, non basta prendere la mira. È questione di calma, di lucidità e soprattutto di riflessi, cosa difficile per chi come me è rimasta quasi un’ora sotto la pioggia gelida che non accenna a smettere e offusca tutto intorno a me. Anzi, un tuono improvviso squarcia la notte, come a  voler affermare di forza la ferma intenzione di continuare a piovere ancora per un bel po’.
Ma visto che la prima pistola ha dimostrato di non essere resistente all’acqua, non posso rischiare che anche le altre due abbiano fatto la stessa fine, perciò non ho altra scelta che servirmi dei pugnali o portare il Cardinale al fondo del lago insieme a me, nella più teatrale delle conclusioni.
- Allora, signorina, credo che i giochi siano terminati. Ha pensato a cosa dire ai suoi genitori? – mi sbeffeggia la voce del cardinale, finalmente arrivato a pochi passi da me.
A vederlo ora, anche lui bagnato fino al midollo e col respiro grosso, non ha più niente di affascinante o magnetico. Sembra solo un vecchio pazzo, con il sorriso leggermente storto, gli occhi allucinati e una ferita sanguinante alla gamba che lo costringe a zoppicare a sua volta.
Non posso fare a meno di ridere. Considerando che io non l’ho ferito, l’unica spiegazione è che sia incappato in una delle sue temute trappole. Troppo divertente!
Lui risponde alla mia risata (che a dire il vero sembra alquanto invasata a mia volta) con un sorriso gelido e inquietante e quella luce folle negli occhi. Come ho fatto a non notarla prima?
- A dire il vero non ho molto da dirgli, non li ho mai conosciuti. Lei invece, non vorrebbe lasciarmi qualche messaggio di scuse? O una parola per sua figlia?
Questa volta è lui a ridere, alzando la testa al cielo, incurante della pioggia. Sembra così artificiosamente fuori di testa, in questa posa melodrammatica, che per un momento mi sembra di essere sul set di un film.
Lentamente Richelieu si ricompone e torna a fissarmi sorridente ma al tempo stesso serio. Crudele, è l’aggettivo giusto per descrivere la sua espressione mentre mi punta il fucile contro e si avvicina lentamente a me, costringendomi ad indietreggiare, più che altro per riflesso.
- Sono un uomo di chiesa, signorina, sono convinto che la morte risponda a tutte le nostre domande. Mia figlia sa perché l’ho fatto.
- E come la mettiamo col Grande Capo lassù? Non ha delle scuse nemmeno per lui? Non ha paura dell’inferno?
Lui mi osserva in silenzio per un po’, senza accennare ad abbassare l’arma, e intanto cerco di pensare a come colmare la distanza che ci separa per poterlo colpire col coltello. Un’altra differenza tra armi a lama e pistole è che con i coltelli devi per forza essere vicino per colpire.
- E’ stato Dio stesso a permettermi di compiere la mia opera, come potrebbe punirmi per aver seguito la sua volontà?
- Se Dio volesse uccidere qualcuno, perché servirsi di un misero uomo quando può farlo da sé? – gli faccio notare mentre libero il coltello dalla sua custodia sotto la manica, così che possa scivolarmi tra le dita.
- Mi delude signorina, credevo che comprendendo la verità avrebbe anche capito il disegno di Dio. La salvezza va meritata e come Noè dovette costruire l’immensa arca per salvarsi, io ho dovuto costruire un impero per dimostrare di essere degno.
- E come fa a sapere che lei non è invece la marea nel disegno divino e io sono Noè? Come può essere certo che sarà lei quello che si salverà?
Stranamente, il cardinale non mi risponde con la sua risata aspra come mi aspettavo. Diventa al contrario terribilmente serio, sgrana gli occhi e punta meglio il fucile contro di me, che intanto smetto di indietreggiare per paura di finire nel lago non potendo vedere dove finisce il molo.
- La smetta di mentire a se stesso, Richelieu. Lei è solo un pazzo e un assassino che passerà il resto dell’eternità all’inferno – gli urlo per sovrastare l’ennesimo tuono, mentre la pioggia diventa ancora più fitta. Ormai riesco a malapena a vedere il Cardinale, che intanto si fa il segno della croce con la mano sbagliata, strappandomi un risolino.
- Non ha solo ucciso uomini innocenti, lei ha condannato alla dannazione centinaia di anime e questo è un peccato che nemmeno Dio perdona – insisto, gioendo nel vederlo fremere di rabbia.
- Lo sa cosa vuol dire passare l’eternità all’inferno? Riesce a immaginare cosa può voler significare perdere la grazia di Dio e conoscere solo l’odio delle fiamme? – lo stuzzico, prendendo meglio i pugnali, pronta a sferrare l’ultimo attacco.
Avrei dovuto immaginare che l’unico punto debole di un fanatico come lui era la paura dell’inferno. È così scontato da sembrare una caricatura. L’uomo di Dio che teme solo l’inferno per gli innocenti che ha assassinato!
- La smetta! Una stupida ignorante come lei non ne sa nulla dell’inferno e del volere di Dio! Si goda lo spettacolo dall’altro mondo! – sbraita lui intanto, facendo finalmente fuoco.
Nello stesso momento in cui mi spara e mi colpisce vicino alla clavicola però, io mi butto verso di lui e gli infilo buona parte delle due lame nel petto, poco sopra lo stomaco. Così avvinghiati e spinti dal mio stesso slancio, finiamo entrambi nell’acqua gelida sotto di noi, molto più profonda di quanto immaginassi.
Solo allora mollo la presa sui manici dei coltelli e cerco di liberarmi dal peso del cardinale per risalire a galla ma Richelieu mi stringe il braccio in una morsa ferrea e la ferita nella spalla mi impedisce di usare la forza dell’altro braccio, così lottiamo sott’acqua per qualche minuto, lentamente a causa dell’acqua e delle ferite, mentre l’aria che mi resta nei polmoni si trasforma rapidamente in napalm e mi brucia dall’interno.
Solo all’ultimo secondo prima che non riesca più a trattenere il fiato, il cardinale allenta appena la presa e mi da la possibilità di liberarmi dalla sua stretta per risalire in cerca di ossigeno. Sfortunatamente, nella lotta ci siamo allontanati troppo dal molo per potermi issare e le ferite, il freddo, il peso dei vestiti e la fatica mi impediscono di nuotare per i pochi metri che mi separano dalle assi di legno.
Di nuovo l’acqua mi risucchia verso il fondo e cerco disperatamente di togliermi almeno le scarpe e le armi per essere più leggera, appena consapevole di quanto la mia fatica sia inutile ormai. Sono troppo stanca per nuotare…
Improvvisamente, qualcosa di immensamente forte mi afferra per la spalla ferita, facendo esplodere mille ordigni sotto la pelle, e mi tira fuori dall’acqua per qualche momento, appena il tempo di respirare una boccata d’aria prima che qualcos’altro mi tiri di nuovo verso il fondo.
Poi di nuovo vengo strattonata verso l’alto e finalmente riesco a vedere il viso di Alex emergere oltre l’acqua.
Alex! Allora abbiamo vinto!
Non faccio nemmeno in tempo a dire qualcosa però che di nuovo mi sento trascinare verso il basso. Solo ora abbasso la testa per vedere cosa mi tira giù e vedo la faccia del cardinale spuntare appena sotto il pelo dell’acqua, avvinghiato alla mia gamba come un anemone di mare.
- Maledetta! Finirai all’inferno con tutti i tuoi amici! – cerca di urlare il Cardinale tra la tosse.
Debolmente, cerco di dargli un calcio ma sono troppo esausta perché il colpo abbia efficacia e lui continua a ghermire la mia gamba per restare a galla, mentre Alex e un altro paio di braccia cercano di tirarmi su, troppo distanti per colpire a loro volta il Cardinale.
Ora che riesco a restare col viso oltre il pelo dell’acqua abbastanza a lungo per respirare senza tossire però, sento di nuovo un briciolo di energia tornare a circolare insieme al sangue gelato nelle vene e cerco di dare una mano ai due salvatori, tirandomi verso di loro e allo stesso tempo scalciando via l’odioso e pesantissimo Richelieu, senza nessun risultato. Per un momento anzi, a causa della pioggia che rende tutto viscido, anche il ragazzo che cerca di salvarmi insieme ad Alex scivola verso il bordo del molo e solo i pronti riflessi di Alex riescono a trattenerlo ad un pelo dal cadere anche lui.
- E’ troppo… pesante! – sento esclamare al ragazzo, che effettivamente è così rosso per lo sforzo che sembra sul punto di esplodere.
Mi rendo conto che ha ragione. Anche in due, non riusciranno mai a tirare fuori dall’acqua sia me che il Cardinale, perché ormai siamo entrambi due pesi morti e la pioggia rende tutto più difficile. L’unica speranza è riuscire a liberarmi del peso di Richelieu ma solo la morte potrebbe staccarlo dalla mia gamba al momento e non sono sicura che smetterà di respirare prima di me e non ho abbastanza forze per colpirlo con la gamba.
- Non mollare Alexis, ti prego non mollare! – mi urla Alex, forse leggendo sul mio viso che è esattamente quello che sto per fare. Non posso rischiare di trascinare anche loro nell’acqua e sono troppo stanca per lottare ancora…
- Non puoi lasciarmi adesso, Alexis, non te lo permetto! Aggrappati alla cinta! – mi ordina, strattonandomi di nuovo la mano, e la spalla ferita che protesta con un’altra fitta lancinante, e portandosela alla cinta.
Invece di stringere come si aspetta, gli sorrido per l’ultima volta, chiedendogli mentalmente scusa per tutti i miei errori, per tutto quello che gli ho fatto passare, ma senza la forza di parlare e smetto di lottare contro il Cardinale e di aggrapparmi a lui, che però non molla la presa.
- Non ti azzardare ad uccidere la mia bambina! – mi urla di nuovo, disperato, anche lui al limite delle forze.
Come se sentirsi nominare lo abbia risvegliato, o forse per protesta ad essere definito una femmina quando è chiaramente un maschio, il mio bambino scalcia potentemente dentro di me, provocandomi un dolore tanto forte da farmi contrarre tutta farmi istintivamente stringere la mano sulla pistola di Alex, che dopo una leggera resistenza si stacca dalla cinta e mi resta in mano, dandomi l’ultimo barlume di energia insieme ad un’idea.
Con uno sforzo che mi sembra immane e lottando contro la forza di Alex, che non avendo capito cosa intendo fare cerca di trattenermi e mi rende difficile girarmi, mi volto verso il cardinale e gli sorrido per l’ultima volta prima di premere il grilletto.
Finalmente, questa volta l’arma fa il giusto rumore e la giusta fiammata, spruzzando anche un po’ di acqua intorno mentre il proiettile colpisce Richelieu al braccio, costringendolo ad allentare leggermente la presa, ma non del tutto, perciò sparo di nuovo e poi di nuovo e di nuovo ancora, incapace ormai di fermarmi, e lentamente il Cardinale allenta la presa mortale sulla mia gamba e Alex e il ragazzo riescono finalmente a issarmi di nuovo sul molo.
Mentre Alex mi stringe a sé e l’altro ragazzo mi copre alla bell’e meglio con una coperta mentre esamina la ferita alla gamba, volto la testa verso Richelieu per capire se è morto.
Il Cardinale invece, non è affatto morto e continua strenuamente a dimenarsi per restare a galla anche se evidente che i suoi sforzi sono inutili, ormai troppo debole e ferito. Tuttavia sembra che abbia ancora energia sufficiente per inveire contro di noi e lo vedo urlare mentre si dimena, senza riuscire a capire cosa stia dicendo con esattezza.
Solo l’ultima frase riesco a capire in mezzo a quel fiume di parole velenose e disperate, una frase che mi gela più del lago e della pioggia e che sarebbe venuta a tormentare i miei sonni negli anni a venire.
- Le colpe dei padri ricadono sui figli, brucerete tutti all’inferno! – sono le sue ultime parole, prima che un’onda lo sommerga definitivamente.
Per alcuni minuti, mentre il ragazzo traffica con la ferita alla spalla e Alex mi sorregge e cerca di asciugarmi meglio che può, continuo a fissare il punto dove fino al minuto prima c’era il Cardinale e mi chiedo se la sua minaccia possa avverarsi. Anche se per buone ragioni, ho ucciso, mentito, a volte rubato. Le mie colpe ricadranno sui miei figli?
Mi porto istintivamente la mano alla pancia, per proteggere il piccolo che mi ha salvato la vita col suo calcio e solo allora mi rendo conto di stringere ancora la pistola tra le mani, come se dovessi ancora proteggermi. Ma la minaccia è ormai morta e non potrà più far del male a nessuno.
Stremata oltre l’immaginabile, lascio cadere la pistola e mi abbandono tra le braccia di Alex, che intanto mi abbraccia forte quasi quanto Richelieu, dicendo qualcosa di incomprensibile per me.
- Sei una pazza, ecco cosa sei, avrei dovuto lasciarti morire insieme al tuo maledetto Cardinale, invece di farmi venire un infarto per colpa tua, ringrazia solo di aspettare la mia bambina… - riesco a capire dopo un po’, quando i miei timpani tornano a funzionare dopo l’ennesimo sparo troppo ravvicinato.
Vorrei dirgli un milione di cose, spiegargli, chiedergli scusa, ma non ho la forza di fare nulla e continuo a sorridere appena, mentre lui continua ad inveire contro di me e rimproverarmi. Comincio a credere che avrò ancora tempo per dirgli tutto, visto che non sono più saltata in aria…
- La bomba! – esclamo con un filo di voce, ricordando all’improvviso l’avvertimento del cardinale.
Tuttavia il ricordo mi è giunto troppo tardi e faccio appena in tempo a vedere la faccia perplessa di Alex prima che un boato sommesso rompa il silenzio e un’onda d’acqua scuota violentemente il molto, facendoci quasi cadere di nuovo in acqua.
- Richelieu… una bomba… - mormoro appena, sospirando di sollievo.
Adesso è davvero finita.
Di nuovo Alex riprende il suo fiume di rimproveri e imprecazioni ma non lo ascolto più, sentendomi troppo debole anche solo per pensare.
Chiudo gli occhi e mi lascio andare alla stanchezza, godendo del calore che emana Alex in confronto a me che sono gelida…
  
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