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Autore: SakiJune    10/07/2014    0 recensioni
Ada Markham vive a Londra e NON è una ragazza come tutte le altre: è una fangirl del Dottore, proveniente da un’altra dimensione. Per un capriccio di Clara, delusa e scontenta dopo la rigenerazione del Dottore, Ada giunge a bordo della TARDIS e gli equilibri stagnanti tra i membri dell’equipaggio subiranno un serio scossone.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Clara Oswin Oswald, Doctor - 12, Jenny, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Threesome
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'From Lungbarrow to Trafalgar Square'
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Ed ecco la Grande Svolta, con tanto di suspence finale. Il Pianeta Gingko e i suoi abitanti sono miei <3 Sì, anche Aniya, purtroppo XD
Vengono menzionati avvenimenti dei serial "Earthshock" e "Time-Flight", entrambi nella 19a stagione classica, in cui appunto il Quinto Dottore sembra non mostrare eccessiva tristezza per la morte di uno dei suoi companion. Ovviamente è solo apparenza, lui soffre come un cane, ma la scena in cui il Dottore invita Nyssa e Tegan all'Esposizione subito dopo la perdita di Adric esiste e all'epoca mi rimase molto impressa.
Se non conoscete ancora i Chameleon Circuit PROVVEDETE <3
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Aniya Kradilous era una donnetta nervosa e impaziente. Era forse la meno appetibile fra tutte le zitelle acide del Quarto Continente, eppure Varvar Antophon se n’era innamorato e in men che non si dica avevano iniziato ad organizzare il matrimonio. Lei aveva iniziato ad organizzare, in realtà, perché tenere le cose sotto controllo era il suo miglior talento, e Varvar aveva un così buon carattere da non riuscire a negarle nulla. La data delle nozze era stata fissata, avevano affittato una stanza in una delle Comunità Abitative nel centro della capitale e frequentato il corso annuale per Future Unità.
Il Vescovo della Chiesa Monodualista di Gingko si era alzato di buon’ora e aveva incontrato i futuri sposi alla stazione delle navicelle. Lui era sorridente ed emozionato come un bambino, lei indisponente e irritata come un’anguilla elettrica a tre teste.
- Qualcosa andrà storto, lo sento nell’aria - sentenziò.
In quell’esatto momento, trecento miglia oltre le montagne, una cabina blu si era materializzata entro i confini della Corte dell’Unione.



- Non usciamo ancora, devo capire di più su questo pianeta. - La TARDIS aveva fatto di testa sua, come non le capitava da un po’ di tempo.
- Andiamo a capirci di più, allora, no?
Il Dottore scosse la testa, chino sulla console e impegnato a interrogare il database. - Il nucleo emette strane radiazioni. Non ho mai visto niente del genere. Ho visto di peggio, naturalmente, ma niente di simile.
- Quindi non possiamo nemmeno sbirciare? - lo stuzzicò Clara, che aveva in programma di tornare al lavoro per almeno un’altra settimana ma non ne aveva propriamente voglia.
Il Dottore fece ruotare di quarantacinque gradi il monitor dello scanner. - Sbirciate pure, per quello che vale.
Erano in una sorta di giardino zen di forma circolare. Pietre bianche di grandi dimensioni ne delimitavano la circonferenza e altre più piccole creavano una spirale verso il centro, dove si apriva uno spiazzo sgombro da qualsivoglia forma di vegetazione od orpello.
- Mi sembra un paesaggio carino. Un pochino spoglio, ma grazioso - commentò Ada.
- Grazioso, sì - le fece il verso il Dottore, pensieroso. Da qualche tempo aveva iniziato a prenderla in giro per il suo accento americano, senza che quel dispettuccio gli fornisse soddisfazione, peraltro. - È quello che c’è sotto che mi preoccupa, ma non riesco a venirne a capo... - Volse loro le spalle: percepiva la loro delusione. - E va bene! Aspettate solo dieci secondi, d’accordo? - Ruotò una manopola per mezzo giro, poi per un altro paio di tacche. - Ho inserito una cupola protettiva, potete gironzolare per cento metri al massimo. E se sentite la minima vibrazione provenire dal terreno, anche la minima sciocchezza, subito dentro.
- Se ci dovesse capitare qualcosa, te ne farai una ragione - scherzò Clara. - Andrai a visitare l’Esposizione Universale del 1851. - Si rese conto immediatamente della propria leggerezza, ma ormai era troppo tardi. Il Dottore era impallidito e si era voltato verso Ada, con un’espressione terribile.
- Le hai raccontato di Adric. - Un filo di voce, nessun punto interrogativo, la delusione più cocente.
Clara avrebbe voluto tornare indietro e cancellare tutto, era stata una stupida, una stupida colossale. Non avrebbe mai voluto lasciarsi sfuggire quella battuta così infelice. Non avrebbe voluto ferirlo. Che cosa le era preso? E se il Dottore si fosse arrabbiato con lei sarebbe stato giusto, ma se l’era presa con Ada ed era la cosa peggiore che potesse capitare…
- Non è uno scherzo, ragazzina. Non è un fottuto telefilm, porco schifo, è la mia vita! Che cosa ti hanno fatto credere che fossi? Un buffone interstellare? Sì, sono anche questo, posso esserlo, devo esserlo. Sai cosa c’è qui dentro? Vorresti vedere? - Si portò le mani al petto, ma quel gesto non apparve melodrammatico, almeno non quanto le sue parole. - È un cimitero. Un cimitero sterminato, con migliaia di nomi, migliaia di volti, migliaia di voci. Provano a chiamarmi, di notte. Ma li tengo chiusi a chiave. Ognuno ha la sua cassaforte, dentro una stanza sigillata, in un palazzo recintato, in una città sprofondata, su un’isola in mezzo a un oceano di urla.
Ada aveva spalancato la bocca, senza riuscire a spiccicare verbo. Il terrore la assaliva a ondate sempre più intense.
- Mi ero illuso di potermi fidare. Credevo davvero che avresti usato con un minimo di buonsenso e tatto ciò che sapevi di me. Vai, per favore. Non voglio dirti nulla di cui potrei pentirmi. Ho bisogno di non averti davanti per un po’. Solo per un po’. Grazie.

Ada indietreggiò fino alla porta della TARDIS e uscì all’aperto, il cuore che batteva all’impazzata, le mani gelide e un tremore che continuava a salire dallo stomaco e si trasformava in panico man mano che si rendeva conto di ciò che era successo.
La sua mente, offuscata dal terrore di perdere ogni cosa, non aveva nemmeno elaborato il significato delle parole “solo per un po’”; aveva dimenticato che il Dottore perdona sempre, che la sua rabbia esplode e poi si placa, lasciando il posto all’affetto e alla ragione… non c’era spazio per la ragione in quel momento, c’era soltanto la paura e la disperazione più cieca.
Si rannicchiò a terra, appoggiando la testa sulle ginocchia piegate e circondandole con le braccia.
L’avrebbe riportata a casa? Casa… era una parola così vuota, ora. Quella di New York? Con le tempeste ad acquerello di sua madre e il suo fidanzato repubblicano e omofobo, gli sguardi di compatimento, le ricette vegan insaporite di burro, ecco, l’ipocrisia, l’ipocrisia fottuta.
Quella di Londra? Due stanze arredate con mobili spaiati, dvd ovunque, calzini antiscivolo e le cuffie per ascoltare i Chameleon Circuit a tarda notte, magliette lavate con il programma sbagliato e pizze a domicilio sbocconcellate sul divano, sotto il poster di Tennant…
Era comunque un mondo in cui il Dottore non faceva parte della realtà. No, non ci sarebbe tornata, a nessun costo. Preferiva piuttosto che la TARDIS ripartisse in quel momento, lasciandola lì dov’era. Avrebbe potuto sperare che lui e Clara sarebbero stati felici senza di lei.
Ma perché, perché Clara aveva fatto una battuta tanto cinica? Non credeva che l’avesse fatto per screditare lei. Era chiaro che le fosse sfuggita, che se ne fosse già pentita nel momento in cui l’aveva pronunciata, ma… che cos’era tutta quella rabbia nei confronti del Dottore? Era sempre stata il suo angelo. Era stata pronta a sacrificarsi per salvargli la vita innumerevoli volte, con il sorriso sulle labbra, lo adorava, l’aveva sempre adorato, che cos’era cambiato?
Un lampo di consapevolezza le attraversò la mente.
Lui.
Lui era cambiato.


Clara era rimasta ad affrontare il Dottore, seguendolo come un’ombra mentre ostentava di affannarsi intorno all’archivio e alla stampata che ne fuoriusciva, avvolgendolo come il nastro di un pacco regalo molto sottile e molto nervoso.
- Perché consideri un tradimento il fatto che Ada mi abbia raccontato qualcosa sul tuo passato?
- Qualcosa? Farmi passare per un insensibile è qualcosa? - sbottò lui, gesticolando per liberarsi da tutta quella carta.
- Io ti ho fatto passare per insensibile. Lei ti adora come la sua stessa vita! Ti ama molto più di quanto possa amare me! Non parlerebbe mai, mai di te senza rispetto… sono stata io a chiederle di raccontare. Sono stata io a dire quella frase infelice, è con me che devi prendertela. Però, Dottore… prima ancora, prova a pensare che quello che cerchi di sigillare, prima o poi esplode. Se dopo aver perso mia madre avessi tenuto tutto dentro, sarei una persona molto diversa adesso. Una persona peggiore, e povera dentro. Non sono perfetta, lo vedi, ti ho fatto del male e ti chiedo scusa. Ma lei non ti farebbe mai del male. Ha solo condiviso con me tutto ciò che ha dentro, perché lei ti ha dentro, Dottore. Lei è l’unica chiave che ho per capirti.
- Che cosa c’è da capire, Clara? - sbottò lui in un soffio. Era sempre la stessa storia, lo stesso sguardo di riconoscimento incompiuto, da Trenzalore all’infinito, non avrebbe mai potuto ricreare ciò che avevano in passato, la perfezione di quell’intesa simbiotica. Ma ciò che avevano era comunque prezioso, e non desiderava gettarlo al vento. - D’accordo. D’accordo, ce ne andiamo da qui, non trovo un riscontro nel database e non mi piace per niente. Riportala dentro, torniamo sulla Terra. Potresti preparare il tacchino, questa volta con un forno vero, che dici?
Clara sospirò di sollievo, le guance ancora calde da quella lunga tirata. Si affrettò all’esterno e cercò Ada con lo sguardo.
- Ehi - si chinò su di lei quando l’ebbe scorta. Scavalcò le pietre centrali e la raggiunse.
- Si è calmato un po’, ce ne andiamo. - Lei alzò la testa e non rispose, ma le labbra le tremarono. - Ti chiedo scusa, è stata colpa mia.
- Non è questo. - Ada aveva il viso gonfio di pianto, rosso e buffissimo. - Non avresti mai detto una cosa del genere all’Undicesimo.
Clara sospirò. Era la verità, non poteva negarlo.
- L’altra notte mi hai detto che vorresti guardarlo con i miei occhi. Credo che non ci sia nulla di più sbagliato. Dentro di me c’è ancora una… configurazione sbagliata, una parte del mio cervello che fatica a comprendere che tutto questo sia reale, che lui sia reale. - Tirò su col naso, cercando le parole. - Quando ti racconto una sua avventura, in parte lo faccio come se fosse davvero soltanto una storia. Non sono una buona scorciatoia per capirlo. Non sono una scorciatoia per innamorarti di lui, se è questo a cui miri, e se mi stai usando possiamo finirla qui, perché è già abbastanza imbarazzante…
- No! - Clara si sentì scoperta e fraintesa insieme. - No e no. Tu mi piaci veramente. E lui mi piace anche così. È tutto perfetto e non tornerei indietro, non cambierei niente. Capito? Cerchiamo di non perdere quello che abbiamo, perché è bellissimo.
Ada abbozzò un sorriso e mostrò di crederle. Clara sentì di desiderarla più che mai. Il tempo di quel viaggio e sarebbero arrivate a casa, e per quello che la riguardava il Dottore e Dorium sarebbero rimasti per un bel po’ a guardare la televisione, perché era assolutamente necessario inaugurare la sua stanza da letto...
La terra iniziò a tremare.
Sembrava quasi rimescolarsi e sprofondare, come in un gigantesco imbuto. Loro stavano per sprofondare. Centimetro dopo centimetro, in un movimento a spirale che sembrava imitare il motivo delle pietre. Capì che era il contrario, che il luogo era stato costruito intorno a quella sorta di sabbie mobili, ma rendersene conto non aiutò né l’una né l’altra a liberarsi.
- Oh, no, no, no, no… Dottore! Aiuto! Dottore!


Il Dottore udì le urla e scattò fuori, guardandosi velocemente attorno. Una città in lontananza, montagne ad occidente, scarsa vegetazione. Nessun segno delle ragazze, né di altre forme di vita. Girò intorno alla nave, senza risultato. Non potevano aver oltrepassato la protezione, né altri avrebbero potuto, perciò cos’era successo, dov’erano finite?
Con un groppo alla gola, corse intorno alla circonferenza della cupola invisibile, chiamandole per nome, cercando di capire cosa fosse accaduto.
Guardò persino in alto, senza nessuna ragione logica. Poi abbassò lo sguardo a cercare. Il cerchio di pietre centrale attirò la sua attenzione, e quando intravide qualcosa che brillava debolmente intuì ciò che ancora non poteva razionalmente accettare. Quando l’ebbe in mano fu scosso da un tremito, mentre una frase sciocca gli sfuggì con un timbro che non era suo: - Continui a lasciare le cose in giro, folletto. - Iniziò a scavare e né il dolore alle mani, né il cadere della speranza che la terra si aprisse anche per lui, bastarono a farlo smettere.
Davvero, doveva finire così? Dopo un stupido litigio?
Non riusciva nemmeno a ricordare cosa l’avesse irritato tanto.
Non poteva essere nulla di importante.
Nulla.
E per nulla le stava perdendo entrambe.
Scavava e digrignava i denti, le dita ormai insensibili e sanguinanti, le unghie spezzate, i cuori gonfi di terrore.
Solo quando due navicelle atterrarono a pochi metri, quasi nello stesso momento, si riscosse e capì che forse avrebbe potuto ricevere aiuto. Da una di esse era scesa una mezza dozzina di militari, dall’altra una manciata di civili variamente abbigliati. I primi tentarono subito di avvicinarsi, ma il campo di forza a protezione della TARDIS bloccò loro la strada.
- Tenente Fleace, da quest’altra parte! Lei! Si rende conto di dove si trova?

Lo straniero stava gridando, ma non si udiva nulla. Correndo come un pazzo, entrò nella struttura blu, che forse era il suo veicolo spaziale e forse una diavoleria pericolosa, e pochi secondi dopo il campo di forza era sparito. Il Comandante tirò fuori il fucile a ioni e lo seguì. Trasecolò quando vide l’interno della TARDIS, ma si sforzò di mantenere un contegno. Dai comandi sembrava proprio un’astronave, poteva ignorare la faccenda della grandezza.
- Non tocchi più niente e mi segua. Signore, lei è in arresto per aver violato un luogo sacro, averne usufruito senza autorizzazione e averne impedito l’accesso alle autorità. La scorteremo in città per le indagini. Questo veicolo sarà sequestrato.
- Io credo che non farete proprio niente del genere! - ruggì Dorium, strabuzzando gli occhi.
- Che cos’è quella cosa? Fleace! - Il tenente si affrettò a raggiungere il suo superiore, ma era appena entrato che il Dottore approfittò della distrazione per fuggire, tallonato dal Comandante. Tornò al cerchio di pietre, tentò di convincere i presenti che vi si erano radunati attorno: - Hanno bisogno di ossigeno! Dovete tirarle fuori da lì sotto, dovete aiutarmi! Vi prego! Loro sono… dobbiamo salvarle!
Il Vescovo si fece avanti e si rivolse al Comandante Kadiu: - So che è la legge, ma per quanto riesco a capire lo straniero non conosce affatto il nostro pianeta. È spaventato. Merita almeno una spiegazione.
- Abbiamo prenotato con largo anticipo, Eminenza. Con tutto il rispetto, questa situazione è intollerabile. - A parlare era stata una donnina in vestaglia dall’espressione acida. Un uomo dal volto bonario, vestito in modo simile, le circondava le spalle con il braccio robusto, cercando di tranquillizzarla.

Respira, Dottore.
Respira più a fondo, visto che tu puoi ancora farlo.

- Signore, ci troviamo sul pianeta Gingko, nella costellazione di Kaempfer. Non ne ha mai sentito parlare? È davvero atterrato qui per caso?
Il Dottore non provò nemmeno a cercare nella memoria. - Che cos’è successo alle mie amiche? Perché vi rifiutate di aiutarle?
- Il processo è senz’altro iniziato e non è possibile fermarlo, né invertirlo. Ora, se vuole spiegare perché è atterrato qui-
- Il… il processo? - balbettò il Dottore, mentre sentiva la speranza residua frantumarsi in mille lame di dolore. - Vuole dire che è qualcosa che succede regolarmente? Un sacrificio rituale?
- Lo straniero ci crede dei selvaggi! - rise il Tenente Fleace, che durante la sua ispezione della TARDIS aveva tirato giù la scatola di Dorium e ora la teneva dal lato sbagliato, causando i suoi grugniti più tremendi. Altri si unirono, ma l’ilarità generale fu stroncata sul nascere da un gesto del Comandante Kadiu.
- La zona è adibita alla celebrazione del sacramento matrimoniale. È vietato recarvisi in coppia senza essere accompagnati da un membro ordinato della Chiesa Monodualista. Non è permesso in nessun caso, comunque, agli individui di altre razze, ragion per cui dovrà essere aperta un’inchiesta...
Il Vescovo lo interruppe: - Ciò che il Comandante sta cercando a modo suo di spiegarle è che le sue amiche sono state unite in matrimonio dalla Grande Madre di Gingko, la Suprema, la Fertile, la Benefica Madre. Credo che la vostra ignoranza possa facilmente scusare l’accaduto. - Diede un’occhiata a Kadiu, che scrollò le spalle e richiamò i suoi sottoposti per poi allontanarsi dopo un breve saluto formale.
- Questo... significa che sono vive? - Il sollievo fece vacillare il Dottore come un ramoscello al vento. Il Sergente Fleace tornò indietro per restituirgli la scatola ed egli l’afferrò con gratitudine, sebbene le mani gli bruciassero.
Il Vescovo si fermò a ponderare la risposta. Non voleva in alcun modo illudere lo straniero, ma non poteva nemmeno tenerlo in quell’angoscia. La verità ha due facce, ma un solo cuore. - Non posso garantirlo. Come il Comandante vi ha spiegato, non era mai accaduto che la Madre unisse due individui di una razza diversa dalla nostra.
- Ma noi? Abbiamo prenotato un anno fa, noi! - riprese Aniya, pestando il piede con stizza. Varvar roteò gli occhi; forse già aveva qualche ripensamento riguardo al matrimonio, ma si guardò bene dall’esprimerlo ad alta voce.
Il Dottore si guardò intorno, notò finalmente i volti intorno a lui. Alcuni avevano fattezze maschili, altri decisamente androgine. Cominciò a comprendere il significato e l’origine di quanto stava accadendo, per quanto fosse difficile da accettare.
- Dobbiamo attendere e pregare - concluse il Vescovo, mentre ormai nel cielo si intravedeva lo scheletro della prima luna.

   
 
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