Disclaimer: I personaggi (a parte Allut) continuano a non appartenermi
Trap Doors and Masks
Parigi,
1875. Dopo cinque anni di
silenzio la villa al numero 30 degli
Champs-Élysées riprendeva vita: le imposte
delle finestre venivano riaperte, le stanze erano rimesse a nuovo
e… e il
pianoforte ricominciava a suonare. Gli erano mancati quei tasti, quello
spartito sempre chiuso, le cime degli alberi oltre la
finestra… Sospirò. In
quella direzione c’era l’Opera Populaire, quello
che fino a cinque anni prima
era stato il suo teatro. Inconsapevolmente si portò una mano
alla gola e,
tirando una catenina d’argento, estrasse un anello.
L’anello di Christine. Le
sue labbra si piegarono nel consueto sorriso amaro. Aveva passato
cinque anni viaggiando
in lungo e in largo per l’Oriente e mai una volta aveva
provato il desiderio di
rivederla. E invece ora, dopo nemmeno un giorno passato a Parigi,
smaniava già
per riaverla con sé. Sorrise, un sorriso vero, ripensando
alla previdenza di
Haydée: il Fantasma dell’Opera sarebbe risorto
dalle sue ceneri se in punto di
morte lei non gli avesse fatto giurare di non tornare mai
più ad essere il
mostro di cinque anni prima. Il suo sorriso si fece più
triste. Anche la sua
dolcissima Haydée se n’era andata e ora riposava
per sempre accanto all’uomo
che aveva amato con tutta se stessa. A lui probabilmente quella
soddisfazione
sarebbe stata negata. La donna che amava apparteneva ad un altro uomo e
quasi
certamente lo riteneva già morto. Smise di suonare,
riaprì gli occhi e si
accorse che il sole stava ormai per tramontare. Incredibile come
riuscisse a
perdere la cognizione del tempo quando si sedeva ad un pianoforte. Due
secchi
colpi alla porta precedettero il suo intendente, Allut, il francese
più
discreto che avesse mai incontrato, tanto da camminare in punta di
piedi per
non disturbare. Era proprio per la sua discrezione che lo apprezzava:
un uomo
del genere di certo non si sarebbe interessato troppo al misterioso
passato del
suo datore di lavoro.
«Eccellenza,» salutò con un inchino
«vi ho portato i programmi dell’Opera, come mi
avevate chiesto.»
«Ottimo…» mormorò
distrattamente
sfogliando il libretto che Allut gli aveva consegnato
«Fa’ in modo che per la
rappresentazione di stasera il palco n. 5 sia mio.»
ordinò poi senza alzare gli
occhi dalla sua lettura. L’intendente chinò il
capo e uscì lasciandolo
nuovamente solo con i suoi pensieri. Erik sospirò
profondamente e tornò a
nascondere l’anello di Christine sotto la camicia, poi, con
la luce della
risoluzione nei suoi occhi grigi, sussurrò, provando una
vaga sensazione di
déjà vu:
«Che la mia opera cominci!»
La nobiltà parigina sfilava come
sempre altezzosa nell’ingresso dell’Opera
Populaire. Dopo l’incendio i due
direttori, Armand Moncharmin e Firmin Richard, si erano indebitati fino
alla
punta dei capelli per far ristrutturare completamente il teatro. Due
anni dopo
il terribile incidente, a lavori terminati, l’Opera era
tornata al suo
originale splendore, guadagnando fama per le nuove e oscure storie che
circolavano attorno al suo nome. In tre anni di spettacoli i posti
lasciati
vuoti in sala erano stati davvero rari e nessuno di quelli era mai
rimasto
libero per più di una sera consecutiva. Nessuno…
tranne uno. Il palco n. 5,
tristemente famoso tra chi ricordava le vicende del Fantasma
dell’Opera, non
era più stato occupato, un po’ per abitudine e un
po’ per superstizione. Ma
quella fredda sera di fine febbraio, poco prima dell’inizio
del primo atto
dell’Hannibal di
Chalumeau, la porta
rimasta a lungo chiusa si riaprì e anche il palco n. 5, come
il resto del
teatro, riprese vita. L’ombra di un uomo vi
scivolò silenziosamente
all’interno, ignorata dal pubblico che aveva occhi solo per
lo spettacolo,
sorridendo a quella vista che gli si ripresentava dopo tanti anni. Si
mise
comodo sulla sua poltrona e lasciò che il suo sguardo
vagasse sulla sala nel
tentativo di distinguere, tra migliaia di volti, quello di…
Ghignò soddisfatto.
Era lì, nel palco di fronte al suo, il gomito appoggiato al
parapetto, il mento
sulla mano, seguendo attentamente la rappresentazione. Era cambiata,
cresciuta,
il viso aveva assunto una piega più matura, o forse era solo
l’effetto di
quell’abito eccessivamente ricco e sfarzoso per lei. Una cosa
era certa: era
più bella di come la ricordava. La fissava da un paio di
minuti quando la vide
distogliere per un attimo gli occhi dallo spettacolo, abbassarli
e… Sentì la
rabbia montargli nel petto con un’ondata di calore. Accanto a
lei,
probabilmente seduto sulle sue ginocchia per vedere meglio, apparve un
bambino
biondo sui tre anni. Suo figlio. Si diede mentalmente dello stupido,
avrebbe
dovuto aspettarselo, dopotutto erano passati cinque anni. Eppure, allo
stesso
tempo, non riusciva a credere ai suoi occhi. Si era sposata. Si era
sposata con
quel maledetto damerino che gliel’aveva portata via! Un
ringhio rabbioso stava
per sfuggirgli dalle labbra quando improvvisamente si
ricordò perché era lì. Il
ringhio si trasformò in un altro ghigno. Tutto sommato
quell’odioso matrimonio
poteva avere anche i suoi risvolti positivi…
L’atto terminò tra gli applausi
del pubblico, il sipario si chiuse, la sala tornò ad essere
illuminata dalle
luci e… e dopo cinque anni gli occhi di Christine
Daaé, ora viscontessa di
Chagny, incontrarono i suoi.
«Christine…» Si riscosse quando
sentì suo marito chiamarla e si voltò verso di
lui sorridendo. Un sorriso
falso, ma ormai era diventata una brava attrice. La verità
era che la vista di
quell’uomo nel palco n. 5 le aveva lasciato una strana
sensazione mista di
terrore, colpa e ricordo di un passato che aveva cercato di cancellare.
Nessuno, dopo… dopo Erik, aveva più occupato quel
posto. Il suo ricordo le dava
ancora i brividi, ma ormai lui era morto, era finalmente in pace. Anche
se
quell’uomo nel palco… Scacciò quel
pensiero assurdo e decise che poteva
arrischiarsi a fare la sua domanda.
«Sbaglio o c’è qualcuno nel palco
n. 5?» chiese il più innocentemente possibile.
Raoul le rivolse uno sguardo
strano, aggrottando la fronte.
«Il n. 5, hai detto?» Lei annuì.
Il visconte si voltò incuriosito e vi scorse effettivamente
un uomo che,
sebbene gli ricordasse vagamente qualcuno, era certo di non aver mai
visto
prima: capelli neri, lunghi anche sul davanti a coprirgli interamente
la parte
destra del viso, la pelle abbronzata, di chi ha passato una vita in
Oriente,
una barba curata a incorniciargli le labbra. Era troppo lontano per
distinguere
il colore dell’unico occhio visibile, ma poteva supporre che
fosse scuro.
«Avevo sentito delle voci secondo
le quali era stato affittato da un ricco straniero, italiano o maltese,
Montecristo, mi pare… un nome importante fino a qualche anno
fa, quando il
vecchio conte è morto. Non credevo che avesse un
figlio.» Christine alzò le
spalle mostrando disinteresse per mascherare il terrore crescente.
Aveva già
sentito quel nome, Montecristo, non tra i nobili dell’alta
società parigina, ma
tra le ombre dei sotterranei dell’Opera. Tornò a
seguire lo spettacolo cercando
di tenere a bada la vivacità di suo figlio Gustave, la mente
persa nei suoi
pensieri. Per come la vedeva lei, c’era un solo modo per
fugare definitivamente
i dubbi che la stavano assillando. Un modo che forse avrebbe distrutto
definitivamente la patina di felicità che ricopriva la sua
vita da quando aveva
fatto la sua scelta.
L’espressione sconvolta che aveva
visto sul volto di lei gli aveva fatto nuovamente salire il ghigno alle
labbra.
Il suo piano stava decisamente andando come aveva previsto. E ora che
la
trappola era pronta, doveva solo aspettare che la sua preda vi cadesse.
Due sere dopo era seduto al suo
pianoforte, davanti a uno spartito vuoto. Non stava suonando. No, per
quanto
assurdo potesse sembrare stava componendo.
Non aveva più scritto nulla dopo il suo Don
Giovanni Trionfante, dopo aver perso la sua musa. Per un
attimo si chiese
se non fosse stato proprio il rivederla a fargli tornare
l’ispirazione. Scosse
la testa cercando di scacciare quei pensieri, ma non ottenne grandi
risultati. Christine
era come una droga, profondamente radicata nella sua mente e nel suo
cuore. Per
cinque anni aveva cercato disperatamente di dimenticarla, riuscendo
solo ad
odiarla e amarla più intensamente di prima. In quel momento
sentì qualcuno
battere due colpi sulla porta salvandolo dal mare dei suoi pensieri.
Sorrise,
il suo sorriso amaro. Doveva esserci una qualche legge divina per la
quale non
poteva suonare in pace per più di due ore senza essere
disturbato. Si alzò e
aprì la porta trovandosi di fronte all’ultima
persona che si sarebbe aspettato di
vedere in quel momento.
«Viscontessa,» accennò un
inchino, cercando di nascondere la sorpresa e la soddisfazione nel
vedere che
era già caduta nella sua trappola «non vi
aspett…» Senza riuscire a terminare
la frase si ritrovò con il capo voltato verso destra, la
guancia in fiamme. Se
non avesse visto la mano della donna ancora sollevata non avrebbe mai
creduto
possibile quello che era appena successo.
«Perché non mi hai detto nulla?»
sussurrò lei con le lacrime agli occhi «Per tutti
questi anni ho creduto che
fossi morto…Raoul mi disse che avevano ritrovato il tuo
cadavere…» si coprì il
volto con le mani, singhiozzando, senza mai distogliere lo sguardo dai
suoi
occhi grigi ora carichi di odio.
«Immagino che avrai tirato un
sospiro di sollievo quando te l’ha detto.» Stava
perdendo il controllo, tremava
dalla rabbia, ma d’altra parte che diritto aveva quella
maledetta di piangere
quando era stato lui ad aver sofferto come un cane? Un minuscolo
sorriso si
fece largo tra le lacrime sulle labbra di lei.
«Ho tirato un sospiro di
sollievo, si… ma solo quando ti ho rivisto nel tuo palco due
sere fa.»
Qualcos’altro che non si era aspettato. Decisamente le
sorprese per quella sera
cominciavano ad essere troppe, ma quella in particolare era riuscita a
destare
la sua curiosità, oltre che la sua ira: che cosa aveva in
mente quella donna
dannata?
«Perché dovrei crederti?»
«Perché ti amo.» Lui scoppiò
a
ridere, una ristata cattiva, quasi crudele, senza alcuna gioia.
«Mi ami, Christine? Mi ami?»
Tornò immediatamente serio, il viso contratto in
un’espressione di odio puro,
lo sguardo feroce spietatamente puntato su di lei, tanto da farla
indietreggiare fino a sfiorare il muro con le spalle.
«Dopo tutto quello che è successo,»
riprese con una voce che sembrava giungere dalle profondità
dell’Inferno «dopo
tutto quello che mi hai fatto, dopo avermi lasciato per sposare
quell’idiota»
il tono si stava alzando progressivamente «torni da me e
vieni a dirmi che mi
ami?» Consapevole della propria parte di colpa, Christine
aveva ricominciato a
piangere in silenzio senza mai abbassare lo sguardo, ancora incatenato
a quello
di lui.
«Avresti dovuto pensarci prima,»
continuò l’uomo con rancore «quando hai
fatto la tua scelta. Ora vivi le
conseguenze delle tue azioni con la consapevolezza che io non ti
perdonerò
mai!»
«Io avevo scelto te!» gridò lei
tra le lacrime «Avevo scelto di passare il resto della mia
vita al tuo fianco,
sebbene non sapessi ancora di amarti…»
«Non mentirmi, Christine!» tuonò
interrompendola «Tutto quello che hai fatto è
stato solo per lui! Per salvare
la sua miserabile vita senza curarti della mia dannazione!»
«Erik, ti prego…» Sentirla
sussurrare il suo nome con tanta dolcezza e disperazione per un attimo
gli fece
quasi dimenticare tutta la rabbia che provava.
«È troppo tardi, Christine,
troppo tardi per venire a chiedermi scusa, per venire a dirmi che mi
ami,
sempre che sia vero.» Amarezza e crudeltà. Erano
questo le sue parole. Amarezza
e crudeltà.
«In fondo hai tutto quello che
potresti desiderare: un marito che, nonostante tutto, ti ama, un
figlio, sei
ricca, viscontessa e Prima Donna
dell’Opera…» Lei scosse la testa,
piangendo e
sorridendo allo stesso tempo.
«Non sai quanto ti sbagli…»
sussurrò «Forse all’apparenza
potrò sembrarti felice, ma è solo un riflesso
dell’amore per Gustave: il mio matrimonio non mi ha dato che
una soddisfazione,
quella di un figlio, della ricchezza non mi importa nulla,
così come dei
titoli. Quanto al canto…» lasciò andare
una risata sottile che non aveva nulla
di allegro «Perché credi che l’altra
sera mi trovassi tra il pubblico e non sul
palco a cantare?» La fissò, ma non rispose.
«Ho perso la voce, Erik. Da
quella notte nei sotterranei io non ho più
cantato.» Vedendolo immobile con gli
occhi grigi puntati nei suoi gli si avvicinò lentamente,
staccandosi un poco
dal muro.
«La mia voce è rimasta assieme al
mio Angelo della Musica.» Erik trasalì. Se voleva
fargli del male aveva trovato
il modo migliore. Era cresciuta la sua piccola fata del nord, non era
più una
bambina ingenua, aveva imparato a mentire e a giocare sporco. E se con
quel
nome, Angelo della Musica, voleva farlo cedere, ci stava riuscendo.
Ricordava
terribilmente bene l’ultima volta che l’aveva
sentito sulle labbra di lei…
Angel
of Music, you deceived me…
Si impose di dominare la rabbia
che lo stava
nuovamente assalendo.
«Hai fatto la tua scelta, Christine.»
mormorò con
voce cupa «Pagane le conseguenze. Tutto quello che ti avevo
chiesto era
dimenticarmi, visto che non potevi amarmi. Vattene e dimenticami, come
io mi
sono dimenticato di te.» Lei avanzò ancora di
qualche passo fino a portare il
suo viso a pochi centimetri da quello di lui.
«Non mentirmi, Erik!» disse con un accento irato
che di rado animava la sua voce «Non sei mai stato in grado
di farlo. Non
fingere che io non conti più nulla per te,
perché, se così fosse, sarei già
morta da tempo e tu non saresti qui!»
«E cosa ti fa credere che io sia tornato a Parigi
per te?» Era tornato per Haydée, per esaudire il
suo ultimo desiderio. L’idea
di restare per compiere finalmente la sua vendetta era venuta dopo.
«Questo…» la sua voce era tornata carica
della
dolce tristezza di poco prima, mentre prendeva delicatamente tra le
dita
l’anello che lui portava al collo. Erik si morse il labbro
inferiore e abbassò
lo sguardo sul gioiello, maledicendo la sua abitudine di lasciare la
camicia
quasi completamente aperta quando suonava. Rialzò gli occhi
furenti su quelli
umidi di lei e aprì la bocca per parlare, ma non
riuscì a pronunciare una
parola. Le labbra di Christine si posarono sulle sue costringendolo al
silenzio, un silenzio rotto solo dai battiti affrettati del suo cuore.
Interruppe
immediatamente quel lieve contatto che gli aveva fatto cadere il mondo
addosso
e, respirando a fatica, riuscì solo a sussurrare:
«Christine…» Lei lo interruppe
poggiandogli un dito
sulle labbra.
«Ti prego…» mormorò con gli
occhi lucidi fissi in
quelli di lui «Ti prego, solo per questo momento,
finché sei mio, lasciati il
passato alle spalle…»
«Sai che non lo farò…» Lei lo
baciò di nuovo e questa
volta non riuscì a resisterle: le passò le
braccia attorno alla vita e l’attirò
a sé, rispondendo con foga a quel bacio che bramava da anni.
La sentì
scostargli i capelli dalla parte destra del viso, lasciando libera la
sua metà
sfigurata, ma non se ne curò. Quello che lo preoccupava era
la mano che lei
teneva premuta contro il suo petto, contro il suo cuore che batteva
rapido e
irregolare. Christine aveva ragione, non era capace di mentirle.
L’amava ancora
troppo per essere in grado di farlo. La sua camicia scivolò
a terra, le sue
labbra sulla gola di lei, le sue mani ai lacci del corsetto.
Sentì le sue
lunghe dita affusolate passargli tra i capelli mentre terminava la sua
silenziosa lotta con l’abito lasciandolo cadere
incurantemente accanto alla
camicia. La sollevò tra le braccia scendendo a baciarle
l’incavo del seno,
sentendo sotto le labbra i battiti affrettati del cuore di lei. Ora
poteva crederle,
lo amava davvero. Lo sentiva dai suoi baci, da come le batteva il
cuore, dai
suoi gemiti e dai suoi sospiri. Lo sentiva da come la sua pelle liscia
si
increspava sotto le sue carezze, da come si aggrappava a lui,
affondandogli le
unghie nella schiena. Poteva leggerle quell’amore negli occhi
continuamente
alla ricerca dei suoi, mentre, dopo lunghi anni di attesa, la faceva
finalmente
sua, anima e corpo. La sentì sussurrare il suo nome,
più di una volta, mentre
lui si mordeva le labbra a sangue per non farsi sfuggire quello di lei.
“Maledetto orgoglio,” si ritrovò a
pensare più tardi, sdraiato accanto a
Christine che dormiva con la testa appoggiata al suo petto
“dannata vendetta!
Mi porterete alla tomba! Una sola parola e lei sarebbe mia per sempre.
Sarebbe
davvero così difficile mettervi da parte?” Si
alzò piano, stando attento a non
svegliarla e, legandosi un lenzuolo in vita, uscì dalla
stanza.
Suonava. E pensava. Aveva chiuso la porta che
comunicava con la camera per non disturbare Christine. E aveva chiuso
gli
occhi, come sempre, perché tenerli aperti su una
realtà che non riusciva a
comprendere non gli serviva a nulla. Aveva mille possibilità
diverse per
compiere la sua vendetta, lì, a portata di mano…
come il suo amore. Si trattava
solo di scegliere. Era sempre solo una questione di scelte quella tra
lui e
Christine.
You try my patience.
Make your choice.
Ricordava
fin troppo bene la scelta di lei. Avrebbe
dovuto agire di conseguenza e prendersi una vendetta che avrebbe potuto
farlo soffrire
ancora di più o poteva scegliere quell’amore che
aveva tanto desiderato e che
gli si offriva su un piatto d’argento? Si trattava solo di
fare una scelta.
Quanto gli costava la vendetta? Valeva il suo cuore? Perché
avrebbe dovuto
rinunciarvi se fosse stata quella la sua scelta. E
quell’amore, invece, quanto
costava? Un po’ di orgoglio gettato al vento, niente di
più. E la
consapevolezza di non aver mantenuto la propria parola. Nel buio delle
sue notti
insonni aveva giurato a se stesso che si sarebbe vendicato per quello
che
Christine gli aveva fatto, ma come poteva vendicarsi della donna che
amava? Si
lasciò sfuggire un sospiro. Quanto avrebbe voluto che Edmond
fosse stato ancora
lì, lui di certo avrebbe saputo dargli un consiglio.
Sorrise. Poteva quasi
risentire la voce ammonitoria di quello che era stato suo padre.
“Guardati
dalla vendetta perché ti chiederà in pegno cose
che potrebbe non restituirti
mai più.” Sospirò di nuovo, poi
sentì il profumo di Christine e i suoi passi
leggeri. Si era svegliata da poco e ancora prima di sentirlo suonare si
era
accorta che il letto accanto a sé era vuoto. Avvolgendosi il
lenzuolo attorno
al seno era uscita dalla stanza e l’aveva visto seduto al
pianoforte, gli occhi
chiusi e l’espressione pensierosa. Si chiedeva se anche lui
fosse perso nel
ricordo di quanto era accaduto tra loro… lei ancora non
riusciva a crederci. Fare
l’amore con Erik era stato… sconvolgente,
l’esatto opposto che con Raoul, forse
perché erano due uomini completamente diversi, forse
perché l’amavano in due
modi completamente diversi: l’amore dolcemente tenero di suo
marito non aveva
nulla a che vedere con l’esigente, lussuriosa passione di
Erik. La stessa
passione che, quella notte, nei sotterranei dell’Opera,
quando lei era ancora
poco più che una bambina, l’aveva spaventata al
punto da farla fuggire. Aveva
impiegato anni prima di rendersi conto di aver sposato l’uomo
sbagliato, ma le
ci erano voluti appena due giorni per tornare fra le braccia di colui
che, ora
ne era certa, amava. Gli si avvicinò lentamente e lo
abbracciò da dietro,
posandogli dolcemente un bacio sul collo. Lui non aprì gli
occhi e non smise di
suonare, limitandosi a godere in silenzio delle carezze e dei baci di
lei. Aveva
fatto la sua scelta, l’unica che poteva e che voleva fare,
per quanto crudele e
terribile potesse essere. Ma fino al mattino seguente, fin quando la
sua
decisione rimaneva assopita in seno alla notte, avrebbe vissuto appieno
ogni
singolo momento con lei. Voltandosi appena cercò alla cieca
le sue labbra con
le proprie scivolando, quando le trovò, in un lungo, morbido
bacio carico di
promesse che non avrebbe mai mantenuto. Dallo strumento le sue dita si
spostarono sulla pelle di lei mentre lo costringeva ad alzarsi e lo
guidava,
senza mai smettere di baciarlo, verso il letto. Caddero abbracciati fra
le
lenzuola scomposte, persi l’uno nell’altra, mentre
i loro baci si facevano
sempre più brevi e affannati, spezzati da gemiti e sospiri,
da sussurri e
carezze. Presi tra la passione e il desiderio, lasciarono le labbra
ardenti
scendere a tracciare sentieri confusi sulla pelle, incuranti di
qualunque cosa
che non fosse il loro amore. I loro cuori battevano
all’unisono, ad un ritmo
frenetico, veloci, sempre più veloci, fino a dare
l’impressione di scoppiare, o
forse facendolo davvero nel momento in cui diventavano una cosa sola.
Stretta a
lui quasi con disperazione, aggrappata alle sue spalle, Christine lo
sentì
mormorare il suo nome con dolcezza, come si era impedito di fare ore
prima. Posò
la fronte contro quella di lui, fissandolo intensamente negli occhi
mentre il
suo respiro rallentava fino a ritrovare un ritmo normale.
«Ti amo, Erik…» Lui sorrise, un sorriso
stranamente
triste. Si abbassò sulle sue labbra, travolgendola in un
ultimo bacio
appassionato prima di sdraiarsi accanto a lei cingendole
possessivamente la
vita con un braccio, stringendola a sé mentre scivolava nel
primo sonno senza
incubi di tutta la sua vita.
Si svegliò quando i raggi del sole iniziarono a
filtrare all’interno della stanza attraverso le tende
socchiuse. La prima
sensazione fu quella del profumo penetrante di Christine e delle sue
dita
sottili che gli accarezzavano i capelli. Si lasciò sfuggire
un sospiro triste
dalle labbra mentre, puntellandosi sul gomito, si alzava per fissare
gli occhi
nei suoi. Il suo sorriso lo uccise, ma non lo diede a vedere. Se solo
quella
stupida avesse avuto il buon senso di andarsene appena sveglia!
Così gli rendeva
solo le cose più difficili.
«Credevo che te ne fossi già
andata…» sussurrò,
desiderando sempre più ardentemente che l’avesse
fatto.
«È un modo gentile per mandarmi via?»
chiese
scherzando. Lui rimase serio, troppo. Il sorriso scomparve dal suo
volto lasciando
il posto ad un’espressione confusa e preoccupata.
«Tuo marito si starà chiedendo dove
sei…»
«Raoul è in Inghilterra.» disse con voce
atona,
chiamandolo per nome. Erik colse l’occasione al volo e
lasciò andare la sua
risata amara, alzandosi e iniziando a rivestirsi.
«Ma certo, hai aspettato che lui se ne andasse per
venire da me!»
«Cosa dovevo fare? Attirarmi addosso tutte le
malelingue di Parigi?»
«Quanto sei ingenua, Christine! Credi che solo
perché tuo marito non c’è nessuno si
accorgerà che hai passato fuori tutta la
notte?» Calcò molto sulla parola marito, come per
ricordarle che,
effettivamente, lei era sposata.
«Non sono più una bambina, non devo rendere conto
a
nessuno di quello che faccio!» Lui rise di nuovo.
«E quando Raoul verrà a saperlo che cosa gli
dirai,
che sei tornata da me?» Inarcò un sopracciglio
all’espressione improvvisamente
risoluta di lei.
«Gli dirò la verità.»
«La verità, Christine? E qual è la
verità?» Stava
già per rispondergli quando fu messa a tacere dallo sguardo
infuocato di lui.
La odiava e, ora ne era certa, non l’avrebbe mai perdonata
per la sua scelta,
poco importava quanto si amassero.
«La verità è che non avrai mai il
coraggio di
lasciarlo definitivamente per tornare da me, esattamente come non
l’hai avuto
cinque anni fa! E tuo figlio?» A quella domanda Christine
trasalì e sentì le
lacrime salirle agli occhi. Gustave…
«Dimmi, ti sei abbassata a pensare a lui dall’alto
del tuo egoismo?» Furibondo, notò che le lacrime
avevano preso a scorrere
silenziose sul volto della donna.
«Hai un’ora di tempo.» riprese cercando
di dominare
la rabbia «Quando tornerò farai bene ad essere
lontana da qui e a tener
presente di non tornare mai più.» Lei si
alzò e gli gettò le braccia al collo,
affondando il viso nel suo petto, mentre l’uomo rimaneva
impassibile, immobile.
«Non puoi farmi questo!» gemette, sfiorandogli la
gola con le labbra, alzando il viso per baciarlo. Erik la respinse.
«Vattene, Christine.» mormorò gelido.
Poi, con una
sorta di crudele soddisfazione, aggiunse:
«È tutto quello che ti chiedo.» Stava
già sparendo
tra le ombre del corridoio quando la voce angosciata di lei lo
fermò.
«Erik, perché?»
«Considerala come la mia vendetta.» E se ne
andò,
sbattendosi la porta alle spalle, sforzandosi di ignorare il suo pianto
disperato.
Due mesi erano passati da quando, per puro
orgoglio, aveva scelto di mettere la vendetta al primo posto. Due mesi
erano
passati da quella notte impressa a fuoco nella sua memoria. Due mesi
durante i
quali aveva tormentato Christine presentandosi regolarmente
all’Opera, nel suo
palco n. 5, mentre, senza mai staccare gli occhi da lei, portava
crudelmente a
termine il suo piano. In quei due mesi l’aveva vista apparire
sempre più
pallida e stanca, per poi scoprirsi a chiedersene sempre più
spesso il perché.
Era solo la sua vendetta a farla soffrire così? Qualcosa a
cui non riusciva a
dare un nome gli diceva che non era possibile. Era una sofferenza
fisica, lo
vedeva, glielo leggeva negli occhi. E aveva la sensazione che quel
malessere
non fosse legato nemmeno alle interminabili piogge di fine aprile.
Pioveva
anche quella notte, mentre si trovava seduto al suo pianoforte,
cercando
distrattamente di dare una parvenza di ordine al suo ultimo lavoro.
Strano a
dirsi, ma in realtà stava aspettando, con innegabile
curiosità, di sapere chi
sarebbe venuto a interromperlo quella volta. Nessuno bussò,
la porta si aprì in
silenzio. Il ghigno gli si gelò sulle labbra, riconosceva
quel profumo.
Spalancò gli occhi e si voltò. Christine.
Pallida, con gli occhi lucidi, ma
l’espressione profondamente risoluta. Si alzò
cercando di contenere la sua
rabbia.
«Credevo di essere stato chiaro…»
«È importante. Sai che altrimenti non sarei
qui.»
«Che diavolo vuoi ancora da me?» chiese in un
sibilo, sull’orlo dell’esasperazione. Lei
abbassò lo sguardo, mordendosi il
labbro inferiore. Prese un profondo respiro e mormorò con la
sua voce più
calma:
«Sono incinta.» Silenzio. Erik sollevò
un
sopracciglio in un'espressione mista di attesa, noncuranza e ira.
«Sono incinta di due mesi.» proseguì
lei.
«E sei venuta per dirmi questo?» La voce fredda di
lui le fece, per un attimo, venire voglia di andarsene in lacrime
lasciandolo
nella sua indifferente ignoranza. Prese un profondo respiro e
scacciò con
decisione quell’idea.
«Due mesi fa Raoul era in Inghilterra.»
«Non vedo come tutto questo abbia a che fare con
me.» E le diede le spalle tornando al suo spartito.
«Non è figlio suo.» Erik si
voltò di scatto temendo
di sentirle dire quello che già sospettava.
«Erik, io…» sospirò e chiuse
gli occhi per un
attimo, prima di riaprirli e fissarli in quelli di lui. «io
sono incinta di tuo
figlio.» Rimase impassibile, ma il suo viso
sbiancò fino a raggiungere il
colore della sua maschera bianca.
«Che cosa devo fare?» domandò disperata
tra le
lacrime.
«Fa’ quello che ti pare. È una faccenda
che non mi
riguarda.»
«È tuo figlio!»
«No, Christine. È tuo figlio.» Si
voltò di nuovo
per non vedere la sua espressione sconvolta, ma, soprattutto, per non
mostrarle
quanto le sue stesse parole l’avessero ferito. La
verità era che non aveva mai
effettivamente pensato alle conseguenze che poteva avere quello che era
successo due mesi prima. Non aveva mai pensato che dalla loro unica
notte
passata insieme, dalla sua vendetta, sarebbe potuto nascere
qualcosa… men che
mai un figlio! Un figlio… suo e di Christine… si
diede dell’idiota anche solo
per averlo pensato. Un figlio suo avrebbe potuto essere sfigurato come
lui.
Voleva davvero che un bambino innocente subisse il suo stesso fato? E
anche se
fosse andato tutto bene Christine rimaneva comunque la moglie di un
altro uomo.
La sentì ridere sommessamente tra i singhiozzi.
«Mi sarei dovuta aspettare una risposta del genere
da te. Sono stata una stupida a venire…»
«Per una volta non posso che darti ragione.»
mormorò con una sorta di cupo umorismo.
«Volevo solo che lo sapessi…»
«Ora lo so. Puoi anche andartene.»
Continuò a darle
le spalle fingendo di trovare molto interessante il paesaggio oltre la
finestra. Sapeva che se si fosse voltato a guardarla avrebbe ceduto e
non
poteva permetterselo. Non era più solo una questione di
vendetta. Ora agiva
anche nell’interesse di quel bambino che, nonostante le sue
parole, considerava
suo. Ricordava troppo dolorosamente bene la sua infanzia per poter
permettere
che anche una minima parte di essa si riflettesse in quella di suo
figlio.
Aveva bisogno di entrambi i genitori e lui in quel momento aveva ancora
troppi
affari in sospeso per poter promettere persino di vivere abbastanza per
vederlo
nascere. Per quanto odiasse l’idea, aveva bisogno che Raoul
di Chagny facesse
da padre a suo figlio, almeno fin quando non avesse sistemato
l’enorme,
intricata matassa di problemi che era diventata la sua vita. Si accorse
all’improvviso del filo che stavano seguendo i suoi pensieri.
Non poté
impedirsi di sorridere: per la prima volta in vita sua aveva messo da
parte il
suo maledetto orgoglio. E l’aveva fatto per la
felicità di suo figlio. Sentì
una lacrima calda e silenziosa scivolargli lentamente lungo la guancia.
La voce
di Christine lo richiamò momentaneamente alla
realtà.
«Allora addio, Erik…» Non le rispose e
aspettò che
si chiudesse la porta alle spalle prima di voltarsi. Si
lasciò cadere sulla sua
poltrona, sentendosi svuotato. L’aveva lasciata andare. Di
nuovo. E con lei
aveva lasciato andare anche suo figlio. Ma era certo di aver fatto la
cosa
giusta. Sì, era quella la cosa giusta da fare. Prese un
profondo respiro e alzò
gli occhi al cielo.
“Dio,” pregò, per la prima e ultima
volta in tutta
la sua vita “uccidimi ora, piuttosto, ma non lasciare che mio
figlio subisca il
mio stesso destino…”
xXx
Note dell'Autrice:
Allora, innanzitutto ringrazio le anime buone che leggono e non recensicono, perchè fa comunque piacere sapere che c'è qualcuno che legge questa follia. Certo, se ricevessi qualche recensione in più non sarebbe male, ma per ora mi accontento. Sempre a proposito di recensioni vediamo di dare qualche piccola risposta/raingraziamento:
a linny93: Confessa, sorellina, non vedevi l'ora di apparire a fondo pagina di un mio capitolo! Di' la verità!! Comunque, domandina piccina piccina: cosa rispondo a fare alle tue recensioni se tanto sai già pressochè tutto della storia? Mah... Idiozie a parte, sono contenta che continui a piacerti... e penso proprio che fosse questo il capitolo a cui ti riferivi l'altra volta...^^
a Elby: Prima di tutto un immenso GRAZIE per aver recensito. Secondo di tutto, spero che tu non sia rimasta delusa da come sto gestendo la storia, ma il fatto è che non avevevo abbastanza idee per seguire tutto il filo logico del tempo. Quindi è venuta fuori questa... cosa fatta di spezzoni stile flash che però, tutto sommato, è meno peggio di quanto pensassi, visto che sembra piacerti ^^. Tanto per fartelo sapere, ho pianto lacrime amare quando ho scritto la morte di Edmond (lui ed Erik sono due dei miei tre grandi amori platonici, per cui.....), ma, come hai giustamente notato, se fosse rimasto in vita, il nostro Fantasma non si sarebbe mosso di un millimetro dalla sua posizione. Spero che la soddisfazione della tua curiosità sul capitolo Erik/Christine possa almeno in parte alleviare il dolore della mancata presenza di un capitolo sull'Oriente... anche se, ora che mi ci fai pensare, impegnandomi potrei tirare fuori qualcosina... ma temo che sarebbe sotto forma di spin-off, così come lo scontro ravvicinato con il pargolo, dato che, almeno in teoria, la storia è già finita.
Ebbene sì, ladies and gentlemen, questo è l'ultimo capitolo. Il prossimo aggiornamento (non chiedetemi quando) sarà l'epilogo, ricollegato alla fine del film. Naturalmente, se non vi va di aspettare fino a tempo indeterminato, potete sempre farvi prestare il cappio da Erik e impiccarmi ora o, se preferite cose meno coreografiche, potete avvelenarmi con uno degli intrugli del Conte. Bene, per ora è tutto.
I remain your humble and obedient servant,