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Autore: EffieSamadhi    12/07/2014    3 recensioni
{Su YouTube è disponibile il trailer della storia: http://www.youtube.com/watch?v=diyTY0QZwSA}
Contrariamente a quanto pensa la gente, la vita di un rocker non è tutta 'sesso, droga & rock'n'roll': ci sono momenti in cui, come ogni persona normale, ci sentiamo stanchi e solitari e stufi del mondo, e se a volte ci capita di sembrare scostanti e scontrosi è solo perché vogliamo andare a casa, perché vogliamo infilarci sotto una doccia bollente o perché vogliamo spalmarci sul divano a guardare un programma trash in tv. [...] Mi chiamo Shannon Leto, ho quarantatré anni e mezzo e non vedo l'ora di andarmene a letto.
Tutti hanno bisogno di tempo per se stessi, e nessuno lo sa meglio di Shannon, che così preso dalla ricerca di un attimo di respiro si trova coinvolto in qualcosa che di privato e personale ha ben poco. Ma alla fine di tutto, Shannon si accorgerà che a volte la pace non si trova soltanto nella solitudine e nel buio, ma anche nella luce degli occhi di chi ci sta accanto.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Direzioni ostinate e contrarie.'
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Portagioie di tristezza | 1
Chiedo scusa da così tanto tempo che ormai avrete esaurito ogni scorta di pazienza. Non so spiegarmene i motivi, ma è da un po' di tempo che sono estremamente critica circa tutto ciò che scrivo, e questo porta inevitabilmente ad un ritardo immenso nella produzione e nella pubblicazione di nuovi capitoli. Inoltre, alcuni lettori hanno espresso critiche che mi hanno un po' buttato giù, anche se continuo a rispettare le idee di ciascuno. Scusate ancora, è un periodo, passerà.
Buona lettura,
EffieSamadhi






Portagioie di tristezza






Capitolo diciannovesimo
Siamo qui, nei grigi dell'inverno.
Siamo qui, solo io e te.
Stringi la mia mano,
affrontiamo domani.1


Parigi, 26 novembre 2013


    Quando il cellulare squilla, verso le sei del pomeriggio, sono immersa fino al collo nella vasca da bagno. So di dovermi vergognare, visto che mi trovo in una delle più belle città del mondo, ma ho scoperto di non aver alcuna voglia di uscire, se l'unica compagnia che mi aspetta è la solitudine. Meglio starmene tappata in camera a rilassarmi e combattere i peli superflui. Quando riconosco il numero del mittente come quello del cellulare di mio padre, però, mi metto sull'attenti e cerco di rammentare la struttura della bugia che gli ho propinato. «Ciao, papà!» lo saluto, mantenendo un tono allegro che spero lo rassicuri.
    «Ciao, tesoro. Come va da quelle parti? Che fai di bello?»
    «Oh, sono tornata mezz'ora fa, più o meno. Stavo per farmi un bagno, sono veramente stanchissima.» In realtà, penso che dovrei proprio uscire, perché le dita stanno iniziando a diventarmi tutte rugose – ma non è colpa mia se stare a mollo mi è sempre piaciuto un sacco.
    «Sei stata fuori fino a quest'ora? Ma è già buio!»
    «Tranquillo, la fiera è ben illuminata. Ho finito i miei giri alle quattro e mezza, sono passata a prendere un cappuccino in un bar e poi sono tornata in albergo in taxi. Nessuna situazione pericolosa.» In realtà, forse un paio delle cose che mi ha fatto Shannon questa mattina potrebbero rientrare in quella definizione... ma non è il caso di parlarne con mio padre.
    «Trovato qualcosa di interessante?»
    «Beh, diciamo che oggi ho esplorato, più che altro. Volevo farmi un'idea della situazione, prima di lanciarmi negli acquisti. Però ho individuato qualcosa che potrebbe interessare. Ci sono parecchi autori interessanti. Ho assistito a qualche conferenza, qualche incontro con gli scrittori... lavoro di routine, insomma.»
    «Conosciuto qualcuno di famoso?»
    «No, più che altro scrittori esordienti o poco conosciuti. Alcuni non li avevo mai sentiti nominare, se devo essere sincera. Domani farò ancora una mezza ricognizione, poi credo inizierò a darmi da fare.»
    «Fai sempre attenzione, mi raccomando. È una città molto grande, sei da sola.»
    «Tranquillo, papà. Lo sai che di me ti puoi fidare.» Solo per un attimo, mi rendo conto che questa è la bugia più grande che gli abbia mai raccontato – è solo un attimo, ma ho la sensazione di essere una persona veramente orribile. Mio padre non merita che gli faccia questo – ma avevo altra scelta? Se gli avessi raccontato la verità, pur di tenermi a Torino mi avrebbe legata al letto.
    «E va bene, mi fido. Ci sentiamo domani?»
    «Ma certo, a domani. Magari chiamo io, così non devi sempre spendere tu. A casa tutti bene?»
    «Tutto in ordine. Nonna continua a dirmi che non ti devo assillare.» Fa una breve pausa, forse per lasciarmi rispondere, ma non riesco a trovare nulla da dire. «Ci manchi tanto.»
    «Mi mancate anche voi, papà. Ma tra una settimana torno, non vi preoccupate. Parigi è una città stupenda, ma non potrei mai stare troppo lontano da voi.»
    Quando riattacco, un minuto più tardi, mi arriva un avviso di chiamata da parte di Shannon, e il primo pensiero è che mi abbia chiamata durante una breve pausa. Esco dalla vasca, mi metto addosso l'accappatoio e mi sposto in camera, componendo il suo numero. Risponde subito, e sentire la sua voce mi rilassa più di duecento bagni. «Ehi, mi hai cercata?»
    «Sì, ti ho appena chiamata, ma era occupato.»
    «Stavo parlando con mio padre. Ha chiamato per sapere se stavo bene.»
    «La storia regge?»
    «Per ora sì. Non vedo motivo per cui dovrebbe sospettare che gli sto propinando più bugie adesso di quante gliene abbia raccontate in tutta la vita.»
    «Ti spiace di dovergli mentire?»
    «Un po' mi mette a disagio. Mentirei, se dicessi il contrario. Ma è per una buona causa. Almeno, buona per me. Siete in pausa?»
    «Jared ci ha concesso dieci minuti, ma soltanto perché gli scappava» risponde, e mi viene da ridere al pensiero della grande e acclamata star della musica che deve cedere al richiamo della natura. Forse l'ho idealizzato troppo, ma per qualche motivo non riesco ad immaginarmi Jared che fa gesti normali come andare in bagno o lavarsi i denti. «Volevo sentirti. Che fai di bello?»
    «Per farla breve, ho oziato tutto il pomeriggio. Sono appena uscita dalla vasca da bagno.»
    «Per qualche strana ragione, credo che avrei preferito passare il pomeriggio con te» replica, con un tono decisamente carico di malizia.
    «Te l'ha mai detto nessuno che sei un maniaco?» lo prendo in giro.
    «Molti, in effetti, ma detto da te mi suona come un complimento. Senti, volevo chiederti una cosa. È un'idea che mi è venuta mentre provavamo Bright lights, poco fa.»
    «Oh, è una delle mie canzoni preferite del nuovo cd» sospiro, ripensando al ritornello che tanto adoro. «Ma dimmi, che genere di idea?»
    «Beh, ho pensato che sarebbe stato carino cenare insieme, stasera.»
    La proposta mi confonde un po', visto che davo per scontato che avremmo cenato insieme. «Perché, non avremmo dovuto cenare insieme?» gli domando, chiedendomi quale altro genere di programmi avrebbe potuto avere.
    «Scusa, mi sono espresso male. Intendevo 'cenare insieme' noi due soli. Senza Tomo, senza Vicki, e soprattutto senza mio fratello. Ho voglia di stare un po' di tempo solo con te.»
    «Ma certo, per me va bene, ma... abbiamo già passato parecchio tempo da soli.»
    Lo sento ridacchiare appena all'altro capo della linea. «Sì, lo so, ma... credimi, non credevo che avrei mai potuto partorire una frase del genere, ma... speravo di poter passare un paio d'ore insieme con i vestiti addosso» spiega, abbassando la voce sul finire della frase.
    «Oh, capisco. Ma certo, per me va più che bene. Hai già in mente qualcosa?»
    «Beh, in realtà avevo già organizzato tutto prima ancora di chiederti se eri d'accordo. O meglio, ho chiesto ad Emma di organizzare tutto. Da solo non sarei mai riuscito a mettere insieme tutti i pezzi.»
    «Quindi a me non resta che scegliere i vestiti, dico bene?»
    «Pare proprio di sì.»
    «Dove hai intenzione di portarmi?»
    «Se te lo dicessi, non sarebbe più una sorpresa.»
    «E dai, concedimi almeno un indizio... non vorrei rischiare di essere fuori luogo.» Taccio per un attimo, durante il quale un atroce dubbio mi attraversa la mente. «Non hai intenzione di portarmi in un ristorante di lusso, vero? Perché in quel caso credo proprio di non avere nulla di adatto da mettere. Insomma, non ho mai avuto vestiti eleganti.»
    «Non ti serve un vestito elegante, tranquilla. Puoi vestirti come ti pare. Per quanto mi riguarda, potresti anche metterti una tuta. Quello che mi importa è stare con te, non mi importa che cosa indossi... o non indossi» aggiunge, abbassando di nuovo la voce.
    «Maniaco» lo rimbecco, pur sorridendo. «E dai, dove mi porti?»
    «Non te lo dico, quindi smettila di fare la curiosa. Ora devo andare, Jared è tornato e mi sta guardando malissimo.»
    «Va bene, ti lascio andare. A che ora ci vediamo?»
    «Fatti trovare davanti all'albergo alle otto, va bene? A dopo.»
    «Va bene. A più tardi.» Metto giù, e dopo un paio di istanti di riflessione riprendo il cellulare: ci sono situazioni in cui avere un'amica fidata come Alice è di importanza vitale.



*



Torino, 26 novembre 2013


    Riconoscendo sul display il nome della miglior amica che abbia mai avuto, Alice sorride. «Mais bonsoir, chérie! È bello vedere che ti ricordi ancora di noi comuni mortali! Allora, come sta andando nella vecchia Paris
    «Magnificamente» sospira Daria, lasciando trapelare tutta la propria serenità.
    «Com'è l'albergo?» domanda Alice, stendendosi di schiena sul letto.
    «Il migliore di Parigi, suppongo. La camera è semplicemente stupenda. È più o meno grande quanto il mio appartamento, credo.»
    «E immagino che tu l'abbia esplorata a fondo» replica Alice, calcando molto il tono sull'ultima parte della frase. «Hai già visto qualcosa del mondo esterno?»
    «Poco, a dire il vero» ammette l'altra ragazza. «Ma sono qui soltanto da ventiquattro ore. Se sottrai il tempo dei pasti, le ore di sonno...»
    «...le ore di sesso...»
    «Alice!»
    «Via, non fare la santarellina. Non dirmi che non lo avete fatto almeno dieci volte, perché non ti credo. È già tanto se sei arrivata in albergo con tutti i vestiti addosso.»
    «Beh, immagino di dover ammettere che ci siamo dati da fare... mi è mancato, sai? Non soltanto il sesso, intendo. Non che non mi sia mancato anche quello, certo, ma... più di tutto il resto mi mancava sentirlo vicino, e il modo in cui mi guarda... parlare con lui... Dio, non mi sono resa conto di quanto mi mancasse tutto di lui finché non l'ho rivisto.»
    «La mia bambina è cresciuta...» commentò Alice, senza smettere di sorridere. «Sei proprio innamorata cotta. Deduco che lui sia ancora straordinario quanto lo ricordavi.»
    «Oh, lo è. Oh, ieri sera ho conosciuto anche gli altri. Tomo è qui con Vicki, e non hai idea di quanto siano... normali. Insomma, abbiamo cenato insieme, e sono stati semplicemente fantastici. Lei è stupenda, scommetto che ti piacerebbe.»
    «Non hanno disatteso le aspettative, allora. Ci sono sempre sembrati entrambi due tipi alla mano.»
    «Oh, non le hanno disattese per niente. Mi sono sentita veramente a mio agio, e tu sai quanto sia difficile per me sentirmi a mio agio in una situazione nuova.»
    «E mister Perfezione, invece? Si è abbassato al livello dei comuni mortali o è rimasto sul suo piedistallo a guardare il mondo dall'alto della sua divaggine?»
    «Direi che è sceso. Ieri sera c'era anche lui, ma non mi ha dato molta confidenza. Certo, Shannon mi aveva avvertita, quindi la cosa non mi ha sorpresa. Però oggi...»
    «Oggi cosa?»
    «Beh, ieri sera Shannon è andato a parlare con lui, per sapere che cosa ne pensasse di me. Sai, per capire che impressione gli avevo fatto.»
    «A chiedere la sua benedizione, vorrai dire» scherza Alice. «E qual è stato il responso?»
    «Beh, quando Shannon è tornato io stavo già dormendo, quindi stamattina mi sono svegliata presto e sono andata nella sua stanza per parlargli faccia a faccia.»
    Alice si mette a sedere di scatto, incredula. «Tu hai fatto cosa
    «Sono andata a bussare alla sua porta e gli ho chiesto che cosa avesse detto a Shannon.»
    «Sto parlando con Daria Giordano, la mia migliore amica? Quella che a scuola parlava soltanto se interpellata e aveva paura anche di alzare la mano per chiedere di andare in bagno?»
    «Lo so, non è da me.»
    «No, per niente. Per caso alla dogana hanno sequestrato la tua personalità?»
    «Non esiste più la dogana» replica Daria, sorridendo per la battuta dell'amica. «Non so che cosa mi sia successo, sono sincera. Ho aperto gli occhi e ho sentito che era una cosa che dovevo fare. Dovevo... credo di aver voluto dimostrare a me stessa che sono in grado di cavarmela da sola. Abbiamo parlato per quasi un'ora. È stato... non lo so, liberatorio. Mi ha detto che è felice di sapermi accanto a suo fratello.»
    «Frena, frena, frena. Jared Leto ti ha detto che è contento di sapere che vai a letto con Shannon? Con il suo unico fratello, il suo amico più caro, la persona più importante della sua vita?»
    «Qualcosa del genere. Ha detto che è felice di sapermi accanto a lui, e che pensa che tra di noi potrebbe funzionare. Sono la prima ad esserne sconvolta, quindi non mi meraviglio che sorprenda anche te.»
    «Credo che meraviglierebbe chiunque. Sicura che non stesse soltanto cercando di rabbonirti? Insomma, non voglio distruggere la tua felicità, ma sappiamo entrambe che a volte non sembra una persona molto equilibrata.»
    «Era sincero, Alice. Insomma, lo so che sono sempre molto ingenua quando si tratta di capire le intenzioni altrui, ma sono più che certa che fosse sincero. Mi guardava dritto negli occhi mentre lo diceva. E lo so, so che è un ottimo attore, ma sono più che certa che non stesse mentendo. E poi Shannon mi ha confermato che ha detto le stesse cose anche a lui. Potrebbe aver mentito a me, ma non a suo fratello.»
    «E sappiamo che a te Shannon non mentirebbe, quindi... Dio, sono così felice per te! So quanto sia importante per te avere la sua benedizione, approvazione, chiamala come vuoi. Sono davvero molto, molto felice.»
    «Lo sono anch'io, credimi.» Daria tace per un attimo, poi riprende: «Shannon vuole portarmi a cena fuori, stasera. Soltanto io e lui.»
    «Romantico, l'animale... dove ti porta?»
    «Non ne ho idea. Gliel'ho chiesto, ma ha detto che è una sorpresa. Per quel che ne so, potrebbe anche portarmi in cima alla torre Eiffel.»
    «Di classe... che hai intenzione di metterti?»
    «In realtà, è anche per questo che ti ho chiamata. Mi serve il tuo aiuto. Credo di non avere idea di cosa indossare. Di sicuro non ho niente di elegante, e mi sta prendendo il panico. Insomma, che succede se mi porta in un locale di lusso? Non ho niente di adatto all'occasione.»
    «In verità, qualcosa di adatto lo hai. Te l'ho infilato in valigia mentre non guardavi.»
    «Sì, l'ho trovato. Ma non ho alcuna intenzione di metterlo. Non mi andrà nemmeno, ne sono sicura. Tu ed io abbiamo taglie diverse.»
    «Non abbiamo taglie diverse. È solo che tu hai argomenti più... interessanti a livello toracico. Ma ti andrà, ne sono sicura. Al massimo stringerà un pochino, ma credo che a Shannon non dispiacerà. Lo sanno tutti che apprezza sempre un décolleté abbondante. E comunque quello va bene per qualunque serata.»
    «Alice, no.»
    «Preferisci mettere un paio di jeans e rischiare di sentirti a disagio per l'intera serata? Metti quello, un golfino nero e quegli stupendi stivali che adoro e che un giorno ti ruberò, e vedrai che sarai perfetta. Lui non farà che domandarsi cos'ha fatto di bello per meritarsi una simile meraviglia, gli uomini intorno non ti staccheranno gli occhi di dosso e le donne ti invidieranno da morire. Fidati. Quando mai ti ho raccontato bugie?»



*



Parigi, 26 novembre 2013


    Alle otto meno cinque scendo nella hall e di lì esco, rispondendo cortesemente al saluto del concierge e del portiere. Mi guardo intorno, cercando Shannon, e quasi subito mi viene incontro un uomo in giacca e cravatta. «La signorina Giordano?» mi domanda in francese.
    «Sono io.»
    «Il signor Leto mi ha mandato a prenderla. Se vuole seguirmi.» Lo squadro per qualche istante, chiedendomi se sia più prudente obbedire e rischiare di venire uccisa e fatta a pezzi o rientrare in hotel per chiamare Shannon e avere una conferma. L'uomo sorride, porgendomi un post-it. «Ha detto che probabilmente non si sarebbe fidata, quindi ha detto di darle questo.»
    Prendo il foglietto, constatando che la grafia è proprio quella di Shannon. Non immaginare scenari apocalittici. È un autista qualificato. «In tal caso, immagino di doverla seguire» rispondo, sorridendo a mia volta.
    «Prego.» Mi precede, avvicinandosi ad un'elegante macchina scura tirata a lucido. Mi apre la portiera, come se fossimo in un vecchio film di Audrey Hepburn, aspetta che mi sia sistemata e la richiude, come un vero autista. «Il signor Leto mi aveva avvertito che parlava correntemente il francese, ma devo farle i complimenti. Lei ha davvero un'ottima pronuncia» esordisce dopo un po', dando una rapida occhiata allo specchietto retrovisore.
    «La ringrazio. Di preciso dove le ha detto di portarmi, il signor Leto?»
    «Ha detto che lo avrebbe chiesto, ma mi ha fatto promettere di non dirlo. Ha detto che deve rimanere una sorpresa.»
    «Le prometto che all'arrivo fingerò di essere molto sorpresa.»
    «Mi dispiace, ma sono un uomo di parola» sorride, scuotendo la testa. «E poi sono stato pagato profumatamente per mantenere il segreto. Non posso certo violare il contratto. Comunque non ci vorranno più di dieci minuti per arrivare. Si metta comoda e si goda il viaggio.»
    Rimaniamo in silenzio per il resto del tragitto: devo ammettere che quest'uomo è davvero un ottimo autista, che riesce a farsi strada senza difficoltà nel traffico nervoso e congestionato del centro di Parigi. Mi rilasso contro il sedile e mi godo il panorama, cercando di orientarmi e cogliere indizi dagli edifici che scorrono ai due lati della strada – nonostante sia tranquilla, non mi piace l'idea di non sapere dove stiamo andando.
    Finalmente, non appena mi sono arresa all'idea di rimanere nell'incertezza, l'autista ferma l'auto e spegne il motore. «Aspetti, l'aiuto a scendere.» Scende, fa il giro dell'auto e mi apre lo sportello, porgendomi una mano che accetto volentieri.
    «Grazie...» inizio, fermandomi subito dopo – vorrei sapere chi devo ringraziare, ma mi rendo conto di non conoscere il suo nome.
    Forse comprendendo il mio dubbio, l'uomo richiude lo sportello e mi sorride. «Sébastien. Mi chiamo Sébastien.»
    «Grazie, Sébastien» riprendo, sorridendo a mia volta. «Dove siamo, di preciso?»
    «Suppongo di doverglielo, a questo punto. Quello è il Pont Neuf» spiega, indicando l'enorme costruzione poco distante da noi. «E quella è la Senna» prosegue, indicando il fiume, «ma immagino che questo lo avesse capito da sola. Andiamo, la accompagno.»
    «Mi accompagna... dove?»
    «Sul luogo dell'appuntamento, naturalmente. Dovremo camminare soltanto un paio di minuti.» Consapevole di non poter disobbedire inizio a camminare, rimanendo un paio di passi indietro. Quando iniziamo a scendere una scaletta, capisco che mi sta portando verso uno dei moli dai quali partono i celebri bateaux-mouches. I gradini sono ripidi, e dovendo prestare tutta la mia attenzione alla discesa non penso nemmeno di guardare la barca attraccata. Quando sento Sébastien dire «Eccoci arrivati» alzo la testa, e per poco non ho un mancamento: il battello è illuminato a giorno da decine di piccole ed eleganti lanterne, tanto che posso vedere senza fatica che è completamente deserto, fatta eccezione per Shannon, in piedi sul ponte, lo sguardo rivolto verso di me. Sébastien fa scattare la serratura del cancelletto e si scansa, lasciandomi strada: «Il mio compito è finito. Le auguro una splendida serata.»
    «Grazie» rispondo, passandogli accanto quasi in trance. Non posso credere che Shannon abbia organizzato una cosa del genere – o meglio, che abbia chiesto ad Emma di organizzare una simile serata. «Che cos'è tutto questo?» sussurro appena mi trovo di fronte a lui, incapace di dire altro.
    «Volevo soltanto stare un po' da solo con te» risponde, prendendomi la mano e attirandomi vicino a sé. «So che probabilmente rientra tra quei comportamenti banali e scontati che tanto detesti, ma non sapevo che altro fare per guadagnarmi un briciolo di intimità con te. E non rispondere che potevamo restare in camera» aggiunge subito dopo, sfiorandomi il naso in quel gesto delicato che sembra racchiudere l'intera essenza del nostro rapporto. «Vieni qui, dai» riprende, facendomi scivolare un braccio dietro le spalle. Ci avviciniamo tanto da respirarci, ma prima che le nostre labbra si tocchino sembra passare un secolo: siamo stati separati soltanto per poche ore, ma già mi mancava la sua bocca, il suo bacio, il suo respiro caldo, il suo naso che sfiora il mio, la mano che sale a coprire la mia guancia e mi tiene vicina, così stretta da non farmi respirare. Posso tentare in tutti i modi di mentirmi, ma la verità è che di lui mi manca ogni cosa, e ogni volta che deve allontanarsi non faccio altro che aspettare il suo ritorno.



*



Parigi, 26 novembre 2013


    Appena tornato in hotel, Tomo ha annunciato che lui e Vicki avrebbero cenato in camera, trincerandosi dietro la scusa della stanchezza, ma Jared sospetta che abbiano soltanto voglia di restare soli, probabilmente per avere un'ulteriore occasione di portare avanti quel loro piccolo progetto di cui non parlano mai, ma che si avverte chiaramente essere la loro nuova priorità. Rimasto solo, Jared ha chiesto ad Emma di unirsi a lui per la cena – proprio non gli va di starsene solo, nonostante la solitudine non gli abbia mai fatto paura. «Grazie per essere qui» la ringrazia, sistemandosi il tovagliolo sulle ginocchia.
    «Non ho potuto resistere. Avevi quell'espressione da cucciolo abbandonato sul ciglio della strada... non ti si può negare niente, quando sfoderi quello sguardo» risponde la ragazza, sorridendo mentre mette via il cellulare. «E poi credo sia specificato nel mio contratto: non ti posso negare praticamente nulla.»
    «Di' un po', come capo sono uno stronzo?» le domanda dopo un lungo attimo di silenzio. «Insomma, è tanto difficile lavorare per me?»
    «No, non sei uno stronzo» lo rassicura lei, «e lavorare per te è... beh, forse è solo un po' meno semplice che disarmare la Germania.» Alza gli occhi sull'uomo che le siede di fronte, cercando di capire che cosa si celi dietro quella richiesta. «Non sei peggio di altra gente per cui ho lavorato. Almeno tu mi tratti da pari. Insomma, è pur vero che sono una tua subalterna, ma almeno ti ricordi come mi chiamo.»
    «Ma certo che mi ricordo come ti chiami... ehm, Evelyn?» la prende in giro, strappandole un sorriso.
    «Molto divertente. Molto divertente davvero. Allora, perché mi hai chiesto di cenare con te?»
    «Deve esserci un motivo?»
    «Dico solo che mi sembra strano, visto che da quando siamo qui non me lo hai mai chiesto. E siccome le altre sere eri sempre in compagnia degli altri...»
    «Pensi che ti abbia invitata soltanto perché ero solo?»
    «Non mi stupirebbe così tanto.»
    «Ti infastidisce?»
    «Affatto. Sono la tua assistente, ma questo non significa che debba starti appiccicata in ogni istante.» Emma alza ancora una volta lo sguardo sul proprio capo, cercando di leggere la verità dentro quegli occhi così chiari e azzurri che ormai anni fa l'hanno convinta ad imbarcarsi in un'impresa tanto grandiosa e incerta. «Solo... beh, sono convinta che ci sia un altro motivo per cui mi hai invitata.»
    «Del tipo?»
    «Del tipo... sapere che cosa Shannon mi abbia chiesto di organizzare per questa sera.»
    «Pensi che tenterei di estorcerti un'informazione in modo così bieco?»
    «Oh, sì. Sarebbe proprio nel tuo stile.»



*



Parigi, 26 novembre 2013


    «Vieni con me» sussurro all'orecchio di Daria, prendendola per mano per convincerla a seguirmi all'interno della cabina.
    «Ma come ti è venuto in mente... beh, tutto questo?» mi domanda con un tono sorpreso e confuso alla vista della tavola apparecchiata, dei fiori e delle luci soffuse. «Come sei riuscito a fare tutto questo?»
    «Detesto dirlo, ma tutto questo è merito di Emma. Io ho lanciato il sasso, ma è stata lei ad impegnarsi per realizzare tutto. Se fosse una questione di meriti, dovrebbe esserci lei qui a cena con te.»
    «Beh, ma questo ancora non spiega perché
    «Te l'ho detto, volevo stare un po' da solo con te.» L'occhiata di Daria la dice lunga: non riesce a credere che questo sia l'unico motivo per cui l'ho trascinata fin qui. «E poi, mi sono reso conto che non abbiamo mai avuto un vero appuntamento» aggiungo, abbassando la voce senza nemmeno accorgermene. «Voglio fare le cose per bene, con te.»
    «Tu chi sei, e che cosa ne hai fatto di Shannon Leto?» mi domanda con un sorriso, sfiorandomi una guancia con due dita. «Insomma, tu... tu non fai queste cose. Tu sei... sei Shanimal
    «Credo che quella parte di me si sia persa a Milano. Ma se non ti piaccio, forse posso tornare ad essere lo stronzo che ero.»
    «No, per adesso mi vai bene così» sorride ancora. «Forse mi devo soltanto abituare» aggiunge, allontanandosi appena da me mentre si slaccia il cappotto. «Che cosa c'è in programma?» mi chiede mentre si spoglia. La mia risposta si blocca in gola alla vista dell'abito che indossa: corto, aderente e di un rosso incredibilmente acceso. È bellissima, seducente ma niente affatto volgare – è solo un istante, ma penso che vederla vestita così mi ecciti ancora di più che vederla completamente nuda. «C'è qualcosa che non va?»
    «Eh?»
    «Mi stai guardando in un modo... beh, strano» mi fa notare, appoggiando il cappotto sulla spalliera di una sedia vuota.
    «Beh, è solo che... è solo che sei bellissima. Chi sei tu, e che cosa ne hai fatto di Daria Giordano?» la prendo in giro, parafrasando il suo recente dubbio.
    Sorride, abbassando gli occhi. «Immagino che anche lei si sia persa a Milano. O forse a Torino. O sul treno per venire qui, non lo so. Ma se non ti piaccio, forse posso tornare ad essere la ragazzina insicura che ero.»
    «Non ci provare nemmeno» le sussurro, prendendola di nuovo per mano. «Sei perfetta come sei.» La accompagno verso la tavola apparecchiata, scosto la sedia e l'aiuto ad accomodarsi, poi raggiungo il mio posto. «Approfittando della fortuna che mangi praticamente qualunque cosa, mi sono preso la libertà di lasciare carta bianca allo chef» dico, prendendo la bottiglia di vino che ho stappato mentre aspettavo il suo arrivo e versandone un po' in entrambi i calici. Nemmeno un minuto più tardi, un cameriere appare con gli antipasti, per poi lasciarci completamente soli. «A che cosa brindiamo?»
    «Non saprei» risponde, prendendo il bicchiere. «Ci sono molte cose per cui potremmo brindare.»
    «L'estrema efficienza di Emma, per dirne una.»
    «O l'estrema benevolenza di tuo fratello, per dirne un'altra.»
    «O la generosità del tuo capo nel concederti una settimana di ferie.»
    «O la sbadataggine che hai dimostrato quando hai dimenticato l'accendino a Milano.»
    Sorrido, pensando che è soltanto grazie ad un vizio che ho avuto l'occasione di inciampare in una delle cose più belle che mi siano mai successe, e che è proprio grazie a quello stupendo imprevisto se sto per ripulirmi da quel preciso vizio. «A questo punto, brinderei alla nostra indecisione riguardo al motivo del nostro brindisi.»
    «Non avrei saputo dirlo meglio» risponde, sorridendo a sua volta. I bicchieri si toccano, e mentre beviamo non riesco a staccare gli occhi dal suo viso: è semplicemente perfetta, e sento che nemmeno viaggiando mille anni per il mondo potrei trovare una persona migliore di lei. «Allora, Jared ti ha perdonato il ritardo di oggi?»
    «Mi sarei arrabbiato se non lo avesse fatto» replico, sistemandomi il tovagliolo sulle ginocchia. «Insomma, con tutte le volte che lui fa aspettare noi con i suoi capricci da star, mi sembra il minimo. E poi è stato un incidente isolato. Di solito sono molto puntuale, sai?»
    «Sono contenta che non si sia irritato. Quando mi sono resa conto che saresti arrivato in ritardo mi sono sentita in colpa. In fondo è stata colpa mia se... beh, sono io che ti ho trattenuto.»
    «Non ero certo ammanettato al letto. Anche se... beh, forse è una pratica che dovremmo considerare. Non disdegno un minimo di violenza, in certe situazioni.»
    «Maniaco. Ma... ci siamo soltanto noi?» aggiunge dopo un istante, guardandosi attorno.
    «La cosa ti dispiace?»
    «No, è solo... è solo che così è davvero una cosa romantica. Non avrei mai pensato di attribuirti un comportamento simile, prima di conoscerti.»
    «Se la cosa può farti sentire meglio, nemmeno io avrei mai pensato di attribuirmi un comportamento del genere, prima di conoscerti. Non avevo mai incontrato una persona per cui valesse la pena di fare qualcosa di così speciale.»
    «Dici sul serio? Insomma, non c'è mai stata nessuna... ragazza speciale? Nessuna... fidanzata
    «Mai» rispondo. «Insomma, ho incontrato molte persone che reputavo speciali, ma adesso mi rendo conto che non erano nemmeno lontanamente paragonabili a te. Tu hai qualcosa che nessuna di loro aveva.»
    «Una certa insicurezza di fondo?» scherza, portandosi di nuovo il bicchiere alle labbra.
    «La visione disincantata che hai del mondo» la correggo. «Tu hai vissuto delle brutte esperienze, e con il tempo hai capito che la vita può anche fare schifo. Non ti perdi dietro la stupida illusione che basti sperare che qualcosa di meraviglioso accada per farlo accadere. Tu sai che per avere un lieto fine non basta stare seduti ad aspettare che succeda. Sai che ci si deve rimboccare le maniche, se si vuole qualcosa. È una cosa che adoro di te.»
    «Di solito la gente lo chiama cinismo. E di solito la gente lo detesta.»
    «Non credo di poter essere classificato come 'la gente'. Io mi sento decisamente fuori del comune.»
    «Oh, lo sei. Sei decisamente diverso dalla maggior parte delle persone che ho incontrato in vita mia. Ci stiamo muovendo» aggiunge, vedendo che il paesaggio intorno a noi sta cambiando.
    «Il giro turistico è compreso nel pacchetto. Non mi piace lasciare le cose a metà.»
    «Questo rischia seriamente di minare la mia visione disincantata del mondo, lo sai? Quello che sto vivendo con te ha tutta l'aria di un sogno. E in tutta sincerità, credo che mi dispiacerà molto rinunciarci, quando arriverà il momento di...» Si interrompe, come se l'idea di dover tornare a casa le suonasse come la più terribile delle torture.
    «Un modo per non rinunciare ci sarebbe, lo sai.»
    «Continuare a viaggiare per il mondo con voi? È una possibilità che ho considerato e che, confesso, non mi dispiacerebbe affatto, ma... dobbiamo guardare in faccia la realtà, Shannon. Non posso mollare tutto e rivoluzionare così la mia vita. A mio padre verrebbe un colpo, poco ma sicuro. E poi sento che non sarebbe giusto. L'hai detto tu, io sono una che cerca in tutti i modi di restare aggrappata alla realtà. E la mia realtà, in questo momento, è a Torino. Lì ci sono la mia famiglia, i miei amici, il mio lavoro, ho appena preso casa... so che forse per te è complicato da capire, ma... io sento che sto costruendo qualcosa, e sento che non ci posso rinunciare proprio adesso. Anche se la proposta è più che allettante.»
    «No, io... io lo capisco. In fondo, è quello che ho sempre desiderato anch'io. La mia vita è sempre stata un casino, e... capisco il tuo desiderio di stabilità. È qualcosa che ho sempre inseguito anch'io. Solo che credo di averci rinunciato da tempo.» Il cameriere di prima riappare per requisire i piatti ormai vuoti, e mentre aspettiamo che ritorni con la portata successiva non diciamo nulla, come se volessimo prenderci il tempo necessario per riflettere sulle nostre posizioni. Quando finalmente restiamo di nuovo soli, ricordo la busta che tengo nascosta in tasca. «Prima che mi passi di mente, questo è per te.» Le porgo il plico, che lei guarda con aria curiosa.
    «Che cos'è?»
    «Apri la busta e lo saprai.»
    «Sembra... no, non ci posso credere. È un pass per il backstage!»
    «Perché farti pagare il biglietto, se posso farti assistere al concerto gratis?»
    «Mi sembra un'ottima ragione. Anche se confesso che non mi sarebbe dispiaciuto confondermi tra gli Echelon francesi» scherza. «A proposito, domani come si svolge la cosa? Insomma, c'è un orario preciso, un posto dove devo andare...»
    «Devi solo farti trovare alle sette nella hall dell'albergo, poi è tutto organizzato. Verrà a prenderti l'autista di questa sera, e ti porterà sul luogo del concerto.»
    «Più semplice di così...»
    «Sei mia ospite, non voglio che ti debba preoccupare di niente.»
    «Sì, ma tu mi stai viziando.»
    «La cosa ti dispiace?»
    «No» sussurra dopo un attimo di silenzio. «Qualche volta è bello sentirsi così importanti per qualcuno.»
    «La cosa più bella è avere qualcuno da far sentire importante» rispondo, sporgendomi appena verso di lei.



*



Parigi, 26 novembre 2013


    Tornato in camera propria, Jared si lascia cadere di schiena sul letto con un sospiro. Ci è voluto un po' di tempo, nonché una minaccia di licenziamento, ma alla fine Emma gli ha descritto nel dettaglio la serata ideata da Shannon: una cena intima a bordo di un battello riservato soltanto per lui e Daria, una bottiglia di ottimo vino italiano e un giro turistico per Parigi – per non parlare della movimentata notte che seguirà, perché se alla fine di tutta quella manfrina non si arriva al dunque, non riesce proprio a capire a che scopo agitarsi tanto. «Se domani è spompato, io quella ragazza la uccido» borbotta, rivolto a se stesso. Si rimette a sedere e si guarda intorno, indeciso se andare dritto filato a dormire o indugiare ancora un po' tra i progetti ai quali lavora nei ritagli di tempo. Alla fine, lo stacanovismo ha la meglio: Jared prende il quaderno nel quale custodisce gelosamente ogni appunto e lo porta sul letto con sé, sedendosi a gambe incrociate sul materasso. «Ah, ragazzina, ci hai proprio stregati tutti» sussurra, facendo scorrere i fogli tra le dita fino a trovare quello che davvero gli interessa. Si alza di nuovo, prende la chitarra dalla custodia e avvicina una sedia al letto. Sembra incredibile che abbia già imparato gli accordi di quel pezzo – lui, che a distanza di un anno ancora sbaglia le parole delle canzoni dell'ultimo cd. Eppure è così, e non sa spiegarsene il perché: è come se Daria gli fosse entrata sotto la pelle, nel profondo del cuore, così come ha fatto con Shannon – solo che lui, al contrario di suo fratello, non fa progetti di matrimonio. Si limita a scrivere canzoni.



*



Parigi, 26 novembre 2013


    Con la vecchissima e abusata scusa di prendere il bicchiere, Shannon ha allungato la mano sul tavolo e ha sfiorato le mie dita, indugiando per qualche secondo prima di stringerle. «Sai, dovremmo parlare di cosa succederà dopo questa settimana» dico, cercando di tirare su un'altra forchettata di risotto. «So che probabilmente questo spezzerà irrimediabilmente la magia, ma nascondere la testa sotto la sabbia è inutile. Domenica dovrò tornare a casa, e tu dovrai continuare con il tour.»
    «Sì, immagino che sia d'obbligo cercare di organizzarsi per bene» annuisce. «Beh, tanto per cominciare c'è una cosa che non ti ho detto.»
    «Sarebbe?» Qualcosa mi dice che devo preoccuparmi, e considerando la mia natura pessimista sto iniziando ad immaginare scenari a dir poco apocalittici.
    «Sarebbe che dopo il concerto di domani sera la band non ha altri impegni.»
    Impiego qualche istante a rendermi conto di quello che ha appena detto. «Sarebbe a dire che...»
    «C'è una sola serata in programma. Siamo qui principalmente perché Jared deve presenziare ad alcune serate per la promozione del suo ultimo film. Abbiamo infilato una data in più giusto per accontentare i fan. Tornerermo qui verso marzo, e faremo una settimana di concerti in giro per il paese.»
    «Quindi, tralasciando domani sera...»
    «Sarò tutto tuo» mi interrompe di nuovo. «Il che significa che gireremo tutta la città come una coppia di innamorati in vacanza. Se è questo che vuoi, naturalmente.»
    «Visitare Parigi? È una delle cose che ho sempre sognato di fare!» esclamo, al settimo cielo per quella prospettiva. «E puoi venire con me, se ti va» aggiungo, prendendolo in giro.
    «Oh, grazie per la gentile concessione.»
    «Comunque resta la questione di che cosa faremo una volta terminata questa... fantastica parentesi. Io non penso proprio di potermi mettere a viaggiare in giro per il mondo, e non credo che tu possa venire in Italia ogni volta che ti pare.»
    «No, in effetti spostarmi così tanto non sarà possibile nemmeno per me» sospira, distogliendo lo sguardo dal mio e puntandolo sulla tovaglia. «Dunque, dopo Parigi ci sposteremo... torneremo negli Stati Uniti» conclude con un sospiro. «E saremo impegnati lì fino a pochi giorni prima di Natale. Il tour è stato pensato così per darci l'opportunità di essere a casa per le feste. Sai, senza la pressione del fuso orario, teoricamente senza la stanchezza...»
    «Natale si passa in famiglia, questo lo sanno tutti.»
    «Forse potrei essere da te per la fine dell'anno, o al massimo per il due gennaio. Il tour dovrebbe riprendere il dieci in Messico. Avrei qualche giorno per stare da te. Mi piacerebbe vedere Torino con la neve.»
    «Città ancora più grigia e traffico impazzito. Non ti perderesti nulla» sorrido, cercando di nascondere la tristezza che provo nello scoprire che non avrò occasione di rivederlo per più di un mese.
    «Vorrei che fosse diverso» sussurra, mentre il cameriere riappare per cambiare i piatti e servire il secondo. «Vorrei davvero che fosse diverso» ripete, stringendo di nuovo la mia mano. Poi, all'improvviso, l'espressione seria che si è cucito sul viso svanisce, e si trasforma in una leggera risata. «Scusa, è solo che... beh, io ho sempre considerato il mio lavoro come una passione, e... non avrei mai creduto possibile che un giorno potesse diventare incompatibile con... con un'altra grande passione

    Una volta consumato il secondo, divorato il dolce e bevuto un caffè decisamente superiore alla media francese, convinco Daria a rimettersi il cappotto e ad uscire con me sul ponte per vedere la città che ci scivola attorno. «Non pensi che sia bellissima?» sussurra lei, con gli occhi che brillano quanto quelli di una bambina messa di fronte alla realizzazione del più grande sogno della sua vita.
    «Sì, penso che sia bellissima» rispondo, accarezzandole la guancia con due dita, «ma anche la città non scherza.» C'è poca luce, ma riesco chiaramente a vederla arrossire, ancora non avvezza a tutti i complimenti che sono solito rivolgerle. Ma è forse colpa mia se sono sempre stato un tipo sincero?
    «Pensa a come devono sentirsi orgogliose le persone che vivono qui. Avere la possibilità di essere costantemente immersi in tutta questa bellezza dev'essere così... soddisfacente
    «Io credo che la maggior parte di loro non si accorga neanche di ciò che ha intorno. Insomma, a furia di vedere la stessa cosa per ogni giorno la tua vita, può accadere che l'interesse sfumi. E così, quello che una volta era costante motivo di meraviglia, alla fine non merita nemmeno uno sbadiglio di noia.»
    «Allora sono felice che non possiamo stare insieme» dice dopo un attimo di silenzio, sorprendendomi. «A furia di vedermi tutti i giorni, alla fine ti verrei a noia» aggiunge con un sorriso.
    «Tu non mi verresti a noia nemmeno se ti incollassi a me con la supercolla» la smentisco, abbracciandola alle spalle. La sua schiena e le sue spalle premute contro il mio torace sembrano incredibilmente piccole, più minuscole che mai, e la magnificenza del paesaggio che ci circonda non fa che acuire il contrasto tra le mie mani e le sue membra, che non mi sono mai sembrate così fragili.

    È mezzanotte passata quando torniamo in albergo; il concierge ci restituisce la chiave con un sorriso, forse leggendo sui nostri volti la bellezza della serata che abbiamo appena trascorso; raggiungiamo il piano con l'ascensore, tenendoci stretti come se dal nostro abbraccio dipendesse il destino del mondo; non appena siamo al sicuro tra le pareti della nostra camera, accantono ogni remora e pudore, e la bacio come se fossero passati secoli dall'ultima volta che è successo. «Potrà anche essere poco il tempo che passiamo insieme» sussurro, spostando le labbra sulle sue guance, poi sul collo, e infine di nuovo sulla sua bocca, «ma ti prometto che sarà il tempo migliore della tua vita.» Faccio scivolare le mani tra di noi, separando con lentezza ogni bottone dalla rispettiva asola. Una volta eliminato il cappotto, torna a far capolino quel vestito che sin dal primo momento mi ha conquistato. «Ti ho già detto che adoro questo vestito?» le domando, mentre le sue mani si occupano della mia giacca e dalla sciarpa avvolta attorno al mio collo.
    «No, veramente no» sussurra, sfiorandomi il collo con la punta del naso, in un gesto che mi fa impazzire.
    «Beh, adesso l'ho fatto. Ti sta benissimo» aggiungo, facendole scivolare giù entrambe le spalline.
    Le sue mani, lente e delicate come quelle di un pianista, iniziano a sbottonarmi la camicia, a tratti sfiorandomi il torace. «Ti ringrazio» sorride. «Sicuro di non essere troppo stanco?»
    «Assolutamente no» rispondo, arretrando fino al letto. Mi siedo sul bordo del materasso e la faccio mettere cavalcioni su di me. La aiuto a sfilarmi la camicia, e subito dopo torno all'assalto della sua bocca.
    Ci baciamo per quelli che sembrano secoli, e poi la sento sussurrare: «Mi dai un minuto?» mentre accenna con la testa alla stanza da bagno. «Aspettami qui, ci metto un istante» aggiunge, alzandosi.
    Mi sfilo le scarpe e mi stendo sul mio lato del letto, aspettando il suo ritorno.

    Non possono essere passati più di due minuti da quando ho lasciato solo Shannon, ma quando torno in camera lui sta già dormendo come un bambino. Mi viene quasi da sorridere, perché quel suo insistere sulla propria mancanza di stanchezza somigliava proprio alle proteste di un bambino che rifiuta di essere mandato a letto. Mi avvicino al letto di soppiatto, senza fare rumore, e lo guardo per quello che è un minuto pieno: riesce ad essere stupendo anche quando è incosciente, anche quando non fa altro che starsene disteso a respirare piano nella penombra di una stanza di albergo. Mi mancherà tutto questo, quando saremo lontani: mi mancherà avere accanto lo Shannon di tutti i giorni, quello che pochi hanno il privilegio di conoscere; mi mancheranno tutte quelle piccole cose che lo rendono unico – il suo modo di accarezzarmi, usando solo la punta delle dita, e la sua abitudine di dormire con il viso rivolto verso il mio lato del letto; mi mancherà il suo modo di prendermi in giro e mi mancheranno i suoi complimenti, e soprattutto mi mancherà quella sua incrollabile volontà di proteggermi, sempre e comunque.
    Mi spoglio e mi infilo tra le lenzuola, premurandomi di mettergli addosso una coperta. Potrei svegliarlo e convincerlo senza sforzo a finire quello che abbiamo cominciato, ma non lo farò: per una volta, voglio essere io a prendermi cura di lui.



1Siamo qui, nei grigi dell'inverno. Siamo qui, solo io e te. Stringi la mia mano, affrontiamo domani. | Il titolo del capitolo è ispirato ad un verso della canzone Yours Forever di John Mellencamp, traccia contenuta nella colonna sonora del film La Tempesta Perfetta (2001).

   
 
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