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Autore: The Stranger On The Moon    11/07/2014    1 recensioni
La Bella e la Bestia, il Gigante e la Bambina, la Spada e la Rosa, così li chiamavano.
Poi la Bella ha domato la Bestia, la Bambina ha piegato il Gigante e la Rosa ha spezzato la Spada.
Come, chiedete?
Lui un tempo l'ha chiamato Peccato,
Lei un tempo l'ha chiamato Amore.
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alexander Andersen, Enrico Maxwell, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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8. Controluce
 

Entrò di corsa nella camera della ragazza, preoccupato.

-Miryam!
Era là, rannicchiata sotto le coperte. Le si avvicinò un po' meno allarmato, e si chinò a lato del letto.

-Stai bene?Mi sei sembrata spaventata.
Lei scosse le testa, il lenzuolo che la copriva completamente. Notò che tremava come una foglia, quindi alzò un lembo della coperta e guardò sotto.

-Un incubo?
Annuì, reprimendo a stento un singhiozzo.
Beh, forse per quel momento Satana aveva battuto in ritirata.
Già da quand'era piccola aveva dovuto combattere coi suoi incubi, particolarmente orribili perché erano veri: nient'altro se non tutto quello che le era successo.
Ora che era riuscita a dormire tranquilla per una notte i vecchi fantasmi dovevano essere tornati anche più spaventosi di prima.
Protese le braccia verso l'alto, come quando era piccola: e ad abbracciarla non ci trovò niente di male.
Ed eccola là, intenta a piangere anche l'anima addosso a lui, gli occhi rossi e lucidi, raggomitolata come a volersi fare il più piccola possibile.
Gran bella tentazione, eh?
Andava singhiozzando che le avevano fatto male, che in mezzo alla strada non voleva più tornarci, che avrebbe preferito le bastonate al bordello.
E, ogni tanto, gemeva:
-Ho paura, padre, ho paura...
Dal canto suo non poteva fare altro che tenerla stretta e ripeterle che oramai era tutto finito.
Gli ci volle del bello e del buono per calmarla, ed anche quando smise di piangere si aggrappò a lui così disperatamente che non ebbe davvero il cuore di staccarsela di dosso; si rassegnò a passare la nottata bloccato, braccia e gambe.

Poco ci mancò che non lanciasse un urlo quando la mattina avvertì che c'era qualcun altro nel suo letto.
Le ci volle un po' per spiegarsi che cosa diamine ci facesse padre Andersen a dormire saporitamente con la testa posata sul suo petto.
Ah, era perché ieri sera aveva avuto un incubo e lui era rimasto a rassicurarla. E difatti era abbrancata a lui gambe e braccia, impedendogli il movimento.
Slacciò l'abbraccio e gli sistemò meglio la testa, che ciondolava in bilico: poi gli affondò delicatamente una mano fra i capelli, badando a non svegliarlo.
Che le prendeva?Di uomini ne aveva avuti a palate: si era svegliata schiacciata dal loro peso decine di volte; li aveva sempre visti affondare il volto nel suo seno con disgusto, per loro e per se stessa, che li lasciava fare; si era tolta dalla strada con le sue stesse forze pur di non dover più vedere quello spettacolo mattutino e sopportare tutto il resto.
Eppure adesso aveva un uomo nel suo letto, anche se non di sua volontà; lei stessa gli aveva sistemato la testa sul suo petto; sempre lei che, ora, gli stava carezzando il volto, osservandolo con un misto di desiderio e timore; lei che non voleva svegliarlo.
Qual era il problema? Voleva togliersi la soddisfazione di averlo per una notte soltanto?
Ma non era solo attrazione fisica, anzi - e fece scivolare le dita lungo la nuca, provocandogli un fremito - era qualcos'altro, qualcosa che non avrebbe saputo definire: lei aveva in odio gli uomini, eppure per lui era diverso. Non si era mai preoccupata troppo della sua istruzione, eppure aveva il timore di apparire stupida ai suoi occhi; coi suoi clienti non scambiava mai più di due parole, mentre traeva grande piacere dalla conversazione con lui.

Ma la differenza sostanziale era che, mentre di solito dagli uomini desiderava solo allontanarsi, cercava in tutti i modi di avvicinarsi a lui. Si sentiva al sicuro fra le sue braccia, protetta, benvoluta; se avesse potuto, sarebbe rimasta così per sempre.
Gli tracciò il profilo delle spalle con la punta delle dita.
Fosse stata questione di sedurlo, non ci sarebbe stato alcun problema: tempo due giorni e sarebbe stato ai suoi piedi. Non per niente era uno dei suoi maggiori talenti. I preti, poi, erano una delle razze più facili da far capitolare: legati com'erano dal voto di castità e disabituati alle donne, bastava qualche grazia più terrena che divina a farli impazzire. Lui, nello specifico, le rendeva il gioco ancora più semplice: col temperamento violento che aveva, si infiammava per un nonnulla; di rabbia, e - ci avrebbe scommesso - anche di passione.
Bastava scovare i suoi punti deboli.
Iniziava anzi a vedere segni di cedimento senza aver fatto alcunché. Anche Maxwell, fra l'altro, stava iniziando ad interessarsi - un po' troppo, per i suoi gusti.
E lei che era venuta in Vaticano per stare lontano dagli allupati.
Ma comunque non era solo lussuria, non voleva quello: c'era dell'altro, qualcosa di molto più complicato.
Lui era come un insieme di modi di fare, pensieri, sorrisi e gesti che le piacevano riunitisi in una sola persona: e da quella persona voleva essere desiderata per i suoi modi di fare, per i suoi sorrisi, per i suoi pensieri, per i suoi gesti; e non solo per il suo corpo.
Era forse quello l'amore di cui aveva letto?
Poteva, dopo tutto, provarlo anche lei?
Ma non era il momento di farsi quel genere di domande: oramai con le mani era arrivata sino all'addome, e lui era in tensione; rischiava di svegliarlo.
Decise di non troncare affatto quel gioco; anzi. Per la prima volta nella sua vita non solo non si trovava disgustata nell'accarezzare un corpo, ma addirittura lo desiderava: l'importante era lui.
Risalì passando le dita sul fianco caldo dell'uomo, che ansimò leggermente. Tornò quindi al petto, e lo lambì col palmo aperto e un movimento languido, chinandosi intanto sino a sfiorargli l'orecchio con la bocca.
Iniziò a stuzzicargli il lobo con le labbra, badando a non utilizzare i denti per non destarlo: sarebbe stato decisamente imbarazzante trovarsi in quella situazione.
Ma lei amava il rischio.
-Alexander- Sussurrò appena, leggerissima. Lo sentì reagire con un sospiro basso.
Chissà quanto tempo era che non lo chiamavano più per nome. Faceva uno strano effetto anche a lei chiamarlo: sentiva come una sorta di vuoto allo stomaco.
Una mano gli strisciò alla gola, l'altra gli si insinuò fra i capelli. Lui diede in un altro sospiro, più sonoro del primo.
-Ti piace?-Mormorò ancora, seguendo il profilo della mascella con le dita. Sentì i polpastrelli della sinistra venire graffiati dalla barba ispida che gli cresceva sulle guance, interrotta dalla cicatrice; con la destra gli stava lentamente facendo il contropelo alla nuca. Doveva essere un punto particolarmente sensibile per lui, perché fremette di nuovo e mosse appena la testa.
Le piaceva da morire che fosse così massiccio: gli uomini mingherlini e ossuti la schifavano più del normale, perché le sembrava di avere un cadavere nel letto. Lui, invece di ossa in vista non ne aveva, eccetto quelle delle costole, e le ricordava vagamente un cinghiale od un orso: qualcosa di imponente, comunque, e di molto selvatico. In effetti, sebbene avesse il suo lato dolce, non sembrava il tipo che si lasciava domare facilmente.
Gli baciò il collo un paio di volte, poi si accostò di nuovo al suo orecchio.
-Devo continuare, Alexander?-Soffiò, facendogli scorrere le mani per tutta la lunghezza delle braccia.
Le rispose un "Hmmm" basso.

Lo osservò per un istante: le tapparelle erano quasi del tutto abbassate, e una lama di luce li disegnava come null'altro che due nere figure in controluce.

A malincuore slacciò anche le gambe e scivolò fuori dal letto.
Si cambiò velocemente, controllò l'orario-perfetto, le sei e mezza-e poi si chinò su di lui, scuotendolo gentilmente per una spalla.

-Padre-Chiamò.
L'uomo voltò leggermente la testa verso di lei, ma non dette segno di volersi svegliare.

-Padre, è tardi- Ripetè, scuotendolo un po' più energicamente.

Per tutta risposta, l'altro diede in un mugolio incomprensibile.

-Ehi!- Esclamò, assestandogli un buffetto leggero sulla guancia.

Di malavoglia, Andersen dischiuse gli occhi.
Il paio d'occhi verdi più bello di tutta Roma, pensò suo malgrado.
-Mi dispiace averla tenuta qui, stanotte. Ha dormito bene?-Si informò educatamente.
-I-io...Sì...Che ore sono?-Farfugliò, guardandosi intorno spaesato e cercando gli occhiali a tastoni.
-Le sei e mezza. Ha tutto il tempo di tornare in camera sua e far finta di venirmi a svegliare-Rispose, porgendoglieli.
-Ah, bene...
-Mi scusi ancora, capisco quanto la situazione sia sconveniente...
-Ma no, tranquilla...-Si tirò in piedi e si stiracchiò-È solo che mi sei sembrata spaventata...Come quando eri piccola, se non di più.-
Buttò lì un vago suono di assenso, imbarazzata.
-Dev'essere stato terribile, non è così?- Disse ancora, comprensivo.
-Ad altri va peggio- Commentò lei, con un sorriso che diceva tutto il contrario.
-Quando vuoi sono qui- Concluse, strofinandole una mano sulla spalla. Poi uscì.

-Ci vediamo fra mezz'ora.
-Ah!-Si voltò a guardarla un'ultima volta. Lei lo fissò di rimando, perplessa.
-Sai che hai dei cuscini davvero comodi?

  
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