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Autore: Delilah Phoinix Blair    11/07/2014    5 recensioni
12 febbraio 2014
Il pianeta deve prepararsi ad una Terza Guerra Mondiale.
Tutti sanno che non è pronto, ma che è necessario.
Sarà una lotta per la libertà contro l'oppressione dell'uguaglianza ridotta ai minimi termini: il comunismo, così come lo conosciamo, non è una soluzione accettabile.
In questo fiume di sangue, un soldato e una ragazza troveranno il loro angolo di paradiso in Abruzzo per tenersi a galla l'un l'altra.
Dal testo:
"《Ti amo, piccola Dea.》 Dopo aver pronunciato quelle parole, accostò la fronte a quella di lei. La sua voce era una carezza.《Non con la consapevolezza che questa potrebbe essere l'ultima volta che i miei occhi incontreranno i tuoi. Non potrei amarti come meriti sapendo che la guerra potrebbe strapparmi a te in qualunque momento.》 Lo disse scandendo le parole lentamente, come a volerle imprimere sul cuore di entrambi. Fece una pausa accarezzando dolcemente quella pelle di porcellana con entrambe le mani ruvide e grandi. 《No, ti amo come se potessi davvero farlo per sempre.》
C'era qualcosa che stonava nelle lacrime amare che le piovvero dagli occhi, simili a frammenti del cielo in estate.
La loro estate."
Genere: Guerra, Introspettivo, Satirico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Grazie a White and black, milly97, sukitte ii na yo, SweetCherry, aniasolary (sono senza parole *o*), Hanna Lewis che hanno aggiunto la storia alle seguite.
Grazie a Lunaby, MolokoVellocet che hanno aggiunto la storia alle ricordate.
Grazie a Dheja e DarkViolet92, Aven90, Lady Angel 2002, _runaway, Bijouttina, MolokoVellocet, Lunaby che hanno recensito.
Grazie a Malaria che ha inserito From Limits tra i "consigli per gli acquisti", facendole buona pubblicità su Facebook.
Ma soprattutto grazie a quel grandissimo S*****o del mio migliore amico che, dopo aver letto i capitoli tutti d'un fiato (tanto lo so che non sei riuscito a staccarti finchè non sei arrivato alla fine, figlio di p*****a), si è premurato di smontare From Limits pezzo per pezzo. Alla fine vedremo chi la spunterà e va' a c****e, ti rimangerai ogni sillaba. Con affetto, la tua sorellina preferita.
No, scherzi a parte, ci vogliamo davvero un gran bene! Giuro!
Anche se ha completamente smorzato la mia ispirazione per giorni, quindi prendetevela per il ritardo e anche nel caso in cui il capitolo faccia schifo :)
 




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Just hold a smile.


I don't think the world is sold
I'm just doing what we're told
I feel something so right
Doing the wrong thing
I feel something so wrong
Doing the right thing
I could lie, I couldn't lie, I could lie
Everything that kills me makes me feel alive
 
4 luglio 2014
 
Dopo quel 22 giugno, la vita di Afrodite era cambiata radicalmente. Da fuori pochi avrebbero potuto accorgersene, perchè cercava di mostrarsi il più normale possibile, ma dentro di lei tutto aveva preso a vorticare ad una velocità che la spaventava ogni volta che cercava di rimettere ordine tra i suoi pensieri. Non sapeva più dove sbattere la testa, non si riteneva più in grado di riconoscere cosa fosse giusto e cosa invece sbagliato.
I giorni trascorrevano lenti e noiosi come nelle settimane tra il 19 maggio e il 14 giugno, quando Ryan era scomparso per lasciarle il tempo di studiare e terminare l'anno scolastico.
Quella seconda volta però la lontananza era una sua scelta: dal giorno di quel fatidico bacio aveva smesso di rispondere alla chiamate e ai messaggi del soldato, troppo confusa per avere il coraggio di parlare con lui. Una mattina, dopo circa una settimana, aveva ricevuto l'ultimo SMS.
 
Era il 1 luglio e stava leggendo Logan's run seduta su una sdraio nella veranda della cucina del suo appartamento, che ridava su Via Regina Margherita, quando il telefonino aveva iniziato a vibrare, avvisandola dell'arrivo di un messaggio.
"Dobbiamo parlare. Non darmi dello stalker, ma sono sotto casa tua."
Era sobbalzata a quelle parole, prendendo grossi respiri per cercare di calmare il cuore che aveva preso a battere all'impazzata.
Voleva scendere le scale che li separavano e corrergli incontro e partire con lui per qualunque luogo potessero scegliere e allontanarsi da tutto e tutti.
Eppure razionalmente sapeva quanto fosse sbagliato, quanto i suoi genitori stessero già soffrendo per l'assenza di Marco, quanto Silvia avesse bisogno di lei per distrarsi da quella stessa mancanza, quanto fosse ingiusto e cattivo da parte sua pensare a Ryan mentre Paolo rischiava di perdere la vita, nonostante cercasse di auto-convincersi che, se la missione di recupero fosse andata male, Marco l'avrebbe chiamata; che doveva per forza essere andato tutto bene, altrimenti non sapeva come avrebbe fatto a sopportarlo.
Tuttavia non era riuscita ad impedire alle sue gambe di trascinarla fino alla ringhiera del balcone per spiare Ryan, grazie alla copertura offerta delle numerosissime piante che lo adornavano.
Lo aveva guardato stringere spasmodicamente le mani sul volante, come lo aveva visto fare spesso quando era nervoso.
Lo aveva guardato passarsi le dita tra i capelli e scrutare la strada.
Lo aveva guardato controllare lo schermo del telefono come un forsennato.
Lo aveva guardato fissare il portone del suo condominio, con un misto di speranza e sconforto nello sguardo, per minuti che le erano sembrati interminabili.
Lo aveva guardato mettere in moto e andare via, e aveva sentito il suo cuore svuotarsi definitivamente per seguirlo.
 
Da quel momento più nulla.
Afrodite non riusciva a capire se Ryan fosse arrabbiato oppure avesse capito che lei aveva bisogno di tempo, e inoltre il dolore per la mancanza di Marco e Paolo era tornato a farsi sentire prepotentemente.
La guerra comunque sembrava procedere a favore degli Euro-Statunitensi, perchè al telegiornale le notizie dal fronte erano sempre più frequenti e tutti si rendevano conto che non sarebbe stato così in caso di sconfitta. Tuttavia la linea del fronte non si era spostata molto più avanti di Bogotà, sembrava che i soldati stessero riprendendo fiato dopo la recente vittoria.
Questa, che per chiunque sarebbe stata un'ottima notizia, per Afrodite non era altro che la causa di tutti quei servizi, che venivano loro propinati alla TV, sulla guerra e sulle schermaglie che avevano luogo quasi ogni giorno, ma che non le dicevano nulla di preciso sui soldati italiani e soprattutto su Marco e Paolo.
Quel 4 luglio, un giorno così importante per la storia americana, Afrodite aveva in programma di andare al mare alla Sirenetta di mattina presto con Silvia e raccontarle almeno in parte ciò che le era successo recentemente, perchè sentiva davvero un gran bisogno di parlarne con qualcuno e dal momento in cui aveva aperto gli occhi non riusciva a smettere di pensare a Ryan.
Si vestì mentre era ancora in uno stato catatonico e riuscì a svegliarla solo l'aria fresca delle nove di mattina, che le sferzava il viso mentre si dirigeva in bici sul lungomare verso lo stabilimento.
Alle due amiche piaceva moltissimo vedersi in spiaggia presto: non c'era quasi nessuno, l'acqua era ancora pulitissima e la bassa marea permetteva di prendere il sole con i lettini in plastica parzialmente immersi a riva, così come stavano facendo le due amiche in quel momento, gli occhi chiusi e le membra completamente rilassate.
Ad un certo punto Afrodite prese coraggio e si decise a parlare.
《Ti devo raccontare una cosa》 disse, senza muovere un muscolo.
L'amica aprì un solo occhio di quel grigio sorprendente, disponendosi all'ascolto.
《Ho conosciuto un soldato americano.》
Silvia balzò a sedere, spalancando le palpebre e guardando la bionda con sgomento.
Seguì un breve silenzio, a quella reazione Afrodite aveva perso un po' del suo coraggio.
《Cosa?》 chiese la riccia, esortandola ad andare avanti.
《Ecco...》 Fece una piccola pausa. 《Stavo facendo una passeggiata sul lungo mare, quando-》
《Ma questo quando?》 la interruppe.
Afroditè titubò per alcuni secondi. 《Pochi giorni fa》 rispose alla fine, non avendo il coraggio di confessarle che il primo incontro con Ryan era avvenuto il 5 maggio, ovvero quasi due mesi prima. 《Ad ogni modo, dicevo,》 si affrettò a proseguire. 《ad un certo punto sbuca questo tipo che si mette a chiamarmi in inglese.》 Si era seduta anche lei nella foga del racconto ed aveva iniziato a gesticolare come al suo solito. 《Insomma io non gli do corda ma lui mi si avvicina e mi afferra un braccio.》
La sua amica si era portata una mano davanti alla bocca. 《Cosa?》 Era sempre più incredula. 《Era un soldato americano?》
Afrodite annuì e riprese il racconto. 《Poi però si è avvicinato un altro uomo e gli ha detto in inglese di lasciarmi in pace e lui se n'è andato con la coda tra le gambe.》
《E anche questo era un soldato?》
L'altra annuì di nuovo. 《Mi ha riaccompagnata a casa in macchina》 concluse.
《Ti sei fatta riaccompagnare a casa in macchina da un sconosciuto, per di più americano?!》 esclamò Silvia passandosi una mano tra i ricci scuri.
《Mi aveva appena salvata e mi sono fidata》 rispose mitemente l'altra, arrossendo.
《E scommetto che era carino.》 l'espressione dell'amica si fece maliziosa.
《Carino?》 domandò retoricamente con una risata stizzita. 《Era uno degli uomini più belli che avessi mai visto》 sospirò, arrossendo di nuovo e ripensando alla sensazione delle sue labbra che si modellavano febbrilmente contro le proprie.
《Com'era?》 Silvia era entrata nella sua modalita "pettilona" e niente e nessuno avrebbe potuto salvare Afrodite dalle sue domande.
《Beh-》
《Avanti!》 la interruppe, vedendola esitante.
《Ti ricordi quella sera che abbiamo incontrato dei soldati al Bar Napoli.》
Silvia si limitò ad annuire per non interromperla.
《Era Ryan.》 concluse, prendendo un sospiro.
《Quello silenzioso e bello da non crederci?》 chiese con tanto d'occhi.
Fu il turno di Afrodite di annuire in silenzio.
《In effetti mi sembravi un po' nervosa e sovrappensiero dopo quell'incontro. E perchè non ti ha salutata?》
《Ma figurati, non si sarà ricordato.》 La ragazza sminuì l'accaduto con un gesto della mano. 《Cioè, l'hai visto?》 chiese retoricamente ridendo, come se il suo aspetto bastasse a giustificare una tale dimenticanza.
《Sì che l'ho visto brutta-》 si interruppe schizzandole l'acqua da cui Afrodite tentò di ripararsi senza successo. 《Sempre il solito culo! A me non capiterebbe mai di incontrare un ufficiale del genere!》 continuò, fingendosi furiosa e scatenando un moto di risa nell'amica che decise di stare al gioco.
《Chi può, può e, chi non può, va a zompetti. Che vuoi farci?》 disse, atteggiandosi e schizzando l'acqua a Silvia di rimando.
Entrambe sapevano quanto quella conversazione fosse assurda, ma proprio per questo, perchè entrambe sapevano, Afrodite fu sempre grata a Silvia per non aver nominato Paolo.
In fondo non c'era niente di male nel guardare un paio di ufficiali.
《Certo che anche quel Joseph》 continuò la mora contemplando un punto nel vuoto. 《Però non è il mio tipo: capelli rossi, occhi castani e lentiggini? Nah》 concluse scrollando le spalle e tornando a prendere il sole.
《Infatti, a te piacciono biondi e soprattutto Trini》 la stuzzicò l'altra alludendo a Marco e imitandola.
Quella volta Silvia non si limitò a schizzarla, ma prese la rivista che aveva poggiato vicino ai piedi e gliela lanciò prendendola in pieno e guadagnando un sonoro gemito di dolore.
《Ben ti sta!》 concluse.
Ora che aveva raccontato a Silvia almeno dell'esistenza di Ryan, anche se non le aveva detto proprio tutto, si sentiva un po' più tranquilla e, come sempre succede, parte del suo senso di colpa era andato scemando nell'auto-convinzione che non ci fosse nulla di male. In fondo non aveva proprio mentito.
Certo sentiva ancora quel vuoto al centro del petto, ma ultimamente sembrava averci fatto l'abitudine e quella mancanza diventava troppo dolorosa unicamente quando si ritrovava da sola a pensare. Perfino la sua amata scrivania sotto la finestra le era diventata ostile: il panorama che prima la rilassava tanto, dal loro ultimo incontro non faceva altro che ricordarle i posti che aveva visitato assieme a Ryan.
E in più era perfettamente consapevole di non aver detto praticamente nulla alla sua amica, di essersi limitata a mettere la coscienza a posto al pensiero di averci provato, quando in realtà non aveva mai davvero avuto l'intenzione di spiegarle come si sentiva. Così in quel momento sentì tutta la distanza che si era venuta a creare tra loro due, che avevano sempre parlato di tutto, da quando le cose erano cambiate. E sapeva che la cosa non dipendeva solo da lei e dal suo silenzio: era stata proprio Silvia a liquidare quella breve conversazione portandola da seria a giocosa, non volendo prendere quel racconto sul serio. Sicuramente anche lei stava attraversando un momento difficile, visto che Marco era al fronte in costante pericolo e ormai non lo vedeva nè sentiva da tre mesi. Per la prima volta, dall'inizio della loro amicizia, stavano affrontando un problema contemporaneamente ma non insieme e questo non faceva altro che aumentare la sensazione di straniamento dal mondo che Afrodite provava da giorni.
L'acqua fresca che le sfiorava le dita, gettate al di là del bordo del lettino, le provocava tanti piccoli brividi che percepiva lontani, come se non la riguardassero davvero. Era come se tra lei e il mondo si fosse issato un muro che le impediva di vivere davvero ciò che le accadeva intorno. Si limitava ad assistere mentre le sue amiche chiacchieravano, mentre i suoi genitori si sforzavano di comportarsi normalmente, mentre la TV trasmetteva quelle immagini orribili; talvolta si inseriva nella conversazione, dava corda ai tentativi di Ferdinando e Silvana, spegneva la TV con stizza. Ma la verità era una sola: aveva perso quel qualcosa che l'aiutava a sopportare una situazione troppo difficile per lei che non aveva mai visto la morte così da vicino.
Ed era stata una sua scelta, dettata dal timore delle opinioni altrui e dal senso di colpa.
"Marco mi aveva detto di fare la brava" ricordò con un sorriso appena accennato, tenendo gli occhi chiusi e ripensando a quell'ultimo incontro alla stazione.
Ma Paolo non avrebbe voluto semplicemente vederla felice?
"Dio, Afrodite, pensi come se fosse già morto!" si rimproverò con stizza, scuotendo leggermente il capo come a voler scacciare quei pensieri molesti.
《Didi, tutto bene?》 le chiese Silvia, guardandola dubbiosa dal suo lettino.
Afrodite costrinse il suo volto a ridistendersi in un sorriso convincente ed annui con foga. 《Certo!》
 
Alla fine aveva ceduto.
Dopo quella giornata di mare, dopo aver parlato con Silvia ed aver quindi alleggerito la propria coscienza, dopo essersi resa conto di quanto i giorni le sembrassero infiniti e sempre uguali e di come giusto e sbagliato si fossero ormai capovolti irrimediabilmente da quando la guerra era entrata a far parte della sua vita, alla fine aveva ceduto.
"Felice giorno dell'indipendenza, sottotenente Martins! Come l'hai trascorso?" aveva digitato con mani tremanti senza però trovare davvero la forza di inviare il messaggio e sorvolare sul fatto di aver ignorato le sue chiamate ed i suoi SMS per dieci giorni, ma voleva fare un passo avanti, un tentativo di riavvicinamento meno brusco possibile.
Subito dopo essersi resa conto di averlo fatto davvero, di essere stata lei a cercare Ryan per la prima volta, di aver frantumato quell'ormai sottile barriera di indifferenza nei suoi confronti che cercava di imporre a se stessa e a lui, gettò il telefono sul letto per poi seguirlo dopo qualche istante, spogliandosi svogliatamente e rannicchiandosi sotto le coperte, decisa a dormire.
Fu la vibrazione del telefono a ridestarla da quel dormiveglia in cui era scivolata, esausta.
"Poteva andare meglio, siamo al Jayson's e ci stiamo facendo qualche birra con gli altri del plotone. Visto che domani è il mio compleanno, passo a prenderti dopo cena e ci andiamo a fare una passeggiata sul lungo mare."
Come sempre Ryan non chiedeva, si limitava ad avvisarla di ciò che aveva intenzione di fare senza concedersi il lusso del "ti va se...?", perchè sapeva di non poterselo permettere.
"Signorsì, signore!" si limitò a rispondere Afrodite, chiudendo poi finalmente gli occhi.
 
***
 
You're the queen of everything
as far as the eye can see,
under your command
I will be your guardian.
 
5 luglio 2014
 
Quella mattina si era svegliata con una certa trepidazione in corpo, come succedeva ogni volta se sapeva che avrebbe visto Ryan. Aveva tentato di comportarsi normalmente per tutto il giorno, ma non ci era particolarmente riuscita: a colazione aveva così tanto la testa tra le nuvole che dopo aver finito di mangiare aveva messo la tazza sporca nella dispensa, i biscotti in frigo e il latte nel lavandino e Silvana aveva trascorso una decina di minuti fissandola in tralice con quegli occhi così simili a quelli di Marco senza chiederle però niente.
La verità era che, nonostante Afrodite fosse praticamente su un altro pianeta, la sua era una distrazione sognante, non abbattuta come quella dei giorni precedenti. Così sua madre decise di lasciar perdere ogni preoccupazione, limitandosi a riordinare con titubanza le cose che sua figlia aveva riposto nel luogo sbagliato. Aveva poi reciso alcuni fiori, disponendoli in un vaso sulla tavola nella sala da pranzo, canticchiando allegramente un motivetto sottovoce. Erano sempre state molto diverse, lei e sua figlia, all'una bastava poco per sistemare il proprio umore, mentre l'altra trascorreva molto tempo a rimuginare, a riflettere su cosa fosse giusto e cosa invece fosse sbagliato, finendo col perdere di vista l'obiettivo di stare bene.
Per contro la ragazza era convinta di avere perfettamente successo nella sua opera di dissimulazione e non si rendeva conto di quanto l'aspettativa dell'incontro di quella sera l'avesse messa di buon umore, trascinandola nelle fantasie che l'attesa porta sempre con sè.
Erano già le undici quando Silvana decise di uscire per andare ad aprire il negozio, lasciano un sonoro bacio sul capo di Afrodite. Ormai lavorava pochissimo, nessuno comprava fiori in tempo di guerra e il pensiero che quei pochi che vendeva fossero destinati probabilmente al cimitero la faceva star male, così aveva ridotto le ore di attività dato che lo stipendio da professore di suo marito e i loro risparmi lo permettevano.
Visto che Ferdinando se ne stava seduto sul divano in soggiorno facendo oziosamente zapping alla TV in attesa delle qualifiche per il gran premio di Silverstone, Afrodite iniziò a sistemare un po' del tipico disordine di casa, senza portare davvero a termine nessuna faccenda con quell'agitazione di chi non riesce a star fermo. Quel giorno aveva deciso di non andare al mare, visto che comunque Silvia avrebbe trascorso il week-end in montagna con i suoi genitori e lei non aveva voglia di uscire.
Scelse di preparare un'insalata di riso bella fresca per il pranzo e si mise al lavoro con la musica nelle orecchie. A mezzogiorno e mezzo aveva finito e la mise nel frigo, andando poi a rilassarsi in veranda con Castelli di rabbia di Baricco.
"I desideri sono la cosa più importante che abbiamo e non si può prenderli in giro più di tanto. Così, alle volte, vale la pena di non dormire pur di star dietro a un proprio desiderio. Si fa la schifezza e poi la si paga."
Una volta arrivata a questo brano, però, richiuse il libro con stizza, sorprendendosi come al solito del modo in cui Baricco riuscisse sempre a mettere sulla carta quelle sue sensazione che nemmeno lei sapeva di provare o che comunque non era in grado di comprendere fino in fondo finchè non le vedeva scritte da lui.
Ritornò in casa e si rese conto che ormai era ora di pranzo.
《Papà, sono finite le qualifiche?》 chiese dalla cucina a voce alta.
《Principessa, iniziano tra una mezz'oretta》 rispose lui allo stesso modo. 《Ti va se mangiamo qui?》
Afrodite preparò i piatti e li portò in tavola di soppiatto, come se Silvana potesse davvero vederla mentre infrangeva la regola numero uno della casa: non si mangia in nessun posto che non sia la sala da pranzo.
《La mamma non deve saperlo》 disse serio Ferdinando, prendendo il suo piatto dalle mani della figlia, che annuì con foga trattenendo a stento una risata.
《E' davvero buona!》 esclamò l'uomo subito dopo per poi continuare a mangiare con gusto, gli occhi fissi sulla TV.
Guardarono le qualifiche in silenzio, era quello il loro modo di stare insieme, non avevano mai avuto bisogno di molte parole. Se Silvana era la donna pimpante e sempre allegra dalla parlantina facile, Ferdinando, anche dopo tutti quegli anni, preferiva contemplarla estatico, prendendo da lei tutto ciò che poteva offrirgli e donandole la sua completa devozione così come faceva con Afrodite, che era però ben diversa dalla madre e forse più simile al padre, al punto che spesso trascorrevano il loro tempo senza dirsi nulla, ma comunque intimamente insieme.
Esattamente come stavano facendo in quel momento.
La ragazza condivise almeno un po' della sua delusione anche quando Ferdinando si alzò borbottando perchè le sue amate Ferrari erano uscite in Q1, piazzandosi nella griglia di partenza al diciannovesimo e ventesimo posto, e si diresse poi in cucina per riporre il piatto nella lavastoviglie. In fondo le piaceva guardare il gran premio con lui la domenica e un po' si era appassionata a quello sport così complicato fatto di motori e strategie. Le aveva fatto piacere infatti che non venisse sospeso il mondiale di Formula 1 a causa della guerra perchè era sì uno sport da milioni di euro, che però giravano anche tra persone qualificate come gli ingegneri e perfino i piloti dovevano avere un po' di sale in zucca per finire a quei livelli, quindi non le causava quel ribrezzo istantaneo che invece le procurava il calcio. Le gare non avevano subito alcuna variazionefatta eccezione per il circuito di Interlagos, in Brasile, che era stato cancellato perchè considerato dalla FIA troppo vicino alle zone interessate direttamente dal conflitto.
 
Il pomeriggio era volato, tra le pagine del romanzo che aveva finito col terminare mentre il sole si adagiava comodamente sulle colline che stringevano Pescara contro il mare e nell'aria iniziava a sentirsi il penetrante odore di cemento bagnato, che veniva da tutti accomunato alla pioggia, ma che in realtà solo pioggia non era perchè, si sa, in campagna la pioggia ha un odore diverso.
D'un tratto Afrodite riemerse dalla storia straziante di Castelli di rabbia, rendendosi conto che Silvana era tornata e si era fatta ora di cenare.
Aveva appena finito, quando lo schermo del cellulare si illuminò, avvisandola dell'arrivo di un nuovo messaggio.
"Tra venti minuti arrivo."
E lei era lì ad aspettarlo.
 
Ancora non riusciva a crederci.
Afrodite lo aveva cercato, così di punto in bianco, e lui non si era fatto domande.
L'aveva vista confusa quel 22 giugno e aveva capito, aveva aspettato.
In quel momento era sotto casa sua, nell'ormai familiare Via Regina Elena, e stava piovendo, così lui teneva un ombrello sollevato sopra la testa.
La vide uscire dal portone con solo una leggera felpa a coprirla e subito le andò incontro.
《Con un ombrello sarebbe stato troppo semplice, vero?》 la canzonò, coprendola con il suo.
《Non ne ho trovati a portata di mano》 rispose senza guardarlo, rossa in viso. L'imbarazzo era arrivato, esattamente come si era aspettata. 《Buon compleanno, comunque!》 Sembrò ricordarsi all'improvviso le sue parole della sera precedente e si sforzò di guardarlo per regalargli il sorriso migliore che riuscì a trovare dentro di sè.
Ryan la stava già guardando e il suo viso era già modellato in quella smorfia asimmetrica che era meglio di qualunque altro sorriso Afrodite avesse mai visto.
《Grazie.》
Rimasero fermi in silenzio per un po' prima di avviarsi sotto la pioggia.
《Dall'ombrellone all'ombrello?》 se ne uscì ad un tratto l'uomo.
《Benvenuto a Pescara, soldato, dove non si può stare tranquilli nemmeno un giorno senza chiedersi "Maglione o canotta oggi?"》 rise, di quella risata limpida e cristallina che ormai Ryan aveva imparato a collegare alla sua vera felicità.
《Bello!》 esclamò lui con ironia.
Era sabato sera, eppure per strada non si vedeva nessuno. Forse il clima era dalla loro parte.
Ormai erano le nove e mezza e, nel cielo, del sole non era rimasto nemmeno il rossore di una donna che si corica nuda nell'attesa del suo amore. Afrodite e Ryan presero il lungomare e si diressero a sud, verso il ponte del mare dove erano già stati quel pomeriggio di primavera che sembrava così lontano, dopo la spesa.
La vicinanza di quell'uomo le faceva fremere la pelle ad ogni piccolo alito di vento e le impediva quasi ogni pensiero logico, ma la ragazza sapeva che almeno con lui doveva essere sincera. Se non con Silvia, se non con se stessa, almeno con lui.
E così parlò.
《Io ho un ragazzo.》
E dopo aver detto quelle quattro parole, tutto il resto arrivò da solo, sotto lo sguardo dapprima sbigottito e poi lontano di lui.
《Si chiama Paolo, è il migliore amico di mio fratello ed è partito con lui per il fronte. Ci conosciamo praticamente da tutta la vita.》
E andò avanti così, parlando lentamente, finchè non furono arrivati alla Madonnina, come veniva chiamata la piazza da cui iniziava il ponte del mare a causa dell'alta colonna sormontata da una statua della vergine che vi si poteva scorgere. Quella volta, però, Ryan imbocco il lungofiume in direzione del mare aperto, ignorando il ponte. Quella breve strada pedonale costeggiava il fiume sulla destra fino al piccolo faro di segnalazione di inizio del canale, mentre sulla destra si protendeva oltre la costa con un ammasso di scogli artificiali in cemento che avevano portato all'accumulo di parecchia sabbia sotto i travocchi. Sì, perchè erano senza dubbio loro la cosa più interessante del molo dove ormai nessuna barca attraccava più da quando era stato aperto il porto turistico a Portanuova, se non i pescherecci e comunque sempre sul lato sud. Erano strutture in legno e metallo simili a palafitte, ma piccole e molto sopraelevate rispetto al livello del mare, un tempo utili solo per la pesca, con quelle lunghe travi grondanti di corde ormai inutilizzate.
Percorsero tutto il molo e Afrodite stava ancora parlando, aveva raccontato ogni singola cosa che riguardasse Paolo, come un fiume in piena che riesce finalmente a rompere gli argini e si scaglia con violenza su tutti coloro che erano rimasti lì, a guardarlo in silenzio senza far niente per trattenerlo perchè era giusto così. Gli raccontò di fiori, passeggiate, dolci, montagne, sorrisi, carezze, di baci rubati e di baci concessi tra gli improperi di un fratello troppo geloso, che alla fine però si era arreso.
Quando erano finalmente arrivati al faro si voltarono l'uno di fronte all'altra e Afrodite aveva finito le parole di una vita.
《Lo ami?》 le chiese Ryan semplicemente.
Afrodite sapeva che la risposta esatta sarebbe dovuta essere un bel "Sì!" convinto, eppure non riuscì ad emettere alcun suono.
《Dopo tutto quello che mi hai raccontato, dopo tutti gli anni in cui ti è stato vicino, dopo tutte le cose che hai condiviso con lui, come fai a non amarlo?》 strepitò, stringendo forte il manico dell'ombrello.
《Non lo so》 fu l'unica cosa che lei riuscì a rispondere con voce flebile.
《Non lo sai?》 il suo tono si era fatto esasperato.
《Io e lui siamo sempre stati insieme-》 iniziò senza guardarlo, torturandosi le unghie con le dita.
《L'ho capito questo!》 la interruppe con foga, perchè non sarebbe stato in grado di ascoltare altri ricordi felici.
《Ascoltami!》 esclamò, avvicinandosi di un passo. 《Sono sempre stata con lui, è sempre stato normale, giusto stare con lui.》 Si interruppe come a cercare le parole giuste. 《Ma ora le cose sono cambiate.》 tornò a posare il suo sguardo sul volto di Ryan e vi scorse un'espressione confusa. 《Con te è diverso, mi sembra tutto così sbagliato, eppure mi fa sentire bene e questo mi terrorizza perchè è come se non avessi più il controllo di ciò che voglio.》
《Non si può decidere cosa si vuole-》
《E questo mi fa impazzire!》 fu il suo turno di interromperlo. Si passo una mano tra i capelli appiccicosi di umidità per scostarli dal viso, piantando nei suoi occhi quelle iridi del colore del cielo, che quel giorno era coperto, ma non per loro.
《Ma non importa.》
Il volto di Ryan si fece dubbioso.
《Perchè senza di te, invece, è come se non fossi davvero viva.》
Fece una pausa come per valutare la sua reazione.
《Il senso di colpa e l'indecisione mi stanno uccidendo, ma almeno mi fanno continuare ad esistere.》 Abbassò il capo e la voce. 《L'apatia mi trascina solo lontana da me stessa-》
Le parole morirono tra le labbra di Ryan che erano scese a catturare le sue e lei potè finalmente ritrovare quella morbidezza che aveva ricordato con stizza per tutti quei giorni. Il soldato lasciò cadere l'ombrello e i due amanti vennero attaccati da una miriade di goccioline sottili, ma non se ne curarono, come spesso accade alla fine di quei film romantici banali, in cui basta un bacio sotto la pioggia per sistemare tutto e avere uno splendido happy ending e la pioggia serve a rendere tutto più romantico (oltre che a mostrare il fisico bestiale del protagonista maschile), mentre per loro, per Afrodite e Ryan, quella pioggia era solo un effetto collaterale. Perchè Ryan voleva stringerla con entrambe le braccia, l'avrebbe stretta anche con tutto il suo essere se fosse stato possibile; perchè la sentiva tremante contro di sè e quell'ombrello era solo un impiccio; perchè quello non era affatto il loro lieto fine, era solo un punto da cui partire per affrontare la guerra insieme e tenersi su, spalla contro spalla, labbra contro labbra, fronte contro fronte; perchè quel bacio non sistemava tutto, ma almeno li avvicinava un po'.
E lui avrebbe continuato a capire, ad aspettare.
Perchè quel bacio era bastato a parlare per entrambi.
 
Rimasero sotto la pioggia finchè non ne ebbero abbastanza di assaporarsi e cullarsi l'un l'altra, poi si riavviarono lentamente, mano nella mano, sul molo verso casa di Afrodite.
《Tu sai che io sono un soldato, ma io non so cosa vuoi fare da grande》 disse quasi subito Ryan scrutandola.
Afrodite si prese qualche momento prima di rispondere per abituarsi alla sensazione della pelle ruvida contro il palmo della sua mano.
《Mi piacerebbe affittare uno di questi e aprire un ristorante》 disse, mentre il suo sguardo si perdeva lungo la costa pescarese, illuminata da mille romantiche luci arancioni, ben visibile dal molo e ancor di più dai travocchi che stava indicando. Amava quel panorama, era come se da lì si potessero vedere solo le cose belle di Pescara, mentre quelle brutte rimanevano oscurate dalla notte
《Si può fare? Perchè non l'ha ancora fatto nessuno?》 Ryan sembrava sbalordito.
《Non lo so》 mormorò la ragazza, stringendosi nelle spalle. 《I travocchi sono tutti di proprietà privata, ma la burocrazia in Italia è interminabile e non oso nemmeno immaginare quante carte siano necessarie per aprire un ristorante su uno di questi cosi.》
Ryan sbuffò sonoramente. 《Io davvero non vi capisco voi italiani.》 Si passò una mano tra i capelli, seguendo lo sguardo di lei verso quel panorama splendido. 《Guarda che roba? E voi sprecate questi tracolli-》
《Travocchi》 lo interruppe lei, trattenendo malamente una risata.
《Sì, quel che è.》 Chiuse la questione con un gesto della mano libera. 《Insomma sprecate questi travocchi,》 La guardò chiedendo il suo consenso, che lei gli diede con un segno del capo e un sorriso. 《per un po' di carte da firmare?》
《E soldi da pagare e autorizzazioni da chiedere e soldi da pagare e mesi da aspettare e ancora soldi da pagare》 lo corresse.
《Io davvero non vi capisco》 concluse alzando le braccia in segno di resa anche se uno era ancora legato alla mano di lei.
Lei che scoppiò a ridere, e la sua risata era la cosa più bella del mondo.
《Forse ora, in tempo di guerra, la burocrazia romperebbe di meno》 sussurrò, quasi tra sè e sè. 《Peccato che non ci verrebbe nessuno》 concluse con un tono che voleva essere leggerò ma finì con il risultare sconsolato.
《Vorrà dire che ti aiuterò ad aprirlo, quando tutto questo sarà finito.》
Ryan fissava dritto davanti a sè, mentre invece lei non riusciva a distogliere lo sguardo da quell'espressione decisa incastrata nel suo profilo bellissimo. E, se lei in quel momento non riusciva a pensare a nulla, aveva la mente completamente bianca, lui invece non poteva smettere di ripromettersi che l'avrebbe protetta finchè ne fosse stato capace, perchè non meritava tutte quelle mancanze e non era giusto che una persona innocente come lei, ma come poteva essere chiunque altro, dovesse rinunciare ai propri sogni per il capriccio di altri. Se ne fosse stato capace le avrebbe donato il mondo intero, ogni cosa, ma poteva solo sperare di aiutarla ad ottenere ciò che voleva.
E proteggerla da tutto ciò che avrebbe potuto ferirla in qualsiasi modo.
Ryan interruppe la sua camminata all'improvviso, voltandosi verso di lei e tenendosela vicino grazie alla mano ancora intrecciata alla sua.
E la vide, con quegli occhi celesti, di un celeste quasi doloroso tanto era intenso, leggermente sbarrati per la sorpresa, con quella bocca rosa e carnosa già appena, appena socchiusa. La baciò dolcemente, continuando a stringerle la mano nella sua e accarezzandole lentamente una guancia con quella libera. Non aveva nessuna importanza l'età, la sua presenza solo temporanea a Pescara, il suo ragazzo oltreoceano, nulla.
Lui l'avrebbe protetta ugualmente.
Ma chi li avrebbe protetti da loro stessi?
 
***
 
The spirit of resistance to government is so valuable, that I wish it to be always kept alive.
It will be often exercised when wrong, but better so than not to be exercised at all.
 
4 luglio 2014
 
Si lasciò cadere sulla brandina, esausto.
Era stata una giornata interminabile: i soldati americani facevano già poco durante le azioni militari, ma quel giorno avevano praticamente avuto 24 ore di congedo per la loro festa nazionale (privilegio che ovviamente tutti gli altri non avevano avuto) e tutto il lavoro era finito nelle mani degli europei che avevano dovuto spaccarsi la schiena il doppio.
Non aveva la forza fisica e mentale di sopportare quel coglione di Guillaume, il ragazzo che occupava la branda sotto la sua, ma inevitabilmente questi fece il suo ingresso nella camerata con un asciugamano stretto intorno ai fianchi ed una mano a sfiorare i capelli rasati, subito seguito da Paolo.
Era stato difficile ritrovarlo, aveva rischiato di rimanere bloccato a Villavicencio, dove i comunisti si erano temporaneamente rifugiati dopo la presa di Bogotà, perchè i rinforzi tardavano ad arrivare e i sudamericani li avevano ormai individuati lanciandosi subito all'inseguimento. Non sapeva neanche lui come era riuscito a portarli fuori di lì, ma ce l'aveva fatta e il suo squadrone era ritornato alla base tutto intero. Riusciva a sentire ancora sulla lingua il sapore della paura di chi è braccato e ormai è convinto che "Questa volta non mi salverò, porca puttana!".
Erano passati quasi due mesi e avere vicino Paolo, sano e salvo, gli dava un'illusoria sensazione di sicurezza, anche se quella brutta esperienza aveva radicato in lui l'idea che non sarebbero mai riusciti a tornare a casa e non riusciva a liberarsi di quel presentimento che nella sua mente era ormai diventato certezza.
《Hei Trini, ti va un Texas hold 'em?》 gli chiese Guillaume in un inglese sporcato da un forte accento francese, tirando fuori le carte e sedendosi a un tavolo con altri due soldati.
《Questa volta passo》 rispose lui ritirando le gambe dal bordo della brandina superiore e sdraiandosi finalmente.
《Sei sempre così ennuyeux!》 sospirò allora Guillaume, iniziando a mischiare le carte.《Paul, a te non lo demande.》
Paolo doveva aver fatto un qualche gesto, perchè il dealer iniziò a distribuire le carte senza aspettare una risposta verbale.
Marco tuffò le dita sotto il cuscino e sfiorò la superficie liscia della carta. Quel piccolo, breve contatto bastò a farlo esplodere.
《Merda!》 strillò all'improvviso, stupendo anche se stesso e saltando giù dalla branda. Rovistò con rabbia nel suo armadietto e trovò finalmente il pacchetto di sigarette. Uscì dalla camerata sbattendo forte la porta dietro di sè e lasciando tutti basiti.
Anche Paolo si alzò lentamente, stanco, sotto gli occhi sbarrati di tutti, che non riuscivano ad abituarsi al carattere del ragazzo italiano, per seguirlo quasi trascinando i piedi sul pavimento spoglio. Era da un po' che ogni tanto Marco aveva i suoi momenti da cazzone e se ne usciva con quelle grida senza motivo. O meglio, il motivo c'era ed era l'ansia di non sapere cosa stesse succedendo alla sua famiglia, la rabbia per non poter essere lì con loro, lo schifo che la guerra e la morte, quella coppia inscindibile, gli procuravano.
Lo vide di spalle, la sigarette tra le dita, mai troppo lontana dalla bocca, nemmeno mentre espirava.
《Finirai per impazzire se non ti metti l'anima in pace》 gli disse Paolo, senza giri di parole.
《Sono già fuori di testa》 rispose l'altro con un'alzata di spalle, senza guardarlo ma continuando a tenere le iridi scure fisse davanti a sè.
L'amico sospirò e gli si affiancò.
《Tieni duro, finiamo questa cazzo di guerra e torniamocene a casa, ok?》 Strinse la spalla di Marco con forza e affetto, guardandolo.
《E se dovessimo perderla, la guerra?》 disse questi con voce spenta.
《Dimmi una guerra, una sola, che gli statunitensi hanno perso》 rispose semplicemente il moro, con una risata che non riusciva a trasmettere nessuna allegria.
《E se allora dovessimo vincerla?》 In quel momento Paolo spostò lo sguardo dal profilo del suo migliore amico per posarlo su ciò che guardava anche lui: Bogotà.
Si estendeva davanti a loro, intorno a loro. Era diventata loro. Ed era completamente distrutta.
Non trovò nulla da dire, così rimase in silenzio al suo fianco, finchè il filtro della sigaretta non finì sotto la sua scarpa.
 
Erano tornati dentro nella calma generale, come se non fosse successo nulla, e poco dopo le luci erano state spente e tutti si erano visti costretti a mettersi a dormire.
Marco giaceva supino sulla sua branda.
Allungò lentamente una mano sotto il cuscino, come se si stesse avvicinando a qualcosa di rovente, e le prese tenendole davanti al viso.
Due rettangoli di carta lucida, due foto. Nell'oscurità non riusciva a vederle, ma ormai ne aveva imparato ogni tratto a memoria: in quella più grande c'era tutta la famiglia Trini, la sua famiglia, e lui e Afrodite erano ancora piuttosto piccoli, abbastanza da non ricordare dove si trovassero; in quella più piccola invece c'erano lui, sua sorella, Paolo e Silvia, durante uno dei tanti giorni di "rapimento" che avevano trascorso in montagna l'estate precedente.
"Vorrei aver avuto più tempo."
Ingoiò con rabbia il groppo che gli chiudeva la gola e le ripose sotto il cuscino.
"Merda."
 
 
NDA
Prima di tutto mi scuso se il linguaggio nell'ultima parte vi è sembrato volgare o fuori luogo, però ho pensato fosse necessario per contestualizzare l'ambiente :)
Il titolo e la seconda citazione sono presi dalla canzone Never say never dei The Fray, mentre la citazione all'inizio è un pezzo della canzone Counting stars dei Onerepublic. L'ultima citazione è presa invece da una lettera di Thomas Jefferson (visto che è il giorno dell'indipendenza americana, mi sembrava il minimo!) ad Abigail Adams.
Questo è il panorama che si vede dal molo di Pescara guardando verso la città. In primo piano c'è uno dei tanti travocchi.

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Ringrazio Sleepwalker graphic che ha realizzato questo bellissimo banner nuovo! :*
Vi abbraccio forte tutti e spero di ruscire ad aggiornare il più presto possibilie!
Delilah <3
  
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