Crossover
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Autore: bloodred_rose    29/08/2008    1 recensioni
Ventidue anni dopo il compimento della sua vendetta il conte di Montecristo torna a Parigi facendo un trionfale ingresso all'Opera. Quello che non sa è che da alcuni anni, in quello stesso teatro, circolano strane voci riguardanti un certo Fantasma dell'Opera...Direttamente dalla mia mente malata ecco un crossover semi-assurdo tra, appunto, il Conte di Montecristo (il libro naturalmente) e il Fantasma dell'Opera (sia libro che film/musical)!!Spero che vi piaccia...e che mi arrivino un po' di recensioni ^^!! P.S.vi avviso fin da ora che ci sarà anche un capitolo Erik/Christine...
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Film, Libri
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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1875

Disclaimer: I personaggi (a parte Allut) continuano a non appartenermi

Trap Doors and Masks

 

Parigi, 1875. Dopo cinque anni di silenzio la villa al numero 30 degli Champs-Élysées riprendeva vita: le imposte delle finestre venivano riaperte, le stanze erano rimesse a nuovo e… e il pianoforte ricominciava a suonare. Gli erano mancati quei tasti, quello spartito sempre chiuso, le cime degli alberi oltre la finestra… Sospirò. In quella direzione c’era l’Opera Populaire, quello che fino a cinque anni prima era stato il suo teatro. Inconsapevolmente si portò una mano alla gola e, tirando una catenina d’argento, estrasse un anello. L’anello di Christine. Le sue labbra si piegarono nel consueto sorriso amaro. Aveva passato cinque anni viaggiando in lungo e in largo per l’Oriente e mai una volta aveva provato il desiderio di rivederla. E invece ora, dopo nemmeno un giorno passato a Parigi, smaniava già per riaverla con sé. Sorrise, un sorriso vero, ripensando alla previdenza di Haydée: il Fantasma dell’Opera sarebbe risorto dalle sue ceneri se in punto di morte lei non gli avesse fatto giurare di non tornare mai più ad essere il mostro di cinque anni prima. Il suo sorriso si fece più triste. Anche la sua dolcissima Haydée se n’era andata e ora riposava per sempre accanto all’uomo che aveva amato con tutta se stessa. A lui probabilmente quella soddisfazione sarebbe stata negata. La donna che amava apparteneva ad un altro uomo e quasi certamente lo riteneva già morto. Smise di suonare, riaprì gli occhi e si accorse che il sole stava ormai per tramontare. Incredibile come riuscisse a perdere la cognizione del tempo quando si sedeva ad un pianoforte. Due secchi colpi alla porta precedettero il suo intendente, Allut, il francese più discreto che avesse mai incontrato, tanto da camminare in punta di piedi per non disturbare. Era proprio per la sua discrezione che lo apprezzava: un uomo del genere di certo non si sarebbe interessato troppo al misterioso passato del suo datore di lavoro.
«Eccellenza,» salutò con un inchino «vi ho portato i programmi dell’Opera, come mi avevate chiesto.»
«Ottimo…» mormorò distrattamente sfogliando il libretto che Allut gli aveva consegnato «Fa’ in modo che per la rappresentazione di stasera il palco n. 5 sia mio.» ordinò poi senza alzare gli occhi dalla sua lettura. L’intendente chinò il capo e uscì lasciandolo nuovamente solo con i suoi pensieri. Erik sospirò profondamente e tornò a nascondere l’anello di Christine sotto la camicia, poi, con la luce della risoluzione nei suoi occhi grigi, sussurrò, provando una vaga sensazione di déjà vu:
«Che la mia opera cominci!»

 
La nobiltà parigina sfilava come sempre altezzosa nell’ingresso dell’Opera Populaire. Dopo l’incendio i due direttori, Armand Moncharmin e Firmin Richard, si erano indebitati fino alla punta dei capelli per far ristrutturare completamente il teatro. Due anni dopo il terribile incidente, a lavori terminati, l’Opera era tornata al suo originale splendore, guadagnando fama per le nuove e oscure storie che circolavano attorno al suo nome. In tre anni di spettacoli i posti lasciati vuoti in sala erano stati davvero rari e nessuno di quelli era mai rimasto libero per più di una sera consecutiva. Nessuno… tranne uno. Il palco n. 5, tristemente famoso tra chi ricordava le vicende del Fantasma dell’Opera, non era più stato occupato, un po’ per abitudine e un po’ per superstizione. Ma quella fredda sera di fine febbraio, poco prima dell’inizio del primo atto dell’Hannibal di Chalumeau, la porta rimasta a lungo chiusa si riaprì e anche il palco n. 5, come il resto del teatro, riprese vita. L’ombra di un uomo vi scivolò silenziosamente all’interno, ignorata dal pubblico che aveva occhi solo per lo spettacolo, sorridendo a quella vista che gli si ripresentava dopo tanti anni. Si mise comodo sulla sua poltrona e lasciò che il suo sguardo vagasse sulla sala nel tentativo di distinguere, tra migliaia di volti, quello di… Ghignò soddisfatto. Era lì, nel palco di fronte al suo, il gomito appoggiato al parapetto, il mento sulla mano, seguendo attentamente la rappresentazione. Era cambiata, cresciuta, il viso aveva assunto una piega più matura, o forse era solo l’effetto di quell’abito eccessivamente ricco e sfarzoso per lei. Una cosa era certa: era più bella di come la ricordava. La fissava da un paio di minuti quando la vide distogliere per un attimo gli occhi dallo spettacolo, abbassarli e… Sentì la rabbia montargli nel petto con un’ondata di calore. Accanto a lei, probabilmente seduto sulle sue ginocchia per vedere meglio, apparve un bambino biondo sui tre anni. Suo figlio. Si diede mentalmente dello stupido, avrebbe dovuto aspettarselo, dopotutto erano passati cinque anni. Eppure, allo stesso tempo, non riusciva a credere ai suoi occhi. Si era sposata. Si era sposata con quel maledetto damerino che gliel’aveva portata via! Un ringhio rabbioso stava per sfuggirgli dalle labbra quando improvvisamente si ricordò perché era lì. Il ringhio si trasformò in un altro ghigno. Tutto sommato quell’odioso matrimonio poteva avere anche i suoi risvolti positivi… L’atto terminò tra gli applausi del pubblico, il sipario si chiuse, la sala tornò ad essere illuminata dalle luci e… e dopo cinque anni gli occhi di Christine Daaé, ora viscontessa di Chagny, incontrarono i suoi.

 
«Christine…» Si riscosse quando sentì suo marito chiamarla e si voltò verso di lui sorridendo. Un sorriso falso, ma ormai era diventata una brava attrice. La verità era che la vista di quell’uomo nel palco n. 5 le aveva lasciato una strana sensazione mista di terrore, colpa e ricordo di un passato che aveva cercato di cancellare. Nessuno, dopo… dopo Erik, aveva più occupato quel posto. Il suo ricordo le dava ancora i brividi, ma ormai lui era morto, era finalmente in pace. Anche se quell’uomo nel palco… Scacciò quel pensiero assurdo e decise che poteva arrischiarsi a fare la sua domanda.
«Sbaglio o c’è qualcuno nel palco n. 5?» chiese il più innocentemente possibile. Raoul le rivolse uno sguardo strano, aggrottando la fronte.
«Il n. 5, hai detto?» Lei annuì. Il visconte si voltò incuriosito e vi scorse effettivamente un uomo che, sebbene gli ricordasse vagamente qualcuno, era certo di non aver mai visto prima: capelli neri, lunghi anche sul davanti a coprirgli interamente la parte destra del viso, la pelle abbronzata, di chi ha passato una vita in Oriente, una barba curata a incorniciargli le labbra. Era troppo lontano per distinguere il colore dell’unico occhio visibile, ma poteva supporre che fosse scuro.
«Avevo sentito delle voci secondo le quali era stato affittato da un ricco straniero, italiano o maltese, Montecristo, mi pare… un nome importante fino a qualche anno fa, quando il vecchio conte è morto. Non credevo che avesse un figlio.» Christine alzò le spalle mostrando disinteresse per mascherare il terrore crescente. Aveva già sentito quel nome, Montecristo, non tra i nobili dell’alta società parigina, ma tra le ombre dei sotterranei dell’Opera. Tornò a seguire lo spettacolo cercando di tenere a bada la vivacità di suo figlio Gustave, la mente persa nei suoi pensieri. Per come la vedeva lei, c’era un solo modo per fugare definitivamente i dubbi che la stavano assillando. Un modo che forse avrebbe distrutto definitivamente la patina di felicità che ricopriva la sua vita da quando aveva fatto la sua scelta.

 
L’espressione sconvolta che aveva visto sul volto di lei gli aveva fatto nuovamente salire il ghigno alle labbra. Il suo piano stava decisamente andando come aveva previsto. E ora che la trappola era pronta, doveva solo aspettare che la sua preda vi cadesse.

 
Due sere dopo era seduto al suo pianoforte, davanti a uno spartito vuoto. Non stava suonando. No, per quanto assurdo potesse sembrare stava componendo. Non aveva più scritto nulla dopo il suo Don Giovanni Trionfante, dopo aver perso la sua musa. Per un attimo si chiese se non fosse stato proprio il rivederla a fargli tornare l’ispirazione. Scosse la testa cercando di scacciare quei pensieri, ma non ottenne grandi risultati. Christine era come una droga, profondamente radicata nella sua mente e nel suo cuore. Per cinque anni aveva cercato disperatamente di dimenticarla, riuscendo solo ad odiarla e amarla più intensamente di prima. In quel momento sentì qualcuno battere due colpi sulla porta salvandolo dal mare dei suoi pensieri. Sorrise, il suo sorriso amaro. Doveva esserci una qualche legge divina per la quale non poteva suonare in pace per più di due ore senza essere disturbato. Si alzò e aprì la porta trovandosi di fronte all’ultima persona che si sarebbe aspettato di vedere in quel momento.
«Viscontessa,» accennò un inchino, cercando di nascondere la sorpresa e la soddisfazione nel vedere che era già caduta nella sua trappola «non vi aspett…» Senza riuscire a terminare la frase si ritrovò con il capo voltato verso destra, la guancia in fiamme. Se non avesse visto la mano della donna ancora sollevata non avrebbe mai creduto possibile quello che era appena successo.
«Perché non mi hai detto nulla?» sussurrò lei con le lacrime agli occhi «Per tutti questi anni ho creduto che fossi morto…Raoul mi disse che avevano ritrovato il tuo cadavere…» si coprì il volto con le mani, singhiozzando, senza mai distogliere lo sguardo dai suoi occhi grigi ora carichi di odio.
«Immagino che avrai tirato un sospiro di sollievo quando te l’ha detto.» Stava perdendo il controllo, tremava dalla rabbia, ma d’altra parte che diritto aveva quella maledetta di piangere quando era stato lui ad aver sofferto come un cane? Un minuscolo sorriso si fece largo tra le lacrime sulle labbra di lei.
«Ho tirato un sospiro di sollievo, si… ma solo quando ti ho rivisto nel tuo palco due sere fa.» Qualcos’altro che non si era aspettato. Decisamente le sorprese per quella sera cominciavano ad essere troppe, ma quella in particolare era riuscita a destare la sua curiosità, oltre che la sua ira: che cosa aveva in mente quella donna dannata?
«Perché dovrei crederti?»
«Perché ti amo.» Lui scoppiò a ridere, una ristata cattiva, quasi crudele, senza alcuna gioia.
«Mi ami, Christine? Mi ami?» Tornò immediatamente serio, il viso contratto in un’espressione di odio puro, lo sguardo feroce spietatamente puntato su di lei, tanto da farla indietreggiare fino a sfiorare il muro con le spalle.
«Dopo tutto quello che è successo,» riprese con una voce che sembrava giungere dalle profondità dell’Inferno «dopo tutto quello che mi hai fatto, dopo avermi lasciato per sposare quell’idiota» il tono si stava alzando progressivamente «torni da me e vieni a dirmi che mi ami?» Consapevole della propria parte di colpa, Christine aveva ricominciato a piangere in silenzio senza mai abbassare lo sguardo, ancora incatenato a quello di lui.
«Avresti dovuto pensarci prima,» continuò l’uomo con rancore «quando hai fatto la tua scelta. Ora vivi le conseguenze delle tue azioni con la consapevolezza che io non ti perdonerò mai!»
«Io avevo scelto te!» gridò lei tra le lacrime «Avevo scelto di passare il resto della mia vita al tuo fianco, sebbene non sapessi ancora di amarti…»
«Non mentirmi, Christine!» tuonò interrompendola «Tutto quello che hai fatto è stato solo per lui! Per salvare la sua miserabile vita senza curarti della mia dannazione!»
«Erik, ti prego…» Sentirla sussurrare il suo nome con tanta dolcezza e disperazione per un attimo gli fece quasi dimenticare tutta la rabbia che provava.
«È troppo tardi, Christine, troppo tardi per venire a chiedermi scusa, per venire a dirmi che mi ami, sempre che sia vero.» Amarezza e crudeltà. Erano questo le sue parole. Amarezza e crudeltà.
«In fondo hai tutto quello che potresti desiderare: un marito che, nonostante tutto, ti ama, un figlio, sei ricca, viscontessa e Prima Donna dell’Opera…» Lei scosse la testa, piangendo e sorridendo allo stesso tempo.
«Non sai quanto ti sbagli…» sussurrò «Forse all’apparenza potrò sembrarti felice, ma è solo un riflesso dell’amore per Gustave: il mio matrimonio non mi ha dato che una soddisfazione, quella di un figlio, della ricchezza non mi importa nulla, così come dei titoli. Quanto al canto…» lasciò andare una risata sottile che non aveva nulla di allegro «Perché credi che l’altra sera mi trovassi tra il pubblico e non sul palco a cantare?» La fissò, ma non rispose.
«Ho perso la voce, Erik. Da quella notte nei sotterranei io non ho più cantato.» Vedendolo immobile con gli occhi grigi puntati nei suoi gli si avvicinò lentamente, staccandosi un poco dal muro.
«La mia voce è rimasta assieme al mio Angelo della Musica.» Erik trasalì. Se voleva fargli del male aveva trovato il modo migliore. Era cresciuta la sua piccola fata del nord, non era più una bambina ingenua, aveva imparato a mentire e a giocare sporco. E se con quel nome, Angelo della Musica, voleva farlo cedere, ci stava riuscendo. Ricordava terribilmente bene l’ultima volta che l’aveva sentito sulle labbra di lei…
 

Angel of Music, you deceived me…
 

Si impose di dominare la rabbia che lo stava nuovamente assalendo.
«Hai fatto la tua scelta, Christine.» mormorò con voce cupa «Pagane le conseguenze. Tutto quello che ti avevo chiesto era dimenticarmi, visto che non potevi amarmi. Vattene e dimenticami, come io mi sono dimenticato di te.» Lei avanzò ancora di qualche passo fino a portare il suo viso a pochi centimetri da quello di lui.
«Non mentirmi, Erik!» disse con un accento irato che di rado animava la sua voce «Non sei mai stato in grado di farlo. Non fingere che io non conti più nulla per te, perché, se così fosse, sarei già morta da tempo e tu non saresti qui!»
«E cosa ti fa credere che io sia tornato a Parigi per te?» Era tornato per Haydée, per esaudire il suo ultimo desiderio. L’idea di restare per compiere finalmente la sua vendetta era venuta dopo.
«Questo…» la sua voce era tornata carica della dolce tristezza di poco prima, mentre prendeva delicatamente tra le dita l’anello che lui portava al collo. Erik si morse il labbro inferiore e abbassò lo sguardo sul gioiello, maledicendo la sua abitudine di lasciare la camicia quasi completamente aperta quando suonava. Rialzò gli occhi furenti su quelli umidi di lei e aprì la bocca per parlare, ma non riuscì a pronunciare una parola. Le labbra di Christine si posarono sulle sue costringendolo al silenzio, un silenzio rotto solo dai battiti affrettati del suo cuore. Interruppe immediatamente quel lieve contatto che gli aveva fatto cadere il mondo addosso e, respirando a fatica, riuscì solo a sussurrare:
«Christine…» Lei lo interruppe poggiandogli un dito sulle labbra.
«Ti prego…» mormorò con gli occhi lucidi fissi in quelli di lui «Ti prego, solo per questo momento, finché sei mio, lasciati il passato alle spalle…»
«Sai che non lo farò…» Lei lo baciò di nuovo e questa volta non riuscì a resisterle: le passò le braccia attorno alla vita e l’attirò a sé, rispondendo con foga a quel bacio che bramava da anni. La sentì scostargli i capelli dalla parte destra del viso, lasciando libera la sua metà sfigurata, ma non se ne curò. Quello che lo preoccupava era la mano che lei teneva premuta contro il suo petto, contro il suo cuore che batteva rapido e irregolare. Christine aveva ragione, non era capace di mentirle. L’amava ancora troppo per essere in grado di farlo. La sua camicia scivolò a terra, le sue labbra sulla gola di lei, le sue mani ai lacci del corsetto. Sentì le sue lunghe dita affusolate passargli tra i capelli mentre terminava la sua silenziosa lotta con l’abito lasciandolo cadere incurantemente accanto alla camicia. La sollevò tra le braccia scendendo a baciarle l’incavo del seno, sentendo sotto le labbra i battiti affrettati del cuore di lei. Ora poteva crederle, lo amava davvero. Lo sentiva dai suoi baci, da come le batteva il cuore, dai suoi gemiti e dai suoi sospiri. Lo sentiva da come la sua pelle liscia si increspava sotto le sue carezze, da come si aggrappava a lui, affondandogli le unghie nella schiena. Poteva leggerle quell’amore negli occhi continuamente alla ricerca dei suoi, mentre, dopo lunghi anni di attesa, la faceva finalmente sua, anima e corpo. La sentì sussurrare il suo nome, più di una volta, mentre lui si mordeva le labbra a sangue per non farsi sfuggire quello di lei. “Maledetto orgoglio,” si ritrovò a pensare più tardi, sdraiato accanto a Christine che dormiva con la testa appoggiata al suo petto “dannata vendetta! Mi porterete alla tomba! Una sola parola e lei sarebbe mia per sempre. Sarebbe davvero così difficile mettervi da parte?” Si alzò piano, stando attento a non svegliarla e, legandosi un lenzuolo in vita, uscì dalla stanza.
 

 
Suonava. E pensava. Aveva chiuso la porta che comunicava con la camera per non disturbare Christine. E aveva chiuso gli occhi, come sempre, perché tenerli aperti su una realtà che non riusciva a comprendere non gli serviva a nulla. Aveva mille possibilità diverse per compiere la sua vendetta, lì, a portata di mano… come il suo amore. Si trattava solo di scegliere. Era sempre solo una questione di scelte quella tra lui e Christine.
 

You try my patience. Make your choice.


Ricordava fin troppo bene la scelta di lei. Avrebbe dovuto agire di conseguenza e prendersi una vendetta che avrebbe potuto farlo soffrire ancora di più o poteva scegliere quell’amore che aveva tanto desiderato e che gli si offriva su un piatto d’argento? Si trattava solo di fare una scelta. Quanto gli costava la vendetta? Valeva il suo cuore? Perché avrebbe dovuto rinunciarvi se fosse stata quella la sua scelta. E quell’amore, invece, quanto costava? Un po’ di orgoglio gettato al vento, niente di più. E la consapevolezza di non aver mantenuto la propria parola. Nel buio delle sue notti insonni aveva giurato a se stesso che si sarebbe vendicato per quello che Christine gli aveva fatto, ma come poteva vendicarsi della donna che amava? Si lasciò sfuggire un sospiro. Quanto avrebbe voluto che Edmond fosse stato ancora lì, lui di certo avrebbe saputo dargli un consiglio. Sorrise. Poteva quasi risentire la voce ammonitoria di quello che era stato suo padre. “Guardati dalla vendetta perché ti chiederà in pegno cose che potrebbe non restituirti mai più.” Sospirò di nuovo, poi sentì il profumo di Christine e i suoi passi leggeri. Si era svegliata da poco e ancora prima di sentirlo suonare si era accorta che il letto accanto a sé era vuoto. Avvolgendosi il lenzuolo attorno al seno era uscita dalla stanza e l’aveva visto seduto al pianoforte, gli occhi chiusi e l’espressione pensierosa. Si chiedeva se anche lui fosse perso nel ricordo di quanto era accaduto tra loro… lei ancora non riusciva a crederci. Fare l’amore con Erik era stato… sconvolgente, l’esatto opposto che con Raoul, forse perché erano due uomini completamente diversi, forse perché l’amavano in due modi completamente diversi: l’amore dolcemente tenero di suo marito non aveva nulla a che vedere con l’esigente, lussuriosa passione di Erik. La stessa passione che, quella notte, nei sotterranei dell’Opera, quando lei era ancora poco più che una bambina, l’aveva spaventata al punto da farla fuggire. Aveva impiegato anni prima di rendersi conto di aver sposato l’uomo sbagliato, ma le ci erano voluti appena due giorni per tornare fra le braccia di colui che, ora ne era certa, amava. Gli si avvicinò lentamente e lo abbracciò da dietro, posandogli dolcemente un bacio sul collo. Lui non aprì gli occhi e non smise di suonare, limitandosi a godere in silenzio delle carezze e dei baci di lei. Aveva fatto la sua scelta, l’unica che poteva e che voleva fare, per quanto crudele e terribile potesse essere. Ma fino al mattino seguente, fin quando la sua decisione rimaneva assopita in seno alla notte, avrebbe vissuto appieno ogni singolo momento con lei. Voltandosi appena cercò alla cieca le sue labbra con le proprie scivolando, quando le trovò, in un lungo, morbido bacio carico di promesse che non avrebbe mai mantenuto. Dallo strumento le sue dita si spostarono sulla pelle di lei mentre lo costringeva ad alzarsi e lo guidava, senza mai smettere di baciarlo, verso il letto. Caddero abbracciati fra le lenzuola scomposte, persi l’uno nell’altra, mentre i loro baci si facevano sempre più brevi e affannati, spezzati da gemiti e sospiri, da sussurri e carezze. Presi tra la passione e il desiderio, lasciarono le labbra ardenti scendere a tracciare sentieri confusi sulla pelle, incuranti di qualunque cosa che non fosse il loro amore. I loro cuori battevano all’unisono, ad un ritmo frenetico, veloci, sempre più veloci, fino a dare l’impressione di scoppiare, o forse facendolo davvero nel momento in cui diventavano una cosa sola. Stretta a lui quasi con disperazione, aggrappata alle sue spalle, Christine lo sentì mormorare il suo nome con dolcezza, come si era impedito di fare ore prima. Posò la fronte contro quella di lui, fissandolo intensamente negli occhi mentre il suo respiro rallentava fino a ritrovare un ritmo normale.
«Ti amo, Erik…» Lui sorrise, un sorriso stranamente triste. Si abbassò sulle sue labbra, travolgendola in un ultimo bacio appassionato prima di sdraiarsi accanto a lei cingendole possessivamente la vita con un braccio, stringendola a sé mentre scivolava nel primo sonno senza incubi di tutta la sua vita.
 

 
Si svegliò quando i raggi del sole iniziarono a filtrare all’interno della stanza attraverso le tende socchiuse. La prima sensazione fu quella del profumo penetrante di Christine e delle sue dita sottili che gli accarezzavano i capelli. Si lasciò sfuggire un sospiro triste dalle labbra mentre, puntellandosi sul gomito, si alzava per fissare gli occhi nei suoi. Il suo sorriso lo uccise, ma non lo diede a vedere. Se solo quella stupida avesse avuto il buon senso di andarsene appena sveglia! Così gli rendeva solo le cose più difficili.
«Credevo che te ne fossi già andata…» sussurrò, desiderando sempre più ardentemente che l’avesse fatto.
«È un modo gentile per mandarmi via?» chiese scherzando. Lui rimase serio, troppo. Il sorriso scomparve dal suo volto lasciando il posto ad un’espressione confusa e preoccupata.
«Tuo marito si starà chiedendo dove sei…»
«Raoul è in Inghilterra.» disse con voce atona, chiamandolo per nome. Erik colse l’occasione al volo e lasciò andare la sua risata amara, alzandosi e iniziando a rivestirsi.
«Ma certo, hai aspettato che lui se ne andasse per venire da me!»
«Cosa dovevo fare? Attirarmi addosso tutte le malelingue di Parigi?»
«Quanto sei ingenua, Christine! Credi che solo perché tuo marito non c’è nessuno si accorgerà che hai passato fuori tutta la notte?» Calcò molto sulla parola marito, come per ricordarle che, effettivamente, lei era sposata.
«Non sono più una bambina, non devo rendere conto a nessuno di quello che faccio!» Lui rise di nuovo.
«E quando Raoul verrà a saperlo che cosa gli dirai, che sei tornata da me?» Inarcò un sopracciglio all’espressione improvvisamente risoluta di lei.
«Gli dirò la verità.»
«La verità, Christine? E qual è la verità?» Stava già per rispondergli quando fu messa a tacere dallo sguardo infuocato di lui. La odiava e, ora ne era certa, non l’avrebbe mai perdonata per la sua scelta, poco importava quanto si amassero.
«La verità è che non avrai mai il coraggio di lasciarlo definitivamente per tornare da me, esattamente come non l’hai avuto cinque anni fa! E tuo figlio?» A quella domanda Christine trasalì e sentì le lacrime salirle agli occhi.
Gustave

«Dimmi, ti sei abbassata a pensare a lui dall’alto del tuo egoismo?» Furibondo, notò che le lacrime avevano preso a scorrere silenziose sul volto della donna.
«Hai un’ora di tempo.» riprese cercando di dominare la rabbia «Quando tornerò farai bene ad essere lontana da qui e a tener presente di non tornare mai più.» Lei si alzò e gli gettò le braccia al collo, affondando il viso nel suo petto, mentre l’uomo rimaneva impassibile, immobile.
«Non puoi farmi questo!» gemette, sfiorandogli la gola con le labbra, alzando il viso per baciarlo. Erik la respinse.
«Vattene, Christine.» mormorò gelido. Poi, con una sorta di crudele soddisfazione, aggiunse:
«È tutto quello che ti chiedo.» Stava già sparendo tra le ombre del corridoio quando la voce angosciata di lei lo fermò.
«Erik, perché?»
«Considerala come la mia vendetta.» E se ne andò, sbattendosi la porta alle spalle, sforzandosi di ignorare il suo pianto disperato.
 


Due mesi erano passati da quando, per puro orgoglio, aveva scelto di mettere la vendetta al primo posto. Due mesi erano passati da quella notte impressa a fuoco nella sua memoria. Due mesi durante i quali aveva tormentato Christine presentandosi regolarmente all’Opera, nel suo palco n. 5, mentre, senza mai staccare gli occhi da lei, portava crudelmente a termine il suo piano. In quei due mesi l’aveva vista apparire sempre più pallida e stanca, per poi scoprirsi a chiedersene sempre più spesso il perché. Era solo la sua vendetta a farla soffrire così? Qualcosa a cui non riusciva a dare un nome gli diceva che non era possibile. Era una sofferenza fisica, lo vedeva, glielo leggeva negli occhi. E aveva la sensazione che quel malessere non fosse legato nemmeno alle interminabili piogge di fine aprile. Pioveva anche quella notte, mentre si trovava seduto al suo pianoforte, cercando distrattamente di dare una parvenza di ordine al suo ultimo lavoro. Strano a dirsi, ma in realtà stava aspettando, con innegabile curiosità, di sapere chi sarebbe venuto a interromperlo quella volta. Nessuno bussò, la porta si aprì in silenzio. Il ghigno gli si gelò sulle labbra, riconosceva quel profumo. Spalancò gli occhi e si voltò. Christine. Pallida, con gli occhi lucidi, ma l’espressione profondamente risoluta. Si alzò cercando di contenere la sua rabbia.
«Credevo di essere stato chiaro…»
«È importante. Sai che altrimenti non sarei qui.»
«Che diavolo vuoi ancora da me?» chiese in un sibilo, sull’orlo dell’esasperazione. Lei abbassò lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore. Prese un profondo respiro e mormorò con la sua voce più calma:
«Sono incinta.» Silenzio. Erik sollevò un sopracciglio in un'espressione mista di attesa, noncuranza e ira.
«Sono incinta di due mesi.» proseguì lei.
«E sei venuta per dirmi questo?» La voce fredda di lui le fece, per un attimo, venire voglia di andarsene in lacrime lasciandolo nella sua indifferente ignoranza. Prese un profondo respiro e scacciò con decisione quell’idea.
«Due mesi fa Raoul era in Inghilterra.»
«Non vedo come tutto questo abbia a che fare con me.» E le diede le spalle tornando al suo spartito.
«Non è figlio suo.» Erik si voltò di scatto temendo di sentirle dire quello che già sospettava.
«Erik, io…» sospirò e chiuse gli occhi per un attimo, prima di riaprirli e fissarli in quelli di lui. «io sono incinta di tuo figlio.» Rimase impassibile, ma il suo viso sbiancò fino a raggiungere il colore della sua maschera bianca.
«Che cosa devo fare?» domandò disperata tra le lacrime.
«Fa’ quello che ti pare. È una faccenda che non mi riguarda.»
«È tuo figlio!»
«No, Christine. È
tuo
figlio.» Si voltò di nuovo per non vedere la sua espressione sconvolta, ma, soprattutto, per non mostrarle quanto le sue stesse parole l’avessero ferito. La verità era che non aveva mai effettivamente pensato alle conseguenze che poteva avere quello che era successo due mesi prima. Non aveva mai pensato che dalla loro unica notte passata insieme, dalla sua vendetta, sarebbe potuto nascere qualcosa… men che mai un figlio! Un figlio… suo e di Christine… si diede dell’idiota anche solo per averlo pensato. Un figlio suo avrebbe potuto essere sfigurato come lui. Voleva davvero che un bambino innocente subisse il suo stesso fato? E anche se fosse andato tutto bene Christine rimaneva comunque la moglie di un altro uomo. La sentì ridere sommessamente tra i singhiozzi.
«Mi sarei dovuta aspettare una risposta del genere da te. Sono stata una stupida a venire…»
«Per una volta non posso che darti ragione.» mormorò con una sorta di cupo umorismo.
«Volevo solo che lo sapessi…»
«Ora lo so. Puoi anche andartene.» Continuò a darle le spalle fingendo di trovare molto interessante il paesaggio oltre la finestra. Sapeva che se si fosse voltato a guardarla avrebbe ceduto e non poteva permetterselo. Non era più solo una questione di vendetta. Ora agiva anche nell’interesse di quel bambino che, nonostante le sue parole, considerava suo. Ricordava troppo dolorosamente bene la sua infanzia per poter permettere che anche una minima parte di essa si riflettesse in quella di suo figlio. Aveva bisogno di entrambi i genitori e lui in quel momento aveva ancora troppi affari in sospeso per poter promettere persino di vivere abbastanza per vederlo nascere. Per quanto odiasse l’idea, aveva bisogno che Raoul di Chagny facesse da padre a suo figlio, almeno fin quando non avesse sistemato l’enorme, intricata matassa di problemi che era diventata la sua vita. Si accorse all’improvviso del filo che stavano seguendo i suoi pensieri. Non poté impedirsi di sorridere: per la prima volta in vita sua aveva messo da parte il suo maledetto orgoglio. E l’aveva fatto per la felicità di suo figlio. Sentì una lacrima calda e silenziosa scivolargli lentamente lungo la guancia. La voce di Christine lo richiamò momentaneamente alla realtà.
«Allora addio, Erik…» Non le rispose e aspettò che si chiudesse la porta alle spalle prima di voltarsi. Si lasciò cadere sulla sua poltrona, sentendosi svuotato. L’aveva lasciata andare. Di nuovo. E con lei aveva lasciato andare anche suo figlio. Ma era certo di aver fatto la cosa giusta. Sì, era quella la cosa giusta da fare. Prese un profondo respiro e alzò gli occhi al cielo.
“Dio,” pregò, per la prima e ultima volta in tutta la sua vita “uccidimi ora, piuttosto, ma non lasciare che mio figlio subisca il mio stesso destino…”

xXx

Note dell'Autrice: 

Allora, innanzitutto ringrazio le anime buone che leggono e non recensicono, perchè fa comunque piacere sapere che c'è qualcuno che legge questa follia. Certo, se ricevessi qualche recensione in più non sarebbe male, ma per ora mi accontento. Sempre a proposito di recensioni vediamo di dare qualche piccola risposta/raingraziamento:

a linny93: Confessa, sorellina, non vedevi l'ora di apparire a fondo pagina di un mio capitolo! Di' la verità!! Comunque, domandina piccina piccina: cosa rispondo a fare alle tue recensioni se tanto sai già pressochè tutto della storia? Mah... Idiozie a parte, sono contenta che continui a piacerti... e penso proprio che fosse questo il capitolo a cui ti riferivi l'altra volta...^^

a Elby: Prima di tutto un immenso GRAZIE per aver recensito. Secondo di tutto, spero che tu non sia rimasta delusa da come sto gestendo la storia, ma il fatto è che non avevevo  abbastanza idee per seguire tutto il filo logico del tempo. Quindi è venuta fuori questa... cosa fatta di spezzoni stile flash che però, tutto sommato, è meno peggio di quanto pensassi, visto che sembra piacerti ^^. Tanto per fartelo sapere, ho pianto lacrime amare quando ho scritto la morte di Edmond (lui ed Erik sono due dei miei tre grandi amori platonici, per cui.....), ma, come hai giustamente notato, se fosse rimasto in vita, il nostro Fantasma non si sarebbe mosso di un millimetro dalla sua posizione. Spero che la soddisfazione della tua curiosità sul capitolo Erik/Christine possa almeno in parte alleviare il dolore della mancata presenza di un capitolo sull'Oriente... anche se, ora che mi ci fai pensare, impegnandomi potrei tirare fuori qualcosina... ma temo che sarebbe sotto forma di spin-off, così come lo scontro ravvicinato con il pargolo, dato che, almeno in teoria, la storia è già finita.

Ebbene sì, ladies and gentlemen, questo è l'ultimo capitolo. Il prossimo aggiornamento (non chiedetemi quando) sarà l'epilogo, ricollegato alla fine del film. Naturalmente, se non vi va di aspettare fino a tempo indeterminato, potete sempre farvi prestare il cappio da Erik e impiccarmi ora o, se preferite cose meno coreografiche, potete avvelenarmi con uno degli intrugli del Conte. Bene, per ora è tutto.

I remain your humble and obedient servant, 

bloodred_rose

  
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