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Autore: hikachu    11/07/2014    1 recensioni
I Gold Saint tra infanzia ed adolescenza, negli anni prima della Notte degli Inganni.
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Casa è dove noi non siamo (Milo, Aiolos, Saga)



A quattro anni, Milo è un affarino che corre e salta sui sassi consumati di una delle scalinate serpentine che collegano i colli ed i luoghi sopraelevati al centro del Santuario, dove tutto ciò che è importante accade, senza curarsi dell'eventualità di una caduta o, peggio, di ginocchia e gomiti sbucciati. È probabile, d'altronde, che siano queste cose che fanno normalmente parte del quotidiano di un affarino selvatico—forse selvaggio. 

A quattro anni, Milo potrebbe averne tre o cinque perché, sull'isola, neppure i più anziani, quelli che conoscevano l'albero genealogico di ogni famiglia e sapevano citare l'anno in cui questo o quel melo imponente era stato piantato che sembrava ancora una mazza da scopa più che un albero, riuscivano a concordare sulla sua data di nascita. Non vi era però un'anima a Pollonia che non lo conoscesse, o che non avesse avuto, nella propria vita, l'onore di offrirgli un pezzo di cioccolato e quello di sgridarlo per una qualche marachella, e Milo, dicevano, accettava sempre tutto questo ridendo, più randagio che bambino.

Le case bianche ed i pescherecci avevano visto crescere Milo, che ha forse quattro anni, ma nessuno sapeva di preciso da dove fosse sbucato fuori, o quando. Chi l'avesse sorretto quando iniziava a slanciarsi verso il mondo e a voler camminare, era un mistero. Forse, scherzavano alcuni mentre lui scappava dalla lavandaia dopo aver buttato nella polvere tutto il bucato del giorno, era uscito dal grembo già capace di correre. Non sapevano chi gli avesse dato un nome e non era azzardato pensare che se lo fosse dato da solo, altrimenti. Ma, che fosse Milo come i frutti rossi che sfilava dalle ceste dei braccianti nel periodo del raccolto, o come l'isola che sembrava averlo messo al mondo da sé, neppure questo era dato sapere.

Nella sua breve permanenza a Pollonia, Aiolos aveva scoperto che la comunità aveva imparato ad accettare quella creatura come una domanda a cui non avrebbero mai trovato risposta, e dunque, rassegnatisi all'ignoranza, avevano lasciato che Milo divenisse parte dei loro giorni, trattandolo non troppo diversamente da quei gatti panciuti che si impossessavano di androni e pergolati altrui per sfuggire alla canicola senza dimostrare mai la minima esitazione o gratitudine; l'avevano quindi lasciato andare con la stessa passiva accettazione e la stessa vaga tristezza con cui avrebbero affrontato la perdita di uno dei gatti più vecchi e grossi. Forse, aveva senso per i locali che quel monello misterioso fosse in qualche modo più che umano, che avesse un destino altrettanto curioso ed incomprensibile cui adempire, eppure, quando Aiolos aveva preso Milo per mano e, soli, si erano imbarcati sul traghetto che li avrebbe ricondotti ad Atene, il sorriso del bambino era stato assolutamente sincero, aperto, privo di una qualsiasi ombra di tristezza o nostalgia che l'offuscasse. Gli era tornato in mente Aiolia, che non avrebbe mai conosciuto la loro madre al di fuori dei suoi racconti, ed aveva pensato al bellissimo bambino che Saga aveva portato dalla Svezia solo pochi giorni prima; a quello che aveva vissuto in una splendida casa con una splendida famiglia fino a poche settimane prima, quando un cavaliere di rango inferiore, trovandosi in Francia per una missione, era stato poi incaricato di recuperare uno dei candidati alle sacre vestigia d'oro. Aiolos aveva ricordato tutte queste cose, questi volti, queste storie, ed aveva immaginato quelle che sarebbero venute fino a che lo zodiaco non sarebbe stato completo, e poi ancora, nelle generazioni a venire, quando lui sarebbe stato polvere sotto una rozza lapide e così il suo successore. Aveva pensato ai rapporti umani e alla facilità con cui essi si recidono nella giusta situazione, con le giuste scuse. Stupidamente, si era ripromesso di impegnarsi di più, di non perdersi mai d'animo perché un Santo di Atena può di certo aiutare a costruire un mondo migliore di questo. E aveva deciso che questo sarebbe stato un pensiero solo suo—a meno che, scrutati gli occhi di Milo, Saga non gli fosse sembrato particolarmente triste e poi, se un giorno Aiolia avesse avvertito quella stessa amarezza che ora colorava il cuore di Aiolos.

Adesso Saga siede accanto a lui, insieme osservano Milo perdersi nei suoi giochi spericolati su sassi consumati e sentirei cotti da sole. Sta conoscendo il Santuario a modo suo, e Saga, dopo averne scrutato gli occhi, si è lasciato cadere sulla colonna riversa che era già lì quando lui e Aiolos avevano calpestato quelle vie polverose per la prima volta anni addietro; il ricordo tangibile di un attacco, di vite perse, del tempo che scorre, certo molto più antico di loro. Contrariamente alla sua risoluzione, Aiolos non riesce a dire nulla: gli appare con chiarezza, in questo momento, il sorriso amaro che piegherebbe le labbra di Saga mentre tace ma chiede con lo sguardo, quale mondo di pace si possa costruire con i pugni soltanto? Saga non è un rivoluzionario. Saga è orgoglioso del suo compito e del mondo di cui fa parte, ma Atena è lontana, come se non dovesse mai arrivare, e il male, la sofferenza e l'incertezza lo provano. Saga vuole darsi al Santuario, al mondo, alla Dea con abnegazione, ma ha bisogno di sapere che le sue scelte sono quelle giuste, le sue azioni quelle necessarie. Che non una goccia di sangue od una lacrima versata a causa sua sia invano. Saggezza ed empatia sono in fondo armi a doppio taglio, eppure, sebbene si tratti di un dolore che Aiolos vorrebbe fortemente risparmiare al suo amico, non è altro che quella sua capacità di capire il dolore altrui, a rendere Saga una buona guida, un ottimo paradigma, simile ad un dio.

Intanto, Milo corre un po' più in là, osserva gli allenamenti delle reclute e fiuta forse le stelle sotto la carne di Shura e Angelo quando li intravede perché scatta nella loro direzione con un entusiasmo che è del tutto nuovo. La gioia di riconoscersi finalmente in qualcuno che non sia il proprio riflesso, pensa Aiolos che nella mente ha il volto indignato di Saga al loro primo incontro.

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“È più randagio che bambino,” mormorerà Saga a qualche giorno di distanza, come se avesse letto tra i ricordi di Aiolos.

Milo gioca, ride, scherza, litiga, corre, come impaziente di assaporare ogni parte di questo mondo dimenticato, amando tutto senza davvero attaccarsi a nulla. Come sull'isola, come un randagio.

Aiolos scrollerà allora le spalle, cercando di dimenticare i propri se e ma, e dirà, “È vivace. Perfettamente comprensibile data la sua età e i suoi trascorsi. La cosa ti preoccupa, forse?”

“Non ancora, non del tutto. Dipenderà da chi si lascerà ammansire. Se si lascerà ammansire.”

Penseranno entrambi al fanciullo francese che aveva vissuto in una splendida casa con una splendida famiglia fino a poche settimane prima, a Milo che insiste nel parlargli per minuti interi agitando le braccia come un forsennato; come se quell'entusiasmo da solo bastasse ad abbattere la barriera di parole straniere. Soppeseranno queste cose contro le rinunce necessarie a divenire un buon Santo, si chiederanno – senza dirselo – se un affarino selvatico come Milo possa davvero farsi onere del destino di un'umanità di cui pare scordarsi quando i giochi sono finiti. Penseranno ad Angelo, a come domare questi bambini selvatici che sanno ascoltare soltanto i propri istinti.

Stanchi, senza risposte, e poco più che bambini a loro volta, lasceranno che la discussione si chiuda con una sentenza che Saga ha rubato al Pontefice, in una delle notti sul colle proibito: che senza dubbio, le stelle e le vestigia saranno giudici migliori di loro, no, di più, esse saranno infallibili. Saga dirà questo e cercherà di non pensare al fatto che persino un uomo antico come il Gran Sacerdote debba affidarsi a quegli astri tanto lontani. Atena, aveva chiamato quella notte, Atena, dove sei? Siamo così soli e così piccoli. E nessuno aveva risposto.

Non immagineranno mai, che un giorno sarà Camus a porre il proprio allievo prima della causa. Non immagineranno mai, che un giorno sarà Milo a stringere la mani attorno al collo dell'amico prediletto nel nome di Atena. Non immagineranno mai, se non quando sarà troppo tardi, che la devozione di un affarino selvatico può essere più incrollabile di quella di un animo pio e straziato.
   
 
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