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Autore: BlackSocks    12/07/2014    2 recensioni
E' la metà del 1900: l'epoca delle caldarroste sulle strade, delle cabine telefoniche, delle favolose ascese sociali, del misero dopoguerra.
Quali amori, quali vicende e avventure sconvolgeranno la vita di un'audace e splendida ragazza?
Genere: Angst, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Primo - Ciliegie e cannellini


Maggio 1928-1929, nei pressi di Matera, Lucania.

Era mezzogiorno. Il sole picchiava sulla terra, la induriva e la seccava, le pietre diventavano incandescenti, gli uomini sudavano, gli animali soffrivano. Quasi tutti si erano riparati dalla calura di maggio in paese. All'ombra c'erano quasi trenta gradi.
Eppure c'era chi di tutto questo ne approfittava.
«Antonio, io però questo...non lo voglio fare» disse Angelino.
«E invece si, lo farai. Dammi na mano!» ordinò il fratello maggiore.
Antonio salì sulle mani congiunte del fratello e si aggrappò ad un ramo del grosso ciliegio.
«Muoviti! Sali!» gli intimò.
Angelino tentennava. Non voleva salire. Non perché avesse paura dell'altezza o fosse pigro, anzi. Di solito quando il fratello gli diceva di fare qualcosa la eseguiva subito, ma quello... era tutta un'altra storia. L'albero apparteneva al signor Grossi, un uomo che abitava fuori città, con una piccola masseria e qualche ettaro di ulivi. Inoltre, sul suo terreno, c'era un grande ciliegio, che proprio di quei tempi faceva i più buoni frutti della zona. Erano la tentazione di molti. Il signor Grossi però era troppo impegnato per raccoglierli e li lasciava marcire lì, inutilmente, come uno sfregio nei confronti della natura.
«Angelo, prendi almeno le ciliegie che ti lancio!»
Proprio in quel mentre dietro di loro sentirono delle urla. Grossi, con tutta la sua enorme stazza, avanzava minacciosamente verso di loro. Antonio cercava di scendere dall'albero il più velocemente possibile, mentre Angelo era indeciso se andare o aspettarlo. La bretella di Antonio però si era incastrata in un ramo. «Idiota, vattene!» gridò allora al fratellino.
Angelino corse come il vento.
Quando arrivò a casa trovò i genitori seduti in cucina, la mamma che cullava il piccolo Vito, il nuovo nato di casa, e il padre che leggeva il giornale.
Raccontò loro la storia. Quel giorno le prese da suo padre, che gli mollo uno scapaccione sul sedere prima di uscire alla volta della Masseria Grossi. Rubare era peccato, glielo avevano detto un centinaio di volte. Quando tornarono anche Antonio, che sebbene allora fosse un tredicenne alto e robusto, si massaggiava sedere. Il Papà si sedette di fronte alla Mamma.
«Dovevi vederli, Nunzietta!» disse ridendo. «Grossi lo minacciava con una sega! Voleva tagliare l'albero!» disse guardando Antonio, che non sembrava per niente divertito.
Anche la Mamma rise.
«E' sempre stato... matto quell'uomo» commentò.
Angelino si avvicinò al padre timidamente, abbassò gli occhi contemplando il pavimento. Si avvicinò ancora di più, fino a quando non gli fu accanto. Allora Rocco alzò la mano e gli accarezzò la testa: era perdonato.
Quella sera dormì bene. Il mattino dopo però la voce della nonna lo svegliò all'improvviso e orribilmente. La nonna. La nonna!
«Oh no!» gridò Antonio svegliato anche lui da quel terribile e inconfondibile suono. I tre fratelli condividevano la stanza, anche se Vito dormiva il più delle volte con i genitori ancora, avendo meno di diciotto mesi.
«Che ci fa la nonna qui?» chiese allarmato Angelo a nessuno in particolare.
«Scappiamo!» esclamò Antonio indicando la finestra mentre si infilava i pantaloni.
Purtroppo la porta si aprì prima che il piano potesse essere realizzato. La nonna entrò nella camera senza bussare, come suo solito, e si posizionò davanti ai nipoti. Era una donna piccola, bruna e magra, per nulla spaventosa, a prima vista. «Quanti anni hai?» chiese ad Angelo anche se lo sapeva benissimo. Antonio si iniziò a rilassare, non era con lui, quella volta, che lei voleva prendersela.
«I-io ne ho s-sei» rispose lui.
«Perchè non hai incominciato la scuola a settembre?» chiese alzando il tono della voce.
Angelino non rispose, in realtà non lo sapeva nemmeno lui.
«Rispondi» gli intimò.
«Non lo so!» disse allora il bambino. La nonna pareva soddisfatta. «Ci andrai da subito. Non voglio un altro nipote ignorante nella mia famiglia» disse alludendo ad Antonio, che si era fermato al diploma di terza media. «Tu da grande andrai anche alle scuole superiori, mi hai sentita bene?»
Angelino aveva sentito e ne era terrorizzato. Aveva sentito dai suoi coetanei storie inquietanti sulla scuola. Ti bruciavano con i ferri roventi, ti appendevano a testa in giù... ti picchiavano con una frusta! No, lui a scuola non volava andare, per nessuna ragione al mondo!
Di scatto, senza pensare, sorpassò la nonna ed uscì dalla porta, poi superò la mamma che portava il pane sulla tavola e la urtò, infine si ritrovò in strada.
Corse, sapendo già dove andare. Era solito andare a trovare il suo cane, Baiamonte, che abitava in una piccola casa nelle campagne di suo padre. Era una masseria piccola, dove di solito gli uomini alloggiavano quando andavano a caccia. Lì c'erano Baiamonte e sua madre, Sentinella.
Baiamonte era il cane di Angelino, ed Angelino era il padrone di Baiamonte, non c'era legame più forte. Erano inseparabili. Inoltre li legava un segreto. O meglio, Angelo credeva fosse un segreto anche se non lo era propriamente: nessuno sapeva il nome di quel cane, tranne lui, e nessuno sapeva come chiamarlo. Era per questo, forse, che erano così legati.
Si andò a rifugiare nella masseria, nonostante fossero diversi chilometri a piedi.
A mezzogiorno gli venne fame. Accentuata dalla sua fantasia, per mezzo della quale si paragonava agli eroi dei suoi racconti preferiti, la sua fame divenne un tormento incredibile, torturato da terribili demoni che lo facevano patire per privarlo del suo coraggio.
Correva in giro saltellando e gridando “Non mi avrete, sporchi demoni maligni!” trascinandosi dietro il povero Baiamonte accaldato.
Alla mezza decise che era ora di tornare a casa e salutò Baiamonte. Una volta arrivato sentì il profumo delle patate al rosmarino e prezzemolo, dei taralli freschi in forno e della zuppa di cipolle.
Sbirciò dalla porta d'ingresso, che era sempre aperta come consuetudine nei piccoli paesi, e non vide nessuno, tranne Vito, seduto su una panchetta che mangiava le sue patate. Entrò.
Mentre si avvicinava furtivamente al fratellino minore, sentì la porta sbattere dietro di lui e si voltò di scatto. La nonna la bloccava con le braccia e lui era in trappola.
«Andrai alla scuola pomeridiana!»
A quella nonna, così terribile, così odiosa, così temibile, si deve tutto il futuro di quel bambino.
Se lui non avesse messo piede in quella scuola io non sarei qui a raccontarvi questa storia.
Non solo a scuola nessuno lo appese a testa in giù, anzi!, a scuola si divertì come non mai. Era bravo con i numeri per natura, aveva un istinto naturale che lo spingeva ad andare sempre avanti, ad essere il migliore. Sapeva già leggere meglio di tutti i suoi compagni, merito della madre e della sua passione per la poesia e i romanzi, e presto si ritrovò ad essere il preferito dell'insegnante.
«Ecco qui il nostro geometra!» esclamava il padre quando tornava.
«Macché, lui sarà un medico!» ribatteva la madre.
Solo Antonio lo guardava di sottecchi. Angelo però non se ne accorgeva. La sera sognava tutti i cannellini e le caramelle che avrebbe ricevuto come premio il giorno dopo.
Così passò un anno.
«Oggi quanti anni compi?»
«Sette!» rispose lui pronto alla signora che gli pizzicava insistentemente la guancia.
«Bravo!» esclamò lei come se fosse merito suo il fatto di essere arrivato a quella veneranda età.
«Angelino! Vieni, veloce, che facciamo tardi!» esclamò il padre.
Quel giorno andarono fino a Matera per vedere il cinema. Era un regalo stupendo. Angelo non c'era mai andato. Fu lì che per la prima volta si innamorò.
«Sposerò Mary Pickford» sussurrò.

 


ANGOLO DELL'AUTRICE: SALVE! Ringrazio veramente
chi segue questa storia, è meraviglioso sapere che ho interessato qualcuno!
So di aver cambiato nome alla storia tremila volte, ma sono un po' scema e spero mi perdoniate. Alla fine QUESTO è il TITOLO DEFINITIVO.
Parliamo di questo capitolo? PERDONATEMI!
Non c'è ancora la storia d'amore. Si, si lo so: la sto facendo troppo lunga...ma l'infanzia mi sembra un periodo importante. Non vorrei tralasciarla.
Penso che nel prossimo capitolo già inizierà a succedere qualcosina.
Comuque vi ho dato un'indizio. Molto probabilmente non conoscete la Pickford, sinceramente nemmeno io la conoscerei se non me ne avessero parlato i miei nonni e mia madre non avesse una passione sfrenata per i vecchi film (che condivido in parte).
In questo capitolo ho parlato solo di Angelo, è vero, nel prossimo non sarà così.
Allora, spero, a sabato prossimo bellezze.
-Blacksocks

 

P.S. le recensioni non sono d'obbligo, ma sono assolutamente gradite ;)
 

   
 
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