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Autore: fourty_seven    09/07/2014    1 recensioni
Se vi state chiedendo chi io sia... beh lasciate perdere non ne vale la pena. Tuttavia per coloro che sono ugualmente interessati posso dire che sono un ragazzo con dei "problemi".
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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La festa continua fin verso le tre di notte e ovviamente Sarah riesce a farmi ballare con lei almeno una volta.
Noi due siamo gli ultimi ad andare via, Carol e Sabrina si sono fatte accompagnare a casa da altre persone.
“È stato divertente, no?”.
“Tranne che per una cosa” rispondo serio; lei mi guarda per qualche istante, poi anche lei diviene seria e dice: “In quell’occasione hai sbagliato anche tu, Lucas sarà pure...”.
“Non mi riferisco a quello”.
Mi guarda un po’ confusa, poi sembra illuminarsi: “Sì ho capito. Non ti costringerò mai più a ballare...”.
“No sei fuori strada. Io sto parlando di quando ti è caduto addosso quel tipo ubriaco” dico, cercando di evitare di mettermi a ridere.
“Hai ragione, non è stato per nulla divertente” aggiunge lei seria.
“infatti; definire quell’episodio divertente sarebbe riduttivo, io direi che è stato esilarante, epico, soprattutto la parte in cui cercava di baciarti e tu gli hai stampato una bella cinquina in faccia” concludo scoppiando a ridere, mentre lei si limita a sbuffare fingendosi irritata.
 
 
 
Quando mi fermo davanti a casa sua e ci salutiamo ho come l’impressione che si sarebbe aspettata qualcosa di più che un semplice “ciao” detto a mezza voce, dato che rimane qualche secondo a guardarmi prima di aprire la portiera e scendere. Ho quest’impressione, ma potrei anche sbagliarmi.
Dopodiché arrivo a casa, mi butto sul letto.
E mi risveglio urlando.
Mi metto seduto e mi guardo attorno; deduco che non è più notte dal fatto che c’è troppa luce, così porto gli occhi sulla sveglia: cinque alle nove.
Decido che è troppo tardi per provare a riaddormentarmi, così scendo dal letto e vado in cucina, dove trovo i miei che stanno facendo colazione, così mi unisco a loro.
Quando finisco di mangiare esco di casa. Potrei andare a trovare Sarah, ma magari sta ancora dormendo; dopotutto siamo tornati a casa solo sei ore fa e lei non ha incubi che possono disturbarle il sonno. Quindi in totale non so cosa fare, come al solito del resto.
Mentre sono fermo in mezzo al marciapiede decidendo cosa fare, noto una faccia conosciuta dall’altra parte della strada; così attraverso e vado in contro a Jason.
“A quanto pare siamo destinati ad incontrarci casualmente”.
Lui si ferma e mi sorride; “Direi proprio di sì” risponde, poi riprendiamo a camminare.
“Sei ancora in giro con le tue amiche?”.
“No, sono solo”.
“E stavi andando da qualche parte?”.
“In effetti no”.
“Io ho anche oggi un bel po’ di lavori da sbrigare, hai voglia di farmi ancora compagnia?”.
“Certo, perché no”.
“Per prima cosa devo andare nella biblioteca in cui lavoro; so che è domenica, ma ho ancora dei libri da catalogare e avrei dovuto finire ieri di farlo”.
 
 
 
Mi cade un libro dalle mani e il tonfo spezza il silenzio di questo luogo.
“Scusa” dico immediatamente, appoggio i libri che ho tra le braccia e raccolgo quello caduto.
“Certo che è un bel mattone” commento raccogliendolo.
“Che cos’è?” chiede Jason, che si trova qualche passo davanti a me e mi da le spalle.
“Uhm, Guerra e Pace”.
“Ah, quel libro lo so quasi a memoria”.
“Davvero?”.
“Per sei anni ho avuto una babysitter russa e tutte le sere mi leggeva quel libro prima di andare a dormire”.
“Però! Non ti invidio”. Si volta sorridendo verso di me.
“Non ti interessano proprio i libri, vero?”.
“Sì, cioè leggo, non molto spesso però qualcosa leggo anch’io; ma prevalentemente libri digitali”.
“Ognuno ha i suoi gusti” commenta, mentre riprende il suo lavoro: annota i titoli dei libri sugli scaffali, ne segna alcuni che io prendo e porto su una grande scrivania.
Non ho ben capito a cosa serva tutto questo, ma non importa, mi limito a fare ciò che mi dice.
“Posso chiederti una cosa?”, lui annuisce, “Com’era vivere con tuo zio? Da bambino, intendo, prima che ti facesse entrare nel suo mondo”.
Rimane immobile e in silenzio per qualche istante, poi riprende a fare ciò che stava facendo e mi risponde: “In tutta sincerità non era niente male; come ti ho già detto, da bambino mio zio era molto gentile, tutto ciò che volevo lo ottenevo immediatamente; mi bastava chiedere. E questo non succedeva solo con mio zio, ma anche con i miei amici, o meglio con i ragazzini con cui giocavo. Non credo che amici sia il termine corretto, dato che stavano assieme a me solo per paura. Infatti erano tutti ai miei ordini, e devo ammettere che mi piaceva, anche se non sapevo capivo il motivo del loro comportamento”, si volta a guardarmi, “A volte capitava che qualche ragazzino, magari più grande di me, osasse discutere la mia autorità, e immancabilmente dopo un paio di giorni lui e la sua famiglia si trasferivano altrove. E quando ciò avveniva mi sentivo ancora più importante e potente di prima. Ovviamente quando ho scoperto il motivo di tutto ciò me ne sono vergognato. Mi sono vergognato di me stesso e del fatto che non avessi capito il vero motivo per cui fossi circondato da tanti “amici”; tuttavia, contemporaneamente a ciò, non potevo non essere arrabbiato con loro, mi sentivo tradito e, devo ammetterlo, per un po’ di tempo ho pensato di vendicarmi. Fino a quel momento avevo usufruito della mia posizione in modo inconsapevole, perché non iniziare a farlo con consapevolezza? Ma non l’ho mai fatto, anche perché il mondo a cui mi aveva iniziato mio zio richiedeva la maggior parte del mio tempo; e io mi ci sono immerso, anima e corpo, per non deluderlo”.
Finisce di parlare e riprendiamo a sistemare i libri in silenzio.
“Invece a te come andava la vita prima di finire in India?”.
“Mah, non saprei. Cioè sicuramente meglio che là, però non è che me la spassavo. Avevo un bel po’ di problemi con la scuola; come anche adesso del resto, non avevo per nulla voglia di studiare e ovviamente i miei erano alquanto arrabbiati con me”.
“Capisco”.
 
 
 
“Ti avevo detto che è un posto accogliente”.
“Sì, hai ragione” commento guardandomi attorno; ha insistito per andare a mangiare in un ristorante vicino alla biblioteca, dato che si mangia molto bene e il proprietario è un suo amico, di conseguenza riceveremo un trattamento speciale; inoltre ha detto che è un posto tranquillo, perfetto per chi vuole mangiare in pace.
E sulla tranquillità ha ragione; anche se il locale è discretamente affollato, è stranamente silenzioso: poche persone stanno parlando e chi parla, lo fa a bassa voce.
“Oh buon giorno signore; vedo che ha ospiti oggi! Vuole mangiare al solito tavolo o ne preferisce un altro?”.
“No, il solito va bene, Scott, grazie”.
Lo seguo attraverso il locale, fino ad un tavolo in fondo alla sala.
“Hai scelto proprio un bel posto” commento quando ci sediamo.
“Da qui posso controllare tutto ciò che succede senza essere visto” mi risponde. Sorrido e non aggiungo altro.
Dopo un paio di minuti un cameriere viene a prendere le nostre ordinazioni e dopo nemmeno dieci minuti stiamo già mangiando. E devo ammettere che anche sul fronte cibo Jason aveva ragione.
“Devo ammettere che hai ottimi gusti in fatto di locali” commento quando finiamo di mangiare. Lui sorride: “Scott è molto esigente, la cucina per lui è un’opera d’arte e pretende di avere solo le migliori materie prime e i migliori artisti in circolazione. È per questo che è entrato in affari con mio zio: lui procura le eccellenze che il mercato può offrire, mentre Scott permette che nei suoi locali si svolgano attività che sarebbe meglio non praticare alla luce del sole”.
“Capisco” commento.
 
 
 
“Grazie ancora per il disturbo”.
“Ma figurati”.
“Quando si va in giro con una carretta di vent’anni questi sono i rischi”.
Ci mettiamo a ridere, mentre entro in casa.
“Mamma?”.
“Sì?”.
“Posso prendere ancora in prestito la tua macchina? Dovevo andare fuori città con un mio amico, ma la sua auto l’ha lasciato a piedi”.
“Va bene, ma stai attento!”.
“Come al solito”. Prendo le chiavi e raggiungo Jason, che è rimasto fuori ad aspettarmi.
Saliamo in macchina, parcheggiata davanti a casa.
“Questa sì che è una bella auto” commenta appena sale.
“Probabile, non che mi interessino poi molto le auto. Piuttosto tu non hai mai pensato di cambiarla, quante parti di quel catorcio non si sono mai rotte?”.
“Forse solo i sedili, ma solo perché gli ho cambiati quando l’ho comprata; e comunque avrei un bel po’ d’auto di ricambio, ma non mi va di usarle”.
“Giusto, non ricordavo più la decisione di non vivere con i soldi di tuo zio”.
“In realtà non è per quel motivo; o meglio centra anche quello: se devo comprare un auto lo farò con i miei soldi. Tuttavia le macchine a cui mi riferisco sono quelle della “collezione” personale di mio zio”.
“Collezionista d’auto d’epoca?”.
“Anche. Diciamo che apprezza le auto di lusso”.
“Ho capito”.
“E un giorno ho avuto una brutta esperienza guidando una sua auto, così ho... perso i miei diritti sul suo garage”.
“Una brutta esperienza?”.
“Una sera, di ritorno da una cena, una pattuglia mi ha fermato. Guidavo senza patente, quasi ubriaco e superavo di cento miglia orarie il limite consentito. Mio zio ha risolto immediatamente la situazione, però ho perso un pochino la sua fiducia. Mi riteneva una persona con più giudizio, a quanto pare” conclude sorridendo.
Metto in moto e partiamo.
“Certo che le tue giornate sono sempre piene di impegni” commento dopo un po’, ricordando la lista di faccende che deve sbrigare ogni giorno.
“E questo è un periodo relativamente tranquillo; per ora non sono ancora previste importanti attività”.
“Quindi per oggi manca ancora l’auto officina e poi quel tuo amico?”.
“Sì, e dopo di queste non avrò più bisogno dell’auto, quindi se devi andare...”.
“Non ti preoccupare, non ho altro da fare”.
“Bene”.
 
 
 
“Parcheggiati pure lì, sei con me quindi non faranno storie”.
“Sono sempre più convinto che essere un tuo amico sia molto vantaggioso” commento ridendo, mentre parcheggio nell’unico posto rimasto libero: quello personale del proprietario.
“Sì, finché non ti troverai coinvolto in situazioni spiacevoli” risponde, poi esce dall’auto. Scendo anch’io ed entriamo nella concessionaria.
“Dai pure un’occhiata in giro, io devo parlare con il proprietario”.
“Okay”, poi lui si allontana e io comincio a girare, finché non vedo delle sedie da cui posso tenere d’occhio la porta in cui è entrato Jason, così decido di sedermi.
Comincio a sfogliare svogliatamente una rivista, ma dopo qualche minuto qualcuno si piazza di fronte a me.
Alzo lo sguardo e mi trovo di fronte il tipo a cui ieri sera ho dato un pugno.
Per qualche secondo rimango sorpreso: com’è possibile che ovunque vada me lo ritrovi di fronte; poi mi ricordo che Sarah aveva accennato al fatto che i suoi avessero aperto una concessionaria in città e questa è l’unica concessionaria che c’è in questa città. Il mondo è proprio piccolo.
Rimane in piedi, fermo di fronte a me. Temo di sapere quali siano le sue intenzioni e cerco di correre ai ripari; così mi alzo in piedi anch’io.
“Senti, mi dispiace per ieri sera, non...” inizio a dire.
“Tranquillo, il tuo destro è stato molto eloquente e io non sono il tipo che porta rancore a persone in grado di stendermi con un pungo, preferisco averli come amici”.
“Non posso darti torto”.
“Quindi amici come prima?” dice allungandomi la mano; per qualche secondo rimango fermo a guardarla, chiedendomi se è serio o sta scherzando. Poi decido di assecondarlo e stringo la mano.
“Bene. Ora che abbiamo dimenticato tutti i nostri screzi passati, ti posso invitare a partecipare ad un evento che si terrà tra qualche settimana? Per adesso è ancora tutto in fase di preparazione, ma ti assicuro che sarà qualcosa che rivoluzionerà questa tranquilla cittadina; e vorrei che tu partecipassi”.
“Va bene, ci sto” rispondo non sapendo cos’altro dire.
“Ottimo” poi mi saluta e se ne va.
Mi risiedo e lo guardo allontanarsi, sempre più stupito del suo comportamento.
Dopo un paio di minuti Jason esce dalla stanza e io lo raggiungo.
“Ho avuto una strana conversazione con il figlio del proprietario” inizio a dire appena usciamo, Jason si volta a guardarmi, “Sì, purtroppo lo conosco. Comunque mi ha accennato qualcosa in merito ad un evento molto particolare. Tu ne sai qualcosa?”.
“Sì” risponde semplicemente.
“Uhm, mi piacerebbe sapere di che si tratta, dato che ho accettato di parteciparvi”.
“No, fidati non è qualcosa che ti può interessare. Restane fuori”.
Dire che rimango stupito dalle sue parole, soprattutto dal modo in cui lo dice, è poco; mi fermo e lo guardo andare tranquillo verso la macchina. Quando arriva e si accorge che sono rimasto indietro di qualche passo, si volta a guardarmi.
“Che ti prende?” chiede.
“Tu. Non mi devo preoccupare, vero? Non è che si tratta di... non saprei incontri illegali, combattimenti con i cani o robe del genere? In quel caso non so se...”.
“No, nulla di simile. Ma è meglio se ne resti fuori, tu che puoi”.
“D’accordo” dico per nulla rassicurato.
Saliamo entrambi in macchina; la nostra prossima destinazione è un altro suo “amico” che abita in un paese qua vicino.
 
 
 
“Da una concessionaria ad un autofficina; come mai oggi sei così interessato alle auto?”.
“Sono solo questioni di lavoro” mi risponde mentre scende.
Appena entriamo veniamo immediatamente notati.
“Jason! Non speravo più in una tua visita! Ti sei dimenticato di me?” esclama l’uomo che si è avvicinato a noi, mentre lui e Jason si abbracciano.
Mi sa che questo è veramente suo amico.
“Certo che no. Fino ad ora non ho avuto motivo di venire a trovarti”.
“Ma certo. Ora venite, andiamo nel mio ufficio”.
Ci indica una porta alla nostra destra e noi lo seguiamo.
Il suo ufficio è uno stanza non molto grande, una poltrona un po’ sgualcita alla mia sinistra, un brutta scrivania di legno al centro della stanza, due sedie che hanno visto tempi migliori da un lato, un’altra sedia dall’altro, un vecchio portatile ronza tranquillamente in un angolo della scrivania e, per chiudere in bellezza, una finestra rotta si affaccia sull’autostrada che passa qua vicino. È proprio un posto accogliente.
“Allora, immagino che tu sia interessato a questi” dice raccogliendo dei fogli sparsi sulla scrivania, “E alla merce, che trovi sul retro” conclude sedendosi sulla sedia. Jason si siede e comincia a leggere velocemente i fogli. Mi accomodo anch’io.
“Sì, okay Vince. Comunque non arriveranno prima di una settimana”.
“Non c’è problema”.
“Bene, allora vado a controllare la merce già arrivata”.
“Sì certo, fatti aprire da uno dei ragazzi” e quindi Jason esce lasciandomi da solo con Vince che si accomoda meglio sulla sedia e dalla tasca interna della giacca estrae un astuccio di ferro, dentro vi sono dei sigari.
“Ne vuoi uno figliolo?” chiede.
“No grazie, non fumo”.
“E fai bene, anch’io dovrei smettere”.
“Comunque non penso di essere molto più giovane di te”.
A vederlo non gli darei più di una trentina d’anni, anche se non li porta molto bene: capelli già radi, un po’ di rughe sul volto e un fisico che rivela la sua scarsa attitudine all’attività fisica.
Alle mie parole scoppia a ridere: “Eh, già, hai ragione. Mi piace darmi delle arie”, mette il sigaro in bocca, “Come per i sigari; li fumo soltanto per darmi importanza”. Non aggiungo nulla e tra noi cala il silenzio, mentre fuma però continua ad osservarmi intensamente.
“Tuttavia sono sicuro di averti già visto” dice ad un certo punto, “Non sembri essere del giro, ma la tua faccia non mi è nuova”.
“Ti confondi con qualcun altro”, lui si stringe nelle spalle, poi appoggia nel posacenere il sigaro.
“Quindi se non sei del giro, come hai conosciuto Jason?”.
“A scuola, è un compagno di corso”.
“Interessante”.
“E tu? In questi giorni mi ha fatto conoscere un po’ di suoi “amici”, ma tu sembri l’unico ad esserlo veramente”.
Mi sorride, “È una storia molto vecchia. In sintesi Jason mi ha letteralmente salvato il culo quando eravamo ancora dei ragazzini e... beh non posso non essergli riconoscente”, appena finisce di parlare si apre la porta ed entra Jason.
“Bene, sembra sia tutto apposto”.
“Ovviamente, ci sono io a gestire la situazione!”.
“Okay, allora noi andiamo e ti lasciamo al tuo lavoro” risponde sorridendo. Salutiamo Vince e ce ne andiamo.
“Quindi ora?” chiedo mentre torniamo.
“Ora, se mi vuoi ancora accompagnare, devo fare prima un salto a casa, poi ci sono ancora un paio di posti da visitare”.
 
 
 
“Siete stati tutto il pomeriggio in giro?” chiede mia madre appena torno a casa.
“Sì, aveva un bel po’ di commissioni da sbrigare”.
“Ah, okay. Tra mezz’ora io e tuo padre mangiamo, poi dobbiamo uscire”.
“Ah, non lo sapevo”.
“Tu mangi con noi o più tardi?”.
“No, è troppo presto adesso, farò scaldare qualcosa più tardi”.
Salgo in camera mia intenzionato a fare qualcosa quando il mio telefono comincia a suonare.
“Sarah?”.
“Ciao. Disturbo?”.
“No, certo che no!”.
“Volevo sapere, visto che mio fratello non c’è e che anche i miei escono...”.
“Anche i tuoi escono questa sera?”.
“Sì, certo, assieme ai tuoi”.
“Ah, okay, adesso capisco”.
“Comunque, stavo dicendo, ti andrebbe se ordiniamo una pizza?”.
“Certo, perché no. Mezz’ora e arrivo”.
  
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