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Autore: _Lis    11/07/2014    1 recensioni
Non so mai cosa scrivere nelle introduzioni, ho sempre paura di svelare troppo oppure troppo poco!
Dopo un grave incidente d'auto, Oliver si troverà ad affrontare numerosi ostacoli che gli impediranno di tornare a vivere la sua vita come prima.
La situazione non è più facile per Jen, la sua ragazza, che cercherà in tutti i modi di ricomporre l'esistenza di Oliver e di rispondere alle domande che tutti si pongono da quella notte, ma l'unica persona che possiede tutte le risposte non è più in grado di darle.
-Da questa presentazione non la leggerei nemmeno io, ma giuro che è meglio di così!-
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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... So stay with me tonight.
Don't go, I can't do this on my own.




La mia stanza era inondata dalla musica che proveniva dalle casse dello stereo sulla scrivania.
"I've been waiting for a good day, I've been holding back long enough, I've been hurting to tell you some things." Dice Jordan, il cantante dei New Found Glory.
Ho comprato da poco il loro nuovo cd ma ancora non ho avuto il tempo di ascoltarlo tutto.
Non so come, da sopra il volume della canzone sento la suoneria del mio Nokia scassato.
Tom S, leggo sul dispaly.
Rimango per un momento stupita, non mi aveva mai chiamata prima. Ho il suo numero solo per le poche volte che Oliver aveva usato il cellulare di suo fratello per mandarmi un messaggio quando lui aveva finito il credito.
Abbasso il volume dello stereo praticamente al minimo e rispondo.
"Ehi!"
"Jen?" Non è Oliver, è proprio Tom. La sua voce mi sembra distante. O forse c'è solo la linea disturbata.
"Tom? È successo qualcosa?" Chiedo.
Per qualche secondo non ricevo nessuna risposta. In sottofondo riesco a sentire diverse sirene.
"Si... Si tratta di Oliver." Dice con poco più di un sussurro.
Lo sento schiarisi la voce "Ha avuto un incidente."
"Un incidente?" Chiedo spegnendo del tutto la musica. "Sta bene?"
Spero di aver capito male.
"Lo stanno portando in ospedale in ambulanza." Dice evitando di rispndere alla mia domanda. "I miei stanno andando con lui, non mi hanno fatto salire."
"Sei riuscito a vederlo? Sai qualcosa?" Cerco di ottenere più inforazioni possibili, ma credo che lui non me le possa dare.
"Io... Beh... N-non lo so come sta." Sento la sua voce spazzarsi e poi tace.
Sono certa che stia piangendo.
"Dove sei? Ti vengo a prendere in macchina e andiamo anche noi in ospedale." Dico.
"Sono... Mmm..." Lo immagino guardarsi attorno per darmi qualche indicazione. O semplicemente sta combattendo contro le lacrime. "Sono all'inizio della salita da casa nostra, ti aspetto qui."
Mette giù.
Lascio cadere il cellulare sul letto, nascondo il visto tra le mani e sospiro profondamente. Provo ad elaborare la notizia senza lasciarmi sopraffare dal panico.
Sicuramente sta bene. Avrà solo un braccio rotto, o una gamba ingessata al massimo...
Prendo una felpa dall'armadio e vado al piano di sotto.
Il rumore dei miei piedi mentre scendono i gradini rimbomba nella mia testa che mi sembra così leggera e piena allo stesso tempo.
Passo danvanti al salotto dove i miei stanno guardando la tv.
Mia madre si è addormentata, la testa sulla spalla di mio papà.
Resto per un istante a guardarli, ipnotizzata, quando mio padre sposta lo sguardo e mi vede.
"Esci?" Mi chiede con un sorriso curioso.
Annuisco.
"Non fare tardi." Si raccomanda tornando a concentrarsi sul programma in televisione.
"D'accordo." Dico cercando di sembrare il più normale possibile, ma tanto lui non mi sta più ascoltando.
Prendo le chiavi della macchina, metto la gicca ed esco.
L'aria è parecchio fredda di sera nello Yorkshire.
Attraverso il vialetto ignorando il vento che mi soffia in faccia e tra i capelli ed entro nella berlina grigia di mia mamma. Solo in quel momento mi accorgo di tremare.
Stringo le mani attorno al volante per fermarle e comincio a respirare lentamente aspettando di calmarmi, poi metto in moto.


Alle nove passate le strade sono praticamente deserte, non c'è molta vita notturna qua, quindi raggiungo Tom in pochi minuti. Eccolo la, seduto sull'orlo del marciapiede, i gomiti poggiati sulle ginocchia e le mani a sorreggerli la testa.
Non sta piangedo, ma ha gli occhi gonfi e arrossati, mi fa star male vederlo così. Forse perchè somiglia così tanto a suo fratello maggiore.
Accosto e gli faccio segno di salire.
Vorrei dirgli qualcosa di rassicurante mentre si siede alla mia sinistra, sul sedile del passeggero, ma non saprei da dove cominciare, così decido di stare zitta.
Lo guardo meglio, in effeti non sono poi così simili, hanno lo stesso taglio di capelli, un caschetto nero con una luga frangia sulla fronte, e la stessa figura magra e slanciata, ma per il resto sono compleatamente diversi.
Sono tesa, mi sento in dovere di rompere questo silenzio così denso da soffocarmi.
"Io l'ho visto." Dice Tom all'iprovviso in tono piatto.
"L'ho visto a terra in mezzo alla strada. Immobile, pallido." I suoi occhi blu non mi guardano nemmeno per un attimo. "Attorno alla sua testa c'era una pozza di sangue. Io... Io non credevo fosse nemmeno possibile perderne così tanto..."
È visibilmente sotto shock, si vede dal suo pallore e dalle goccioline di sudore formatesigli sulla fornte.
"Quando io, mamma e papà siamo arrivati c'erano già due poliziotti che facevano domande all'uomo che lo ha investito e un'ambulanza." Continua. "Lui stava li..." Dice scuotendo la testa. "Stava li fermo sulle strisce pedonali e poi... Poi c'era tutto quel sangue che gli sporcava i capelli, i vestiti... Io..."
Si volta e per la prima volta mi guarda negli occhi. "Io ho paura Jen."
Le mie deboli convinzioni sullo stato di Oliver mi crollano davanti.
È certamente ben più grave di un osso rotto.
"Anche io." Mi sento rispondere.
Non l'ho detto apposta ma è la verità.
Anche io ho paura adesso.
Poi d'istinto lo abbraccio forte.
Non siamo mai stati molto intimi, non ci siamo scambiati più di qualche parola quando ci incrociavamo in casa sua, ma questo momento non è imbarazzante, per niente.


Lascio l'auto nel parcheggio di fronte all'ospedale e, assieme a Tom, raggiungo lo stabile.
Quando la porta di vetro si apre e ci lascia entrare, quello che vedo è soltanto un atrio vuoto illuminato da una luce troppo bianca.
Infondo alla stanza, seduta dietro a un bancone, c'è una donna sulla quarantina che indossa un camice da infermiera.
Ci dirigiamo verso di lei in cerca di qualche informazione su come trovare Oliver.
Tiene gli occhi bassi su chissà quali documenti.
"Buona sera." Richiamo la sua attenzione.
Alza lo sguardo e ci accoglie con un'espressione spaesata.
"Buona sera." Risponde lei mentre guarda con diffidenza i capelli troppo lunghi di Tom e il mio piercing al naso. "Posso aiutarvi?"
"Si, stiamo cercando mio fratello." Dice Tom, che sembra essersi un pò ripreso. "Oliver Sykes."
"Sykes..." Mormora la donna digitando al computer.
"È stato portato qui poco fa." Aggiungo, pensando che magari le avrebbe fatto trovare qualcosa più in fretta.
"Si, eccolo. Ma..." Lancia un'occhiata a Tom. "Sei sicuro di essere suo fratello? Non posso dare informazioni a..."
"Si!" La interrompe bruscamente.
L'infermiera spalanca gli occhi e indietreggia sulla sedia.
"Si, lo sono." Ripete con più calma.
"Ok, beh... È appena uscito dalla sala rianimazione. Ora si trova al 3° piano, stanza 11."
"Rianimazione" Mi ripeto in testa.
Ha rischiato di morire? Stava morendo?
"Grazie." Dice Tom e va verso gli ascensori.
"Jen?" Mi chiama, chiamando l'ascensore.
Cancello dalla mente quell'idea e lo raggiungo.
La porta di metallo si apre e Tom entra, io lo seguo.
Guardo i tasti luminosi sul muro.
"Che piano ha detto?" Chiedo.
Ho di nuovo la testa così leggera che è quasi come se non fosse la mia.
"Terzo." Risponde Tom. "Tutto ok?"
Anche la mano che preme il numero 3 non mi sembra mia, nemmeno il braccio a cui è attaccata.
"Rianimazione" sento di nuovo.
"Stava morendo." Sussurro poi guardando le mie vecchie vans sgualcite.
Lui non dice niente. Cosa dovrebbe dire?
Poi la porta si riapre e noi entriamo in un corridoio che odora di disinfettante al limone.
"Odio gli ospedali." Commenta lui, nuovamente pallido. "Ci sono stato troppo volte."
Faccio un resoconto veloce di quello che so sul suo passato e quello di Oliver, non posso biasimarlo se questo luogo gli fa tornare in mente brutti momenti.
"Beh stare in ospedale non è mai piacevole..." Scrollo le spalle.
"Già." Annuisce con la mente altrove.


Ci troviamo davanti ad una porta chiusa. I miei occhi indugiano sul numero 11 in caratteri neri sbiaditi accanto alla maniglia. m
Sento il battito del cuore accelerare, lo sento pulsare nelle tempie. Non credo di riuscire ad entrare.
"Va tu." Dico. "Io... Io arrivo tra poco."
Sento Tom aprire la porta e richiuderla alle sue spalle mentre raggiungo la sala d'attesa alla fine del corridoio.
Mi lascio cadere su una seda di plastica rossa. Probabilmente le mie gambe non avrebbe retto ancora per molto, sto tremando di nuovo.
Devo calmarmi.
Chiudo gli occhi e prendo un respiro.
Il ronzio dei neon mi fa cadere sotto una sorta di ipnosi e per un secondo riesco a distrarmi.
Mi ritrovo a galleggiare in uno stato di dormi-veglia per un tempo che non riesco a quantificare, fino a che non sento un rumore di passi.
Riapro le palpebre e vedo Carol, la mamma di Oliver. 
Gli somiglia molto, ha anche lei i capelli scuri e nel suo viso rivedo molti tratti del figlio.
Faccio per alzarmi, voglio chiedergli come sta Oliver.
Dietro di lei vedo comparire un uomo in camice bianco e con una cartellina in mano. Probabilmente il medico che lo ha rianimato poco fa.
L'idea mi mette ancora i brividi. Cerco con tutte le forse di non pensarci.
Mi risiedo e faccio finta di niente, giocherellando con il fili di stoffa che sbucano dallo strappo sul ginocchio dei miei jeans.
Parlano a bassa voce, Carol ha l'aria tremendamente stanca mentre ascolta le parole del dottore.
Capto solo qualche parola, tendo le orecchie e mi concentro per sentire meglio.
"Stando a quanto riferitoci dalla polizia, suo figlio ha attraversato all'improvviso e l'automobilista non ha avuto nemmeno il tempo di rallentare." Afferma l'uomo.
Immagino il corpo di Oliver che rimbalza contro il cofano dell'auto.
Capisco che non sta per dare una buona notizia.
Spero non mi vedano.
Faccio il possibile per mimetizzarmi con la sedia e il muro della stanza.
"È stabile..." Continua. "Ma non so quando si risveglierà."
Quando si risveglierà? Cosa significa? Sono troppo terrorizzata per trovare la risposta, così ovvia e semplice.
Il dottore fa un passo verso Carol e io devo tendere ancora di più le orecchie per sentire.
"Dati i precedenti del ragazzo, io... Noi pensiamo che Oliver non sia stato solo sfortunato o poco prudente."
Mi viene in mente che forse quello non è un medico qualsiasi.
"Pensiamo che possa averlo fatto di proposito."
Sicuramente non è un medico qualsiasi, è lo psicologo di Oliver.
Va nel suo studio una volta alla settimana da sempre che io sappia. Non lo avevo mai incontrato, a lui non piace molto parlarne. Anche se credevo che ormai ci andasse quasi più per abitudine che per necessità.
Scatto in piedi senza farlo apposta.
"No!" 
Si voltano verso di me stupiti, rendendosi conto solo adesso di non essere soli.
"Jennifer?" Carol più che stupita sembra distrutta.
Mi chiedo per un momento come devo sembrare io, col trucco addosso da questa mattina, i capelli spettinati dal vento e l'espressione di chi ha appena scoperto che il proprio ragazzo è in coma.
"I-io lo avrei saputo se avesse voluto..." Non riesco nemmeno a pensarla quella parola, figuriamoci pronunciarla.
Abbasso lo sguardo scuotendo la testa.
"Forse non avresti dovuto saperlo così" Comincia il medico. "Ma ho paura che sia l'ipotesi più plausibile."
"Lui stava bene." Ho gli occhi appannati, sto per piangere. "Era felice."
"Jennifer, non sai quanto vorrei che tu abbia ragione ma non è così semplice." Dice stanca Carol.
Mi sento mancare l'aria e gli occhi mi pizzicano per l'impasto di eyeliner e mascara che le mie lacrime hanno creato scendendo lungo le mie guance.
Continuo a piangere mentre Carol mi viene in contro per abbracciarmi. Affondo il viso nella sua spalla.
"Io lo avrei saputo." Dico.
"Nessuno può sapere cosa è successo davvero." Mi sussurra, lisciandomi i capelli per confortarmi.
"Andiamo a prendere qualcosa di caldo." Mi dice sforzandosi di sorridere.
È il colmo che lei debba consolare me. Lei è sua madre dovrebbe essere a pezzi.
"Quando starai meglio Ian ti riaccompagnerà a casa, non è prudente che guidi nelle tue condizioni."
La guardo con la vista ancora annebbiata dal pianto e realizzo che dev'essere davvero una mamma stupenda.


"Io non so se sono pronta a vederlo." Ammetto in un bisbiglio prendendo un sorso del te della caffetteria dell'ospedale.
Riuscirò mai a rivederlo? Questa paura si intrufola repentina nella mia mente.
"Non fartene una colpa. Non è facile."
Annuisco, soffiando un pò sul mio bicchiere.
Sto meglio rispetto a poco fa ma mi sento ancora una vera schifezza. L'unica cosa che voglio adesso è tornare a casa, addormentarmi e svegliarmi domani mattina scoprendo che tutto questo è solo un terribile incubo.


 
Continua...















 
   
 
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