Vengono menzionati avvenimenti dei serial "Earthshock" e "Time-Flight", entrambi nella 19a stagione classica, in cui appunto il Quinto Dottore sembra non mostrare eccessiva tristezza per la morte di uno dei suoi companion. Ovviamente è solo apparenza, lui soffre come un cane, ma la scena in cui il Dottore invita Nyssa e Tegan all'Esposizione subito dopo la perdita di Adric esiste e all'epoca mi rimase molto impressa.
Se non conoscete ancora i Chameleon Circuit PROVVEDETE <3
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Aniya Kradilous era una donnetta nervosa e impaziente. Era
forse la meno appetibile fra tutte le zitelle acide del Quarto
Continente, eppure Varvar Antophon se n’era innamorato e in men che non
si dica avevano iniziato ad organizzare il matrimonio. Lei
aveva iniziato ad organizzare, in realtà, perché tenere le cose sotto
controllo era il suo miglior talento, e Varvar aveva un così buon
carattere da non riuscire a negarle nulla. La data delle nozze era
stata fissata, avevano affittato una stanza in una delle Comunità
Abitative nel centro della capitale e frequentato il corso annuale per
Future Unità.
Il Vescovo della Chiesa Monodualista di Gingko si era alzato di
buon’ora e aveva incontrato i futuri sposi alla stazione delle
navicelle. Lui era sorridente ed emozionato come un bambino, lei
indisponente e irritata come un’anguilla elettrica a tre teste.
- Qualcosa andrà storto, lo sento nell’aria - sentenziò.
In quell’esatto momento, trecento miglia oltre le montagne, una cabina
blu si era materializzata entro i confini della Corte dell’Unione.
- Non usciamo ancora, devo capire di più su questo pianeta. - La TARDIS
aveva fatto di testa sua, come non le capitava da un po’ di tempo.
- Andiamo a capirci di più, allora, no?
Il Dottore scosse la testa, chino sulla console e impegnato a
interrogare il database. - Il nucleo emette strane radiazioni. Non ho
mai visto niente del genere. Ho visto di peggio, naturalmente, ma
niente di simile.
- Quindi non possiamo nemmeno sbirciare? - lo stuzzicò Clara, che aveva
in programma di tornare al lavoro per almeno un’altra settimana ma non
ne aveva propriamente voglia.
Il Dottore fece ruotare di quarantacinque gradi il monitor dello
scanner. - Sbirciate pure, per quello che vale.
Erano in una sorta di giardino zen di forma circolare. Pietre bianche
di grandi dimensioni ne delimitavano la circonferenza e altre più
piccole creavano una spirale verso il centro, dove si apriva uno
spiazzo sgombro da qualsivoglia forma di vegetazione od orpello.
- Mi sembra un paesaggio carino. Un pochino spoglio, ma grazioso -
commentò Ada.
- Grazioso, sì - le fece il verso il Dottore, pensieroso. Da qualche
tempo aveva iniziato a prenderla in giro per il suo accento americano,
senza che quel dispettuccio gli fornisse soddisfazione, peraltro. - È
quello che c’è sotto che mi preoccupa, ma non
riesco a venirne a capo... - Volse loro le spalle: percepiva la loro
delusione. - E va bene! Aspettate solo dieci secondi, d’accordo? -
Ruotò una manopola per mezzo giro, poi per un altro paio di tacche. -
Ho inserito una cupola protettiva, potete gironzolare per cento metri
al massimo. E se sentite la minima vibrazione provenire dal terreno,
anche la minima sciocchezza, subito dentro.
- Se ci dovesse capitare qualcosa, te ne farai una ragione - scherzò
Clara. - Andrai a visitare l’Esposizione Universale del 1851. - Si rese
conto immediatamente della propria leggerezza, ma ormai era troppo
tardi. Il Dottore era impallidito e si era voltato verso Ada, con
un’espressione terribile.
- Le hai raccontato di Adric. - Un filo di voce, nessun punto
interrogativo, la delusione più cocente.
Clara avrebbe voluto tornare indietro e cancellare tutto, era stata una
stupida, una stupida colossale. Non avrebbe mai voluto lasciarsi
sfuggire quella battuta così infelice. Non avrebbe voluto ferirlo. Che
cosa le era preso? E se il Dottore si fosse arrabbiato con lei sarebbe
stato giusto, ma se l’era presa con Ada ed era la cosa peggiore che
potesse capitare…
- Non è uno scherzo, ragazzina. Non è un fottuto telefilm, porco
schifo, è la mia vita! Che cosa ti hanno fatto credere che fossi? Un
buffone interstellare? Sì, sono anche questo, posso esserlo, devo
esserlo. Sai cosa c’è qui dentro? Vorresti vedere? - Si portò le mani
al petto, ma quel gesto non apparve melodrammatico, almeno non quanto
le sue parole. - È un cimitero. Un cimitero sterminato, con migliaia di
nomi, migliaia di volti, migliaia di voci. Provano a chiamarmi, di
notte. Ma li tengo chiusi a chiave. Ognuno ha la sua cassaforte, dentro
una stanza sigillata, in un palazzo recintato, in una città
sprofondata, su un’isola in mezzo a un oceano di urla.
Ada aveva spalancato la bocca, senza riuscire a spiccicare verbo. Il
terrore la assaliva a ondate sempre più intense.
- Mi ero illuso di potermi fidare. Credevo davvero che avresti usato
con un minimo di buonsenso e tatto ciò che sapevi di me. Vai, per
favore. Non voglio dirti nulla di cui potrei pentirmi. Ho bisogno di
non averti davanti per un po’. Solo per un po’. Grazie.
Ada indietreggiò fino alla porta della TARDIS e uscì all’aperto, il
cuore che batteva all’impazzata, le mani gelide e un tremore che
continuava a salire dallo stomaco e si trasformava in panico man mano
che si rendeva conto di ciò che era successo.
La sua mente, offuscata dal terrore di perdere ogni cosa, non aveva
nemmeno elaborato il significato delle parole “solo per un po’”; aveva
dimenticato che il Dottore perdona sempre, che la sua rabbia esplode e
poi si placa, lasciando il posto all’affetto e alla ragione… non c’era
spazio per la ragione in quel momento, c’era soltanto la paura e la
disperazione più cieca.
Si rannicchiò a terra, appoggiando la testa sulle ginocchia piegate e
circondandole con le braccia.
L’avrebbe riportata a casa? Casa… era una parola così vuota, ora.
Quella di New York? Con le tempeste ad acquerello di sua madre e il suo
fidanzato repubblicano e omofobo, gli sguardi di compatimento, le
ricette vegan insaporite di burro, ecco, l’ipocrisia, l’ipocrisia
fottuta.
Quella di Londra? Due stanze arredate con mobili spaiati, dvd ovunque,
calzini antiscivolo e le cuffie per ascoltare i Chameleon Circuit a
tarda notte, magliette lavate con il programma sbagliato e pizze a
domicilio sbocconcellate sul divano, sotto il poster di Tennant…
Era comunque un mondo in cui il Dottore non faceva parte della realtà.
No, non ci sarebbe tornata, a nessun costo. Preferiva piuttosto che la
TARDIS ripartisse in quel momento, lasciandola lì dov’era. Avrebbe
potuto sperare che lui e Clara sarebbero stati felici senza di lei.
Ma perché, perché Clara aveva fatto una battuta tanto cinica? Non
credeva che l’avesse fatto per screditare lei. Era chiaro che le fosse
sfuggita, che se ne fosse già pentita nel momento in cui l’aveva
pronunciata, ma… che cos’era tutta quella rabbia nei confronti del
Dottore? Era sempre stata il suo angelo. Era stata pronta a
sacrificarsi per salvargli la vita innumerevoli volte, con il sorriso
sulle labbra, lo adorava, l’aveva sempre adorato, che cos’era cambiato?
Un lampo di consapevolezza le attraversò la mente.
Lui.
Lui era cambiato.
Clara era rimasta ad affrontare il Dottore, seguendolo come un’ombra
mentre ostentava di affannarsi intorno all’archivio e alla stampata che
ne fuoriusciva, avvolgendolo come il nastro di un pacco regalo molto
sottile e molto nervoso.
- Perché consideri un tradimento il fatto che Ada mi abbia raccontato
qualcosa sul tuo passato?
- Qualcosa? Farmi passare per un insensibile è qualcosa?
- sbottò lui, gesticolando per liberarsi da tutta quella carta.
- Io ti ho fatto passare per insensibile. Lei
ti adora come la sua stessa vita! Ti ama molto più di quanto possa
amare me! Non parlerebbe mai, mai di te senza rispetto… sono stata io a
chiederle di raccontare. Sono stata io a dire quella frase infelice, è
con me che devi prendertela. Però, Dottore… prima ancora, prova a
pensare che quello che cerchi di sigillare, prima o poi esplode. Se
dopo aver perso mia madre avessi tenuto tutto dentro, sarei una persona
molto diversa adesso. Una persona peggiore, e povera dentro. Non sono
perfetta, lo vedi, ti ho fatto del male e ti chiedo scusa. Ma lei non
ti farebbe mai del male. Ha solo condiviso con me tutto ciò che ha
dentro, perché lei ti ha dentro, Dottore. Lei è
l’unica chiave che ho per capirti.
- Che cosa c’è da capire, Clara? - sbottò lui in un soffio. Era sempre
la stessa storia, lo stesso sguardo di riconoscimento incompiuto, da
Trenzalore all’infinito, non avrebbe mai potuto ricreare ciò che
avevano in passato, la perfezione di quell’intesa simbiotica. Ma ciò
che avevano era comunque prezioso, e non desiderava gettarlo al vento.
- D’accordo. D’accordo, ce ne andiamo da qui, non trovo un riscontro
nel database e non mi piace per niente. Riportala dentro, torniamo
sulla Terra. Potresti preparare il tacchino, questa volta con un forno
vero, che dici?
Clara sospirò di sollievo, le guance ancora calde da quella lunga
tirata. Si affrettò all’esterno e cercò Ada con lo sguardo.
- Ehi - si chinò su di lei quando l’ebbe scorta. Scavalcò le pietre
centrali e la raggiunse.
- Si è calmato un po’, ce ne andiamo. - Lei alzò la testa e non
rispose, ma le labbra le tremarono. - Ti chiedo scusa, è stata colpa
mia.
- Non è questo. - Ada aveva il viso gonfio di pianto, rosso e
buffissimo. - Non avresti mai detto una cosa del genere all’Undicesimo.
Clara sospirò. Era la verità, non poteva negarlo.
- L’altra notte mi hai detto che vorresti guardarlo con i miei occhi.
Credo che non ci sia nulla di più sbagliato. Dentro di me c’è ancora
una… configurazione sbagliata, una parte del mio cervello che fatica a
comprendere che tutto questo sia reale, che lui
sia reale. - Tirò su col naso, cercando le parole. - Quando ti racconto
una sua avventura, in parte lo faccio come se fosse davvero soltanto
una storia. Non sono una buona scorciatoia per capirlo. Non sono una
scorciatoia per innamorarti di lui, se è questo a cui miri, e se mi
stai usando possiamo finirla qui, perché è già abbastanza imbarazzante…
- No! - Clara si sentì scoperta e fraintesa insieme. - No e no. Tu mi
piaci veramente. E lui mi piace anche così. È tutto perfetto e non
tornerei indietro, non cambierei niente. Capito? Cerchiamo di non
perdere quello che abbiamo, perché è bellissimo.
Ada abbozzò un sorriso e mostrò di crederle. Clara sentì di desiderarla
più che mai. Il tempo di quel viaggio e sarebbero arrivate a casa, e
per quello che la riguardava il Dottore e Dorium sarebbero rimasti per
un bel po’ a guardare la televisione, perché era assolutamente
necessario inaugurare la sua stanza da letto...
La terra iniziò a tremare.
Sembrava quasi rimescolarsi e sprofondare, come in un gigantesco
imbuto. Loro stavano per sprofondare. Centimetro
dopo centimetro, in un movimento a spirale che sembrava imitare il
motivo delle pietre. Capì che era il contrario, che il luogo era stato
costruito intorno a quella sorta di sabbie mobili, ma rendersene conto
non aiutò né l’una né l’altra a liberarsi.
- Oh, no, no, no, no… Dottore! Aiuto! Dottore!
Il Dottore udì le urla e scattò fuori, guardandosi velocemente attorno.
Una città in lontananza, montagne ad occidente, scarsa vegetazione.
Nessun segno delle ragazze, né di altre forme di vita. Girò intorno
alla nave, senza risultato. Non potevano aver oltrepassato la
protezione, né altri avrebbero potuto, perciò cos’era successo,
dov’erano finite?
Con un groppo alla gola, corse intorno alla circonferenza della cupola
invisibile, chiamandole per nome, cercando di capire cosa fosse
accaduto.
Guardò persino in alto, senza nessuna ragione logica. Poi abbassò lo
sguardo a cercare. Il cerchio di pietre centrale attirò la sua
attenzione, e quando intravide qualcosa che brillava debolmente intuì
ciò che ancora non poteva razionalmente accettare. Quando l’ebbe in
mano fu scosso da un tremito, mentre una frase sciocca gli sfuggì con
un timbro che non era suo: - Continui a lasciare le cose in giro,
folletto. - Iniziò a scavare e né il dolore alle mani, né il cadere
della speranza che la terra si aprisse anche per lui, bastarono a farlo
smettere.
Davvero, doveva finire così? Dopo un stupido litigio?
Non riusciva nemmeno a ricordare cosa l’avesse irritato tanto.
Non poteva essere nulla di importante.
Nulla.
E per nulla le stava perdendo entrambe.
Scavava e digrignava i denti, le dita ormai insensibili e sanguinanti,
le unghie spezzate, i cuori gonfi di terrore.
Solo quando due navicelle atterrarono a pochi metri, quasi nello stesso
momento, si riscosse e capì che forse avrebbe potuto ricevere aiuto. Da
una di esse era scesa una mezza dozzina di militari, dall’altra una
manciata di civili variamente abbigliati. I primi tentarono subito di
avvicinarsi, ma il campo di forza a protezione della TARDIS bloccò loro
la strada.
- Tenente Fleace, da quest’altra parte! Lei! Si rende conto di dove si
trova?
Lo straniero stava gridando, ma non si udiva nulla. Correndo come un
pazzo, entrò nella struttura blu, che forse era il suo veicolo spaziale
e forse una diavoleria pericolosa, e pochi secondi dopo il campo di
forza era sparito. Il Comandante tirò fuori il fucile a ioni e lo
seguì. Trasecolò quando vide l’interno della TARDIS, ma si sforzò di
mantenere un contegno. Dai comandi sembrava proprio un’astronave,
poteva ignorare la faccenda della grandezza.
- Non tocchi più niente e mi segua. Signore, lei è in arresto per aver
violato un luogo sacro, averne usufruito senza autorizzazione e averne
impedito l’accesso alle autorità. La scorteremo in città per le
indagini. Questo veicolo sarà sequestrato.
- Io credo che non farete proprio niente del genere! - ruggì Dorium,
strabuzzando gli occhi.
- Che cos’è quella cosa? Fleace! - Il tenente si affrettò a raggiungere
il suo superiore, ma era appena entrato che il Dottore approfittò della
distrazione per fuggire, tallonato dal Comandante. Tornò al cerchio di
pietre, tentò di convincere i presenti che vi si erano radunati
attorno: - Hanno bisogno di ossigeno! Dovete tirarle fuori da lì sotto,
dovete aiutarmi! Vi prego! Loro sono… dobbiamo salvarle!
Il Vescovo si fece avanti e si rivolse al Comandante Kadiu: - So che è
la legge, ma per quanto riesco a capire lo straniero non conosce
affatto il nostro pianeta. È spaventato. Merita almeno una spiegazione.
- Abbiamo prenotato con largo anticipo, Eminenza. Con tutto il
rispetto, questa situazione è intollerabile. - A parlare era stata una
donnina in vestaglia dall’espressione acida. Un uomo dal volto bonario,
vestito in modo simile, le circondava le spalle con il braccio robusto,
cercando di tranquillizzarla.
Respira, Dottore.
Respira più a fondo, visto che tu puoi ancora farlo.
- Signore, ci troviamo sul pianeta Gingko, nella costellazione di
Kaempfer. Non ne ha mai sentito parlare? È davvero atterrato qui per
caso?
Il Dottore non provò nemmeno a cercare nella memoria. - Che cos’è
successo alle mie amiche? Perché vi rifiutate di aiutarle?
- Il processo è senz’altro iniziato e non è possibile fermarlo, né
invertirlo. Ora, se vuole spiegare perché è atterrato qui-
- Il… il processo? - balbettò il Dottore, mentre sentiva la speranza
residua frantumarsi in mille lame di dolore. - Vuole dire che è
qualcosa che succede regolarmente? Un sacrificio rituale?
- Lo straniero ci crede dei selvaggi! - rise il Tenente Fleace, che
durante la sua ispezione della TARDIS aveva tirato giù la scatola di
Dorium e ora la teneva dal lato sbagliato, causando i suoi grugniti più
tremendi. Altri si unirono, ma l’ilarità generale fu stroncata sul
nascere da un gesto del Comandante Kadiu.
- La zona è adibita alla celebrazione del sacramento matrimoniale. È
vietato recarvisi in coppia senza essere accompagnati da un membro
ordinato della Chiesa Monodualista. Non è permesso in nessun caso,
comunque, agli individui di altre razze, ragion per cui dovrà essere
aperta un’inchiesta...
Il Vescovo lo interruppe: - Ciò che il Comandante sta cercando a modo
suo di spiegarle è che le sue amiche sono state unite in matrimonio
dalla Grande Madre di Gingko, la Suprema, la Fertile, la Benefica
Madre. Credo che la vostra ignoranza possa facilmente scusare
l’accaduto. - Diede un’occhiata a Kadiu, che scrollò le spalle e
richiamò i suoi sottoposti per poi allontanarsi dopo un breve saluto
formale.
- Questo... significa che sono vive? - Il sollievo fece vacillare il
Dottore come un ramoscello al vento. Il Sergente Fleace tornò indietro
per restituirgli la scatola ed egli l’afferrò con gratitudine, sebbene
le mani gli bruciassero.
Il Vescovo si fermò a ponderare la risposta. Non voleva in alcun modo
illudere lo straniero, ma non poteva nemmeno tenerlo in quell’angoscia.
La verità ha due facce, ma un solo cuore. - Non posso garantirlo. Come
il Comandante vi ha spiegato, non era mai accaduto che la Madre unisse
due individui di una razza diversa dalla nostra.
- Ma noi? Abbiamo prenotato un anno fa, noi! - riprese Aniya, pestando
il piede con stizza. Varvar roteò gli occhi; forse già aveva qualche
ripensamento riguardo al matrimonio, ma si guardò bene dall’esprimerlo
ad alta voce.
Il Dottore si guardò intorno, notò finalmente i volti intorno a lui.
Alcuni avevano fattezze maschili, altri decisamente androgine. Cominciò
a comprendere il significato e l’origine di quanto stava accadendo, per
quanto fosse difficile da accettare.
- Dobbiamo attendere e pregare - concluse il Vescovo, mentre ormai nel
cielo si intravedeva lo scheletro della prima luna.