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Autore: Wellknower    10/07/2014    0 recensioni
Tristezza, la tristezza e la sua responsabilità...
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non so cosa spinga molti a scrivere quando si è tristi... La risposta che mi salta subito in mente è che sia per sfogo, per condividere un po' di quell'enorme peso che è la tristezza, che grava sulle nostre spalle, sui nostri cuori, nei nostri ventri. Ho letto storie tristi, ho vissuto eventi tristi, ho parlato con persone tristi, ho ascoltato discorsi tristi, ho ricordi tristi e sono... Triste. Credo di non aver nessuno con cui poterne parlare al momento, no, non è vero, è che non ne voglio parlare con nessuno. Ahah, sapete, no, non è neanche così. Suppongo, mi correggo, sono convinto che nessuno possa capirmi in questo momento se non altri che me stesso, me stesso, la carta e la mia penna. Molti si potrebbero sentire offesi o indignati dalle mie parole, soprattutto chi mi è solitamente più vicino ma non riesco a mentire, non quando parlo di me, della mia anima, con la mia anima. E' orrendo esser tristi, è triste anche la tristezza stessa. E' come un palla di piombo che rotola alla fine del ventre, che oscilla da un lato all'altro lambendo ambo i fianchi, giunta su uno dei due, si da una bella spinta e continua a rotolare in direzione opposta, non curante del tracciato che sempre più scava e lascia dentro di noi. E' implacabile, è un moto lacerante, spietato, senza alcuna cura o pena per chi subisce. Come per molte altre sensazioni, l'umanità intera, cerca di trovare un capro espiatorio, una persona, un avvenimento, una cosa, un'ora, una posizione astrale, un comportamento passato, insomma, qualsiasi cosa che ci possa almeno togliere lo "zaino" della responsabilità per ciò che ci accade. Personalmente, senza saperne il perché e rendendomi conto del fatto che sia tutt'altro che sensato, senza alcuna reale motivazione concreta, ho provato a dare la colpa all'amore. Mi sforzo di pensare e di attribuire la spinta principe di quella palla di piombo proprio alla persona che amo, o che credo di amare; vorrei esser triste perché è lontana da me, o perché abbiamo litigato e magari abbiamo anche litigato e discusso violentemente, o magari m'ignora e non pensa a me e allora io mi sento talmente giù da lasciarmi sprofondare in una tristezza senza pari e senza neanche voler troppo uscirne. Vorrei. Ma non posso... Se incominciassi a mentirmi per sentirmi meglio e per sconfiggere la tristezza, non avrebbe effetto, il male rimarrebbe reale ma l'effetto placebo del mio pseudo-farmaco sarebbe scoperto, reso inefficace e fasullo. Vorrei che fosse perché ho avuto un diverbio, anche pesante, con mio padre o con mia madre. Loro, quando vogliono, sanno davvero essere insopportabili, infantili e completamente disarmonici con la mia essenza. Si arrabbiano per un nonnulla, sono nervosi e scaricano tutto su di me o su mio fratello e spesso non hanno regola. Ma, anche questa volta so, so per certo, che non può esser questo la causa di tanta tristezza che attanaglia il mio animo, vorrei è vero, desidero sia così, ma la volontà e la forza con cui vorrei questo è pari soltanto alla coscienza che ho della falsità di questo "rimedio". Sono triste e non vado cercando cura, vado cercando di togliermi la responsabilità del mio stato d'animo, lo so è folle e illogico, ma è così, lo giuro... Pezzi malinconici per il piano non migliorano affatto la situazione, eppure? Non riesco a non digitare Einaudi per ascoltarlo, tutto, tutto di fila, senza pause, senza fiato, senza pietà, come la palla di piombo. Ho provato anche a pensare che fosse colpa del passato, neanche troppo recente, a dire il vero è piuttosto lontano e apparentemente del tutto sconnesso dall'oggi e dalla mia tristezza ma... Umanità, si chiama umanità. Era un momento felice, a esser sinceri, e forse è proprio per questo che contribuisce alla mia tristezza, forse addirittura aumentandola. Mi ricordo un posto, e tutto ciò che lo riguarda: colori, profumi, persone, piante, movimenti, vento, sassi, acqua e... Sorrisi. Sorrido. E' passato ed... E' triste. Mi convinco che mi manca una determinata persona ma so, so che non è lei a mancarmi, ma solo il ricordo, l'idea che avevo e che permane, differentemente dall'essere reale, di lei. Era bella, sorrideva ed era felice ed io con lei, senza "se" e senza "ma", semplicemente felici; felici per noi stessi, l'un per l'altro, per il nostro esser unici e per "l'unico" che eravamo in grado di creare. E' tutto finito, lei è andata e io...Anche. Triste. Ma so che non c'entra, anche questo è solo un inganno che tento, per l'ennesima volta, disperatamente, di propinarmi senza pudore, senza vergogna e con un po' di presunzione. La presunzione di chi crede come saper far tutto, anche di stare meglio, senza essere nessuno, né medico, né prete, né genitore né amico, perché nessuna di queste cose siamo per noi stessi, nessuna. Siamo soli, soli e tristi. Accompagnati solo dalla tristezza e dall'incombente ed esorbitante bisogno di scaricare la colpa ad altri, di togliercela di dosso. E' tutto così triste, siamo tutti così tristi. Quando provo forti emozioni mi convinco davvero che l'anima sia la lente traverso la quale vediamo la realtà, traverso la quale la interpretiamo e la facciamo "nostra". Quando sono triste tutto mi appare immensamente triste e, per quanto sia scontata come frase, nel contenuto, so che non c'è solo questo dietro, c'è anche il perché della mia tristezza e non solo... Siamo anche crudeli oltre che tristi e soli, dovrei parlare solo per me, lo so, ma qualcosa mi dice che il plurale qua non è sprecato. Cerco di addossare la colpa a chi mia ama, ancora, ancora una volta e poi ancora. So di non averne alcun diritto, ma la nostra anima credo lo faccia per sopravvivere, per poter tirare qualche sospiro, per sentirsi più leggera perché, il piombo, pesa. Infinite lettere e migliaia di parole e non so ancora perché son triste, né, tanto meno, ho trovato a chi poter, tranquillamente, addossare la responsabilità. E' una ricerca infinita, spesso finisce prima la tristezza della nostra salvifica ricerca, ma quando sei ancora fra le fratte della "giungla", mentre tagli a destra e a manca col tuo enorme machete spirituale, ti sembra di esser ancora lontano, infinitamente lontano, anzi, non è vero, sei lontano quel poco che basta per non poterti salvare, per non poter aver successo, preciso preciso per fallire alla grande. So solo lamentarmi e forse metterlo su carta ma, la verità, la triste verità, è che tutto, e dico tutto, quando si è tristi, perde subitamente senso, non per acquisirne un altro, no, sarebbe fin troppo facile, ma per rimanere così, tutto vuoto, tutto di vetro, fragilissimo, tutto trasparente e tagliente.
  
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