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Autore: EffieSamadhi    24/07/2014    4 recensioni
{Su YouTube è disponibile il trailer della storia: http://www.youtube.com/watch?v=diyTY0QZwSA}
Contrariamente a quanto pensa la gente, la vita di un rocker non è tutta 'sesso, droga & rock'n'roll': ci sono momenti in cui, come ogni persona normale, ci sentiamo stanchi e solitari e stufi del mondo, e se a volte ci capita di sembrare scostanti e scontrosi è solo perché vogliamo andare a casa, perché vogliamo infilarci sotto una doccia bollente o perché vogliamo spalmarci sul divano a guardare un programma trash in tv. [...] Mi chiamo Shannon Leto, ho quarantatré anni e mezzo e non vedo l'ora di andarmene a letto.
Tutti hanno bisogno di tempo per se stessi, e nessuno lo sa meglio di Shannon, che così preso dalla ricerca di un attimo di respiro si trova coinvolto in qualcosa che di privato e personale ha ben poco. Ma alla fine di tutto, Shannon si accorgerà che a volte la pace non si trova soltanto nella solitudine e nel buio, ma anche nella luce degli occhi di chi ci sta accanto.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Direzioni ostinate e contrarie.'
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Portagioie di tristezza | 1
L'ispirazione sembra essere tornata a farmi visita, e finalmente posso tornare ad aggiornare più frequentemente – e qui casca l'asino. Come ho già anticipato sul gruppo Facebook Portagioie di tristezza, dedicato a questa storia e, più in generale, a tutte le mie storie in sospeso, probabilmente la storia di Shannon e Daria si concluderà nel volgere di pochi capitoli. Il fatto è che non sono mai stata una fan delle storie infinite, e dunque preferisco concludere prima che diventi un'infinita tiritera che racconta sempre la solita solfa =) In secondo luogo, ci ho riflettuto molto, e credo sia giusto che Shannon e Daria trovino finalmente una conclusione... qualunque essa sia.
Spero che riuscirete comunque a godervi il capitolo!
EffieSamadhi

P. S. : Per chi non è iscritto a Facebook/non è iscritto al gruppo, lascio il link per vedere su YouTube il trailer realizzato per l'occasione dalla bravissima Kath Redford, che attraverso il gruppo Facebook Trailer su richiesta accoglie tutte le richieste di quelle povere autrici che, come me, non hanno conoscenze in questo campo. Se doveste trovarvi in difficoltà, rivolgetevi a lei, è un vero drago!






Portagioie di tristezza






Capitolo ventesimo
Sei l'ultima grande innocente,
ed è per questo che ti amo.1


Parigi, 27 novembre 2013


    Lo stesso raggio di sole che ieri mattina mi ha costretto ad aprire gli occhi torna ad infastidirmi, svegliandomi. Invece di alzarmi, però, mi volto dall'altra parte, trovando Shannon già sveglio. «Ti prego, dimmi che non mi sono addormentato» bisbiglia, quasi spaventato da una simile eventualità.
    «Più che addormentato, oserei dire che sei collassato. Dovevi essere davvero molto stanco.»
    Si volta sulla schiena e si copre il volto con entrambe le mani, sospirando. «Non ci posso credere» borbotta tra le dita. Mi viene quasi da ridere, vedendolo tanto preoccupato per una cosa che non ha disturbato me, che teoricamente dovrei essere la parte offesa. «Non ci posso credere.»
    «Ehi, guarda che non è un problema» sussurro, accarezzandogli il torace e baciandogli una spalla nel tentativo di consolarlo.
    «Ma è un enorme problema!» ribatte, voltandosi di nuovo verso di me con un'espressione a dir poco comica. «Dev'essere il primo sintomo del mio decadimento fisico. Fammi un favore, lasciami qui e vai a cercarti un uomo giovane e forte. Non c'è rimasto nulla che io possa darti.» Tento in tutti i modi di trattenermi, ma mi è impossibile non scoppiare a ridere davanti alla sua disperazione. «Come puoi ridere in un momento simile? Io sono in lutto!»
    Mi sollevo e mi sposto in modo da sovrastarlo, portandogli una mano al viso per sfiorargli il mento ruvido di barba. «C'è ancora molto che puoi darmi, e lo sai» sussurro. «E comunque finora i giovani mi hanno deluso, quindi escludo di lasciarti per uno di loro.»
    Si passa la lingua sulle labbra, mentre solleva una mano per accarezzarmi i capelli. «Dici sul serio?»
    «Assolutamente. Io non mento mai. Solo quando è strettamente necessario. E questa non mi sembra affatto una di quelle occasioni.»
    «Bene» sussurra dopo qualche istante di silenzio, «perché era tutta scena.» In un attimo ribalta le nostre posizioni, regalandomi un bacio carico di passione e desiderio. «E comunque non credere di cavartela a buon mercato» aggiunge, infilandomi le mani sotto la maglietta, «ti pentirai amaramente di esserti presa gioco di me.» Le sue labbra scendono a tormentarmi il collo, le dita mi solleticano i fianchi, il suo respiro caldo che mi sfiora mi fa venire voglia di dire sì a tutto. «Sai cosa vorrei fare in questo momento?» mi domanda, senza interrompere le carezze. «Vorrei divorarti. E credimi, potrei farlo.»
    «Sai cosa penso io, invece?» sussurro, mentre la sua bocca torna ad occuparsi del mio collo.
    «Cosa?» mugugna, senza smettere di baciarmi.
    «Credo che dovresti risparmiare le energie per questa sera. Che figura ci faresti se ti addormentassi sulla batteria?» lo prendo in giro.
    «Ragazzina impertinente» ribatte, stringendo un po' di più la presa sui miei fianchi. «Ho abbastanza energia per fare tutto, credimi.»
    Sto per ribattere, ma vengo fermata da un paio di colpi alla porta. «Shannon, sei sveglio?» Iniziavo a chiedermi se mai ci sarebbe successo di essere interrotti da Jared. Quell'uomo dimostra un tempismo formidabile.
    Shannon sbuffa, sollevando appena la testa e rivolgendo il viso verso la porta. «Sì, siamo svegli» replica con un tono che non dà adito ad alcun dubbio.
    «Bene, perché sei quasi in ritardo. Sono le otto!»
    «Non dobbiamo partire alle nove?» C'è un non so che di comico nel sentirli discutere a questo modo, senza che nemmeno si guardino in faccia. Non so se riuscirei a fare lo stesso con Emanuele o Francesca.
    «Alle nove? Dov'eri ieri mentre dicevo che ci saremmo dovuti trovare mezz'ora prima per provare meglio The kill? Te l'ho detto che l'inizio non mi convinceva, no?»
    Shannon abbassa di scatto la testa, con un grugnito decisamente eloquente. «Maniaco perfezionista» borbotta a denti stretti. «No, non me l'avevi detto» sospira, rialzando la testa. «Va bene, ci sono. Il tempo di una doccia e arrivo.»
    «Ti aspettiamo giù. E che sia gelata, la doccia. Ci servi attivo» aggiunge Jared dopo una breve pausa. Suppongo che dopo l'ultima frase si allontani, poiché non sentiamo più alcun rumore.
    «Pare proprio che il mio pranzo debba aspettare» sospira Shannon, tornando a guardarmi. «Ma non ti preoccupare, non dimenticherò di fartela pagare per la tua insolenza» aggiunge con un sorriso, sfiorandomi il naso con un dito.
    «Beh, a questo punto dovresti arrabbiarti anche con Jared» ribatto. «Pare che lui la pensi esattamente come me.»
    «Probabile, ma lui è matto da legare. Non posso certo rivalermi su uno che non sa quello che dice» replica prima di schioccarmi un bacio sulle labbra e alzarsi. Si sfila la camicia e i pantaloni – le stesse cose che indossava ieri sera – e le lascia cadere su una sedia, scomparendo in bagno. Qualche secondo più tardi sento scrosciare l'acqua, e a quel punto decido di alzarmi. Mi sfrego le braccia con le mani per scaldarmi, mentre mi avvicino alla finestra per guardare il panorama, accorgendomi che sta nevicando – come se il fatto di essere a Parigi con l'uomo più straordinario che abbia mai incontrato non fosse già abbastanza romantico.
    Cinque minuti dopo Shannon torna in camera, aprendo l'armadio alla ricerca di qualcosa da mettersi. Mi volto per guardarlo, e quando lascia cadere l'asciugamano per infilarsi la biancheria mi sorprendo ad arrossire, nemmeno fosse la prima volta che lo vedo senza vestiti. Cerco di recuperare la compostezza perduta e lo apostrofo: «Esibizionista.»
    Sentendomi parlare volta la testa, e devo ammettere che vederlo solo di profilo, con i capelli bagnati che gli ricadono sugli occhi, è una cosa che non si vede tutti i giorni – e per fortuna, altrimenti chissà di quanti infarti avrei già sofferto! «Ah, adesso ti piace quello che vedi, eh?» risponde con quel mezzo sorriso che lo caratterizza – e che gli riesce benissimo.
    «Se si parla di te, mi piace sempre quello che vedo» replico, senza sapere bene da dove arrivi tanta sfrontatezza.
    Senza rispondere si infila i jeans e li allaccia, poi prende una camicia e finalmente si volta, avvicinandosi piano mentre la indossa. Rimango immobile, quasi fossi incollata al pavimento, mentre mi mette le mani sui fianchi e mi stringe a sé, avvicinandosi tanto da far sfiorare le punte dei nostri nasi. «Se si parla di te, anche a me piace sempre quello che vedo» sussurra. Abbasso la testa, e senza dire niente sfioro il suo torace con le unghie, sentendolo sospirare ad ogni centimetro percorso. Arrivata alla cintura mi fermo e inizio ad abbottonargli la camicia, risalendo lentamente verso il collo. «E dire che ho sempre pensato che spogliarsi fosse la parte eccitante» sospira, accarezzandomi una guancia. «Che farai mentre sono fuori?»
    «Aspetterò che torni» sorrido, sfiorandogli il tatuaggio che ha sul collo. «Non so, forse farò un giro qui intorno» aggiungo, sistemandogli il colletto come faccio con mio fratello ogni volta che dobbiamo presenziare a qualche cerimonia. Non riesco a non pensare a come sarebbe bello replicare questa scena ogni giorno, a quanto sarebbe rassicurante separarci ogni mattina sapendo di poterci riunire ad ogni tramonto. «Tanto ci vedremo questa sera, no?»
    «Sì, ci vedremo questa sera» risponde, sfiorandomi il mento per convincermi ad alzare la testa e guardarlo negli occhi. «Passa una buona giornata» aggiunge prima di baciarmi.
    «Vedrò di impegnarmi. Ora vai, altrimenti tuo fratello mi ucciderà» lo incito, fingendo di spingerlo via.
    «Sì, capo» risponde, infilandosi il cappotto. «A stasera, allora.»
    «A stasera. Aspetta» aggiungo subito dopo. Si ferma con la mano sul pomello e mi guarda, domandandomi con lo sguardo il perché di quell'improvviso alt. «Non ti sei asciugato i capelli, ti prenderai un malanno» spiego, avvicinandomi a lui. Gli drappeggio una sciarpa attorno al collo e gli calco sulla testa ancora umida uno dei suoi berretti preferiti. «Sta nevicando» aggiungo, come se questo dovesse spiegare tutto.
    «Che farei senza di te?»
    «Moriresti di polmonite, probabilmente. Però arriveresti puntuale alle prove. Su, ora vai.» Se ne va senza aggiungere altro, lanciandomi un'ultima, dolcissima occhiata mentre chiude la porta. Se fossi in punto di morte e potessi scegliere un'ultima cosa da guardare mentre la vita mi abbandona, vorrei i suoi occhi a farmi compagnia – forse è la più grande stronzata romantica che la mente umana abbia mai partorito, ma non mi importa. È davvero l'ultima cosa che vorrei vedere.

    «Eccoti, finalmente!» mi accoglie Jared, spalancando le braccia come per accogliere il figliol prodigo.
    «Sono le otto e venticinque, sono in perfetto orario» rispondo. «C'erano ancora un sacco di cose che avrei potuto fare in cinque minuti.»
    «E quella?» domanda Tomo, indicando la sciarpa. «Altre punture di zanzara?»
    «No, è solo che non voglio beccarmi una polmonite. Nevica, sai?»
    Tomo scoppia a ridere, divertito da chissà cosa. «Finalmente Shannon ha trovato qualcuno che si preoccupa per lui. Non sei contento, Jared? Così adesso Emma potrà occuparsi a tempo pieno di te!» ride, tirandogli una ciocca di capelli per prenderlo in giro.
    «Ma non diciamo idiozie, per favore. Io non ho bisogno di qualcuno che si occupi di me a tempo pieno. Non sono certo un bambino» protesta mio fratello, sfuggendo alle sue grinfie e uscendo a passo di marcia nel freddo di questa mattina. Rimasti soli, Tomo e io ci scambiamo una lunga occhiata divertita e ci rassegnamo a seguirlo verso l'auto.

    Rimasta sola, mi guardo attorno e mi accingo a dare una sistemata alla stanza. Mi sento sempre un po' a disagio negli hotel – non che abbia questo grande bagaglio di esperienze, certo. So che esistono le cameriere, e che pulire e mettere in ordine è previsto dal loro contratto, ma so che questo non mi autorizza ad andarmene lasciandomi alle spalle un campo di battaglia. Infilo gli abiti usati di Shannon nel sacco della lavanderia, allineo le scarpe accanto alla porta e apro la finestra per cambiare l'aria, dopodiché faccio una doccia e mi vesto, pronta per scendere a fare colazione.
    Sto affrontando un delizioso croissant alla ciliegia, quando mi sento apostrofare da una voce allegra che ormai riconoscerei tra milioni: «Ehi, buongiorno!» mi saluta Vicki in un italiano decisamente buono. «Anche tu abbandonata dal tuo uomo nel nome del sacro dio della musica?»
    «Pare di sì» rispondo, dopo essermi strofinata via le briciole dalle labbra. «Fai colazione con me?»
    «Posso?» domanda, indicando una sedia vuota.
    «Tra compagne di sventura ci si deve aiutare, no? E poi immagino che ai ragazzi farebbe piacere vederci socializzare, no?»
    «Immagino proprio di sì» risponde. «Però dovrai aiutarmi ad ordinare, perché il francese ed io abbiamo avuto una brutta discussione, e non siamo mai riusciti a riappacificarci» aggiunge, sedendosi davanti a me. Cinque minuti più tardi, davanti ad un altro giro di croissant e ad un buon caffè americano, Vicki rischia di causare la mia dipartita per soffocamento. «Sai, mio marito si è preso una cotta per te.»
    «Sc-scusa?» chiedo tra un rantolo e l'altro, sputacchiando briciole di dolce.
    «Oh, non nel senso classico del termine, tranquilla» si corregge. «Però ti adora, pensa che tu sia una ragazza stupenda.» Alza per un attimo gli occhi al cielo, riflettendo su quanto ha appena detto. «No, forse nemmeno così mi sono spiegata bene. Lui pensa che tu sia... una bella persona, ecco. Ti trova divertente, simpatica... dice che a volte gli ricordi sua sorella2
    «Sua... sorella?»
    «Sì, Tomo ha una sorella, Ivana.»
    «Sì, lo so. Insomma, l'ho anche vista in un paio di film, ma... ti spiacerebbe spiegarmi in che misura gli ricordo sua sorella? Insomma, stiamo... stiamo parlando di una che fa l'attrice e la modella, no? Che cos'abbiamo in comune?»
    «Più di quanto credi. Sì, lei è un'attrice e una modella, ma lui dice... dice che a volte ti comporti esattamente come lei, che... che a volte sembri avere dei momenti di sconforto, come se... come se a volte perdessi la bussola e non sapessi più quale sia la direzione giusta.»
    «Questo vorrebbe dire che a volte... che a volte Ivana Milicevic si sente insicura?» domando, senza riuscire a credere alle mie stesse parole.
    «Qualcosa del genere, sì» annuisce lei. «Pare che da ragazzina fosse un tipo molto riservato. È per questo che ha iniziato a fare la modella. È stato per... non lo so, per dimostrare a se stessa di essere un tipo forte.»
    Sorrido al pensiero che la donna forte e sicura di sé che ho sempre visto al cinema possa essere stata una ragazzina timida e sempre timorosa di fare un passo falso. «È un suggerimento?»
    Come avevo previsto, Vicki coglie la battuta e scoppia a ridere. «No, non ti sto suggerendo di fare la modella per superare i tuoi eventuali blocchi emotivi. È solo che... volevo solo farti capire che Tomo ha davvero molta stima di te. Sai, lui sembra un tipo sempre allegro e accomodante, ma la verità è che sotto sotto è un terribile snob. Non parlerebbe bene di te se non fosse più che sicuro del tuo valore.» Sorride ancora, guardandomi dritta negli occhi. «E sei molto simpatica anche a me. Certo, io non sono schizzinosa come lui in fatto di amicizie, ma spero apprezzerai comunque il mio parere.»
    «Lo apprezzo molto, te lo assicuro» rispondo, sostenendo il suo sguardo. «Avere a che fare con persone nuove è sempre stato molto difficile, per me» aggiungo, riabbassando la testa. «Ho sempre paura di commettere degli errori, o di non... di non essere abbastanza. Trovare sostegno è... liberatorio. È una bellissima sensazione.»
    «Bene. Ora che abbiamo deciso di andarci a genio, che ne dici di fare qualcosa insieme? Visto il tempo, pensavo di dedicare la giornata ai musei. Se ti piace l'arte, qui vicino c'è una mostra dedicata a Toulouse-Lautrec.»
    Non ho bisogno di riflettere molto sulla proposta. «Ci sto. Andiamo a vedere come sta il vecchio Henri.»


*



Torino, 27 novembre 2013


    In mancanza di Daria, Francesca sa che è Alice l'unica persona in grado di capirla – nonostante non abbia mai avuto una sorella, Alice sa affrontare certi discorsi mantenendo la giusta prospettiva, e dispensando sempre i giusti consigli. Per questo, in un mercoledì mattina che minaccia neve e rende i marciapiedi scivolosi, invece di entrare a scuola cambia percorso, fermandosi ai piedi della scalinata che conduce a Palazzo Nuovo, sperando di intercettare la migliore amica di sua sorella prima che si rechi a lezione. Sta quasi per perdere la speranza, quando sente chiamare il suo nome: «Francesca, che ci fai qui? È successo qualcosa?» le domanda, vedendola voltarsi con l'aria di chi abbia appena scoperto di essere rimasto completamente solo al mondo. «Franci, hai una faccia che non mi piace per niente» aggiunge, mettendole una mano sulla spalla.
    «Io penso... penso di aver bisogno di parlare con qualcuno. E siccome Daria non c'è io ho pensato... ho pensato a te.»
    Alice si volta verso le compagne che sono con lei. «Ragazze, voi andate. Noi ci vediamo più tardi.» Rimaste sole, guarda a lungo la sorella della sua migliore amica, riconoscendo in lei la stessa disperazione letta negli occhi di Daria ai tempi della rottura con Andrea. Ha sempre pensato che Daria e Francesca fossero due persone completamente diverse, ma solo adesso si rende conto che sono più simili di quanto chiunque abbia mai creduto. «Adesso andiamo a prenderci un caffè e mi racconti tutto. No, meglio una cioccolata calda. Conosco il posto perfetto.»

    Davanti ad una tazza fumante, impegnata a rimestare con il cucchiaino con l'aria di chi compie un gesto in maniera meccanica, senza averne veramente l'intenzione, Francesca somiglia davvero a sua sorella, e Alice deve appellarsi a tutto il proprio autocontrollo per evitare di sorridere. «Allora, mi racconti cos'è successo? Di qualunque cosa si tratti, sono certa che non è nulla di irreparabile. È successo qualcosa a scuola?» La ragazzina scuote la testa, tenendo gli occhi bassi. «Allora è successo qualcosa a casa? Magari hai discusso con tuo padre?» Un altro cenno di diniego, e Alice sente di aver terminato le possibilità. A quell'età esiste anche la possibilità di avere pene d'amore, ma per qualche motivo sente che non è il caso di Francesca – soprattutto perché non ha mai parlato di ragazzi che potrebbero averle spezzato il cuore.
    «Beh, ecco, io... accidenti, è così difficile da dire... ecco, io penso che potrei essere incinta.»
    Alice si blocca con la tazza a mezz'aria, ringraziando ogni santo conosciuto di non aver bevuto. Nel silenzio che segue la confessione di Francesca, avverte chiaramente il rumore di un muro di certezze che si sgretola in mille pezzi – ma d'altra parte, si sa, anche i geni possono sbagliare. «Scusa, ma non penso di aver afferrato appieno il concetto» sussurra, riabbassando la tazza fino a farle incontrare il piattino.
    «Ho fatto l'amore con il mio ragazzo» risponde Francesca, abbassando la voce come se temesse di essere sentita da qualcuno che conosce. «Abbiamo fatto attenzione, te lo giuro. Insomma, abbiamo usato... e sono più che sicura che non si sia rotto, però non mi viene il ciclo. Ormai è in ritardo di una settimana, e a me non viene mai in ritardo.»
    Alice apre la bocca e la richiude di scatto per un paio di volte, senza sapere bene da dove cominciare. Questa è un'esperienza nuova anche per lei, che è sempre stata solo con Federico e ha sempre usato la pillola, senza mai incontrare contrattempi. «Io... io non... ma da quando hai un ragazzo?»
    «Da febbraio.»
    «Ma sono... sono nove mesi! Daria non me l'aveva...»
    «Daria non lo sa. Non lo sa nessuno. Insomma, nessuno a parte i nostri amici. Non so perché non l'ho detto a Daria. Forse avrei dovuto. Sicuramente avrei dovuto. È solo che... non lo so, forse non volevo che partisse con la solita tiritera sul fare attenzione e cose del genere. Forse avevo paura che lo dicesse a papà, e che lui mi sgridasse. Il fatto è che io so cosa fare, so come comportarmi... però adesso non... non...» Si interrompe, con gli occhi velati di lacrime e il respiro che si mozza in gola. «Vorrei averlo detto a Daria, perché lei saprebbe cosa fare. O forse non sarebbe servito a niente, perché lei adesso non è qui, e...»
    «Ehi, ehi, ehi» la interrompe Alice, mettendo le proprie mani sulle sue, che tremano accanto alla tazza. «Va bene, Daria non c'è, ma ci sono io. Sai che puoi contare su di me, no?» Francesca solleva lo sguardo e annuisce, tirando su col naso. «Adesso ti dico cosa facciamo, va bene? Dunque, adesso ci beviamo questa buonissima cioccolata e intanto tu mi racconti un po' del tuo ragazzo. Poi usciamo e ti accompagno a comprare un test. Vedrai che si risolve tutto.» Fruga nella borsa e le porge un fazzoletto. «Dai, adesso parlami di questo ragazzo. Chi è, che cosa fa, come l'hai conosciuto... sono terribilmente curiosa.»
    «Si chiama Stefano, è in classe con me. Si è trasferito dalla Toscana a gennaio, suo padre ha trovato lavoro qui a Torino. Ha i capelli castani e gli occhi neri, è carino. E poi mi piace moltissimo come parla» aggiunge con un sorriso, smettendo finalmente di singhiozzare.
    «Oh, lo credo. Anche a me piace moltissimo la parlata toscana.»
    «Abbiamo iniziato ad uscire a gennaio, e ci siamo messi insieme alla fine di febbraio. È molto dolce, mi tratta sempre come se fossi una principessa. Sai, del tipo che mi apre le porte e mi porta un tè nell'intervallo.»
    «L'ultimo gentiluomo» scherza Alice, contenta di scoprire che esistono ancora ragazzi così beneducati e gentili, che trattano bene le ragazze senza secondi fini.
    «Il mese scorso abbiamo deciso di fare l'amore. Abbiamo aspettato tanto perché era... beh, era la prima volta per tutti e due. Volevamo essere sicuri, volevamo... essere pronti
    «Avete fatto bene. Prima di fare certe cose bisogna pensarci su... mille volte, forse. O forse mille volte non è ancora abbastanza.»
    «Daria ci avrà pensato mille volte?» scherza Francesca, riferendosi allo storico finesettimana di fuoco seguito al trasloco.
    Contenta di vedere di nuovo il sorriso sul volto della ragazzina, Alice ride. «Dirai che non è giusto da parte mia, ma... in quel caso è diverso.»
    «Lo so. Insomma, tu stavi parlando di... beh, di farlo per la prima volta in assoluto
    «Beh, sì. Anche se forse non c'è tutta questa differenza. Su, finisci la tua cioccolata, poi ti accompagno a comprare il test.» Vede Francesca irrigidirsi, le lunghe dita da artista serrate contro la tazza, e sorride. «Non ti preoccupare, in farmacia ci vado io. Tu puoi aspettare fuori.» Lo sguardo dell'altra ragazza contiene più ringraziamenti di quanti ne potrebbero mai essere espressi a parole.

    Venti minuti più tardi, con la confezione nascosta nella borsa, Alice guarda Francesca, nervosa come una bambina al primo giorno di scuola. «Adesso ti accompagno a casa e ti aiuto a farlo, va bene?»
    «Non posso farlo a casa. C'è Emanuele.»
    «Ah. No, direi che non è il caso. Però ci serve un bagno.» Si guarda intorno, accorgendosi che sono soltanto a cinque minuti dalla libreria di Marco, che è il posto più vicino in cui trovare riservatezza – e soprattutto un bagno degno di questo nome. «Vieni, so dove possiamo andare» decreta, iniziando a camminare.
    «Ehi, che ci fate voi due qui?» le saluta Marco, alzando la testa quando sente il campanello della porta. «Tu dovresti essere a scuola» aggiunge, indicando Francesca, «e tu dovresti essere a lezione» conclude, indicando Alice.
    «Sì, hai ragione, però abbiamo un'emergenza. Un'emergenza femminile» specifica quest'ultima, facendogli capire che è meglio non fare domande. «Possiamo usare il tuo bagno?»
    «Prego» risponde lui, alzando le mani come per indicare che non vuole essere coinvolto. «Io non voglio sapere niente. Basta che non mi fate esplodere il negozio.»
    «Promettiamo» replica Alice. «Sei solo?» domanda poi, guardandosi attorno.
    «Carlotta è malata.»
    «Non voglio fare la stronza, ma sai che ti sta fornendo su un piatto d'argento tutte le giuste motivazioni per un licenziamento assolutamente giustificato?»
    «Non avevate un'emergenza?» ribatte lui, desideroso di concludere immediatamente quel discorso.

    Concluso il test, Alice e Francesca hanno lasciato il negozio promettendo a Marco di sdebitarsi presto per l'ospitalità, e lungo la strada verso casa Giordano hanno discusso a lungo sul da farsi. «Vedrai che non è niente» assicura Alice, mettendole un braccio attorno alle spalle. «Hai visto, no? Il test è negativo.»
    «Però potrebbe anche sbagliarsi. Ormai sono tecnologici quanto uno shuttle, ma si potrebbe anche sbagliare, no?»
    «Guarda, per esperienza ti dico che preoccuparsi fa aumentare ancora di più il ritardo. Può capitare che ci sia del ritardo, dopo la prima volta. Insomma, il tuo corpo ha subito un...»
    «...un intervento molto invasivo?» conclude Francesca. Alice scoppia a ridere: se c'è qualcosa di cui è certa, è che quella ragazzina ha lo stesso senso dell'umorismo della sorella.
    «Stavo per dire che ha subito un forte stress, ma anche la tua versione non male. Comunque può succedere, sai? Insomma, gli ormoni impazziscono, non ci capiscono più nulla, e... può capitare. Stai tranquilla per un paio di giorni, cerca di distrarti, e vedrai che andrà tutto a posto. Ti accompagno su» aggiunge, accorgendosi che sono davanti al portone del palazzo.
    «Ma no, non è il caso, posso andare su da sola.»
    «Meglio se ti accompagno, così posso reggerti meglio il gioco.»
    Sentendo il portone aprirsi, Emanuele spinge la sedia fino al corridoio. Vedendo entrare la sorella, sgrana gli occhi. «Perché non sei a scuola, tu?»
    «Non si è sentita bene mentre ci andava, quindi ha chiamato me» risponde Alice, mentre Francesca assume l'espressione di pura sofferenza che ha provato per tutto il tempo del ritorno a casa.
    «Hai la febbre?»
    «No, le è venuto...»
    «Non lo voglio sapere!» esclama il ragazzo, coprendosi le orecchie con le mani. «Fate quello che volete, ma non mi coinvolgete in queste cose.»
    Alice sorride, rendendosi conto che gli uomini sono tutti uguali, indipendentemente dall'età. «Tanto io adesso devo andare, ho lezione. Tu vai a stenderti e riposati, va bene?» aggiunge, rivolgendosi a Francesca. «Ciao, Ema. Buono studio.»
    «Grazie, anche a te.» Aspetta che Alice sia uscita, tirandosi la porta alle spalle, poi guarda la sorella, che si sta sfilando il cappotto. «Se hai bisogno di qualcosa chiamami, va bene?»
    «Grazie» gli sorride lei, entrando in camera. Appoggia il cappotto sulla sedia, si siede sul letto e guarda il cellulare, ricordando l'ultimo consiglio che le ha dato Alice. Chiama Daria e raccontale tutto. Lo vorrebbe sapere.



*



Parigi, 27 novembre 2013


    Sono ferma davanti a La toilette3 da almeno dieci minuti, quando sento il cellulare vibrare nella tasca dei jeans. Sfioro il braccio di Vicki, ferma con me davanti allo stesso dipinto, e le indico che sto uscendo per rispondere. Se si fosse trattato di chiunque altro probabilmente avrei ignorato la chiamata, ma il fatto che sia Francesca a cercarmi mi ha messa subito in allarme – a quest'ora dovrebbe essere a scuola, e la mia mente da mamma chioccia ha già pensato a scenari che sarebbe riduttivo definire apocalittici. «Franci, che succede? Non stai bene? Perché non sei a scuola?»
    «Sto benissimo, non ti preoccupare, è solo che... beh, ho bisogno di raccontarti una cosa. Forse è meglio se ti siedi, però.»
    «Che succede?» ripeto, stringendo il cellulare come se ne andasse della mia vita.
    «Per favore, siediti e ascolta. Non mi interrompere, perché se lo fai non so se... beh, non so se riuscirò a riprendere il filo.» Obbediente come non sono mai stata, mi siedo su uno scalino, incurante del freddo, della neve e del ghiaccio, e mi accingo ad ascoltare il racconto di mia sorella – che, inutile dirlo, mi sconvolge. Ascolto in silenzio, senza mai interromperla, anche perché non saprei bene quali parole usare – cosa si può dire ad una sorella che ti sta confessando di averti tenuto nascosto l'avvenimento più importante della sua vita e che ti informa di aver trovato conforto presso la tua migliore amica? Intendiamoci, sono felicissima che abbia avuto la prontezza di spirito di cercare Alice, che in certi frangenti sa mantenere la calma molto meglio di me, ma non riesco a credere di essermi persa un simile momento. Avrei dovuto essere io a raccogliere la sua confidenza, avrei dovuto essere io a dissipare le sue preoccupazioni, avrei dovuto essere io ad aiutarla a sciogliere ogni dubbio, avrei dovuto essere io a raccontare bugie per lei! Mentre lei si scusa per l'ennesima volta per avermi tenuta nascosta la verità, io penso che dovrei essere io a chiedere scusa a lei per non esserci stata nel momento del bisogno, in quell'istante in cui una sorella maggiore è l'unica presenza che si vuole accanto, l'unica figura realmente utile. Me ne resto seduta su un gradino imbiancato di neve, con i fiocchi che mi coprono la testa e mi bagnano i capelli, e mi rendo conto di aver perso un momento che non tornerà mai più.
    «Non tenermi mai più all'oscuro di niente, capito?» sussurro quando smette di parlare, così piano che nemmeno sono sicura di essere sentita.
    «Lo prometto. In realtà ho pensato tante volte di dirti tutto, ma... non ci riuscivo. Non sapevo bene che parole usare. Insomma, cosa si deve dire in certi casi?»
    «Sinceramente, non ne ho idea. E sinceramente, spero di non doverlo mai scoprire.» Ride, e io con lei. Sono felice che il momento di crisi sia superato, e sono felice di sapere che tutte e due abbiamo qualcuno su cui contare quando si presenta un problema – ma d'altra parte, sono anni che faccio affidamento su Alice per risolvere le mie crisi... perché avrebbe dovuto essere diverso con mia sorella? «Comunque quando torno lo voglio conoscere, questo tipo. Niente di formale, o di ufficiale... solo, voglio vedere che faccia ha. Va bene?»
    «Va bene. Adesso mi vado a stendere un po'. A Emanuele ho raccontato che ho le mie cose e mi devo riposare. Scusami ancora per non averti detto niente.»
    «Scusami tu per non essere stata lì quando avevi bisogno di me.»
    «Oh, ma avevi un'ottima scusa. Insomma, se dovessi scegliere tra fare da balia a te e correre da un uomo meraviglioso che mi ha invitata a trascorrere una romantica settimana con lui in una delle più belle città del mondo, credo che partirei di corsa.»
    «Oh, ma grazie per il pensiero!» Continuiamo a scherzare per un po', e quando alla fine ci salutiamo e mettiamo giù mi rendo conto di non avere la forza di alzarmi. Nonostante l'ilarità e le risate, mi sento terribilmente in colpa per la mia assenza, e non riesco a fare altro che starmene seduta al freddo a fissare il vuoto.
    Mi riscuoto soltanto quando sento qualcosa sfiorarmi la testa. Alzo lo sguardo e scopro che Vicki, probabilmente preoccupata per non avermi vista tornare, è uscita a cercarmi e mi ha messo sulla testa il suo cappello. «Ehi, tutto bene?» mi domanda, comprendendo che qualcosa mi sta logorando dentro. «Hai la faccia di una che ha appena ricevuto una notizia tremenda» aggiunge, sedendosi accanto a me sul gradino umido.
    «Mi sento tremenda» rispondo, infilandomi il cellulare in tasca. «Era mia sorella.»
    «Sta bene? Le è successo qualcosa?»
    «No, per fortuna sta bene. Ma è una storia terribilmente lunga.»
    «A me piacciono un sacco le storie terribilmente lunghe, soprattutto se finiscono bene. E da quanto ho capito, questa è una di quelle. Sempre se ti va di parlarne, è chiaro. Ma se vuoi farlo, andiamo dentro e ci prendiamo un caffè. Sono seduta qui da trenta secondi e ho già le chiappe congelate.»

    «Accidenti» è l'unico commento che Vicki si lascia sfuggire una volta che ho finito di esporre i fatti e le mie preoccupazioni. «Capisco quanto si deve essere spaventata. Una volta è successo anche a me. Parliamo di secoli fa, prima di conoscere Tomo. Avevo diciotto anni, era la mia prima relazione importante. Ma poi per fortuna si risolse tutto. Il ragazzo che stavo vedendo non era esattamente un tipo con l'istinto paterno» aggiunge con una risatina. «Per fortuna poi ho incontrato Tomo. Comunque non ti devi colpevolizzare per non essere stata accanto a lei in questo momento. Non potevi certo prevedere che avrebbe avuto bisogno di te proprio mentre non c'eri.»
    «Questo lo so, però... accidenti, non mi sono accorta che ha un ragazzo! Nove mesi che ha una storia, e io non me ne sono accorta. Com'è potuto succedere?»
    «Beh, succede e basta. D'altra parte non sei sua madre. Di solito sono le madri che notano queste cose, no? Beh, non sempre. Insomma, mia madre non si è accorta che ero fidanzata con Tomo finché non l'ho portato a casa per presentarlo ufficialmente, quindi... devi accettare il fatto che tua sorella ha la sua vita, e tu la tua. Potete condividere tante cose, ma di certo non potete essere costantemente presenti l'una nell'esistenza dell'altra. Se non fosse stato questo, sarebbe stato qualcos'altro. Insomma, non sei il Grande Fratello. Non puoi tenere tutto sotto controllo.»
    «Come riesci a farlo?»
    «Cosa?»
    «A... beh, mi sono appena resa conto che hai assolutamente ragione. Come hai fatto a capire subito tutta la situazione?»
    «Il mio segreto è una relazione duratura con un uomo che ha per amico e collega un maniaco del controllo» risponde, facendomi capire subito che si sta riferendo a Jared e alla sua innegabile propensione al dramma se un qualunque dettaglio non segue il piano prestabilito. «Lui li fa quasi impazzire con le sue manie, e io passo il resto del tempo a psicanalizzare mio marito.»
    «Dovresti aprire uno studio. Faresti soldi a palate.»
    «Probabile. A proposito, visto che stiamo parlando di cose intime... pensi che potrei rivelarti un segreto?»
    «Beh, io ti ho appena rubato mezz'ora di vita raccontandoti i miei guai, quindi direi di sì. Ma sei sicura di volere me come confidente? Praticamente non ci conosciamo.»
    «Ormai mi conosci molto meglio di tanta gente che è nella mia vita da sempre. E poi devo dirlo a qualcuno, altrimenti impazzisco.» Prende fiato e mi guarda dritta negli occhi, come se stesse per rivelarmi il terzo segreto di Fatima. «Ho un ritardo.» Lo spara fuori così, senza giri di parole, senza preamboli, con la stessa naturalezza che userebbe se mi stesse dicendo che fuori nevica.
    «Hai un... cosa?»
    «Ho un ritardo. Non mi succede praticamente mai, e so che potrebbe essere causato da milioni di cose, ma... io me lo sento. Sono incinta.» Spalanco la bocca, senza sapere cosa dire – è la prima volta che mi trovo di fronte ad una notizia del genere. «Insomma, non ho ancora fatto nessun test e non ho visto alcun dottore, ma sono quasi sicura di esserlo. Non lo so, io... io me lo sento, ecco. A Tomo non ho ancora detto niente.» Continuo a non dire niente, mentre il mio cervello tenta di elaborare una qualsiasi risposta dotata di senso. «So che ti sembro pazza in questo momento, ma...»
    «No, no, figurati, non penso affatto che tu sia pazza» la interrompo. «Solo, mi sconvolge che tu abbia deciso di confidare un simile sospetto a me invece che a tuo marito. Insomma, di solito questo tipo di notizie si... confina all'interno della coppia, no?»
    «Sì, ma... sai, siccome non ne ho ancora la certezza scientifica non voglio dirlo a Tomo. Ci tiene così tanto che... ho paura che soffrirebbe come un cane, se fosse soltanto un falso allarme. Sono quasi certa che non lo sia, però non voglio causargli una sincope prima del tempo. Non sembra, ma è un tipo molto emotivo.»
    «Certo, certo, ma... accidenti, sono felice che tu abbia scelto me per confidarti.»
    «Sei una brava persona e mi fido di te. Mi raccomando, non lo dire a nessuno.»
    «Prometto, sarò muta come una tomba.» Rifletto per un istante sulla situazione, poi riprendo: «Ah, comunque congratulazioni. Insomma, se... se dovesse rivelarsi tutto vero. So che Tomo ci tiene tanto.»
    «Grazie. Sì, ci tiene molto, e ha ragione. Siamo pronti, tutto qui. È sempre stato un desiderio di entrambi, ed è il momento giusto. In qualunque altro periodo sarebbe andato bene, ma... è questo il momento.»
    «Sono davvero felice per voi. È importante essere insieme in questi casi. Sono cose che si affrontano meglio, quando c'è armonia.» Taccio per un attimo, pensando a quante volte ho sognato di avere quello che hanno Tomo e Vicki: una relazione stabile, un amore incondizionato e profondo, un legame quasi impossibile da spezzare. «Sai, io... io ho sognato spesso di avere una relazione così. Sarà per quello che è successo ai miei, non lo so... solo che mi sono sempre vista sposata, con un sacco di bambini intorno... mi è sempre sembrato un sogno semplice da realizzare. Solo che...»
    «Solo che hai paura di non riuscire a trovare la persona adatta per realizzarlo?» Alzo la testa di scatto, di nuovo sorpresa dalla sua straordinaria capacità di capirmi anche quando non esprimo per intero i miei pensieri. «Scusa, non volevo essere invadente. Probabilmente non mi sarei dovuta permettere, ma... che nutri dei dubbi è evidente. Ma sarebbe strano se tu non li avessi. Ti vedi con uno che una reputazione di... scusa, forse dovrei tacere.»
    «No, non ti preoccupare. Anzi, forse sentire un altro parere mi fa solo bene. Credo che potrei impazzire, se continuassi a dare ascolto soltanto alla mia testa. Il mio cervello è un casino senza speranza.»
    «Sei solo confusa, è normale. Moltissime persone sarebbero confuse, se fossero al tuo posto. Ti è letteralmente caduta addosso una situazione nuova e difficile da affrontare, è assolutamente normale avere dei dubbi. L'unica cosa che devi fare è... cercare di essere sempre onesta con te stessa. E con Shannon, naturalmente. Essere onesti è la prima regola da seguire. Non soltanto nelle relazioni, ma... nella vita. Non fare del male, e non ti verrà fatto del male. Almeno, io la vedo così.»



*



Torino, 27 novembre 2013


    Sono quasi le sette di sera, e dopo aver convinto il padre che non è in punto di morte, e che per stare meglio le servirà soltanto un altro giorno di riposo, Francesca sente il bisogno di correre in bagno. A stento si trattiene dal gridare di gioia, felice che il consiglio di Alice di restare calma abbia recato con sé una così felice conclusione. Tornata in camera, la prima cosa che fa è scrivere sia a lei sia a Daria, per informarle che la tempesta è passata.



*



Parigi, 27 novembre 2013


    Il messaggio di Francesca mi arriva mentre sto attraversando la hall per raggiungere l'esterno, dove probabilmente Sébastien mi sta già aspettando. Sorrido, rispondendole di essere felice per lei e informandola del mio nervosismo, nemmeno dovessi essere io ad esibirmi. Il fatto è che sono totalmente all'oscuro di quello che succederà, e come sempre l'idea di non avere un piano mi spaventa a morte. Come prevedevo, Sébastien è già in piedi accanto all'auto, e appena mi vede uscire apre lo sportello, salutandomi con la stessa cortesia di ieri sera. «Buonasera. Grazie» ricambio, accomodandomi in attesa di partire. Vedendomi evidentemente nervosa, Sébastien continua a guardare nello specchietto retrovisore, forse aspettandosi di vedermi saltare giù dall'auto in corsa alla prima occasione. Controllo per l'ennesima volta di avere con me il pass per il backstage, e lo vedo sorridere. «Credo di essere un po' nervosa. Nemmeno toccasse a me condurre lo spettacolo.»
    «Immagino sia normale. Non sono situazioni che si vivono tutti i giorni, no?»
    «No, per niente» confermo.
    «Penserà che non sono affari miei, ma... io credo che stia dimostrando una grande maturità. Solo gli sciocchi non si preoccupano di fronte all'ignoto.»
    «Beh, ma la mia non è preoccupazione... è puro e semplice terrore
    Ride, fermandosi ad un semaforo rosso. «Volevo essere delicato.» Allo scattare del verde riparte, e dopo qualche secondo sento di nuovo la sua voce. «Non vedo ragazze come lei da moltissimo tempo. Pensavo che la categoria fosse estinta.»
    «Ragazze come me?»
    «Sì, ragazze come lei. Insomma, così... pure. Lei è un'innocente... in senso buono, naturalmente. Lei è una di quelle ragazze che accettano tutto quello che succede come... come un dono. Non cerca spiegazioni, non cerca di capire... si preoccupa, questo sì, si chiede dove la porterà quello che le sta capitando, però... però lo accetta. È una qualità rara, accettare che non possiamo controllare la vita.»
Mi volto per un istante verso il finestrino, chiedendomi come sia possibile che tutte le persone che incontro anche solo per qualche minuto riescano a leggere così facilmente nella mia anima. «Come fa a dire tutto questo? In fondo non mi conosce. Non la prenda come una critica, è solo... è solo che non riesco a capire come... come ci riesca.»
    «Si incontrano tante persone, facendo questo lavoro. Non sempre si interagisce, però nulla mi vieta di guardare nello specchietto retrovisore e... tentare di capire. Mi perdoni, mio padre era uno psicologo. Immagino sia insito nel mio DNA.»
    «Credo che lei abbia colto nel segno, Sébastien. Sono esattamente il tipo di ragazza che ha descritto.»
    «Lo dice come se fosse una condanna.»
    «Ah, non ci badi» lo rassicuro. «Credo di essere soltanto nervosa.» Chino lo sguardo sulla tracolla, e controllo ancora una volta di non aver scordato il pass.

    Chiuso nel mio camerino, sono in piedi di fronte al muro con gli occhi chiusi, impegnato a picchiettare le bacchette sulla parete4, cercando di mettere insieme la concentrazione necessaria per affrontare la serata. È incredibile come la certezza che Daria mi vedrà in azione abbia minato la mia proverbiale sicurezza: da quindici anni sono abituato a suonare in posti immensi, davanti a decine di migliaia di persone che da me non si aspettano meno del massimo, e improvvisamente il pensiero di una sola, minuta ragazza mi fa diventare le ginocchia di gelatina. Ma d'altra parte la cosa non dovrebbe stupirmi tanto: è questo l'effetto che mi fa ogni suo sorriso, ogni sua occhiata, ogni sua carezza... mi sento sempre fragile quando sono davanti a lei – è come se lei riuscisse a vedere la parte peggiore di me, quella più nascosta, più celata, più intima, ed è come se le stesse bene. Sento che ama ogni parte di me, e questo mi fa sentire strano, come se non ci fossi abituato – ma andiamo, chi è davvero abituato a sentirsi così amato dopo una vita passata a credere di non meritare qualcosa di tanto straordinario?
    Qualcuno bussa alla porta, e senza nemmeno riflettere rispondo «Avanti». È Jared, che entra con il passo furtivo di un ladro. «E tu che ci fai qui?» gli domando, stupito di trovarlo qui. Di solito prima di un concerto si raccoglie in una totale e completa solitudine, e non si può nemmeno pensare di parlargli senza rischiare la propria incolumità.
    «Oh, volevo solo vedere se sei pronto» risponde con sufficienza.
    «Sì, io sono pronto. Insomma, stavo sfruttando gli ultimi minuti per... raccogliere le idee.» Non ho il coraggio di dirgli che in realtà i miei pensieri erano più confusi che mai, e che stavo disperatamente cercando un modo per fare tabula rasa e affrontare la serata con serenità.
    «Non vedrai Daria, prima che inizi lo spettacolo?»
    «No, vederla mi... mi distrarrebbe troppo, credo. O forse no, non lo so. È la prima volta che mi si presenta un simile dilemma.»
    «Posso immaginare quanti dubbi hai.»
    «Che ne è stato del tuo ritiro pre-concerto? Di solito sparisci nel tuo camerino e non ti fai vedere fino a cinque secondi prima che inizi.»
    «Sì, beh, io... prima di andare in scena ti volevo chiedere scusa per stamattina. Per come... beh, per la sveglia un po' brutale.»
    «Dai, non importa. Comunque non mi hai svegliato. Eravamo già svegli.»
    «No, aspetta, anche lei era sveglia? Quindi ha sentito tutto? Avrà pensato che sono uno stronzo senza speranza.»
    «No, niente affatto. Io ho pensato che sei uno stronzo senza speranza. Lei si è fatta una risata.»
    «Davvero?»
    «Davvero.»
    «Oh, beh, allora... beh, comunque ti volevo solo chiedere scusa per stamattina. E ora che l'ho fatto, vado a indossare il costume da eremita. Ci vediamo dopo.»
    «A dopo.» Sparisce in corridoio con la stessa aria furtiva con cui è entrato, ma non mi concedo il tempo di chiedermi che cosa ci sia sotto la sua apparente servilità – perché quando mio fratello si fa avanti in questo modo, chiedendo perdono per uno qualsiasi dei suoi innumerevoli, bizzarri comportamenti, persino la mente più innocente e pura del mondo sospetterebbe un tranello. Chiudo di nuovo gli occhi, libero la mente e torno a concentrarmi sulla parete davanti a me, sperimentando diversi ritmi.

    Appena scendo dall'auto, Emma mi viene incontro con un sorriso – e la cosa mi spaventa da morire, perché credo di non averla mai vista sorridere. «Ciao, Daria» mi saluta, e mi è inevitabile domandarmi come faccia a sapere chi sono. «Shannon mi ha mostrato una tua foto» spiega, intuendo il mio dubbio. «Devo ammettere che dal vivo sei molto più carina» aggiunge, e a questo punto ho davvero paura – non avevo mai sentito dire che fosse in grado di fare dei complimenti. «Comunque io sono Emma» conclude, porgendomi una mano in segno di saluto.
    «Sì, ti conosco. Cioè, voglio dire, io... io so chi sei.»
    «Vieni con me, ti accompagno.» Entriamo nella struttura, e dalla maestria con cui mi guida attraverso il dedalo di corridoi intuisco che deve averli percorsi già centinaia di volte. «Il concerto inizia tra mezz'ora. Purtroppo non potrai vedere Shannon prima dello spettacolo. Ordini suoi» aggiunge. «Hanno tutti i loro riti, sai com'è.»
    «Posso immaginare.»
    «Il più divertente è Jared. Si chiude in camerino per due ore senza uscire, e guai a bussare. Non uscirebbe nemmeno se l'intero edificio fosse avvolto dalle fiamme.»
    Sorrido, rendendomi conto che non mi sarei attesa di meno da lui. «E Shannon che fa, invece?»
    «Oh, lui tiene il ritmo con le bacchette. Picchietta all'infinito contro la parete del camerino.»
    «E dall'altra parte non si lamentano?»
    «Dall'altra parte di solito c'è Tomo, ma lui dorme. Dormirebbe anche durante un tornado. A volte lo invidio, ha una capacità incredibile di dormire anche nei posti più scomodi. Hai il tuo pass, vero?» In risposta, mi faccio scivolare il cordoncino intorno al collo. «Perfetto. Probabilmente nessuno ti chiederà nulla, quasi tutti gli addetti della sicurezza che avrai occasione di incontrare ti hanno vista con me, ma meglio non rischiare che ti sbattano fuori a calci nel sedere» sorride, indicando con un gesto della mano un gruppetto di grandi e grossi omaccioni che abbiamo appena superato. «Ci siamo quasi» aggiunge, svoltando nell'ennesimo corridoio. «Ecco, quello è il palco.» Continua a camminare, mentre io mi arresto all'improvviso, rendendomi conto che sono a due passi dalla postazione di Shannon. Accortasi di avermi persa, Emma si volta e mi sorride ancora una volta. «Toglie il fiato, eh?»
    «Toglie il fiato sì» sospiro, sentendomi come una ragazza di campagna arrivata per la prima volta nella grande città.
    «Il tuo posto è qui» spiega, indicando una porzione di pavimento piuttosto estesa. «Ottima visuale dello spettacolo, ma completamente nascosta al pubblico.» Solo in questo momento mi rendo conto che gli spalti sono già gremiti di persone, per non parlare del parterre, che a giudicare dalle voci dev'essere al completo. «Il pubblico è già tutto presente, come puoi sentire.» Oltre la paratia che mi separa dal parterre, sento gruppi di persone intonare cori di canzoni che anch'io conosco benissimo.
    «Chi apre il concerto?» mi informo, curiosa di sapere chi scalderà l'atmosfera.
    «Gli You Me At Six, come a Milano. Si è rivelata un'ottima scelta, secondo il pubblico, quindi perché cambiare? Io adesso devo andare, ho ancora parecchie cose da fare. Puoi andare un po' in giro, se ti va, ma l'importante è che torni qui per quando inizierà il concerto. Non voglio sembrare la stronza di turno, ma ci sarà un sacco di gente indaffarata, e serve campo libero.»
    «Figurati, capisco perfettamente» la rassicuro. So che un concerto si svolge, prima che sul palcoscenico, dietro le quinte, e il mio ultimo desiderio è essere di disturbo. «Considerando il mio scarso senso dell'orientamento, sarà meglio che resti qui.»
    «Come vuoi. A proposito, ti lascio il mio numero» aggiunge, porgendomi un biglietto da visita, «nel caso ti dovesse servire qualcosa. Non sono fredda e stronza come mi dipinge la gente.»
    «Ascolto di rado quello che dice la gente. Grazie. Davvero, grazie mille.»
    «A più tardi.» Scompare alla vista, lasciandomi sola a riflettere su quanto sia speciale il fatto di essere qui, dietro le quinte di un grande spettacolo. È un'occasione che capita di rado alle persone comuni come me, e so di doverne approfittare, perché non so quando mi ricapiterà qualcosa del genere. La prima cosa che faccio è fotografare il palco, cercando di coglierne ogni dettaglio, e la seconda è inviare la foto ad Alice e Francesca, sperando che siano sole e che possano ridere liberamente del commento che ho allegato. Ci si sente minuscoli, eh? è la risposta di Alice, che immagino piegata in due dall'ilarità. «Non sai quanto» sospiro, mentre la folla intorno a me inizia ad intonare Bright lights. Improvvisamente mi chiedo quale sarà la scaletta del concerto: per qualche strana ragione, in Francia il gruppo tende sempre ad eseguire i brani più vecchi, come se questo tipo di pubblico preferisse la vecchia scuola. Personalmente, non mi ritrovo molto nelle canzoni del primo album, forse perché li ho conosciuti attraverso From yesterday e ho iniziato ad apprezzarli tramite A beautiful lie, non lo so. O forse è perché le canzoni più recenti mi hanno aiutato a superare molti momenti complicati, e mi ci sento intimamente più legata.
    Improvvisamente, due mani mi coprono gli occhi, e per la sorpresa quasi faccio cadere il cellulare. Una voce mi sussurra all'orecchio «Indovina chi sono» ma non ho bisogno di altri indizi per arrivare alla soluzione del caso: esiste soltanto una persona in tutto il mondo capace di farmi tremare anche senza sfiorarmi.
    Mi volto e mi getto tra le braccia di Shannon come se non lo vedessi da anni, baciandolo con decisione. «Ma che ci fai qui?» gli domando subito dopo, staccando la mia bocca dalla sua.
    «Sai, sembra che tra poco più di un'ora terremo un concerto» mi prende in giro, con il solito sorriso sornione dipinto sul volto.
    «Scemo» ribatto, sorridendo a mia volta. «Cosa ci fai qui con me, intendevo. Emma ha detto che non volevi vedermi prima dello spettacolo.»
    «Sai come sono fatte le celebrità, no? Sono viziate, capricciose e cambiano idea con la stessa frequenza con cui si cambiano le mutande.» Mi guarda a lungo senza dire una parola, poi le sue mani salgono ad accarezzarmi i capelli. «Credevo che per concentrarmi meglio fosse necessario evitarti... solo che per tutto il tempo non ho fatto altro che pensare a te, quindi tanto valeva rischiare e incontrarti sul serio.»
    «Davvero hai pensato a me per tutto il tempo?»
    «Ogni maledetto secondo» sussurra, appoggiando la fronte contro la mia e chiudendo gli occhi. «Darei tutto quello che ho per sapere che cosa mi hai fatto.»
    «Se è per questo, siamo in due» sorrido.
    «Abbiamo poco più di mezz'ora» dice, allontanandosi un po', e il primo pensiero è che stia per chiedermi di chiuderci nel suo camerino per dedicarci a quello che sembra essere il nostro passatempo preferito. «Ti andrebbe un rapido giro turistico del backstage?»
    «Possiamo davvero?»
    «Naturale che possiamo. E anche se non fosse permesso, ti sembro uno che rispetta le regole? Su, andiamo» mi incita, prendendomi per mano.

    Complice del poco tempo che ci resta da passare insieme, non ho l'opportunità di spiegare per bene a Daria la funzione di ogni cosa o i doveri di ogni persona che incontriamo, con il risultato che la sto portando in giro come se fosse un pacco postale, ma non sembra che la cosa la disturbi: la vedo osservare tutto con sguardo avido, cercando di imprimersi nella mente ogni dettaglio, immagazzinando tutto come si fa con ogni nuova esperienza. «Vieni, c'è una cosa che devi assolutamente vedere prima che inizi il concerto» dico all'improvviso, accelerando il passo. «Ecco il pezzo forte della collezione» aggiungo, raggiungendo con lei la mia batteria, già montata su una pedana che al momento opportuno verrà fatta entrare in scena.
    «Ma questa è...»
    «Daria, ti presento Christine. Christine, ti presento Daria. Scusala se non ti risponde, è di poche parole» scherzo, accarezzando un piatto. «Ti va di sederti?» aggiungo, indicando il seggiolino.

    «Stai scherzando?» Lo guardo come se mi avesse appena proposto di fare un giro sulla luna, o qualcosa del genere. «Questo è il tuo posto, non mi ci posso sedere.»
    «E dai, non cercare difficoltà anche dove non ci sono.» Si siede, allargando le gambe per lasciarmi un po' di posto. «Forza, siediti qui» sussurra, strattonando appena la mano che ancora mi stringe. Obbedisco, e per un istante mi torna in mente una delle più celebri scene della storia del cinema – sapevo che guardare Ghost5 ogni natale si sarebbe rivelata una pessima idea, sulla lunga distanza. Si sporge in avanti, appoggiando il torace alla mia schiena, e nello stendere avanti le braccia per prendere le bacchette fa in modo di accarezzare le mie con la punta delle dita.
    «Di' un po', lo fai spesso?»
    Sposta la testa di lato, in modo da riuscire a parlarmi e contemporaneamente vedere il mio profilo. «Cosa?» sussurra.
    «Invitare la gente a sedersi sul tuo seggiolino.»
    «Scherzi? Non lo faccio mai. Questo seggiolino è sacro. All'ultimo che ha provato a posarci le chiappe ho quasi spezzato le braccia» sorride. «Ma tu hai il mio permesso, quindi non ti devi preoccupare. Ecco, prendi» aggiunge, porgendomi le bacchette.
    «Che ci dovrei fare, scusa?»
    «Prenderle in mano, naturalmente. Ho provato ad usarle per mangiare cinese, ma sono difficili da manovrare.» Scoppio a ridere, voltandomi verso di lui per riuscire a vederlo. Il suo sguardo è così diretto e sincero che quasi mi spaventa, perché riesco a leggervi tutte le sue certezze, che sono molte di più e immensamente più forti delle mie. Vorrei avere l'esperienza che ha lui, vorrei essere forte come lo è lui, ma più lo guardo più mi convinco che tra noi è una lotta impari, e che nemmeno in un milione di anni riuscirei a diventare la donna forte e priva di incertezze che merita di avere accanto. «Nemmeno Jared si è mai seduto qui. Non in mia presenza, almeno. È una delle poche condizioni che pongo: nessuno tocchi Christine.» Abbasso gli occhi, come ricordandomi all'improvviso a chi è dedicato questo strumento – porta il nome di una donna importante, di una figura con la quale probabilmente non potrò mai competere. «Non sono bravo con le parole» continua, appoggiando il mento sulla mia spalla. «Non sono bravo con le parole, ho sempre paura di... dire qualcosa di sbagliato, di non riuscire ad esprimere veramente quello che intendo dire. E a voler essere sincero, non sopporto le persone che usano troppe parole. Dopo tanti anni mi sono reso conto che Christine era una di quelle persone. Io sono uno che preferisce i fatti. Agire è il solo modo in cui so comunicare. Per questo ti ho portata qui. Farti sedere qui è un grande passo per me, per come... per come sono fatto.» Tengo lo sguardo fisso in avanti, mentre lui continua la sua confessione: «Farti sedere qui significa... significa che ti sto dando la chiave di tutto quello che è mio6. Ti sto concedendo più spazio di quanto abbia mai fatto con qualunque altra persona, e se la cosa ti spaventa, spero ti consoli il fatto che spaventa da morire anche me.» Mi volto verso di lui, e senza un fiato lo bacio, sperando di riuscire a trasmettergli comunque l'emozione che il suo discorso ha provocato in me. Nessuno si è mai aperto così tanto con me, e anche se la cosa mi lusinga, non sono certa che mi piaccia.
Mentre ci separiamo, sento che la folla ha smesso di inneggiare ai Mars e sta applaudendo, chiaro segno che la band di apertura sta facendo il suo ingresso sul palcoscenico. «Credo di dover tornare al mio posto, adesso. E penso che tu debba andare a finire di prepararti.»
    Si volta, ascoltando come me il nuovo rumore prodotto dal pubblico. «Sì, penso anch'io. Ti accompagno.»
    Torno nel mio angolo stringendogli forte la mano, aspettando con ansia il momento in cui lo vedrò di nuovo salire in scena, pronto a mettere tutto stesso nella cosa che gli riesce meglio, e che in un certo senso definisce il suo io. Ci separiamo con un lieve bacio sulle labbra, e mentre si allontana, voltandosi per controllare che non fugga, cerco di sfoderare il mio sorriso più sereno.



*



Parigi, 27 novembre 2013


    In piedi dietro la porta del camerino, con la fronte appoggiata al pannello di legno e le mani premute sulle orecchie, Jared tenta di riportare alla mente le esatte parole del piccolo discorso che ha preparato, sperando di non dimenticarle nel momento cruciale. In fondo è sempre questa la sua preoccupazione, anche quando accetta di partecipare ad un film e arriva il momento di girare le sue scene. Il sacro terrore di scordare le battute lo perseguita ogni volta, come potrebbe non sconfinare anche nella musica? Ripete quelle parole fino all'infinito, fino a che sembrano quasi perdere di significato, e quando finalmente si sente pronto, è ora di andare in scena.



*



Parigi, 27 novembre 2013


    Appena gli You Me At Six terminano le loro canzoni, i tecnici si mettono al lavoro per smontare i loro strumenti e sistemare i nostri. Quando finalmente Christine viene spedita sul palcoscenico e le tastiere di Tomo vengono collegate agli amplificatori, capisco che il momento è giunto. So che dalla mia postazione riuscirò facilmente a tenere d'occhio sia il pubblico sia Daria, anche se già so che non avrò il tempo di guardarla costantemente. Le luci si abbasssano, il pubblico si unisce in unico grido di gioia, e io esco a prendermi il mio posto. Parte la base di Birth, il pezzo che apre ogni data di questo tour, e dal lato opposto del palco vedo apparire Tomo, la chitarra già pronta tra le braccia, e lo vedo rispondere con un cenno della mano al saluto del pubblico. Mentre mi sistemo sul seggiolino mi volto verso Daria, trovandola rivolta verso di me. Le strizzo l'occhio, strappandole un sorriso, e subito dopo mi accingo a fare quello che mi riesce meglio.
    L'entusiasmo del pubblico esplode in tutto il suo fragore quando Jared fa il suo ingresso – non per una preferenza nei suoi confronti, ormai l'ho capito, ma per la pura e semplice emozione di vederci tutti insieme, e dunque di capire che lo spettacolo è davvero pronto per iniziare. Come da scaletta, dopo Birth tocca a Night of the hunter, Conquistador e Buddha for Mary, mentre l'entusiasmo e la partecipazione del gruppo crescono, facendo crescere anche la nostra energia. All'ultimo 'What's the difference?' trovo un secondo per voltarmi in direzione di Daria, chiedendomi quali siano le differenze che vede tra di noi – perché anche se non ne ha mai parlato apertamente, so che ci crede profondamente diversi, incompatibili, e questo un po' mi ferisce, perché io sto facendo di tutto per tentare di renderle la vita più facile, e considerando che non ho mai fatto nulla di simile, mi riesce dannatamente difficile.
    Ancora non si sono spenti gli applausi per Buddha for Mary, e subito iniziamo con Search & Destroy, una delle mie preferite. In questo testo mi ritrovo perfettamente, quasi fosse stato scritto apposta per me: ho vissuto nel peccato, ho costruito la mia vita sugli errori, creandomi una maschera da uomo duro che non ha paura di nulla. Ho sempre affrontato tutto come se indossassi un'armatura, lanciandomi contro gli ostacoli a testa bassa, senza paura di ferirmi o finire con il cuore spezzato. È solo comportandomi così che sono riuscito a cedere alla mia attrazione per Daria, concedendole di infilarsi sotto la mia pelle e arrivare così in profondità da riuscire a toccarmi l'anima. La verità è che io e lei siamo uguali, nonostante le apparenze: entrambi siamo stati imbrogliati dalla vita, ed entrambi siamo finiti a pezzi, frantumati sotto il peso delle nostre tragedie. Siamo uguali, e vorrei tanto che anche lei riuscisse a vederlo.
    Finita Search & Destroy, è il turno di Do or die, probabilmente quella che dà più carica ad ogni pubblico. Jared prende la bandiera e inizia a sventolarsela attorno come uno sbandieratore professionista, strappandomi come al solito un sorriso – non so perché, ma mi diverte da morire vederlo ripetere quel gesto ad ogni concerto, e nello stesso tempo mi domando come sia possibile che non si sia ancora provocato una tendinite. Quanto a me, me ne sto seduto a fare il mio lavoro, eseguendo i miei doveri alla perfezione: sono concentrato e mi sto comportando bene, tuttavia non sono tranquillo – il pensiero di mio fratello che esce dal suo esilio e viene a cercarmi prima del concerto continua a perseguitarmi, nonostante sia più che certo che non può aver architettato nulla di veramente pazzo o idiota.
    Ci dedichiamo a The kill, che nonostante le preoccupazioni di Jared riesce benissimo, e una volta finito il pezzo sia io che Tomo lasciamo il palco, lasciandolo solo per la sessione acustica. Al sicuro dietro le quinte, la prima cosa che faccio è attaccarmi ad una gigantesca bottiglia d'acqua, mentre Emma mi lancia sulla spalla un asciugamano. «Bravi, ragazzi, state andando molto bene.»
    «Grazie» rispondo dopo aver bevuto almeno un litro d'acqua. Prendo l'asciugamano e mi tampono viso e capelli, madidi di sudore, poi mi volto a guardarla. «Che te ne pare?»
    «Se te l'ho appena detto... state andando benissimo! Cos'è, inizi a diventare paranoico come tuo fratello?»
    «Che te ne pare di Daria, intendevo.»
    «Ah, parlavi di lei. Beh, devo ammettere che mi piace. Avevi ragione, è una ragazza molto semplice. Nessuna... aria di superiorità, nessuna smania di apparire. Essere qui le sembra il più bel regalo del mondo. Devo ammettere che hai scelto molto bene.»
    «Non l'ho scelta. Ho soltanto avuto molta fortuna.»
    «Ah, allora le vostre fan hanno ragione quando dicono che hai un gran culo...» mi prende in giro, mentre sul palco Jared esegue i suoi pezzi, interagendo con il pubblico in un modo che nessuno sarebbe in grado di replicare, nemmeno prendendo lezioni direttamente da lui. Ci vuole un talento innato per certe cose, e lui ha avuto la fortuna di nascerci, così. «Ci è proprio nato, eh? Per il palcoscenico, dico.»
    «Tutti siamo programmati per fare qualcosa. Lui è nato per fare lo showman, e tu sei nato per suonare la batteria.»
    «E tu per cosa sei nata?» le domando, guardandola sfilarsi gli occhiali per pulirli.
    «Io? Io sono nata per impazzire dietro alle richieste di tuo fratello e per fare da cicerone alle tue ragazze, no?» Sorride, rimettendosi gli occhiali. «Non perdere la concentrazione, mi raccomando. Ti ucciderebbe, se dovessi sbagliare un attacco.»
    Sul finire di Stay, l'ultimo pezzo del suo grande momento da solista, Tomo e io ci riportiamo sul palco, scambiandoci un'occhiata divertita per alcuni dei comportamenti di mio fratello, che a volte dimostra di essere un vero mattatore – o un perfetto idiota, ancora non ho deciso. Riprendo posto dietro Christine, e ancora cerco lo sguardo di Daria, che alza un pollice per indicare il suo gradimento dello spettacolo e poi mi manda un bacio. L'eco dell'ultima canzone si spegne, e improvvisamente Jared fa una cosa che non ha mai fatto prima d'ora: chiede al pubblico di fare silenzio.
    «C'è una cosa che vorrei dire, prima di continuare con lo spettacolo» dice, sorprendendo tutti, me e Tomo compresi. «So che siete qui per la musica, non per sentirmi blaterare all'infinito, ma... è una cosa veramente importante per me, e spero che possa esserlo anche per voi. In fondo, essere Echelon significa far parte di una famiglia, e tutti sappiamo quanto sia importante in una famiglia partecipare alle vite degli altri.» Un applauso collettivo si mangia le ultime due parole, chiaro segno che il pubblico apprezza quello che ha appena sentito, e che desidera sentirlo continuare. «Nell'ultimo mese sono successe alcune cose nella nostra vita, cose molto importanti e molto belle. Anche se non sembra, noi siamo esattamente come voi: abbiamo delle famiglie, abbiamo degli amici, prendiamo decisioni e siamo coinvolti da quello che ci succede attorno. Quello che mi è successo è che... beh, quello che mi è successo di recente è che una persona nuova è entrata nella mia vita.» Nel sentire quella frase, mi raggelo all'istante, perché non riesco a capire di che cosa stia parlando. «O meglio, una persona nuova è entrata nella vita di qualcuno che mi è molto vicino, di qualcuno per cui darei la vita.» Mi volto brevemente verso Daria, che sta guardando Jared, e subito dopo guardo di nuovo verso di lui, intuendo quello che ha intenzione di comunicare. «Si tratta di una persona molto speciale, una persona che in un certo senso mi ha fatto arrivare alla conclusione che noi siamo esattamente come voi, e che come voi abbiamo bisogno principalmente di saperci amati.» D'istinto torno a guardare verso Daria, che si è coperta la bocca con una mano e ha tutta l'aria di una che sta per scoppiare in lacrime. «Si tratta di una persona che come voi ha una vita normale, un lavoro normale, degli amici normali, ma che come ognuno di voi è diversa, e speciale. Io vorrei... ecco, vorrei semplicemente dedicare la prossima canzone a questa persona, che come voi sta soltanto cercando l'amore.» Lo sto ancora fissando con la bocca spalancata quando si volta e mi strizza l'occhio, facendoci un cenno per invitarci ad iniziare con Bright lights. Quello che ha appena detto suona come una vera e propria benedizione nei confronti di me e Daria, e allo stesso tempo come un ringraziamento per essere entrata nella mia vita, sconvolgendoci entrambi. Non mi volto a guardarla, perché so che non riuscirei a concentrarmi allo stesso modo. Inizio a suonare, battendo sui tamburi con un'energia nuova: sapere che mio fratello ha appena gridato al mondo che è contento di vedermi felice e appagato mi gonfia il cuore di gioia e di una tenerezza mai provata prima, e la sola cosa che vorrei fare è lasciar cadere le bacchette, correre ad abbracciarlo e stringerlo fino a togliergli il fiato.

    È fatta, ora tutto il mondo lo sa – perché anche se non ha fatto nomi, gli Echelon non ci metteranno molto a fare due più due. Lo sanno tutti che Shannon è la persona più importante per Jared, esclusa sua madre, e dunque quanto tempo potrà volerci prima che tutti inizino a chiedersi chi sia la ragazza che ha rubato il cuore del loro batterista preferito? Probabilmente dovrei sentirmi sconvolta e spaventata, e in effetti è anche così che mi sento, ma... non lo so, in un certo senso è come se fossi grata a Jared per la sua dichiarazione, per aver detto a tutto il mondo che è felice di saperci insieme, anche se nessuno di noi ha la minima idea di quello che succederà. Non riesco a staccare gli occhi da Shannon, che sta suonando come se da questa canzone dipendesse il suo destino, e quando Jared canta l'ennesimo 'She dreams of love' capisco che qui potrei avere tutto quello che ho sempre sognato.



*



Parigi, 27 novembre 2013


    Esaurite le canzoni, esauriti i saluti al pubblico, termina la lunga serata iniziata già quel mattino. Jared scende dal palco e raccoglie i complimenti di tutti quelli che incontra, colpiti dalla sua capacità di intrattenitore e cantante, e anche sorpresi da quel suo discorso così sentito e profondo. Si sente toccare una spalla, alza lo sguardo e trova suo fratello, che lo guarda in un modo che non riesce a decifrare. «Sei arrabbiato?» gli domanda.
    «No» sussurra Shannon, scuotendo la testa. «Sono sorpreso, e sconvolto, e stupito, e un milione di altre cose, ma... arrabbiato no. Mi hai appena dato il permesso di essere felice, come posso essere arrabbiato?» aggiunge con un sorriso.
    «Scusa la teatralità, ma... avevo bisogno di dirlo davanti a tutti, per convincermene sul serio.»
    «Sono contento che tu lo abbia fatto.»
    Jared sta per rispondere, ma una sequenza di «Permesso» e «Scusate» li distrae entrambi. A dribblare i tecnici è Daria, che una volta incontrati i fratelli si blocca, come pietrificata. «Io... io...» tentenna, senza sapere bene cosa dire né a chi dei due rivolgere lo sguardo. Alla fine, completamente persa e confusa, fa la cosa che le sembra più logica: abbraccia Jared con tutta la forza che ha in corpo, mormorando un «Grazie» quasi impalpabile.
    Completamente colto alla sprovvista, l'uomo si limita a darle un paio di pacche sulla schiena e a ringraziarla di rimando, convinto che se osasse restituire l'abbraccio Shannon potrebbe amputargli entrambe le braccia, e forse qualche altra appendice. Quando lei lo lascia andare, le sorride e la sospinge con dolcezza verso suo fratello. «Andate a festeggiare. Ce lo meritiamo, siamo stati bravissimi.»
    Rimasti soli, Shannon e Daria si scambiano una lunga occhiata, cercando le parole giuste, salvo poi capire che in certi momenti le parole sono completamente inutili. Si lasciano andare ad un lungo bacio appassionato, incuranti di tutto quello che li circonda. «Andiamo. Prendo le mie cose e torniamo in albergo.»
    «Avete finito davvero? Te ne puoi andare così?»
    «Naturale che posso. Tu ed io abbiamo una questione in sospeso, ricordi?»



1Sei l'ultima grande innocente, ed è per questo che ti amo. | Il titolo del capitolo è ispirato ad un verso della canzone Mary Jane di Alanis Morissette, contenuta nell'album Jagged Little Pill, pubblicato nel 1995, e ancora considerato, a distanza di vent'anni, il miglior lavoro dell'artista.
2Sua sorella | La sorella maggiore di Tomo, Ivana Milicevic (Sarajevo, 26/04/1974) è una modella e attrice che ha partecipato a molte produzioni cinematografiche e televisive (Top model per caso, Love actually, Se solo fosse vero, Casino Royale, In her shoes, Ugly Betty); naturalmente non la conosco personalmente, dunque non so nulla della sua personalità: tutto ciò che viene descritto è dunque da considerarsi una mia pura invenzione.
3La toilette | La toilette è un dipinto di Henri de Toulouse-Lautrec, realizzato nel 1869 in una stanza di una delle case d'appuntamenti che il pittore amava frequentare. Si tratta di un olio su cartone, dimensioni 67 x 54 centimetri, conservato al Museo d'Orsay assieme a molte altre opere dell'artista.
4Chiuso nel mio camerino […] sulla parete | Non conoscendo Shannon, non so quale sia il metodo che usa per trovare la concentrazione prima di un concerto, dunque ho optato per la soluzione che ci viene mostrata nel video di From Yesterday, che tra l'altro considero uno dei video più belli mai realizzati per una canzone dei Mars. Anallogamente, non so nemmeno in quale modo si preparino Jared e Tomo, dunque anche nel loro caso ho spudoratamente inventato.
5Ghost | Il film cui faccio riferimento è Ghost – Fantasma (1990, diretto da Jerry Zucker e interpretato da Patrick Swayze, Demi Moore e Whoopi Goldberg). È considerato uno dei film romantici più famosi del mondo, alla stregua di Titanic e Dirty Dancing, dunque penso che ne abbiate sentito parlare, se non addirittura che lo abbiate visto. In questo caso, certamente sapete a quale scena mi riferisco (ma nel dubbio, vi lascio il link). Personalmente, ritengo che si tratti di una delle scene più sensuali che abbia mai visto in un lungometraggio (ma probabilmente dipende dalla inestinguibile cotta che ho sempre avuto per Patrick Swayze – Dio, che uomo stupendo era...).
6Significa che ti sto dando la chiave di tutto quello che è mio. | Per quanto mi piacerebbe da morire attribuirmi la paternità di questa frase, devo confessare che non è mia. Si tratta di una battuta pronunciata da Sam 'Asso' Rothstein (interpretato da Robert DeNiro) nel film Casinò (1995, diretto da Martin Scorsese, e interpretato, oltre che da DeNiro, anche da Joe Pesci e Sharon Stone).
   
 
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