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Autore: Saberius    10/07/2014    1 recensioni
Sono solito transitare, specialmente dopo certi pranzi degni di un banchetto a Versailles, sulla superficie della mia tenuta. Cammino e cammino osservando le stesse scene. Ovviamente, abitando qui da molto, le scene sono sempre simili, si intende! Nonostante le diverse strade accessibili fuori dall'uscio di casa, mi avvio per la solita, quella a sinistra. Non so bene il motivo di questa scelta, ho sempre fatto così e, conoscendomi, sempre lo farò. Non che cambi qualcosa, la meta è la stessa.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono solito transitare, specialmente dopo certi pranzi degni di un banchetto a Versailles, sulla superficie della mia tenuta. Cammino e cammino osservando le stesse scene. Ovviamente, abitando qui da molto, le scene sono sempre simili, si intende! Nonostante le diverse strade accessibili fuori dall'uscio di casa, mi avvio per la solita, quella a sinistra. Non so bene il motivo di questa scelta, ho sempre fatto così e, conoscendomi, sempre lo farò. Non che cambi qualcosa, la meta è la stessa. 
Ogni volta, dopo pochi passi, mi accorgo del tordo che picchia sul legno, dell'irrefrenabile einarrestabile vita in campagna e delle automobili all'orizzonte, che appaiono ai miei fantasiosi occhi come tante formiche intente a cercare cibo per l'inverno. 
Queste scene ricorrenti potrebbero portare alla noia qualsiasi persona dotata di senno. Nel mio caso, l'unica cosa che mi salva sono i pensieri, che sono solo miei e nascono sempre nel momento in cui mi seggo sul "baratro", come mi diverto a definirlo, cioè una sporgenza lastricata sulla quale è fissata una ringhiera vecchia e talmente arrugginita da far sgretolare la vernice rossa di cui un tempo era ricoperta. Con le gambe, dal ginocchio in giù, penzolanti nel vuoto, guardo fin dove l'occhio mi permette. Quel giorno, inizialmente mi sembrava tutto statico, immobile, intonso, ma socchiudendo gli occhi e fermandomi un attimo, mi accorsi di come tutto avesse - e abbia continuamente - vita e movimento. 
Le foglie degli alberi si muovono, cadono, perché qualcosa più forte di loro, il vento, le stacca dal ramo, le toglie prepotentemente dal comodo alloggio sui rami più alti, e la loro "vita" in qualche modo cambia, in maniera irreversibile. Cosa può fare la foglia, sola e staccata da un ramo se non morire, per terra e sola? Guardai l'orizzonte e vidi le "formiche" di prima: l'uomo non è abbandonato come le foglie, è un animale sociale, ma, nonostante questo, sembra talmente solo! Le persone danno l'impressione che quello che stanno facendo sia la cosa più importante,sono indaffarate nelle loro faccende e non hanno mai il tempo di fermarsi a parlare o a osservare la natura, come tanto piace fare a me. Ma cosa hanno da agitarsi tanto? Quale sarà il vento che staccherà l'uomo dal suo ramo? Pensai che i venti responsabili di questo sono molteplici, sicuramente più di quelli esistenti su una carta nautica. Allora la domanda mi sorse spontanea: perché siamo ancora qui? Cosa salva l'uomo dalla morte in solitudine nella terra fredda? Anche la risposta nacque spontanea: è l'UOMO. Non siamo soli, non dobbiamo pensarlo mai, importante è ricordarsi che c'è sempre qualcuno che pensa a noi e che ascolterà il nostro appello di aiuto, questa è la solidarietà dell'uomo. Parlo di qualcosa di più della solidarietà che nasce ovvia tra fratelli, tra padre e figlio, tra amici e tra innamorati, no, intendo quel forte sentimento motore delle azioni più belle, l'aiuto spontaneo ad una persona in difficoltà, per esempio. Ma non mi soffermerei soltanto sulle azioni che possono confortare nell'immediato, bensì sul supporto morale, la comprensione e la vicinanza continua ad una persona, il che può aiutare anche più di un semplice soccorso temporaneo. E' forse questa la risposta alla domanda che, seduto sulla sporgenza a osservare l'agitazione innata delle persone vuote, mi posi. Ecco perché non moriamo soli, per terra, come le foglie. E' chiaro, c'è sempre qualcuno disposto a raccoglierci e a riportarci sul nostro ramo, sussurrandoci che la vita va avanti e che anche nei momenti più bui, quando ci chiediamo il perché della sofferenza nostra e altrui, esiste un motivo per continuare a osservare l'orizzonte. Questi pensieri - che mi sovvenivano non per la prima volta - mi spaventarono più del dovuto, poichè anche io a volte dimentico che è inutile agitarsi tanto, veramente inutile. Sbattei gli occhi e alzai il braccio, guardai il quadrante dell'orologio: si erano fatte le sei. Mi alzai e mi stiracchiai assonnato. La luce proveniente dal sole gettava una strana ombra sulla pianura, rendeva tutto incredibilmente magico e mutevole. Il sole è come un magnifico padre. Ah, se solo potessi essere così incandescente! Mi girai verso casa e mi misi a correre, lasciando i pensieri e le formiche nella valle ai loro così importanti affari. Non ricordo neanche il perché della corsa, ero ormai troppo, inutilmente, concentrato nel ritornare alla mia solita vita lontana dal "baratro".
   
 
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