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Autore: _BlackAngel_    11/07/2014    5 recensioni
“ Mi dispiace, Yuky”. In un altro momento avrebbe sorriso, sapendo quanto amasse usare quel cazzo di secondo nome che la faceva sembrare ancora più idiota. Ma lui continuava, nonostante lei gli avesse rispetuto un milione di volte di non chiamarla in quel modo.
“No, cazzo, non ti dispiace affatto! Mi vedi con queste fottute lacrime a questi fottuti occhi e sai che piango per te. Per te che nemmeno te le meriti, 'ste cazzo di lacrime!”
Aveva solo detto 'mi dispiace.' mica un 'perdonami e torniamo insieme.'
ed il punto era proprio quello: sarebbe riuscita a dare una sola possibilità a tutti, ma a lui no. Se le avesse chiesto di tornare insieme lei avrebbe sorriso e detto sì. Era una cogliona. Una cogliona innamorata.
Genere: Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ti prendo e ti porto via.


Prologo.

 

Quella notte non aveva dormito proprio per nulla. Il solo pensiero che la mattina dopo avrebbe dovuto prendere quell'aggeggio infernale di nome aereo le faceva venire da vomitare. Se ci aggiungevamo che quella notte aveva fatto un caldo che solo Dio sapeva quanto avrebbe voluto avere un condizionatore in camera, bhè, allora andava tutto molto peggio. Avrebbe dovuto trasferirsi in una città dove non conosceva nessuno e questo solo bastava a farle contrarre lo stomaco in un nodo.

Aveva sempre avuto paura di non poter fare amicizia.

Il non conoscere nessuno ed il fatto che tutti, o quasi, osservassero incuriositi l'aveva sempre infastidita.

Era una di quelle che si imbarazzano con poco, una di quelle che, da bambine, mentre spegnevano le candeline del compleanno, arrossivano furiosamente e scoppiavano a piangere.

Anche da ragazzina, quando la madre l'aveva iscritta in un istituto senza l'amichetta di allora. Aveva pianto per giorni, preoccupandosi di non trovare nessun amico.

Ma poi l'aveva trovata, la sua amica perfetta. Ed adesso, non averla con se nella giornata che sarebbe stata la più importante della sua vita, la faceva intristire.

Era partita, aveva fatto un viaggio-studio in Canada, lontano da lei. E lei, cosa avrebbe dovuto fare? Dire all'amica di non partire sarebbe stato molto egoista, soprattutto sapendo quanto Eleonore desiderasse andare.

Il suo carattere, dai tempi delle medie, non era cambiato poi molto.

Rimaneva sempre quella che si batteva contro le ingiustizie; quella che rispondeva a tono e che non aveva paura di dire qualcosa. Cosa che si trovava decisamente in contrasto con il solito rosso che colorava quel viso ovale.

Era stata spesso nei guai alle medie, proprio perché non riusciva a restare zitta, ma poi il colore rosso alle sue gote riusciva a farla zittire. Una volta aveva intrapreso una battaglia contro il bulletto della classe, stava per averla vinta lei, ma questo tipo fece commenti poco gradevoli sul suo solito colorito ed allora dovette andare a sedersi al suo banco con la coda tra le gambe perché odiava essere presa in giro. Quel genere di persona che vorrebbe fregarsene delle cose ma che non ci riesce mai. Quel genere di persona che finge di fregarsene, ma che poi ci sta male come un cane.

Comunque adesso era cresciuta, la voglia di fare l'eroina era sparita ed adesso combatteva solo per se stessa, non per gli altri.

Perché non esisteva un genere di persona, ragazzo o ragazza che sia, abbastanza timido da dover sopportare tutto.

Aveva smesso di dare agli altri.

Aveva smesso di aiutare gli altri, quando gli altri il suo aiuto proprio non lo volevano.

Finalmente la sveglia era suonata. Peccato che lei fosse sveglia già da tanto, decisamente troppo tempo e che fosse già uscita dalla doccia. Tamponava i capelli grondanti d'acqua con un asciugamano.

L'accappatoio bianco e lungo poco più su del ginocchio, le riscaldava il corpo infreddolito da quell'umidità che si prende appena uscite dalla doccia. Rabbrividì dal freddo quando i capelli lunghi e bagnati accarezzarono la parte sinistra del lungo collo da cigno. Sorrise leggermente mentre si dirigeva all'armadio. Quella cabina-armadio era organizzata davvero come un negozio.

Situata proprio accanto alla stanza, con una porta dentro quest'ultima per accedervi, essa era divisa in lati con i rispettivi “sopra e sotto”

Dal lato destro sopra: abiti, maglie, jeans, gonne e pantaloncini. Sotto, le stesse identiche cose, solo invernali.

Dal lato opposto non c'era differenza tra sopra e sotto, erano solo scarpe, accessori e beauty per il trucco.

Scelse al volo dal lato destro un paio di shorts blu a vita alta, con dentro una camicia bianca a maniche corte, molto stretta e che le calzava a pennello. Tirò fuori dall'altro lato delle ballerine nere con fiocchetto e uscì uno dei beauty, quello per lo smooky eyes. Prese degli orecchini coi baffi, una collana con l'infinito, un anello con teschio e delle forcine per uno chignon.

Con le mani piene raggiunse la camera da letto rossa, rischiando di cadere nel buio e di svegliare i suoi genitori.

Mise la camicia, facendo attenzione poi ad infilarla dentro gli shorts.

Arrivò alla scrivania, dove aveva abbandonato gli accessori e il beauty, infilando le ballerine nere.

Mise gli orecchini, agganciò la collana, infilò l'anello ad dito e cominciò a truccarsi.

Quando ebbe finito, prese a fare lo chignon. In un paio di minuti aveva già finito. Sorrise leggermente davanti allo specchio della sua stanza, mentre andava a prendere il profumo.

Ne spruzzò qualche goccia sui polsi, sul decolté, e dietro le orecchie.

Infine si sedette sul letto, mentre sentiva l'ansia crescere dentro il suo stomaco, in quel momento, stretto in un nodo.

“Yuky? Yuky, che ci fai sveglia?” sobbalzò e portò lo sguardo verso la voce del padre. Solo lui la chiamava in quel modo, in realtà infatti il suo nome era Angélique. Il secondo nome era Yuky. Scelto ovviamente da suo padre, che aveva sempre avuto questo genere di fissazioni per i nomi strani.

“Papà, ricordi che oggi devo partire?” sorrise, conosceva suo padre e la sua sbadataggine, il fatto che non ricordasse mai le cose.

“ Oh, è vero. Bhé allora vai a fare colazione, Yuky. Sai che non voglio che tu parta senza nulla sullo stomaco”. La rimproverò con tono dolce, come fa un padre con una figlia, cosa che in effetti erano.

“ Non mi va, papà. Sai che non mangio mai la mattina, specie se devo partire e rischierei di rigettare tutto”.

 

Aveva un rapporto parecchio strano con suo padre. Sua madre era sempre in casa, dato che era casalinga e forse era proprio questo che univa papà e figlia, il fatto di non riuscire a vedersi quanto vorrebbero.

Sua madre era tutto l'opposto del padre: severa, con la mania per le punizioni, sempre e costantemente arrabbiata. Una di quelle donne a cui non puoi chiedere nulla perché cominciano subito a strillare. Ma era infinitamente dolce. Si arrabbiava spesso, ma le voleva un mucchio di bene. Una di quelle madri orgogliose dei figli. Una di quelle madri che continuerebbero a essere tali anche nel momento in cui volti le spalle alla famiglia.

Suo padre invece, era tutta un'altra cosa. Dolce, che la abbracciava sempre, che non le aveva mai fatto mancare nulla. Certo, quando si arrabbiava erano cazzi amari, ma per il resto si poteva dire che fosse un uomo dal carattere e dal temperamento mite. Una di quelle persone che per farle arrabbiare ci devi mettere anima e corpo. Era parecchio simile alla madre, lei. Altrettanto al padre. Era un misto tra i due caratteri, anche se prevaleva di più quello della madre.

Angeliqué era una di quelle persone che davano una sola possibilità. Una di quelle che non trovano giustificazioni per nessun comportamento, una di quelle che si prendono la propria responsabilità.

Mentre suo padre le sorrideva e andava in bagno, lei prese la valigia blu elettrico da sotto il letto. Tutto sommato era felice, tolto il “momento aereo”.

Prese la borsa blu – era fissata con quei blu, dunque.- infilandoci dentro i-pod con le cuffiette e il cellulare, che altrimenti avrebbe dimenticato.

Per tutta la durata del viaggio in macchina per arrivare all'aeroporto non aveva fatto altro che pensare a che cosa sarebbe successo una volta arrivata lì. Si scosse dai pensieri quando suo padre le disse che era arrivato il momento dei saluti. Lo abbracciò fino a fargli quasi mancare il fiato, baciandogli le guance circa una sessantina di volte.

Mike, il suo fratellino, era seduto davanti accanto al posto del guidatore. Lui la abbracciò, e lei lo riempì di bacetti sulle guanciotte rosse dal freddo.

Sua madre l'aveva salutata in casa; conoscendola, se l'avesse accompagnata, sarebbe scoppiata in lacrime, e non l'avrebbe più lasciata partire per quel maledetto college.

Le vennero gli occhi lucidi quando una voce elettronica chiamò il suo volo. Si fece forza dando un ultimo bacio al padre e a Mike.

“ Ciao, papà. Non litigare con la mamma.” fece, rimproverandolo quasi. La voce si spezzò e dovette fermarsi. “ E tu, Mike, non fare arrabbiare la mamma e comportati bene. Mi mancherete!” sussurrò all'ultimo.

“ Anche tu, Yuyu”. Il fratellino si stropicciò gli occhietti, assonnato. Aveva due anni e mezzo, ed ancora non sapeva parlare bene. Da quando aveva pronunciato la prima parola, anche lui desiderava chiamarla Yuky. Ma, siccome era piccolo, la chiamava Yuyu.

“ Comportati bene anche tu, Angélique”. Annuì, e si voltò. A momenti sarebbe scoppiata a piangere. Asciugò le mani sudate sulle gambe, prendendo il manico della valigia e trascinandola. La borsa sull'altro braccio, in mano un fazzoletto di George Pig di suo fratello.

 

**

 

Era appena scesa dall'aereo. Il viaggio era stato strano. Aveva sentito uno strappo all'altezza dello stomaco proprio quando quell'aggeggio si era levato in aria.

Aveva passato tutta la durata del viaggio dormendo. In quell'aereo si stava da Dio. Niente caldo, niente vestiti che ti si appiccicano addosso. Solo l'aria condizionata che soffiava su di lei. Non aveva sognato. Un sonno tranquillo, senza incubi. Scese e andò a recuperare la valigia sul nastro trasportatore. Respirò pesantemente e uscì il telefono, chiamando un taxy.

“ Salve. Potrebbe portarmi in Sweet Street?” sorrise gentilmente Angie, mentre il conducente annuiva convinto. L'autista del taxy la fece scendere dopo averla fatta pagare e lei prese la valigia, trascinandola fino al portone del college.

Guardò in alto e sospirò, osservando l'imponenza dell'edificio che aveva di fronte. Nel frattempo una ragazza con in mano una cartina della città le andò addosso e facendola cadere.

“ Oddio, scusami. Mi dispiace un casino!” ripiegò velocemente la cartina infilandola nella tasca posteriore dei jeans, mentre porgeva la mano sinistra con un tatuaggio sopra. Angie accettò l'aiuto e si tirò su senza troppe cerimonie.

“Sei nuova anche tu?” chiese appunto la ragazza che l'aveva fatta cadere.

“ Sì, sono arrivata oggi. Devo ancora sistemare le cose, e non so come orientarmi qui.” sorrise. La ragazza le ispirava simpatia.

“ Oh, ma posso accompagnarti io”.

“ Sicura?” chiese Angeliquè, incerta.

“ Ma certo!” sorrise, prendendola a braccetto e portandola al portone.

“ Comunque, piacere. Sono Kate". Quella ragazza le metteva gioia. Era sempre allegra e pareva che quando passava illuminasse tutti coloro che aveva intorno.

“ Piacere mio, Kate. Sono... Angélique”. Aveva esitato un attimo prima di dirle il suo nome, non sapendo quale dei due potesse dire.

“ Hai un altro nome, vero?” le sorrise complice, mentre spingeva la grande porta.

“ Sì”.- Affermò sorridendo anche lei. “ Un secondo nome parecchio strano”.

In poco tempo raggiunsero la segreteria, dove le aspettava una signorina dall'aria annoiata. Si misero in coda e continuarono il dialogo.

“ Oh, non più del mio!” assicurò Kate ridendo.

“ Qual'è il tuo?” chiese curiosa Angeliqué.

“ Artemisia. Mia madre è italiana, quindi ha voluto darmi questo nome. Mio padre aveva provato a farla desistere ma lei era convinta e...” sbuffò, alzando il ciuffo biondo e liscio e portandolo sopra la testa, in modo da non farlo cadere.

Angeliqué rise, mentre anche Kate faceva lo stesso.

“ Il mio è Yuky, sai? Mio padre è sempre stato fissato con quei generi di nomi strani. Voleva chiamare mio fratello Goku. Oddio, se ci penso mi vien da ridere!” scoppiò di nuovo a ridere, infischiandosene se le altre persone le stessero guardando infastidite. “mia madre l'ha convinto a chiamarlo solo Mike. Tutti mi chiamano Angeliqué, o Angie, ma mio padre ama chiamarmi Yuky. Mio fratello di due anni lo imita, ma mi chiama Yuyu. Insomma, siamo parecchio strani, Kate. E tu? La tua famiglia?”

“I miei genitori non stanno insieme”. Lo disse con una naturalezza che quasi la sconvolse. Non avrebbe saputo vivere né senza le sfuriate di sua madre né senza gli abbracci di suo padre. “ Mi hanno avuto quando erano parecchio giovani: mio padre diciannove anni e mia madre quindici. Non si sono mai amati. Mio padre si è preso le sue responsabilità e lo vedo spesso. Continua a mandare dei soldi per il mio mantenimento nonostante sia già maggiorenne e potrei anche trovare un lavoro. Ma so che mi dà quei soldi per farmi capire che comunque sia lui c'è. Nonostante non mi abbia desiderato, voluto. Ed io non lo odio perché non sta con mia madre. Sono felice, perché non le ha mai mentito e non ha mentito a me.” sorrise “ ma adesso basta storie tristi. Dai, tra poco tocca a noi”.

Ed infatti tre minuti dopo la segretaria le guardò incitandole a dire ciò per cui stavano aspettando per un buono quarto d'ora.

“ Salve”- cominciò Angie. “ sono nuova e... mi servirebbe il numero di stanza ed un foglio con il numero delle aule e dei corsi”.

“ Benissimo”. Sorrise, gentile. “ Nome?”

“ Angélique. Angéliquè Yuky Jonhson”.

La signorina la osservò da sopra i suoi occhiali rossi continuando a sorridere.

“ Benissimo. Stanza numero 279. Ecco il foglio con i corsi”. Glielo porse e le sorrise, mentre le diede la chiave.

“Oh, guarda!” esclama Kate. “ io sono nella stanza accanto!”

“ Oh! Allora che dici, mi accompagni? Io non ho idea di dove si trovi...” chiese, un po' imbarazzata nel domandarlo.

“ Che domande! Ovvio, Angie!” rise, mentre le faceva prendere l'ascensore. Salirono al quinto piano e cercarono la stanza.

“ Guarda, Angélique! E' quella”.

Prese la chiave cercandola nelle tasche degli shorts, la inserì nella toppa e girò verso sinistra tre volte. Aprì la porta e si trovò davanti uno spettacolo magnifico. C'era un salotto con le pareti azzurre, un divano blu di pelle, un tavolino da caffè con delle tazze sopra ed un televisore al plasma. Entrò, trascinando la valigia mentre Kate la seguiva incuriosita. Posò il suo bagaglio vicino al tavolino ed andò a vedere cosa ci fosse dietro quella porta vicino al divano.

Senza nemmeno bussare entrò. Si trovò davanti un ragazzo che, di fronte allo specchio, faceva facce buffe mentre tentava di sistemarsi i capelli in una cresta. Piccole goccioline gli scivolavano sulle spalle e sugli addominali, le quali terminavano il loro percorso sotto il telo da bagno bianco legato intorno alla vita. Si girò stranito verso le intruse, sorridendo a trentadue denti.

“Ciao! Tu devi essere la mia compagna di stanza!”- fece, indicando Angie.

“Sì, sono io. Mi chiamo Angélique, ma puoi chiamarmi Angie”. Sorrise anche lei.

“ Puoi contarci che ti chiamo con quel nome fighissimo!” sorrise ebete, facendo una faccia buffa.

Angie e Kate sbuffarono a ridere, mentre quello faceva una faccia da 'e ora che ridete?', ma lasciandosi comunque contagiare dalle loro risa.

“ Sono Joey, Angie. E sono gay, quindi girate al largo se non volete che spezzi i vostri fragili cuoricini!” portò la mano sul petto, proprio dove si trovava il cuore, frenando una piccola gocciolina che stava scendendo, con fare teatrale.

Scoppiarono a ridere di nuovo, trascinando, questa volta sin da subito, anche Joey.

“ Io sono Kate, Joey”. Si presentò appunto la ragazza al fianco di Angélique.

“ Molto piacere!”

“ Joey, senti, io e Kate andiamo a fare un giro per Londra. Non ti dispiace se non rimango, no?” chiese. Anche se si conoscevano da nemmeno due minuti le dispiaceva parecchio andare via ed evitare di conoscerlo.

“ No, non fa nulla. La prossima volta usciamo da soli!” fa una linguaccia a Kate, mentre Angie sorride.

Va a prendere la borsa all'entrata dell' “appartamento”, e mette le chiavi nella tasca degli shorts. Poi, con Kate accanto esce ed insieme si avviano all'ascensore. Prende il telefono e controlla le chiamate. Kate l'ha già preceduta ed adesso l'aspetta vicino l'ascensore. Ma tutt'un tratto sbatte contro qualcuno.

Alza gli occhi e...

 

 

Fine primo capitolo.

 

Sweet mee *-*

 

Allora... non so se vergognarmi d'aver scritto una cagata simile, ma, vi prego, non linciatemi. So che ogni volta che scrivo qualcosa mando tutto a quel paese e quindi non sono molto affidabile. -.-''

Vorrei che qualcuno leggesse, che qualcuno recensisse.

Ogni volta che cancello, lo faccio perché a nessuno sembra piacere ciò che scrivo, quindi, per favore, chiunque passi scriva un commento per tirarmi un po' su. Anche solo per farmi capire se posso continuare e o se anche questa ff va cestinata.

Grazie mille per l'attenzione, ragazze.

Al, si spera, prossimo capitolo.

Piccola_Panda_Directioner

:*

 

  
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