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Autore: Lantheros    10/07/2014    0 recensioni
Un antico potere millenario, custodito da sempre nelle profondità della terra.
Due mondi completamente diversi finiranno per incontrarsi, in un luogo singolare farcito di vetuste tecnologie a vapore e gigantesche fregate volanti.
Una coppia di giovani unicorni, proveniente dagli estremi stessi del Creato, troverà un punto in comune su cui lavorare, per venire a capo del grave segreto che la fumosa metropoli di Mechanus custodisce.
Dalla materia inanimata.
Alla vita.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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    Il mattino sopraggiunse silente.

Uno dei vantaggi offerti dalla zona dismessa era la totale assenza dei rumori che caratterizzavano invece il quartiere abitato di Mechanus.

Dust si svegliò a causa dei raggi solari che filtrarono attraverso l’unica finestrella della camera.

Aveva dormito a lungo e sorprendentemente bene. Doveva essere davvero stanco, quando si era coricato.

Sbatté ripetutamente la palpebre e notò come il sole fosse già alto nel cielo. Probabilmente era già mattina inoltrata.

Si stiracchiò e si diede una sonora grattata alla schiena. Si sentiva abbastanza pimpante.

Rimise la sacca sulla groppa, si assicurò che tutto fosse all’interno e quindi uscì nei corridoi, facendo una capatina in bagno, dove si sciacquò il viso.

Scese quindi al pianterreno, in cui vigeva il silenzio più assoluto. Copper Head, evidentemente, doveva essere da qualche altra parte.

Quando terminò i gradini, tuttavia, la vide.

    La puledra era seduta d’innanzi al tavolo di lavoro, con le zampe conserte sul ripiano e il capo chino su di esse. Aveva gli occhi chiusi e dormiva profondamente. D’innanzi a lei, l’ospite notò un curioso assembramento di meccanismi ed ingranaggi. Non sapeva di cosa si trattasse. Molto probabilmente qualcosa che l’inventrice aveva prodotto durante la notte.

Avrebbe dovuto svegliarla?

Si avvicinò attentamente a lei, cercando di non fare rumore. L’unicorno dai crini aranciati respirava con il lento ritmo del sonno. Gli ingranaggi stessi della tuta ruotavano molto lentamente, producendo un ronzio pacato e appena percettibile.

C’era davvero qualcosa di curioso, in quell’esoscheletro. Sembrava quasi fosse entrato in simbiosi con le proprietaria. Era inoltre in ottimo stato, a differenza di quasi tutto quello che aveva visto a Mechanus, in quel periodo.

Le orecchie del pony grigio ebbero quindi un tic nervoso. Di nuovo, senza farlo apposta, aveva colto una sorta di schema ritmico, nel lento ruotare degli ingranaggi della tuta.

Si concentrò e ascoltò con maggior attenzione.

Sì. Non vi era alcun dubbio. Tutto rispondeva ad uno schema predefinito. Uno schema che Dust avrebbe anche potuto decodificare e comprendere, se solo si fosse impegnato.

Udì quindi un ticchettio accanto a lui; si voltò e si ritrovò d’innanzi ad uno degli scarabei meccanici della puledra, intento ad osservarlo dal tavolo. Si irrigidì, esattamente come la sera prima.

Non sapeva perché… ma quei curiosi esserini lo mettevano in soggezione.

“Uh…”, bofonchiò sottovoce. “Allora io… vado, ok?”, gli disse, senza nemmeno sapere se il piccoletto potesse capirlo.

Si allontanò senza dargli le spalle, arrivando quindi alla portella d’uscita.

Abbandonò lo stabile, cercando di fare meno rumore possibile.

 

    Si ritrovò nella via con i rottami, questa volta debolmente illuminata dal sole.

Se di notte era inquietante, di giorno appariva semplicemente opprimente.

Scrutò un numero quasi infinito di incroci davanti a sé, tutti uguali. Chiunque si sarebbe messo le zampe nei crini, di fronte a quell’eterna successione di svincoli perfettamente identici. Ma lui, quando sopraggiunse con Copper, si era fatto uno schema numerico da ripetere a ritroso, in modo da non potersi perdere. Era quindi sicuro di sé, in tal senso. Non poteva sperare in niente di meglio che uno stuolo di edifici distribuiti con rigore geometrico. Ma doversi buttare in mezzo ad una città grande e caotica come Mechanus, per lui che veniva da un piccolo villaggio… beh, quello sì che lo metteva in forte agitazione.

    Alzò lo sguardo al cielo e lasciò che il sole lo scaldasse un po’.

Fece un profondo sospiro.

 

“Va bene”, disse alla fine, con sguardo deciso.

“Andiamo”.

 

*** ***** ***

 

    Dust compì il percorso a ritroso, attraversando la fabbriche rumorose. Non vide quasi nessuno, fatta eccezione per qualche operaio che saltuariamente appariva attraverso le vetrate sporche delle strutture.

Tornò alla fermata e salì su una delle carrozze del gigantesco treno a vapore: era praticamente vuota ma prese a riempiersi con l’avvicinarsi al centro urbano di Mechanus.

Il paesaggio, dai finestrini, mutò di nuovo e le industrie lasciarono posto al fitto intreccio di case e palazzi. Bastarono poche fermate per colmare la carrozza con uno stuolo di abitanti agghindati di tutto punto.

Silver si fece piccolo, vagamente assoggettato al caos e alla presenza di così tanti pony sconosciuti. Il brusio delle chiacchiere si mescolò a quello delle rotaie in metallo.

Dopo alcune fermate, il suo cervello lo avvertì che la destinazione era ormai prossima.

Quando la raggiunse, cercò di seguire coloro che, come lui, sarebbero dovuti scendere. Si fece strada tra la calca, con una timidezza che per poco non gli costò cara. Nessuno lo fece passare, come se quasi non esistesse. Le sue parole di scuse vennero ignorate e riuscì a sgusciare dalla carrozza un attimo prima che le portelle a pressione gli pinzassero malamente la coda.

Si gettò letteralmente sul marciapiede e, subito dopo, il treno riprese la propria, rumorosa corsa.

Si alzò, vagamente agitato, ed allontanò la polvere di dosso. Osservò la città farcita di passanti e velivoli nel cielo fumoso.

Ce l’aveva fatta.

 

Era tornato a Mechanus.

 

*** ***** ***

 

    Silver Dust, sulle prime, iniziò a girovagare per le giungla urbana completamente spaesato.

Mechanus era… COSI’ enorme! Così… pulsante di vita, artificiale o meno.

Attorno a lui centinaia di pony camminavano o guidavano; meccanismi cigolavano e si contorcevano; qualcuno galoppava per non perdere il bus a vapore, qualcuno precipitava al suolo causa avaria del velivolo e qualcuno affiggeva grossi manifesti alle pareti, tramite una lunga scopa.

Nulla a che vedere col suo paesello di campagna.

Era come se non contasse nulla, in mezzo a quel mare metallico.

Semplicemente insignificante.

 

    Il cuore prese a battergli forte ma poi, facendo appello alla propria ragione, cercò di calmarsi.

Si portò ad una panchina e scrutò il paesaggio che si stagliava verso valle, dalla sommità montana in cui si trovava lui.

Il cielo azzurro e l’accecante disco del sole gli infusero un po’ di sicurezza.

Il mondo, dopotutto, aveva sempre un cielo sopra e la terra sotto. Poco importava se ci avessero edificato tonnellate di edifici… o se gli abitanti sciamassero peggio delle formiche a primavera.

Quando il respiro tornò regolare, si diede un’occhiata in giro e notò piccoli dettagli che, inizialmente, sovrastato dall’imponenza del luogo, gli erano sfuggiti.

C’era un piccolo banco ambulante, da cui un curioso tizio baffuto vendeva zucchero filato e palloncini colorati. Non molto lontano, appena visibile attraverso l’andirivieni generale, alcune bancarelle mostravano libri, aggeggi e persino frutta e verdura in esposizione. Una graziosa puledrina vendeva invece fiori da un negozietto, che a stento risaltava nell’anonimo ammasso di Mechanus: non erano tuttavia fiori veri, bensì graziose creazioni in leghe ferrose, luccicanti come specchi.

Dust si grattò la chioma.

Beh… forse non è poi così male”, pensò. “Posso dare un’occhiata in giro”.

Tornò sulle quattro zampe e controllò i soldi nella borsa. Si trovava in quel luogo per prendere appunti, certo, ma nulla gli vietava di fare qualche acquisto. Aveva messo da parte un piccolo gruzzolo personale. Non si sarebbe mai azzardato ad usare i soldi concessi dalla Principessa, per acquisti che esulassero dal suo compito. Che figura ci avrebbe fatto?

    Così, con rinnovato entusiasmo, prese il coraggio tra le zampe e si buttò nella mischia, infervorato da uno stato d’animo non dissimile da un soldato che entra in battaglia. Certo… non era proprio la stessa cosa. Ma, in un modo o nell’altro, ogni singola azione si riduce ad affrontare una piccola battaglia personale, alla fine.

 

    Il puledro girò per i negozi, controllò le vetrine, si mescolò tra i passanti, percependo la situazione di disagio farsi sempre più lieve.

Da uno stato di iniziale preoccupazione passò ad uno di meraviglia e di interesse per quel posto così ricco e singolare.

Cercò di trasferire l’attenzione dal caos cittadino alle attrazioni che Mechanus aveva da offrire. E le ore iniziarono a passare, con sorprendente piacere da parte sua.

    L’immersione nella città a vapore fu così profonda che, verso l’ora di pranzo, l’unicorno lilla si ritrovò appoggiato con nonchalance sul parapetto a ridosso di una balconata, intento a sgranocchiare una pietanza locale che aveva da poco acquistato.

L’alimento, uno strano agglomerato solido simile a fieno pressato, non era di certo la cosa più buona che avesse mangiato ma rimaneva comunque un sapore nuovo per il suo palato. Il cibo fluttuava magicamente accanto alla sua bocca, intenta a masticare. Poco lontano, sempre grazie alla magia, il suo libro di appunti veniva continuamente arricchito dal movimento incessante della matita.

Dust osservava tutto ciò che avveniva attorno a lui e riportava impressioni e ragionamenti personali. Iniziò a capire qualcosa di più sullo stile di vita degli abitanti: i loro orari, gli impegni, le cose che li attiravano o li respingevano, le predilezioni per un veicolo piuttosto che un altro… Piccole cose ma che, nell’insieme, sarebbero riuscite a comporre un mosaico molto più ampio.

Iniziò persino a disegnare ciò che osservava.

Silver non era affatto un artista, lo sapeva bene. Ma aveva un grosso vantaggio: possedeva una memoria eidetica e adorava le forme geometriche. Per lui non era quindi difficile trasporre su carta ciò che vedeva. Il suo era pertanto uno stile di disegno molto preciso e accurato, ricco di dettagli, quasi iperrealista. Molti, avendo visto alcuni suoi lavori, avevano però notato come mancassero di sentimento, di profondità…

 

…di vita.

 

Dust, tuttavia, non aveva mai compreso appieno tali commenti, finendo con l’ignorarli.

 

    Alcune voci si levarono da un angolo della piazza da cui stava disegnando: voci molto più forti del brusio urbano a cui si stava ormai abituando.

Drizzò le orecchie e si voltò.

Dal fondo del piazzale provenivano alcune urla e i pony si stavano allontanando, alcuni camminando all’indietro e con volti decisamente preoccupati.

L’unicorno divorò in tutta fretta ciò che rimaneva (un boccone effettivamente eccessivo), ripose gli appunti e si apprestò a controllare cosa stesse succedendo.

Una piccola calca iniziò a formarsi tra lui ed il luogo in questione, obbligandolo a gironzolare tra i curiosi e sporgere il muso in timidi tentativi d’osservazione.

“FATE LARGO!!”, tuonò qualcuno, con un riverbero metallico che aveva già sentito.

Gli abitanti iniziarono a scambiarsi commenti e sussurri. Silver cercò di coglierne il significato: tutti si riferivano a qualcosa che stava nuovamente accadendo. Qualcosa di poco rassicurante.

Fece sbucare il capo tra due dame agghindate da gran gala e vide un piccolo corteo armato farsi strada lungo la piazza.

    Erano soldati, equipaggiati nello stesso modo che aveva visto il giorno prima.

La maggior parte aveva le visiere calate e le armature erano piene di graffi e ammaccature. Avanzavano con passo lento ed implacabile.

“LASCIATE PASSARE, CIVILI!!”, intimò un ufficiale in testa.

“Sono… sono di nuovo stati loro, vero??”, si azzardò un giovane stallone in gilet.

“PENSATE AI VOSTRI AFFARI!”, ribatté l’altro, per tutta risposta.

La terra iniziò quindi a vibrare e, dall’angolo di una casa, emerse l’imponente figura di un Calcator, inserita nel mezzo alla formazione militare.

La macchina era però visibilmente danneggiata: pezzi di lamiera e tubi penzolavano un po’ ovunque e una zampa posteriore era completamente divelta, costringendolo a trascinarsela dietro con lento zoppicare. Sopra di lui, avvinghiato con delle cinture di sicurezza, un tizio con occhialoni e tenuta da meccanico stava apportando le riparazioni direttamente in situ. Indossava una palandrana in pelle, con innumerevoli tasche da cui sbucavano attrezzi e aggeggi strani. Tra le zampe reggeva un saldatore collegato ad una bombola sulla sua schiena. Lo strumento produceva un bagliore accecante e sollevava lampi e scintille come una fontanella pirotecnica.

Dust si vide passare il colosso a pochi metri dal muso, beccandosi anche uno sfiato di vapore in faccia, e si chiese quale forza in Terra sarebbe stata in grado di ridurre in quello stato una macchina da guerra di quelle dimensioni.

    Notò quindi come il corteo finisse con un assembramento di stalloni intenti a trainare alcuni carretti. Su di essi erano riversi altri soldati, la maggior parte spogliati di quasi tutta la corazza. Gli stalloni erano visibilmente feriti, alcuni con fasciature intrise di sangue su svariate parti del corpo. Altri erano stati ancor più sfortunati e versavano in gravi condizioni, coperti da lenzuola improvvisate.

Silver deglutì, sgranando gli occhi dalla paura.

 

Quale razza di battaglia avevano appena combattuto??

 

“CIRCOLARE!!”, sbottò un soldato in coda, facendolo sobbalzare. “LO SPETTACOLO È FINITO!”.

Il visitatore si ritrasse, continuando però ad osservare il distaccamento lungo la propria marcia, che scomparve tra gli edifici lontani dopo svariati minuti.

 

    Passato il fenomeno, gli abitanti sembrarono riprendere le rispettive mansioni, senza però risparmiarsi in commenti su quanto successo.

L’unicorno dagli occhi verdi, facendo finta di nulla, si mise accanto ai vari gruppetti di chiacchiere, cercando di far chiarezza. Qualcuno parlò di scandali, qualcun altro citò la sicurezza pubblica, altri ancora avanzarono teorie di complotto.

Alla fine, decise di intromettersi di persona.

 

“Eh… uh, scusate…”, sussurrò tentennando.

Un grassoccio stallone scuro, con bombetta e monocolo, lo squadrò con curiosità.

Silver continuò: “Ehm… P-posso sapere… cosa… insomma… Perché sono passati i militari… in quelle condizioni?”.

L’altro alzò le sopracciglia, quindi si grattò la fronte, spostando il cappello leggermente di lato. Sbuffò.

“Ehh… caro ragazzo… Perché qui le cose vanno di male in peggio!”.

“Può dirlo, mio caro!”, aggiunse una giumenta sovratruccata.

“Come si può pretendere di vivere in queste condizioni?!”, protestò un terzo, un puledro color celeste.

L’allievo dell’alicorno bianco fece un altro tentativo: “Ma, esattamente… di cosa state parlando?”.

“Guai! Ecco di cosa parliamo!”, commentò il pony  azzurro.

“Esattamente, caro mio!”, ribadì la giumenta.

“Guai, grossissimi guai!”, concluse lo stallone sovrappeso, allontanandosi come se non volesse parlarne oltre.

Dust si sfregò una zampa con lo zoccolo.

“Questa situazione è insostenibile!”, riprese il puledro, rimasto solo con la collega.

“Assolutamente!”.

“Da quant’è che va avanti? Possibile che le forze armate non riescano ad arginare il problema?”.

Silver rimase in silenzio ad ascoltarli.

“Cosa vuole che le dica! Ogni volta è sempre la stessa storia! Disordini alle fabbriche, i soldati che si mobilitano e poi tornano senza aver risolto nulla!”.

“Infatti, non vedo proprio perché dovremmo pagare una difesa armata se non riescono a difendere nemmeno le nostre fabbriche! Io ho un lavoro importante, qui a Mechanus! Se le fabbriche si bloccano per qualche motivo, rischiamo che i rifornimenti arrivino a singhiozzo e l’azienda in cui lavoro non può permetterselo!”.

“Fosse solo questo il problema, caro mio!”, insistette l’altra. “Non solo buttiamo via soldi in un esercito inefficiente ma ci tocca anche subirci le loro angherie, senza venir informati di cosa sta succedendo!”.

“Non ce lo dicono perché non stanno facendo progressi, sennò se ne vanterebbero subito, signora!”.

“Concordo appieno!”.

“Ora, mi scusi, devo tornare ai miei affari”.
“È uno scandalo, ecco cosa!”, e fecero per allontanarsi.

Silver rimase a bocca aperta. Sollevò uno zoccolo e, con un filo di voce, farfugliò: “M-ma…!”.

 

    Il puledro ne sapeva poco più di prima.

C’era un problema, quello era certo. Qualcosa che richiedeva addirittura l’intervento dei soldati… e che era in grado di rispedirli indietro a calci nel posteriore. Com’era possibile?

La faccenda non lo riguardava personalmente ma la curiosità era tanta e una cosa del genere DOVEVA assolutamente approfondirla. Se non era importante quello, per la ricerca di Celestia, allora cosa lo sarebbe stato?

Ma nessuno sembrava volerne parlare chiaramente.

Chiedere a Copper? No… lei sembrava la più riluttante di tutti a voler parlare.

Continuò a pensare, finché il suo sguardo non cadde verso uno dei tanti vicoletti bui a bordo strada.

Pur essendo un puledro di campagna, Dust sapeva benissimo che i vicoletti erano il luogo ideale di ogni grande città, al fine di trovare informazioni o qualche aggancio extra. Persino Canterlot aveva alcune stradine poco battute, in cui l’occhio dei Reali era meno vigile e da cui gli era sempre stato detto di tenersi alla larga.

Ma quella non era Canterlot.

Era una megalopoli con un cuore pulsante di caldaie e vene attraversate da vapore.
Una smorfia di indecisione si dipinse sul suo muso.

La strada in questione era abbastanza buia, sporca e apparentemente abbandonata. Come lei, tuttavia, ve ne erano innumerevoli e sbucavano tutte in diverse angolazioni dello spiazzo. Quest’ultimo era ben tenuto e relativamente pulito. Sembrava quasi che i passanti stessi ignorassero la presenza di tali svincoli.

Il puledro ricontrollò i volti degli abitanti, tutti agghindati come damerini e intenti a scambiarsi commenti di bassa caricatura intellettuale.

Non ne avrebbe cavato fuori nulla.

 

Ci pensò a lungo.

 

Giusto una sbirciatina.

Avrebbe gettato un’occhiata.

Nulla più.

Si avvicinò circospetto ad un imbocco, facendo finta di niente e rendendosi di fatto ancor più visibile. Ma nessuno ci fece caso, in mezzo a quel marasma di equini e scalpiccio di zoccoli, permettendogli di giungere inosservato alla propria destinazione.

 

Un vicoletto angusto.

 

*** ***** ***

 

    Silver Dust, l’allievo di Celestia, si ritrovò all’interno del budello, improvvisamente soverchiato dalle strette e altissime mura degli edifici limitrofi.

Dietro di lui ancora si poteva udire il brusio della piazza, che aveva appena abbandonato per addentrarsi in un luogo molto più angusto ed oscuro.

Il suolo era costituito da un lastricato danneggiato e arrugginito di piastrelle metalliche, mentre ai lati erano ammassi rifiuti, scarti di macchinari, chiazze d’olio e altre amenità rugginose.
Diversi tubi e altrettante valvole di sfogo difettose sbucavano da ogni centimetro del luogo e rilasciavano nei dintorni una costante cappa di vapore o, peggio ancora, chissà quale gas di combustione.

L’unicorno scosse il capo, percependo un repentino cambio di atmosfera: non solo tutto era più ombroso e fatiscente ma persino l’aria gli sembrava più insalubre, anche per gli standard di Mechanus.
Si grattò la chioma, scrutando poco convinto il diramarsi della stradina in chissà quale labirinto suburbano.

 

“Giusto una sbirciatina… no?”, si ripeté, con un filo di voce, per farsi forza.

Mosse il primo passo.

 

    I suoi zoccoli risuonarono appena lungo le pareti. Il ciarpame e le tubazioni fungevano da perfetto ostacolo a qualsiasi fenomeno di riflessione sonora.

Continuò a controllare nervosamente i dintorni, continuando ad addentrarsi sempre più.

Il brusio della piazza divenne sempre più flebile, fino a scomparire; contemporaneamente, il vicolo si fece sempre più sporco e sinistro, iniziando poi ad intrecciarsi con una quantità sempre crescente di ulteriori svincoli.
Dust decise di proseguire il più possibile in linea retta, in modo da riguadagnare facilmente l’uscita in caso di necessità.
Per non lasciarsi distrarre dall’ambiente inospitale, prese a calcolare mentalmente il numero di rimbalzi che una sfera dalle proprietà elastiche avrebbe idealmente potuto compiere lungo le pareti, considerando i fenomeni di dispersione cinetica ma ignorando l’attrito dell’aria.

Stette quasi per giungere alla soluzione quando, dopo l’ennesimo angolo svoltato, si ritrovò in una strada molto più ampia e spaziosa.

Gli edifici attorno ad essa erano sempre alti e soffocanti ma vi era spazio sufficiente per far passare anche quattro o cinque pony uno di fianco all’altro.
Con sua somma sorpresa, la zona non era disabitata.

    Una serie di cavi penzolanti era stato tirato da un capo all’altro delle mura, fino alle sommità delle rispettive costruzioni, e fungeva da supporto per stendere sgualciti abiti appena lavati.

Alcuni abitanti erano addirittura affacciati da finestroni lontani, intenti a sbattere alcuni panni o chiacchierare col vicino. Altri, pochi, erano invece in strada, assorti a rovistare tra i mucchi di rottami o a parlocchiare sotto i portici.

Lamiere e tondini arrugginiti erano stati assemblati qua e là, a formare pericolanti impalcature dall’aspetto rozzo e assai poco sicuro.

I presenti non erano tuttavia vestiti come il tipico abitante di Mechanus. La maggior parte di loro, infatti, non portava indumenti oppure si trascinava appresso logori giacconi pieni di buchi, copricapo trovati nei cassonetti o diversi componenti di vestiario raccattati a casaccio.

Silver si bloccò, assolutamente impreparato ad una simile visione.

Si sarebbe aspettato di trovare qualcuno ma mai avrebbe pensato che esistesse una simile attività, occultata dagli edifici principali dell’enorme città-vapore.

E si era appena addentrato di qualche centinaio di metri all’interno dei vicoli. Chissà cosa avrebbe potuto scoprire, continuando lungo il percorso.

 

    Prima ancora di decidere il da farsi, Dust vide qualcosa muoversi accanto a lui.

Senza essersene accorto, un pony stava rovistando in mezzo ad alcuni barili pieni di ingranaggi. Il tizio, trovato ciò che cercava, risollevò il muso e notò l’allievo di Celestia senza troppe difficoltà.

Lo guardò dritto negli occhi.
Ero uno stallone dal pelo aranciato, con una grossa mantella trasandata sulla groppa, dotata di un enorme tascone ripieno di cianfrusaglie.

La criniera era arruffata e lercia; il volto scolpito in un’espressione poco raccomandabile.

Silver tirò il collo all’indietro e sgranò gli occhi.

“Mh, ma guarda…”, mugugnò l’altro, con voce gracchiante. Emise quindi un disgustoso verso nasale e poi sputò qualcosa di improponibile sul marciapiede. “Cosa abbiamo qui?”, concluse malevolmente.

“P… prego…?”, biascicò l’incantatore, sollevando una zampa al petto, visibilmente spaventato.

Il tizio si asciugò le labbra con il dorso di uno zoccolo, quindi fece qualche passo verso di lui. Il puledro, intimorito, retrocesse di schiena, colpendo qualcosa durante l’avventata manovra.

“Si direbbe… un damerino”, berciò colui che aveva appena urtato.

Era un altro stallone dall’aspetto tutto tranne che invitante.

In pochi secondi, Dust si ritrovò in mezzo a due sconosciuti dal muso torvo.

“Ah… i-io…”, balbettò, ruotando il capo più volte verso i due.

“Mhh… un unicorno, eh?”, commentò il pony arancione, aguzzando lo sguardo.

“Cos’è?”, disse l’altro, dopo una breve risata. “Ti sei perso nel tuo quartiere di ricconi e sei finito qui? O cosa?”.

“N… no…”, cercò di spiegare, inducendosi un forzatissimo sorriso. “Io… io non… non sono di Mechanus…”.

I due proruppero in un finto verso di stupore, osservandosi l’un l’altro.

“Ohh! Un turista!”, dichiarò ironicamente lo stallone in mantella.

L’altro gli diede corda: “Avremmo dovuto capirlo subito… I turisti non portano gli spocchiosi abiti che passano a Mechanus…”.

“Già… però…”, continuò il compare, “…vedo che hai una bella sacca a tracolla…”.

Lo sventurato osservò la propria cintura, quindi risollevò il muso verso la coppia: “…la… la mia tracolla?”.

“È proprio bella”, lo informò il pony aranciato, con un ghigno. “Sembra roba d’alta fattura…”.

“Ma…”.

La zampa del compagno lo strattonò per la cinghia.

Silver fece uno scatto e si allontanò: “EHY!!”.

I due pony si serrarono attorno a lui.

“Su… non fare storie…”, gli intimò uno sorridendo.

Il puledro si sentì seriamente in pericolo e non seppe come reagire. Continuò ad indietreggiare, finché non scivolò su dell’olio e cadde impacciatamente a terra. I malintenzionati risero.

 

Nell’impeto della foga, traviato dalla sua stessa paura, Silver illuminò il corno di potere.

Non aveva la più pallida idea di cosa avrebbe fatto ma, in quel momento, gli sembrò l’unica possibilità per potersi difendere.

A Canterlot gli erano stati insegnati innumerevoli incantesimi di difesa ma mai si era ritrovato nella situazione da poterli… o doverli usare. In quel preciso istante comprese come la pratica sarebbe servita a poco.

 

Danneggiare qualcuno con il proprio potere non è una cosa che si impara sui banchi di scuola.

 

L’incantatore chiuse gli occhi e strinse i denti, assolutamente terrorizzato.

 

“Ed io che pensavo che oggi sarebbe stata una giornata di magra…”, concluse il borseggiatore in mantella, allungando una zampa verso la cintura dell’unicorno.

 

    Un clangore metallico riecheggiò per la strada.

Una pesante lamiera si era appena abbattuta sul capo del ladro, ribaltandolo su un lato e costringendolo a strizzarsi le tempie tra gli zoccoli.

Il compare si voltò sbigottito.

Dust riaprì gli occhi.

Dietro ai due si trovava un terzo stallone dal pelo fulvo, avvolto da un cappotto in pelle pieno di tagli e svariate cuciture di fortuna. Il tizio li osservava con volto estremamente serio, quasi severo; portava una barba incolta e la sua criniera rosso scuro era decisamente rada, perlomeno per l’età che dimostrava.

Tra le labbra reggeva il mozzicone di un sigaro in procinto di spegnersi.

“E-EHY!!”, protestò il tizio ancora in piedi. “MA CHE DIAV…”.

L’altro gli si avventò contro, con un leggero zoppicare anteriore, e lo costrinse al muro con una poderosa zoccolata sulla guancia.
“Senti…”, gli disse il pony col sigaro, con voce profonda e un po’ rauca. “Capisco borseggiare i fighetti a Mechanus… ma terrorizzare un puledro non ti sembra un po’ troppo?”.

“MALEDIZIONE, COAL!!”, lo apostrofò il tizio a terra, contorcendosi dolorante.

Dust si fece da parte, agitatissimo.

“Non…”, cercò di spiegarsi il compare, con la bocca schiacciata contro il muro. “Non stavamo facendo… nulla di male…”.

“Ah no?”.

“NO! Volevamo solo… solo prendergli il…”.

La presa si allentò e l’altro cadde sul pavimento oleoso.
“Non me ne frega un accidenti!!”, sbottò adirato, perdendo persino il sigaro. “Shade!! Tu e quell’imbecille di tuo fratello siete più stupidi di un mulo!”. Coal iniziò a sbracciarsi. “Se volete piantare casino, fatelo nei quartieri ricchi! Cosa cavolo succederebbe se uno ci denunciasse qui?? Hai idea del casino che esce se le guardie hanno un pretesto per venire a romperci il posteriore??”.

“M-ma…”, balbettò riverso sulla schiena, proteggendosi il volto.

L’altro gli diede un calcio nel sedere, quindi prese il fratello per la mantella e lo strattonò lontano.

“FUORI DAGLI ZOCCOLI!!”, sbraitò, mentre i due arrancavano per mettersi sulle quattro zampe e galoppare via. “Se vi ripesco a fare una cosa così stupida vi ficco tante di quelle mazzate…!!”.

La coppia si allontanò, veloce come un fulmine, disperdendosi poi nei numerosi vicoletti.

Nessuno dei presenti fece troppo caso alla scena.

 

    Coal prese qualche attimo per calmarsi, quindi si girò e cercò il sigaro a terra.

Lo trovò, ormai spento e ricoperto di pece catramosa.

Lo fece rotolare qualche volta tra gli zoccoli, con volto spazientito.

“Bah”, protestò. “Ecco che se ne va un altro sigaro buono…”.

Si voltò quindi verso il malcapitato, per sincerarsi delle sue condizioni.

Silver era rimasto ritto sulla schiena, ad occhi sgranati e corno scintillante. La paura era decisamente visibile nei suoi occhi.
“Ehy!”, lo fece sobbalzare lo stallone. “Spegni quel lumino se non vuoi attirare l’attenzione di mezzo quartiere”.

Dust annuì rapidamente e altrettanto rapidamente smorzò la magia.

Si chetò, osservando impassibile il proprio salvatore.

L’altro, intanto, ancora cercava di recuperare inutilmente il proprio amato sigaro, provando a strofinarlo più volte sul cappotto.

Coal si sentì osservato e la cosa non gli piaceva.

“MBEH??”, ruggì con volto rabbioso. Dust ebbe l’ennesimo sussulto. “Si può sapere che hai da guardare? E chi cavolo sei? Che ci fai qui?”.

Il pony lilla cercò di rispondere ma la tensione per lo scampato pericolo lo indusse in iperventilazione. Si votò su un lato, estrasse magicamente un sacchetto dalla tracolla ed iniziò a respirarvi convulsamente dentro.

Coal rimase esterrefatto a guardarlo.

“…sei proprio un damerino, mica sbagliavano quei due…”, lo apostrofò, gettando il sigaro tra i cumuli di rifiuti.

Dopo un’altra serie di lunghi respiri, Silver riuscì finalmente e riguadagnare la calma. Il cuore, tuttavia, ancora gli batteva forte. Aveva il fiatone.

Si appoggiò appena alla parete, di schiena, e si fece scivolare fino al pavimento.

“I… io…”, farfugliò, osservando prima i pochi spicchi azzurri nel cielo e poi il barbuto stallone.

“Mh?”, mugugnò Coal, estraendo un altro mozzicone di sigaro dalla giacca. Lo strinse tra le labbra e lo portò su una fiammella di sfogo, accendendolo con alcune boccate.

“Ecco… io…”.

“Quindi sei un turista, eh?”, gli domandò, soffiando fumo nell’aria già fumosa di suo.

“Ah! S… sì. Sono… sono un t…”.

“E da dove vieni, si può sapere?”, lo interruppe, sistemandosi con un fianco su un bidone e scrutandolo in modo indagatorio.

Il puledro pensò di aver commesso un grave errore ad addentrarsi in quel postaccio.

“Da… vengo da Canterlot…”.

“Canterlot? Mai sentita”.

“M-ma… come non l’hai mai sent…”.

“Cosa ancora più importante. Cosa cavolo ci fai qui, mh?”.

“Uh… ecco, io…”.

Dust non voleva rivelare il suo vero scopo. Non era certo nulla di sbagliato ma… chi era quel tizio? Forse gli aveva appena salvato la borsa… e il pelo. O magari… poteva essere un altro malintenzionato. Di sicuro non gli avrebbe detto la verità. Un allievo di una Principessa era pur sempre passibile di un discreto riscatto...

“Sono qui per… per una ricerca sul sistema a vapore della città…”, mentì improvvisando.

L’altro annuì lentamente, mostrando un muso tutt’altro che convinto.

“Capisco. E perché sei finito nei vicoli? Qui non ci sono caldaie…”.

“Io… io mi sono… mi sono perso…”.

“È facile perdersi in una città così grande”.

“Già…”.
“Un po’ meno scambiare un vicolo malfamato per un tour guidato tra le caldaie…”.

“Uhh…”.

Coal si avvicinò all’unicorno, che si senti di nuovo in soggezione. Mise il muso vicinissimo al suo.

“Sai. Io le balle le riconosco al volo. Ho un radar antiballe”.

“C… capisco…?”, sussurrò, facendosi piccolo.

“Perché sei venuto qui?”.

“P-per…”.
“La verità…”, gli intimò, con intenso sguardo inquietante.

 

Silver Dust si grattò nervosamente la chioma.

La verità?

Tutta la verità?
Magari con mezza verità il radar antiballe non avrebbe funzionato.

 

Forse…

 

“E-ecco… come ti dicevo”, gli spiegò, sforzandosi di sorridere, “stavo svolgendo le mie ricerche su… sulle caldaie…”. Coal strizzò le palpebre. “…quando… quando ho visto un corpo armato comparire in piazza. Avevano… un sacco di soldati… di feriti… e… e uno di quei cosi mezzo distrutto. E… e così ho cercato di capire quale fosse il motivo. I-insomma… per quale motivo dei soldati avessero fatto ritorno in quelle condizioni. Il fatto è che…”.

“Che nessuno ti ha risposto, vero?”, domandò retoricamente.

Bingo.

“Esatto!”.
“Mhf”, continuò Coal, con un sorrisetto sardonico. “Se pretendi di avere risposte dai cittadini di Mechanus, stai fresco”.

“Infatti non mi hanno detto granchè…”.

“Ma non perché non lo vogliano. Semplicemente perché ne sanno quanto te. Se non meno”.

“Ah…”.

 

Lo stallone tornò a scrutarlo intensamente.

Gli stava forse credendo?

“…facciamo finta che sia la verità. E quindi saresti venuto qui a cercare più informazioni, dico bene?”.

“Beh… sì…”.

“Nei vicoli”.

“Sì”.

“Un damerino come te?”.

Dust si spazientì un po’: “Basta con questo damerino!”.

“Calma, tigre. Non ho mica voglia che poi mi minacci col tuo punteruolo luccicoso. O che mi soffochi nei tuoi sacchetti incantati”.

L’unicorno si chetò ma lo maledì mentalmente.

“Scherzi a parte, coso, come ti chiami?”.

“Mi chiamo Silver… Silver Dust”.

L’altro serrò i denti al sigaro, strofinò malamente una zampa al cappotto e gliela porse: “Smoky Coal”.

Silver la sfiorò appena, ricordandosi poi di essere a sua volta sporco d’olio.

“In ogni caso”, riprese Coal, “questo non posto per uno come te”.
“Me ne sono accorto…”, ribatté l’altro.

“Parli di quei due deficienti di prima?”, gli chiese, con aria di sufficienza.

“Eh…”.

“Bah. Non sono cattivi. Sono solo stupidi”.

“A me non sembravano tanto buoni…”.

Smoky fece spallucce: “Naa. Non è colpa loro. È la vita da queste parti che è dura. Se non borseggiassero, di tanto in tanto, a malapena avrebbero da mangiare… In effetti tutti qui, bene o male, devono rubacchiare qualcosa…”.

Il pony dagli occhi verdi corrugò la fronte: “Ma… come… come mai questa situazione? Insomma… vista da fuori la città sembrava, sì fatiscente, ma… cioè… mai mi sarei aspettato un posto simile…”.

Coal rise sotto i baffi, abbassò il muso e iniziò a scuoterlo.

“Mechanus è tutta apparenza, Silver Coso”.

“Dust…”.

“Ti stupiresti di quanto marciume è celato sotto il guscio di metallo…”.

“Ok ma… non mi sembra che qui il lavoro manchi… So che ci sono un sacco di miniere. Di scavi. Industrie, fabbriche… Ben contemplando un boom economico, mi stupisco di una simile miseria. I miei calcoli sociologici, perlomeno, punterebbero verso un’altra direz…”.

“Socioche? Sei proprio un damerino…”.

“Ma…!”.

 

    Smoky Coal consumò il proprio sigaro con un’ultima boccata, fino a quasi ustionarsi le labbra. Gettò a terra i rimasugli cinerini.

“Senti, Coso. Vuoi davvero renderti conto della realtà che si cela a Mechanus?”, gli domandò, con un mezzo sorriso.

“Uhh…”, mugugnò l’altro indeciso.

 

“Lo prendo per un sì. Ma vedi di non allontanarti troppo dal sottoscritto…”.

 

*** ***** ***

 

    Il duo iniziò a svolgere un’improbabile gita guidata tra gli intricati viottoli della zona malfamata di Mechanus.

Coal avanzava con sicurezza tra la spazzatura e gli abitanti trasandati, come se quei vicoli bui li conoscesse bene. Una zampa anteriore gli zoppicava regolarmente.

Silver, per tutta risposta, si sentì addosso gli occhi di tutti. Non erano assolutamente abituati a vedere un tizio come lui da quelle parti. Ma si attenne alle direttive e non mollò la sua guida nemmeno per un attimo.

Smoky lo fece addentrare sempre di più in quei luoghi, portandolo in mezzo a zone sempre più affollate e ricche di miseria.

Gli abitanti erano tristi. Stanchi. Sporchi.
I puledrini correvano liberamente tra il metallo ed il lerciume.
Ogni angolo di strada era arricchito da prodotti e sottoprodotti di scarto di diverse industrie, dai motori dismessi ai contenitori di materiali da smaltire.

In quel luogo Dust venne a conoscenza di una nuova, enorme e spaventosa realtà: l’intero nucleo di Mechanus era un insieme di budelli che si diramavano tra gli enormi edifici, completamente celati agli occhi dei pony in situazioni più agiate. Con suo sommo stupore: vi era più popolazione benestante che povera e il divario sociale ed economico era enorme.
Si poteva quasi affermare che vi fosse una seconda città, sotto alla luccicante Mechanus. Se gli edifici imponenti erano la pelle del colosso di metallo, allora gli assembramenti di poveri e disadattati ne costituiva l’ossatura.

Dust non riusciva a crederci.
Non soltanto i passanti versavano in condizioni pietose ma erano quasi tutti menomanti o riportavano comunque evidenti cicatrici superficiali.

“Vedi, ragazzo?”, gli disse ad un certo punto Coal, sbucando in un grosso spiazzo adibito ad affollatissimo (e sporchissimo) mercato. “Questa è la verità sotto Mechanus…”.

L’altro scosse la testa, sinceramente sbigottito.

“I-io… io non ho parole…”.

Smoky si accese l’ennesimo sigaro e, boccheggiando a sguardo basso, gli rispose: “Non sei l’unico, Coso”.

L’unicorno si ritrovò in mezzo ad una folla di pony di terra completamente trasandati. Si voltò verso lo stallone dai crini rossi.
“Ma… tutto questo… per via delle fabbriche? Possibile?”.

Smoky rise.
“Già. Beh, non solo. Innanzitutto… hai notato una differenza importante tra gli abitanti qui e quelli tra i grattacieli?”.

“Sì… lì sono quasi tutti unicorni. Qui, invece…”.

“Ecco. Quindi inizia a fare così…”, lo incitò, ficcandogli una padella in testa e occultandogli il corno. “Secondo… questo è quello che succede quando si scopre una terra ricca e dalle spropositate potenzialità economiche”.

Coal puntò lo zoccolo verso un punto del poco cielo visibile. Nonostante l’assembramento di edifici, il vulcano su cui si ergeva l’intera megalopoli poteva essere scorto con relativa facilità.

“Quel posto è pieno di minerali preziosi. E Rocce Ignee”.

“Ne ho sentito parlare…”.

“Non solo sono il cuore pulsante della città, senza le quali non potrebbe essere ciò che è ora. Ma vengono vendute a caro, carissimo prezzo. Così i primi ricconi che sono arrivati ci hanno lucrato sopra, spedendo i poveracci ad estrarle dagli scavi”.
“Sfruttamento?”, si informò.
“Sì, sfruttamento”, rispose, dopo aver sputato per terra. “Ma non è solo questo, ragazzo mio”.

“In effetti…”, continuò Silver pensieroso, “…in città si vedono solo pony benestanti. Non ho mai visto lavoratori, operai o quant’altro…”.

“Facciata. Tutta facciata. La manodopera va a lavorare di notte e si sposta solo all’alba e al tramonto. Così la parte presentabile di Mechanus rimane aperta ai ricchi e al turismo. Mica scemi, eh?”.
“Sì ma… questa gente… quella che c’è qui, intendo…”, affermò con lieve struggimento, evitando di essere investito dalla calca e alzando la voce per non essere sovrastato dal vociare.
Coal lo portò in una zona un po’ in disparte. Si recò ad una bancarella e scambiò del cibo di “seconda zampa” per alcuni bulloni e un pezzo di marmitta.
“Vuoi?”, gli chiese, infilandosi in bocca un pezzo di panino smangiucchiato.
“Ho già mangiato”, declinò garbatamente.

“Mbeh, sì. Qui la gente è messa maluccio, te ne sarai accorto anche tu”.

“Scherzi? È in condizione pietose…”.

Lo stallone divenne improvvisamente serio: “No. Se c’è una cosa di cui questa gente non ha bisogno… è la pietà. Siamo pony dignitosi. Credimi”.

“Sì, non volevo insinuare che…”.

Coal buttò giù l’ultimo boccone.
“I pony che vivono qui, purtroppo… non lavorano. E, se non lavori, non hai la grana. E i soldi sono tutto, qui a Mechanus”.

“Ma perché non lavora? Non... non mi pare abbiate un deficit d’impiego…”.

“No, anzi. La richiesta è sempre costante”.

“E allora… Non capisco…”.

“Lo vedi anche tu”, gli spiegò, con un ampio gesto della zampa. “Qui sono tutti mezzi acciaccati”.

“Sì… è strano”, ammise.
    Smoky sapeva di stringere tra le labbra l’ultimo sigaro del cappotto. Così non lo accese e si limitò a morderlo tra i denti.

“…seguimi”, gli disse.

Dust ubbidì.

    La coppia si allontanò dallo spiazzo ed imboccò un minuscolo viottolo, così infimo da non essere battuto da anima viva.

L’unicorno si incollò allo stallone, divenuto improvvisamente serissimo e taciturno.
Il vicolo, intanto, diventava sempre più angusto ed isolato dal resto.

Ora si gira con un coltello e mi estirpa un rene…”, pensò cinicamente il turista.
Il pony fulvo si fermò d’innanzi all’ennesimo cumulo di spazzatura e rottami, proprio accanto ad un vicolo cieco.
Lo osservò attentamente, quindi vi affondò le zampe e prese a rovistare e scartare materiale.
Il giovane tenne le distanze.
“Vuoi… davvero sapere…”, gli disse Smoky, tra uno sforzo e l’altro, “qual è… il vero problema… di Mechanus?”.

“Uhh… i ricconi, mi pare di aver capito?”.
“Quello è il più piccolo dei problemi. Intendo…”, continuò, gettando via un radiatore forato, “…vuoi sapere… il perché di cosa hai visto?”.
“Messa così mi fa un po’ paura saperlo…”, confessò.
Dopo pochi minuti, a furia di scavare negli scarti, Coal trovò infine ciò che stava cercando, emettendo un verso di soddisfazione. Lo rimirò qualche secondo tra le zampe. La sua stazza impedì a Dust di vedere chiaramente cosa fosse.
Si girò quindi verso l’unicorno e gli lanciò un grosso oggetto metallico. Lo afferrò impacciatamente.
Lo osservò.

    Ciò che l’allievo della Principessa stava reggendo tra gli zoccoli era a tutti gli effetti il volto di un pony metallico.
Sembrava un elmo di bronzo estremamente logoro e graffiato, con grossi occhi opachi di un materiale simile al vetro.
“Un… elmo?”, domandò perplesso.
“Guarda meglio”.

Silver lo fece ruotare tra le zampe e vide il foro di entrata alla base del collo. Sgranò gli occhi.
L’interno non era vuoto.
Ingranaggi, cavetti e piccoli tubi danneggiati si intrecciavano a formare una sorta di sistema interno. Era qualcosa di unico, che mai aveva visto prima…

Se non…

Alzò il muso e drizzò le orecchie.
Non poté non pensare al medesimo sistema che aveva scorto nell’esoscheletro di Copper.
Controllò meglio.
Si trattava di componenti assolutamente strabilianti, di una fattura sicuramente ineccepibile. Ingranaggi piccoli come granelli di sabbia. Meccanismi concepiti in modo da minimizzare l’attrito ai limiti delle regole fisiche. Connettori del diametro di un capello.
Che tecnologia era mai quella?

“Ma… cosa… cos’è?”, domandò titubante, osservando Coal con sguardo interrogativo.
L’altro si sedette e fece un profondo respiro.

Sollevò lo sguardo alle venature di cielo, come se stesse per narrare qualcosa di estremamente importante. E, forse, doloroso.

“Sai…”, gli disse, riabbassando lo sguardo, con voce un po’ calante. “Un tempo… anche fare gli operai a Mechanus non era poi tanto male. Sì… c’era da sgobbare, è vero. E c’erano sempre i ricchi a lucrarci sopra. A sfruttarci”.

“Sfruttarci? Quindi… anche tu lavoravi negli…”.
“Non fui uno dei primi ma sicuramente sono uno dei più anziani…”, lo informò. “Iniziai quando gli scavi erano numerosi ma ancora superficiali. Quando ancora non si moriva dal caldo perché ancora troppo lontani dal trovare le Pietre Ignee che si formano vicino al cuore del vulcano…”.

Dust lo ascoltò attentamente. Gli occhi dell’altro, intanto, si muovevano in svariate direzioni, come se stesse rivivendo gli eventi passati.
“Ed era dura… ma non era così male”.

Sorrise timidamente.

Si incupì.
“Poi arrivò quel giorno…”.

“…quel giorno?”.
“Sì. Una giornata lavorativa come tante. Scavi. E scavi. E scavi… e se trovavi qualcosa lo buttavi nel carrello. Come sempre. Ma poi…”.

Ci fu una pausa.
“Poi ci fu quello scoppio. Un crollo nella miniera accanto. Fortunatamente non ero lì. Ma lo sentimmo. Fu forte. Dannatamente forte. Andammo di corsa a vedere cosa fosse successo. Pensammo subito ad un guasto nelle tubature col vapore. E invece…”.

Gli occhi del pony col sigaro si posarono sull’oggetto dalla forma equina.

“Costrutti…”.

“…costrutti? Cosa?”, chiese interdetto.
“Un piccolo assembramento di pony fatti di metallo”.

“Intendi dire… pony in armatura?”.

“No. Pony fatti di metallo. Come quello che hai tra le zampe. Con le giunture esposte che lasciavano intravedere ingranaggi, tubi e tutta la baracca. Ma senza che vi fosse un occupante…”.

“Ma…”.

“Tu ora non puoi vederlo… e forse potrai anche non credermi”, gli confessò, fissandolo in volto. “Ma quei cosi… erano vuoti, dentro. C’era soltanto una strana luce azzurra ad alimentarli. E gli occhi… che ora vedi opachi e spenti su quell’aggeggio… brillavano come fari nella notte”.

Per un istante, l’unicorno pensò di essere vittima di uno scherzo.
“Beh…”, continuò, rialzandosi e tirando un calcio ad un barattolo. “Quei cosi sono sbucati fuori. E…”.
“…e?”.

Il volto di Coal tornò serissimo.
“E cercarono di ucciderci”.

Il puledro scosse il capo, percependo un brivido lungo la schiena. Scrutò l’oggetto e non riuscì a capacitarsene.

“Stai… mi stai prendendo in giro, vero…?”.
“Mi caschino gli ultimi crini che ho in testa se sto mentendo, ragazzo. Quegli affari sono venuti fuori dai nostri scavi. E hanno iniziato a ricacciarci fuori a suon di pestoni ed uno strano potere dai loro corni di metallo. E fidati che una tonnellata di equino metallico che ti schiaccia sotto le zampe non è piacevole…”.
“Quindi vuoi dire… che…”.

“Da allora…”, riprese, “…lavorare nelle miniere non fu più sicuro. Queste macchine iniziarono a sbucare periodicamente ed in modo del tutto imprevedibile. E dove apparivano, non si facevano problemi a mandarci via. E se tentavamo di resistere o non eravamo abbastanza veloci… beh i più fortunati se la cavavano con qualche osso rotto”.
“Ma… e… le difese? Non ci sono le guardie?”.

Smoky ebbe un impeto d’ira. Prese una chiave inglese e la gettò con violenza verso un bidone, provocando un gran fracasso. Dust si intimorì.

“LE GUARDIE!! AH!”, si lamentò. “Quelli sono mercenari… Non appena gli imprenditori hanno percepito l’odore dei soldi, hanno mandato noi. Non appena i loro introiti si sono trovati in pericolo… non hanno esitato ad assoldare forze armate per respingere il problema. Senza però riuscirci…”.

“Ma… perché?”.

Si sedette.

“Perché i mercenari non fanno domande. Non sono come guardie reali che devono obbedire ad un codice di condotta. Non avrebbe giovato agli affari avere in giro la notizia che dei cosi di origine sconosciuta stavano seminando il caos nelle miniere. Così hanno assoldato loro. E si è creata una piccola oligarchia del tutto autoproclamata…”.

Il puledro non riusciva a crederci.
“Dopo quegli avvenimenti, gli imprenditori si convinsero che era meglio così per tutti. Impossibile combattere queste cose. Per dieci che ne smontano, altre cento ne arrivano, chissà da quali cunicoli che sbucano direttamente nelle miniere. Non sono mai riusciti a trovarli. A risalire da dove provenissero. Non puoi immergerti nel cuore di un vulcano, a quelle temperature e dove manca l’aria. Ma questi affari… loro non sono vivi…”.

“Quindi… tutti quelli che ci sono qui… sono…”.

“Loro sono i reduci di quegli scontri. Operai la cui unica colpa è stata voler racimolare un po’ di soldi per poter sopravvivere. Trovandosi poi nel posto sbagliato al momento sbagliato… E che ora vengono ammassati qui, lontani da occhi indiscreti. Mentre altri vengono continuamente inviati alle miniere. I più sfortunati non tornano più…”.

“E i soldati che ho visto… stavano ripiegando da quegli scontri?”.
“È molto probabile…”.

“Ma… ma è… è terribile…”, ammise, ancora incapace di credere a tutto ciò che stava sentendo.
“Già”. Non resistette. Si accese il sigaro. Fumò.
“Non… perché non fate niente??”, cercò di capire Dust.
“Eh... Cosa vorresti fare? Le miniere sono in mano ai ricchi. E le difese? In mano ai ricchi. E Mechanus fa gola a troppi per potervi rinunciare, già solo per la facciata di benessere e turismo che ostenta all’esterno”.

“Sì… ma all’interno…”.

“A nessuno frega di cosa giace all’interno, ragazzo…”.
“Mi sembra poco credibile…”.
“Io credo a questo…”.

Con quelle parole, Smoky Coal si tolse il proprio giaccone in pelle, con una certa fatica.

Silver osservò con apprensione la sua zampa sinistra. Il pelo era completamente assente, a causa di un qualche tipo di ustione. O chissà cosa. Intuì che anche i crini mancanti sul capo dovevano essere reduci di qualche incidente in miniera.
Dopo pochi secondi, si rivestì prontamente.

“…certe prove sono fin troppo evidenti…”, concluse mollemente.

Dust non seppe come reagire e si limitò a rimirare ancora qualche volta lo strano oggetto che reggeva tra le zampe.
Coal si avvicinò a lui e si rimpossessò della testa meccanica, con gesto lento ma deciso.
“Basta così, ragazzo. Hai visto ed udito fin troppo. Volevi la verità su Mechanus? Ora la conosci…”. Lanciò l’elmo lontano, facendolo rotolare tra i rottami a bordo strada. “E questo è meglio se non te lo porti dietro come souvenir. Se ti beccano con ‘sto affare è buono che ti arrestino per complotto o chissà cosa”.

“…capisco”.

Lo stallone fulvo lo osservò per qualche istante, quindi chinò il mento e si avviò per il ritorno.
“Dai. Vieni. Ti riporto fuori da questo buco puzzolente”.

L’unicorno lo seguì diligentemente, non prima di aver lanciato un’ultima occhiata alla testa metallica tra i rifiuti.
Vide il suo muso inespressivo e gli occhi vitrei.
Provò una strana sensazione.
Se ne andò.

 

    Dopo alcune decine di minuti e una lunga camminata a ritroso tra le viuzze, il duo si ritrovò all’imboccatura della piazza da cui Dust era partito.
Il vociare ed i rumori delle attività cittadine si fecero sempre più forti, sintomo che il suo ritorno era imminente.
Coal si fermò al limitare della stradina. Non voleva assolutamente uscire e mostrarsi alla zona benestante. Forse temeva ritorsioni. O semplicemente non gli andava.
“Capolinea, ragazzo”, lo informò, voltandosi verso Dust.
“Ok…”, rispose, con una nota di sofferenza negli occhi, per quanto aveva appena scoperto.
“Da qui te la sai cavare da solo, spero”.

“Sì. Sì, non sarà un problema”.

“Bene”, tagliò corto, superandolo e facendo ritorno ai budelli.
Silver lo osservò mentre si allontanava, con passo lento e zoppicante, come suo solito.

“Ah…”, proruppe timidamente, inducendolo a fermarsi. “G… grazie per… per le informazioni. E per… per avermi difeso da quei due tipi…”.

“Mhf”, sbuffò, senza nemmeno girarsi. “Sennò avrei avuto un damerino sulla coscienza…”.

Attese un qualche tipo di risposta ma l’altro non disse nulla.

Sorrise e riprese a zoppicare.

“Addio, ragazzo. E vedi di non parlarne troppo in giro, se tieni alla tua permanenza qui a Mechanus…”.

“…lo terrò a mente”, sussurrò, sicuro che non potesse udirlo.
Ad un certo punto, Smoky scomparve dopo aver svoltato un angolo.

Silver Dust sospirò.
Compì un angolo giro.

E riguadagnò l’accesso alla piazza.

 

*** ***** ***

 

    Tornare in mezzo alla popolazione benestante di Mechanus ebbe uno strano effetto su Dust.
La prima volta che vide la città, appena giunto dalle campagne, la trovò sporca e trascurata. Dopo essere uscito dai vicoli, tuttavia, gli sembrò fin troppo ordinata e sfarzosa. La realtà con cui era entrato a contatto lo aveva colpito nel profondo.
I passanti camminavano tranquilli, all’interno dei propri vestiti retrò, conversando e interloquendo tra loro. I velivoli fumosi fluttuavano nel cielo, mentre quelli terrestri smarmittavano rumorosamente per le strade.


Era quella Mechanus?

Si voltò e controllò un’ultima volta i budelli angusti.

Compì un profondo sospiro.
Sembrò rattristarsi.

Rimirò l’enorme città abbarbicata lungo il vulcano, che si stagliava contro il cielo ed il sole luminoso.
I mille rumori della megalopoli si mischiarono ai suoi pensieri già confusi.

Vedi, ragazzo? Questa è la verità sotto Mechanus…”.

Silver si sentì di nuovo isolato dal mondo, seppur immerso in una folla in movimento.
Avrebbe potuto continuare le proprie ricerche sul posto ma non ne ebbe lo stimolo.
Non avrebbe potuto. Non ci sarebbe riuscito.

Decise così di rincasare molto prima del tramonto e si diresse verso una delle fermate dell’enorme treno a vapore che, implacabile, solcava le rotaie di metallo sparse tra gli edifici.

Vi salì un po’ risollevato.
Percepì il bisogno di tornare nell’abitazione di Copper e riordinare le idee.


Dopo alcune decine di minuti, l’intromettersi dei fabbricati tra gli edifici residenziali gli confermò che la destinazione non era lontana.

 

*** ***** ***

 

    Il sole era ancora alto nel cielo quando l’unicorno lilla giunse nuovamente per le strade dell’area industriale.
Ripercorse la via del ritorno, con la mente a vagare in mille e più questioni irrisolvibili. Sbagliò persino direzione, ritrovandola per pura fortuna.

Riconobbe infine l’ampio spiazzo che conduceva all’edificio in cui viveva Copper.
Ma qualcosa di molto diverso da rottami e costruzioni fatiscenti attirò la sua attenzione.

    Non molto lontano dal punto d’arrivo, fluttuando a pochi centimetri da terra, vi era una stupenda imbarcazione volante, dotata di chiglia lunga almeno una ventina di metri. Le paratie laterali sembravano costituite da rame lucidissimo, praticamente tirato a specchio. Numerosi intarsi e cesellature dorate occultavano i punti di giunzione delle lamiere e donavano all’intero velivolo un’aria sfarzosa e assolutamente mozzafiato. La plancia era vicino alla poppa ed era anche relativamente piccola. Ricordava più una spaziosa cabina di comando.

Furono tuttavia due le cose a destare la preoccupazione del giovane dai crini scuri.
Primo: nella parte apicale della prua era stato collocato uno stupendo e spaventoso spara arpioni, anch’esso cesellato e rifinito in dettagli che ne nascondevano solo apparentemente la pericolosità.
E secondo… Un’asta al centro del castello reggeva la bandiera che riportava il simbolo che aveva scorto giusto il giorno prima. Si trattava dello stemma dei Divites, almeno da quanto aveva affermato Copper, ovvero la casata in carica in quel momento.

Il tutto terminava con un grosso pallone aerostatico, assicurato allo scafo da numerosi e robusti cavi in tensione. La nave era stata ancorata a terra tramite dispositivi di attracco simili a morse d’acciaio.

Silver tenne le distanze e non si mosse, per paura che qualcuno potesse notarlo.
In realtà non aveva assolutamente nulla da temere; non solo era un allievo di Celestia, dotato di tutti i documenti in regola per la permanenza a Mechanus, ma non aveva compiuto nessun atto illegale di sorta.
Ciò che lo spaventava, tuttavia, era la presunta libertà che le forze armate avrebbero potuto ostentare. Senza un gerarca o un codice di condotta a cui rispondere, non aveva la benché minima certezza che sarebbe stato al sicuro dai presunti soldati.
E quella non sembrava certo una nave turistica, quanto più un letale mezzo da combattimento.

 

La domanda era: perché quel mezzo era atterrato accanto all’abitazione di Copper?

Silver decise di muoversi cautamente.
Deviò per un percorso alternativo, allungando il tragitto ma rimanendo relativamente nascosto dalle pile di rottami sparse un po’ ovunque.
Alla fine giunse a lato dell’entrata. Si accostò ad un mucchio di metallo e si sporse con cautela.

Di fronte alla facciata principale, proprio nel cortiletto che precedeva l’uscio, Copper Head e tre soldati stavano discutendo animatamente tra loro.
Dust aguzzò lo sguardo e cercò di capire cosa stesse succedendo.
Due erano semplici soldati, come tanti ne aveva visti fino a quel momento. La differenza sostanziale risiedeva nell’armatura: una corazza priva di elmo, più leggera e che permetteva alle ali di muoversi liberamente. Sì. Si trattava di pegasi in tenuta militare.
Il terzo, quasi sicuramente un ufficiale, era invece un colossale unicorno in armatura completa. Era davvero massiccio, sia in corporatura che altezza, e superava l’interlocutrice color creta di almeno mezzo metro abbondante. Lo stile della corazza ricordava quello della nave da poco superata, piena zeppa di ghirigori e abbellimenti dorati. La superficie era tuttavia logora e rovinata, probabilmente reduce da numerose battaglie.
L’elmo, tuttavia, era assolutamente terrificante e riportava il ghigno rabbioso di uno stallone dalle sembianze mostruose. Un foro sulla fronte permetteva ad un lungo corno bianco di fuoriuscire.
Il puledro non seppe cosa fare e si limitò a rimanere nascosto. Era tuttavia troppo lontano per capire cosa stessero dicendo.
Copper sembrava visibilmente seccata e si sbracciava come suo solito, nel tentativo di esprimersi al meglio.
Ad un certo punto, l’attenzione dell’inventrice cadde casualmente verso la direzione del pony lilla. Copper disse qualcosa ai soldati, quindi puntò lo zoccolo verso di lui.
I tre si voltarono.
Dust sgranò gli occhi e percepì un tuffo al cuore.

Il più grosso dei tre iniziò a camminare verso di lui, con passo lento e pesante.

Il giovane, colto impreparato, si mosse leggermente di lato, uscendo dal riparo e optando per la via più pacifica di tutte.
“Oh… ehm…”, balbettò, poco prima che l’altro lo raggiungesse. Ma non riuscì a finire il discorso. Il bestione fece brillare il corno ed una lancia si sganciò dalla bardatura da combattimento.
Silver si ritrasse, temendo per il peggio.
L’unicorno corazzato gli puntò immediatamente l’arma contro, che si estese con alcuni sbuffi di vapore. La punta si fermò a pochi centimetri dal suo collo.

“FINALMENTE TI ABBIAMO TROVATO!!”, tuonò il colosso, con voce profonda quanto metallica.
Il poveretto fissò l’elmo ghignante, colto dal terrore più assoluto.
“ALLORA??”, continuò minacciosamente la guardia. “COS’HAI DA DICHIARARE??”.
Copper sbucò improvvisamente dietro l’imperiosa figura e, con fare rabbioso, si appoggiò alla lancia per abbassarla.
“Ehy, Zamak!! Che ti piglia?? Piantala di fare il cretino!”, lo ammonì.

L’altro, per tutta risposta, alzò la lancia e si sollevò rapidamente la celata dell’elmo, rivelando un bianco faccione bonario e divertito.

“Eddai, Coppy!”, le rispose ridacchiando, sempre con profonda voce baritonale. “Stavo solo scherzando un po’!”.
Silver non ci stava capendo nulla. Sapeva solo che quello era il secondo, grosso spavento della giornata.
Il tizio di fronte a lui era un colossale unicorno in armatura, dotato di crini dorati e classicissimi occhi azzurri. Il tipico esemplare di razza “chiara”.
“Non me ne frega un accidente!”, ribadì la puledra. “Ti pare il modo di fare??”.

“Ohh, dai!”, minimizzò, riponendo l’arma sui fianchi. “È solo una burla innocente!”.

“No che non lo è! Un giorno farai prendere un infarto a qualcuno!”.
“Bah! Come sei esagerata. Mica ti sei spaventato, vero?”, chiese a Dust, girandosi improvvisamente verso di lui.
“I-i-io…”, rantolò.

“Visto??”, la rassicurò, dando una sonora e dolorosissima pacca sulle gracili spalle color lilla. Silver per poco non cadde a terra. “Ha capito che scherzavo!”.
Copper si imbronciò.
Il soldato allungò quindi le zampe verso l’unicorno dai crini scuri e lo aiutò a rimettersi sulle quattro zampe.
Si diede una spolverata allo zoccolo e glielo porse.

“Piacere!”, gli disse. “Zamak Kirksite!”.

Tutto quello che riuscì a fare Dust, ancora confuso ed agitato, fu osservare la zampa, quindi rivolgere lo sguardo interrogativo verso Copper Head.
“…lui è Zamak”, sbuffò infine la puledra, rassegnata alla situazione. “Capitano in comando del Second Reggimento Divites…”.

“…ah…”, commentò sorpreso.

L’incantatrice si sforzò quindi di terminare ciò che non voleva dire: “…nonché mio fratello”.

“Capis…COSA?”, si meravigliò.

“EGGIA’!!”, li interruppe bonariamente il bestione, stringendo a sé la puledra con un’unica zampa. L’altra mantenne un’espressione annoiata per tutto il tempo. “Lei è la mia piccola sorellina con il cervellino pieno di idee e strambosaggini!”.

“Evvivaaa…”, rispose Copper, sentendosi schernita.

“Voi… voi due siete fratelli?”, chiese stupito.
“Già! Si nota, vero??”, gli domando Zamak, schiacciando il viso di profilo contro quello della sorella e sfoggiando un terribile sorriso. Per Silver, potevano essere stati adottati in epoche e continenti completamente diversi.

“M-ma… non capisco…”, cercò di chiarire. “Cosa… cosa ci fanno i soldati, qui?”.

“Oh è semplice!”, riprese Zamak, mollando la presa. La sorella minore cadde impacciatamente a terra. “Abbiamo saputo che l’allievo di una Principessa è giunto direttamente nella nostra straordinaria città! E non potevamo non venire a darti il benvenuto!”.
“Ma certo!”, berciò l’altra, rialzandosi da terra e cercando di contenere gli improperi. “Sei qui per il benvenuto, mh? Sei qui solo per questo, non è vero?”, domandò sarcasticamente.
“Certo che sì”, la liquidò, con aria di sufficienza. Si rivolse quindi al forestiero: “E, infatti, con chi ho l’onore di parlare?”.

“Ah… uhm… Dust. Silver Dust…”, dichiarò, poco convinto.

“Lieto di conoscerti, allievo della Principessa!”.

“Non sai manco come si chiami la sua Principessa, cretino!!”, lo apostrofò la parente.

“Certo che lo so!”, ribatté. “Si… si chiama… uh… Ermengilda, giusto?”.

“Visto? Lo sapevo!”.

“Oh, senti!”, tagliò corto. “Poche storie! Sono lieto di fare la tua conoscenza, Silver Dust!”.

“…piacere mio”.

“Se dovessi avere qualsiasi tipo di esigenza o richiesta… sappi che le forze armate dei Divites sono a tua completa ed assoluta disposizione!”.

“…lieto di saperlo”, tentennò, guardandolo con sospetto. “Lo terrò a mente…”.

“Ottimo, ottimo!”, si rallegrò.

“Bene!”, riprese Copper, con rinnovata foga. “Hai fatto il tuo spettacolino? Sei contento? Ora puoi andartene!”.

“Ma che modi sono, sbatter via tuo fratello dopo neanche dieci minuti che son qui?!”, protestò, inscenando un volto vittimizzato.

“Via. Smamma. Fuori”, lo incitò, cercando di spintonarlo lontano (senza muoverlo di un millimetro).

“È così carina, non è vero?”, domandò a Silver, con un grosso sorriso sulla bocca.

“Uh… io…”.

 

Il puledro non sapeva più cosa fare o pensare.
O quel posto era pieno di matti o lui era l’unicorno più sfortunato nel regno ad averli incontrati tutti, uno per uno.

 

“Senti, se non te ne vai io…”.

Zamak si scostò di colpo e Copper, che ancora cercava di spingerlo, si ritrovò distesa a terra.

“Va bene, va bene. Me ne vado. Che modi!”.

“Uff… ecco… bravo… levati di torno…”, blaterò, sollevando il volto impolverato.

 

    Il fratello fece per andarsene ma poi, all’ultimo minuto, si girò nuovamente verso il pony color creta.

“Comunque, Copper…”, sussurrò, con volto decisamente più serio, “…ricordati che c’è sempre quella questione che conosci…”.

“Ecco… lo sapevo che andavi a parare lì…”.

Si rimise in piedi.

Lo stallone tornò leggermente più bonario: “Dai, Coppy! Sai benissimo che…”.

“NO!”, lo zittì. “Quante volte te lo devo dire che non serve a nulla insistere!! Non vi darò nulla!”.

“Ma… pensa a papà che…”.

“NULLA!! Né a te, né a quel guerrafondaio di nostro padre!”.

Zamak si agitò sempre più. Osservò attentamente l’armatura della sorella.

“Cavolo, Copper, ma non capisci le implicazioni?! Sai quante vite potresti salvare?? Quanti soldati potrebbero respingere i problemi che sai se solo tu…”.

“Vite salvate? VITE SALVATE??”, strillò, sempre più inviperita. Sollevò magicamente un lavandino tra i rifiuti e glielo scagliò contro. Il bestione lo schivò per un soffio, quindi strinse i denti e prese a galoppare rapidamente verso il velivolo poco distante. I pegasi spiccarono il volo.

“È STATO UN PIACERE ANCHE PER ME RIVEDERTI, COPPER!!”, urlò, sempre più lontano.

“TE LE DO’ IO LE VITE SALVATE, RAZZA DI PAGLIACCIO VESTITO DA BARATTOLO!!”, continuò ad inveire, con volto contratto dal nervoso.

In tutto questo, Silver cercò di starne fuori il più possibile.

    Dopo alcuni minuti, recuperarono gli ormeggi ed il pallone aerostatico iniziò a sollevarli alti nel cielo.

Dust era senza parole.

Copper, accanto a lui, ansimava per la rabbia. Si stava leggermente calmando ma gli ingranaggi della sua tuta ruotavano velocissimi, emettendo un ronzio costante e ben percepibile.
Si voltò improvvisamente e si diresse ai suoi laboratori.

“Tu che fai?”, gli chiese stizzita. “Rimani qui fuori?”.

“N-no…”.

“E allora entra, sbrigati”.

Silver non amava essere trattato in quel modo ma aveva capito che, con i nervi a duemila, quella puledra poteva essere una pentola a pressione. Decise di non darle peso e la seguì.

    Una volta all’interno, Copper Head iniziò a trafficare tra i suoi arnesi, in modo decisamente distruttivo: afferrò bulloni, scaraventò attrezzi, spezzò lamiere… il tutto accompagnato da manifestazioni quali “pagliaccio”, “buffone” e il meno folcloristico “incrostazione piroforica”.

Dust posò cautamente i suoi acquisti su un tavolino, continuando ad osservare la puledra, in silenzio.
“Dannato, stupido scemo, faccia da chiapp…”.

“Ehm…”, cercò di intromettersi Dust.

“Che c’è??”.

“Uh. Niente”.

Copper riprese a trafficare e Dust riprese ad osservarla in silenzio.

Passarono alcuni minuti.
“Mh, Copper?”.

“Cosa?”.

“Posso chiederti una cosa?”.

“No”.

“Quindi quello è tuo fratello?”.

“No, è un cretino”.

“Quel cretino è tuo fratello?”.

“È un imbecille”.

“Capisco. Beh, se non ne vuoi parlare…”.

La puledra si voltò di scatto, puntandogli un saldatore (fortunatamente spento) dritto tra gli occhi, tramite la levitazione.

“Quello scemo deve ringraziare che è mio fratello!!”, sbottò. “Sennò lo avrei già rispedito a calci dalla sua amata casata!”.

“Ook…”, commentò Silver, scostando cautamente l’attrezzo con una zampa. “Eee quindi dici che non era qui solo per via del sottoscritto?”.

“Bah”, sentenziò, riprendendo ad armeggiare. “Se hanno un potenziale interesse in te, stai sicuro che si faranno vedere”.

Dust scrutò l’esoscheletro della puledra.

“Mh. E, mi pare di capire, aveva anche altri interessi? Sempre se ne vuoi p…”.

“No, non ne voglio parlare. Quindi evita”.

“…va bene”.

La padrona di casa alzò lo sguardo verso una finestra e notò come il sole stesse iniziando a calare.

Si fermò.
Chiuse gli occhi.
Puntellò le zampe al tavolo.

 

Fece un profondo respiro.

Il puledro percepì il rumore degli ingranaggi rallentare progressivamente.

Forse si stava calmando.

“Ok. Senti”, dichiarò Copper, dirigendosi verso l’angolo cucina (ovvero la zona meno ricolma di oggetti e roba varia). “Io e mio fratello non siamo in buoni rapporti. Immagino si sia visto”.

“Diciamo che avevo il sospetto”, commentò raggiungendola.

“Anche se, a dirla tutta, io non sono in buoni rapporti con il mondo”.
Il pony dai crini ramati aprì un contenitore di metallo ed estrasse un paio di sacchetti di carta.
“Trovo difficile crederlo. Ci deve essere qualcuno che…”.

“No, non c’è nessuno”, lo liquidò, poggiando gli oggetti sul tavolo. “Qui c’è del fieno fritto e un po’ di contorno sintetico”.

“…sintetico?”.

“Sì. Ho usato la delibera che mi hai consegnato. Ho optato per i cibi meno costosi ma sempre meglio della miseria a cui sono abituata. Non volevo approfittarne. Te l’ho detto che non sono una scroccona…”.

“…non l’ho mai pensato”, le rispose sedendosi.

 

I due si fermarono, uno di fronte all’altro, con il tavolo in mezzo.

Copper lo fissò intensamente e sembrò calmarsi quasi del tutto.

Mostrò anche un volto vagamente dispiaciuto. Forse si era resa conto di aver dato pessimo sfoggio di sé e di aver trattato Silver in modo un po’ troppo distaccato.

 

“Anzi…”, riprese l’incantatore. “Non farti problemi a prendere qualcosa che ti possa servire, se pensi che…”.

“No, tranquillo…”, lo rassicurò, osservando la propria porzione di cibo. “Voglio prendere solamente l’indispensabile…”.
“Ok…”.

I due iniziarono a mangiare, incluso l’allievo di Celestia, che così conobbe il famigerato cibo sintetico: qualcosa che non riuscì a definire né classificare in una categoria di prodotto commestibile.
Copper, invece, quasi si strafogò e, alla fine, proruppe in un verso liberatorio.
Sollevò il muso al soffitto e tirò il capo all’indietro.

“Uff… per tutte le valvole di raccordo… erano settimane… anzi no, che dico? Mesi…! Che non mangiavo qualcosa di così buono…”.

Silver non era nemmeno a metà.

“Davvero?”.

“Già…”.

“Ma… ti vanno così male le cose, qui? Cioè… scusa, so che non vuoi parlarne ma… mi sembra che tuo fratello non versi in pessime situazioni economiche…”.

Copper, contrariamente alle sue previsioni, non rispose affatto male. Forse si era calmata sul serio. Iniziò ad osservare un punto indefinito sulla parete, corrugò la fronte e rispose: “Bah. Non è quello…”.

“…no?”.

“No. Non è che non potrei avere soldi… nel senso… Voglio essere autosufficiente. Vorrei potermi guadagnare i soldi per conto mio…”.

“Lo posso capire”. Ingoiò il boccone. “Ma non riesci proprio a guadagnarti da vivere? O non puoi chiedere aiuto a qualcuno? A tuo fratello, per esempio?”.

“Io non voglio avere nulla a che fare con mio fratello. O con i soldati. Lui vorrebbe aiutarmi. Sono io che non voglio…”.

“Perché?”.

“Perché è così. I soldati, a Mechanus, sono solo pronti a costruire cose da usare per distruggere altre cose. O, peggio ancora… altre vite…”.

“Sì ma…”.

Copper colpì il tavolo con una zampa.

“Non voglio nulla da lui. Vorrei poter vivere delle mie creazioni, invece…”.

“E… non ci riesci?”.

La puledra si rattristò.

“Non… non è così semplice…”.

Dust assunse un’espressione interrogativa.

L’altra cercò di spiegarsi meglio: “…non sono propriamente un’inventrice molto abile. Hai visto il casino che ho fatto quando ci siamo incontrati, no?”.

“Dici in quel locale?”.

“Già. Volevo solo installargli un controllo di pressione… e invece…”.

“Beh… ma mica tutti i tuoi tentativi saranno fallimentari, credo…”.

“Quasi tutti…”.

Il pony lilla non poté non osservare nuovamente l’esoscheletro.

“E… la tua armatura?”, buttò lì con titubanza. “Anche quella è…”.

 

Copper si alzò all’improvviso e sollevò i vassoi di entrambi, tramite la magia.

“Spero tu abbia mangiato bene”, lo interruppe.

“Ah… io…”.

“Vado a buttarli nell’inceneritore”. Fece per allontanarsi. “Per me è stato il primo piatto decente dopo un sacco di tempo… altro che mele a coltura intensiva…”.

Dust sembrò illuminarsi all’improvviso.

Drizzò le orecchie e sorrise: “A proposito!”.

Copper si fermò, posò i vassoi e si voltò incuriosita.

L’ospite estrasse un piccolo cestino dalla sacca, in cui erano state collocate due mele rosse.

Lo posò sul tavolo, quindi ne sollevò una tramite il corno incantato.

“Tieni. Una per te. Una per me”, le disse.

“Una… una mela?”.

“Sì. Ma non quelle che fanno qui. Questa è stata importata direttamente dalle campagne. Infatti costava quasi dieci volte tanto!”.

“M-ma…”, balbettò Copper, mentre la levitazione dell’altro le portava il frutto tra le zampe.

“…mi pareva di aver capito che non ne avessi mai assaggiata una…”.

“Ma… non dovevi”, ammise dispiaciuta. “Non mi sembra il caso di spendere i soldi della Principessa per…”.

“Non sono soldi della principessa. Ho usato i miei risparmi personali”.

“…come?”, domandò perplessa.

“L’ho comprata coi miei soldi. Manco io l’avrei mai presa con i soldi della Principessa. Sennò sai la figura…”.


La puledra osservò attentamente il proprio riflesso nella buccia rosso fuoco (fatta eccezione per una zona ancora un po’ ammaccata, sintomo che arrivava davvero dalle campagne). Riportò l’attenzione su Dust.

“Non… non era il caso… Non spendere i tuoi soldi per una roba così…”.

“Senti. Assaggiala”, la rassicurò sorridendo. “Se ti farà schifo potrò dire di aver buttato i miei soldi”.

Copper scosse il capo. Proprio non le andava quello che aveva fatto. Ma di certo l’avrebbe almeno assaggiata. Sbuffò, cercando di apparire scorbutica. Diede un morso e prese a masticare prima con lentezza e poi sempre maggior energia.

Le sue palpebre si spalancarono e i suoi occhi espressero meraviglia. Osservò il puledro accanto a sé, incredula.

L’altro continuò a sorriderle.

In pochi secondi, la foga di Copper le permise di sgranocchiarla in men che non si dica, torsolo incluso. La puledra si baciò persino gli zoccoli, a pasto ultimato.

“Cavolo, Silver!!”, ammise entusiasta, mordicchiandosi una zampa sporca di succo. “Era dannatamente squisita!!”.

“Ti è piaciuta così tanto?”.

“Cavolo sì!”.

Il puledro osservò la propria mela. Gliela avvicinò con l’incantesimo.

“Allora tieni”.

“Ehy… quella è la tua”.

“Non la voglio”.

“No”, tagliò corto, facendo un passo indietro. “Non ci provare…”.

“Dai, prendila”.

“Ho detto no”.

Cercò di mettergliela tra le zampe ma le aprì.

Tentò di avvicinargliela al muso ma si girò.

Optò per un diversivo: la sollevò in aria e riuscì a conficcargliela nel corno.

“EHY!!”, protestò.

Dust iniziò a ridere, fino a doversi coprire la bocca con una zampa: “Oh! Ora sembra che tu abbia in testa una di quelle leve con pomello che vedo ogni tanto in giro per Mechanus!”.

Copper si staccò la mela e sollevò una zampa, assolutamente intenta a centrarlo in piena fronte. Le guance le divennero rossissime e gli ingranaggi parvero impazzire.

“Piantala!!”, strillò imbarazzata. Silver continuò a ridere. “Guarda che non la mangio e te la sparo sulla zucca!”.

“No, no! Ok! Se è così allora la smetto! Almeno la mangi!”.

Copper gli diede improvvisamente le spalle e iniziò a giocherellare nervosamente con la mela. Abbassò lo sguardo.

“Idiota…”, sussurrò, con un filo di voce.

Si fermò. Non resistette.

Ne addentò un pezzo ed iniziò a masticare, con sommo piacere del puledro.

“Ah… e… senti…”, buttò lì Silver.

“Mh?”, mugunò a bocca piena.

Dust pensò attentamente se e cose dire. Alla fine ipotizzò fosse meglio parlarne.

“…oggi ho… ho svolto qualche ricerca su Mechanus…”

“M-mh”.

“E… ecco… ho scoperto alcune cose…”.

“He fenere hi hofe?”.

“…cose su…”. Fece una smorfia di indecisione. “…sulle miniere. E sugli incidenti che ci sono stati”.
Copper si fermò e si girò lentamente verso di lui, asciugandosi poi le labbra con il dorso di una zampa.

Lo sguardo le divenne molto serio.
“..sei stato nei vicoli, vero?”.

“Già”.

Chiuse gli occhi e riprese a mangiare.

“Certe cose puoi scoprirle solo in certi posti…”.

“In effetti è paradossale che gli abitanti siano all’oscuro di tutto”.

“Il grosso è all’oscuro. Nessuno tra i benestanti ci tiene ad entrare nei vicoli e la vigilanza impedisce a chi vi penetra di uscirne… o perlomeno ci prova”.

Dust abbassò il capo e non rispose.

“Beh”, continuò Copper, finendo l’ultimo boccone. “Volevi saperne di più su Mechanus, no? Eccoti accontentato…”.

Il puledro tornò a controllare gli ingranaggi della tuta.
“Sai…”, la informò cautamente. “Mi hanno anche fatto vedere… quelle cose che avrebbero attaccato le miniere. E che ancora adesso sarebbero causa di tanti problemi…”. L’altra non disse nulla. “Devo confessarti che… non ho potuto non pensare a quella corazza che indossi…”.

“Molto interessante”, gli rispose allontanandosi. Stava di nuovo evitando il discorso. “Ma ogni correlazione è casuale. Non conosco bene nemmeno io le faccende nelle miniere. E questo esoscheletro è una mia invenzione”.

“Capisco”.

“E ora…”, concluse, ruotando il capo verso di lui. “Scusami ma… devo concludere una faccenda”.

Salì le scale e si diresse verso il portone il cui accesso era stato precluso all’ospite.

 

Poco prima di terminare la rampa, Copper si sporse verso di lui.

“Ah… e… Dust?”.

“Sì?”.

“Ecco… Cioè… L-la mela era molto buona…”.

“Sono contento ti sia… anzi… ti siano piaciute!”.

“Ascolta… domani cosa vuoi fare?”.

“Non saprei… ora sono un po’ rintronato. Credo che deciderò sul momento. Almeno che tu non abbia qualcosa in programma, ovvio”.

“No. Cioè ho i miei progetti, eccetera. Ma… sei pur sempre affidato a me. Forse… forse posso farti vedere qualche altra zona della città? O portarti da qualche parte… non saprei”.

“Mhh, perché no?”.

“…ok”.

“Allora… ci vediamo domani…”.

“A domani”.

Si congedò.

 

    Silver Dust rimase al piano di sotto ma avrebbe presto raggiunto il proprio letto.

In mezzo a quel silenzio, inavvertitamente, udì dei piccoli ticchettii provenire dalla stanza di Copper.

La puledra stava probabilmente inserendo la combinazione del meccanismo di chiusura.

 

Non lo fece apposta.

Non fu un gesto consapevole.

 

Le sue orecchie si drizzarono.

La sue mente prese a conteggiare gli scatti, mettendosi poi in moto per elaborare le quasi infinite combinazioni che ben pochi sarebbero riusciti ad identificare.


Ticchettio dopo ticchettio.
   
 
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