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Autore: kiara_star    12/07/2014    4 recensioni
[Stony]
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"Steve non ama dare definizioni, Steve non sa darle e forse non lo vuole."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stony NdA.
Prima Stony che scrivo, un po' sperimentale. La narrazione è a frammenti ma spero non sia troppo caotica.
Il titolo è un verso della meravigliosa “Pensieri e parole” di Battisti.
Spero vi piaccia. Ho amato molto scriverla.
Buona lettura.

Dedicata a cips980, ossia la mia Tany, alla quale avevo promesso una Stony da una vita, sperando di non aver fatto un gran casino.



 


Poesia di un amore profano





La prima volta che Steve Rogers si era innamorato aveva sette anni. Lei era Caroline, e di anni ne aveva tredici. Era la figlia della signora Parket, che abitava in fondo alla strada. Caroline portava i capelli raccolti in due trecce castane, e sorrideva quando gli accarezzava la testa.
Steve non sapeva cosa fosse l'amore ma quando Caroline si trasferì e non la vide più, gli mancarono le sue dita che gli accarezzavano i capelli, gli mancava il suo sorriso.
Decise che era amore.
 




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Il cuore batte così forte che si chiede se lui possa udirlo. Steve ha il fiato corto, la pelle sudata e sente freddo, coperto solo da quel lenzuolo.
«E adesso?» La voce tradisce la sua incertezza, la sua paura. Si volta e scruta il suo profilo. Tony guarda il soffitto, è silenzioso, il suo respiro appena udibile.
Un braccio piegato dietro la testa.
Tony guarda il soffitto e non risponde.





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La lotta era stata più ardua del previsto, le strade cosparse di detriti puzzavano di fumo e polvere, e la polvere seccava le labbra, la fuliggine entrava dalle narici con violenza.
Avevano attaccato, si erano difesi.
C'era stato caos e frastuono, come d'obbligo in ogni guerra.
Steve aveva visto tante guerre, forse troppo poche per averne disgusto, forse abbastanza per volerne fare ancora.
Per il bene del mondo, per la giustizia, per impedire che follie come quella del ‘40 si potessero ripetere.
La guerra era fatta di soldati, e i soldati lottavano in squadra, gli uni con gli altri.
La loro squadra non era la più perfetta, eppure Steve si sentiva come un tassello perfetto che si incastrava perfettamente con gli altri. Nessuno era perfetto, nessuno voleva esserlo. Nessuno a parte Tony, forse.
«Potevi fare ammazzare tutti!» gli rimproverò una volta giunti alla Tower. Lo scudo cadde a terra con un tintinnio metallico.
Clint si stava ancora tamponando la ferita al braccio. Natasha aveva una benda attorno al palmo destro. Bruce non c'era, era ancora in fase da recupero.
«Calmatevi adesso.» Thor cercò di fare da paciere ma Steve aveva afferrato comunque il bavero della costosa camicia di Tony e l'aveva stretto con forza.
«Per colpa della tua voglia di esibizionismo hai messo in pericolo la vita dei tuoi compagni.»
Tony non mostrò alcun intento di scusarsi, di giustificare le proprie azioni.
«Ma siamo tutti vivi e Abominio è stato sconfitto. Fine della storia.»
«E questa è stata solo una fortuna, Stark!»
«Avevo un piano e tutto si è svolto secondo quel piano, Rogers! E adesso molla che devo farmi una doccia.»
Steve gli diede uno spintone lasciando andare la presa e Tony lasciò la stanza poggiando rumorosamente sul tavolo il suo bicchiere di cristallo.
Il ghiaccio all'interno tintinnò contro le pareti.





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Bucky era stato un amico, un fratello. Bucky era la persona su cui Steve sapeva avrebbe sempre potuto contare. Bucky ci sarebbe sempre stato perché Bucky era tutto.
Quando lo vide cadere, Steve capì che Bucky sarebbe stato tutto anche dopo.
Non l'aveva chiamato amore perché l'orgoglio di un uomo era sciocco e la paura che stringeva la gola e il petto, impossibile da spezzare.
Steve aveva aperto gli occhi in un mondo così diverso e così lontano e aveva voluto che lui fosse lì.
Bucky non c'era. Steve si sentì solo come non era mai stato.





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C'è un rumore fastidioso, un sibilo. È un soffio di vento che penetra dalla finestra. Steve lo sente sfiorargli la spalla e rabbrividisce. Quel lenzuolo diventa più sottile ad ogni secondo che passa.
Si siede e lo guarda. Poi gli da le spalle. Stringe i pugni sulle ginocchia e ha voglia di urlare, ha voglia di piangere.
«Tony...»
Tony guarda il soffitto e non risponde.





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Thor si era rivelato la persona più diversa e più simile che Steve potesse mai pensare di incontrare nel corso della sua vita. Ma aveva imparato che nulla poteva essere predetto, che c'era sempre qualcosa che poteva stupirti e scioccarti.
Steve aveva conosciuto Thor e aveva pensato subito che sarebbe stato difficile far funzionare le cose, che ci sarebbe voluto del tempo e molto impegno per far funzionare una squadra così disomogenea.
«Tony ha l'animo di un leader, ma al contempo sembra provare un'avversione per le responsabilità.»
Steve annuì alle sue parole.
«Ma siamo una squadra, Thor, e l'azione del singolo condiziona tutti gli altri.»
«Lo so, amico mio, e sono certo che anche Tony ne è ben consapevole.» Thor sorrise e gli avvolse un braccio attorno alle spalle. «Va' e parla con lui. Due compagni non possono portare astio nel loro cuore, perché quell'astio logorerà il filo che li unisce.»
Thor aveva sempre buoni consigli. Steve di solito li seguiva.
«Va bene.»
Lo seguì anche allora.





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La prima volta che Tony Stark si era innamorato, il suo cuore aveva una cornice di schegge pronte a perforarlo. Lei era Pepper Potts e l'aveva avuta davanti agli occhi per anni senza vederla davvero.
Era bellissima, intelligente e sapeva come metterlo al suo posto. Tony sapeva di essere un bambino viziato e, nonostante i capelli bianchi che aveva iniziato a coprire di nero, questo non sarebbe mai cambiato.
La cosa divertente era che non aveva avuto una famiglia abbastanza a lungo da poter essere viziato.
Sua madre era un'immagine sfocata, di suo padre sembrava ricordare solo il suo sguardo di rimprovero.
Soldi e fama avevano comprato falsi amici e donne di ghiaccio che andavano in frantumi al sorgere del sole.
Una famiglia non l'aveva mai avuta davvero, la sua famiglia erano le strane macchine che costruiva e con cui si circondava nella sua solitudine.
Quando l'abbraccio metallico della sua Mark era stato sostituito da quello caldo di Pepper, Tony si era chiesto se era questo che si provava ad essere amato. Quando le sue braccia si erano avvolte attorno al sottile corpo di Pepper, Tony si era chiesto se era quel panico che gli annegava nello stomaco l'amore.
La prima volta che Tony si era innamorato aveva avuto una fottuta paura.
 




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Scende dal letto. Ignora il freddo e la vergogna. Cammina a piedi nudi sul parquet tiepido e raccoglie i suoi pantaloni. La cerniera sembra lo stridere di un treno su una rotaia e porta con sé il frastuono che batte nel suo cuore confuso.
Steve raccoglie anche la sua maglia ma non la indossa. La tiene stretta nella mano mentre si avvicina alla porta della camera.
Tony è alle sue spalle, steso sul letto, appena coperto da quel lenzuolo che su di lui appare pesante come una coltre.
In un silenzio che non gli appartiene, rimane con lo sguardo al soffitto.
Steve ha la mano ferma sulla porta eppure non riesce a spingerla.





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Captain America e Iron Man si erano incontrati la prima volta a Stoccarda, mentre cercavano di fermare quello che si sarebbe rivelato solo il primo di una lunga serie.
C'era stata un buona intesa, c'era sempre una buona intesa sul campo. Captain America e Iron Man erano gli ingranaggi di un sofisticato orologio: insieme e solo insieme funzionavano.
Steve Rogers e Tony Stark si erano incontrati nel laboratorio di uno strano aereo che poteva divenire invisibile a qualsiasi radar.
Non si erano piaciuti.

Steve ricordava uno Stark amico, che gli mancava. Tony vedeva un uomo che non pareva la leggenda che gli era stata raccontata.
Mentre sul campo Iron Man e Captain America camminavano sempre più in sintonia, Tony Stark e Steve Rogers continuavano ad avere due strade troppo lontane affinché potessero incrociarsi.
Poi una sera, mentre fuori diluviava, Tony gli offrì un bicchiere di Coca Cola “perché dal momento che non ti puoi ubriacare almeno mi farai compagnia ruttando.
Steve aveva scosso la testa ma aveva accettato il suo invito.
Dalla grande finestra della Tower, New York sembrava una macchia sbiadita, un quadro che si stava sciogliendo pennellata dopo pennellata.
Avevano parlato. Tony si era ubriacato e aveva anche ascoltato.
Steve aveva bevuto la sua Coca Cola e aveva anche riso.
La sera successiva pioveva ancora e Tony gli offrì un'altra Coca Cola ma Steve preferì anche lui dello scotch, perché il sapore era migliore.
Tony aveva bevuto di meno e non si era ubriacato ma aveva ascoltato comunque.
Steve gli aveva parlato di Bucky. Tony aveva iniziato a bere di più.
Al mattino le strade erano piene di pozzanghere e dal cielo erano cadute un paio di presenze poco amichevoli.
Captain America e Iron Man, per la prima volta, non erano stati un ingranaggio privo di imperfezioni.





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Si era avvicinato al suo laboratorio, sapeva di poterlo trovare lì.
Doveva fare lui la prima mossa, perché Tony era troppo stupido nonostante fosse un genio. Così diceva lui. Steve credeva di aver incontrato diverse persone che si ritenevano geni, eppure si erano rivelate le persone più stupide di sempre.
Ma poteva anche mettere da parte l'orgoglio e fare il primo passo. Era per il bene della squadra.
Tony stava guardando qualcosa allo schermo. Steve non perse tempo neanche a capire cosa fosse. Troppi numeri, troppi schemi.
La porta si era aperta con uno sbuffo ed era entrato.
«Sei qui per mettermi in castigo, Cap?» Gli aveva chiesto senza neanche voltarsi a guardarlo, muovendo le dita sullo schermo e mutandone l'immagine.
«Sai bene cosa volevo dire oggi» ribadì e lo udì ridacchiare.
«Non mi sarei fatto ammazzare, lo sai bene.»
Steve rivedeva la scena del mattino, il modo stupido con cui Tony aveva attirato Abominio e con cui aveva rischiato di essere ucciso.
«L'armatura che porti non cambia ciò che sei, Tony: un uomo e come tale puoi morire. Perciò non fare più nulla di così stupido. Mai più.»
Tony aveva riso ancora e aveva ruotato la sedia.
«Ti mancherei se morissi, Steve? Di' la verità...»
Era un gioco, il suo solito modo di prenderlo in giro eppure Steve non riuscì a impedire a quella strana sensazione di attraversagli il braccio e salire fino al collo.
Gli puntò l'indice contro e lo guardò severo.
«Non farlo più, Tony. Chiaro?»
Tony alzò entrambe le mani e sorrise sghembo inclinato la testa di lato.
«Non farò più nulla di così stupido, Cap. Promesso.»
Non credeva a una sola parola, Tony stesso non ci credeva e infatti rise ancora e Steve fu costretto a sospirare rassegnato.
Si era voltato per tornare dagli altri quando Tony aveva parlato ancora.
«Io dico che ti mancherei.»
«Sì, certo» gli aveva risposto sarcastico ruotando la testa per incrociare il suo sguardo.
Tony sorrideva.
«Ti aspetto stasera per una Coca?»
Non sapeva se potevano definirsi amici o semplici compagni. Steve, quando si trattava di Tony, non sapeva mai dare una definizione.
Annuì con un piccolo cenno del capo sollevando un solo angolo delle labbra.
«Una coca anche per te» propose e Tony gli mostrò il pollice alzato.
«Gara di rutti allora! Preparati, vincerò io.»
Steve aveva sorriso mentre tornava nella sala.
Thor lo aveva guardato e gli aveva regalato un ghigno soddisfatto.
Thor sembrava saper dare quella definizione che Steve faticava a trovare.
Cosa siamo?
Non osò fargli quella domanda.





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C'è ancora il sibilo, sottile come un ago che perfora la testa.
Il vento non dovrebbe fare quel suono, pensa Steve. Sembra un lamento, sembra un pianto.
«Non puoi restare lì senza dire niente» afferma guardandolo e mettendo da parte l'imbarazzo a favore di una giusta dose di rabbia.
Il petto di Tony sembra sollevarsi un po' di più e il suo sospiro risuona nella stanza.
«Pensavo di cambiare il colore delle pareti,» gli risponde privo di emozione.
Steve sente un pugno dritto nello stomaco e vorrebbe piegarsi e coprirsi il viso.
«È tutto qui? Hai da dire solo questo?»
Non accetta che sia così inespressivo, così vuoto. No, Steve non può accettare che dopo ciò che è accaduto Tony gli riservi solo indifferenza.
Vuole rabbia, la stessa che prova lui, vuole vergogna, vuole colpa. Vuole paura.
«Potrei farci disegnare qualcosa, magari... Pepper conoscerà di certo qualcuno molto bravo e molto costoso.» Tony alza l'indice e disegna una spirale in aria tenendo gli occhi su quel soffitto.
Tony non ha più rivolto quegli occhi verso di lui, quegli occhi neri che ha visto sciogliersi e inghiottirlo.
Quegli occhi che lo hanno guardato con un'intensità da farlo sentire così piccolo e così fragile, come neanche quando vestiva un gracile corpo.
Ora gli sono negati quegli occhi e Steve vorrebbe guardarli solo per vedere se troverà specchiato lo stesso sentimento che copre i suoi.
Ma Tony gli nega i suoi occhi e la sua attenzione, gli nega una risposta e con quella negazione gli porge cento domande diverse.
Steve non ha forza di rispondere a nessuna di esse, non ha forza di cercare anche una sola risposta.
Lascia andare un lungo respiro e sente i suoi polmoni svuotarsi e il cuore ingrossarsi. Sente i nervi tendersi e il sangue pompare.
Deve uscire prima di fare qualcosa di cui pentirsi davvero, deve uscire prima di lasciare che il sangue di Tony imbratti quelle lenzuola già sporche.

Gli dà le spalle e chiude gli occhi qualche attimo prima di convincersi a spingere la porta.
«Cap?»
Si sente chiamare ed è un leggero sussurro.
Non risponde, non si volta. Resta fermo ad attendere.
«Azzurro?... Pensi possa andare?»
Qualcosa gli sfiora la pelle e lo fa rabbrividire e non è quel vento lamentoso.
«Azzurro?» gli chiede e può scorgere il suo sguardo i suoi occhi neri su di lui, e lì dentro Steve lo vede: il suo riflesso, la sua stessa paura.
Annuisce debolmente.
«Può andare» risponde sollevando appena le labbra.
Tony gli regala invece un ampio sorriso che si apre e fa aprire allo stesso tempo una voragine nel petto di Steve.
«Azzurro sia.»
Steve ha ancora voglia di tornare su quel letto ma non più per coprirlo di sangue.





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Ha indossato la sua tuta e sta sciogliendo i muscoli. Vuole correre all'alba di New York, attraverso il verde di Central Park e trovare quelle risposte. Sa che sarà difficile ma che deve provarci.
Afferra con la mano sinistra il gomito destro e lo spinge contro il petto. Fa lo stesso con il sinistro mentre sente dei passi alle sue spalle.
«Ti va un po' di compagnia questa mattina?» Thor lo saluta con un sorriso e una richiesta che ne cela un'altra. “Ti va di parlare?
Thor ha notato che qualcosa è cambiato, che Steve è più silenzioso e i suoi occhi più pensierosi.
Thor ha una sensibilità difficile da leggere a prima vista eppure Steve riesce a percepirla ogni volta che gli è vicino.
Accetta quella richiesta, le accetta entrambe.
«Speriamo solo che non piova» sussurra mentre camminano fianco a fianco. Thor ride come avesse detto un qualcosa di molto divertente o di molto stupido.
Quando escono e il cielo di New York è azzurro come poche altre volte, Steve capisce che lo ha fatto: ha detto qualcosa di molto stupido.
Thor gli poggia una mano sulla spalla.
«Non pioverà,» gli assicura e inizia a correre. Steve gli va dietro e lo affianca.
Corrono per tutta la mattina, finché il sole non è troppo caldo e il parco troppo affollato.
Steve gli confida i suoi timori, gli racconta ogni cosa. Thor lo ascolta e non giudica, Thor sorride e Steve sente di poter sorridere a sua volta.


Steve si chiede se ha sempre confuso l'amicizia con l'amore, se ha confuso le carezze di Caroline e i sorrisi di Bucky. Steve si chiede se quando ti innamori è come se fosse sempre la prima volta. Steve si chiede se forse ciò che prova adesso ha un nome tutto suo.
Steve non ama dare definizioni, Steve non sa darle e forse non lo vuole.





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«Hai fatto una cazzata?»
«Una grossa cazzata.»
Pepper lo guarda diffidente con un sopracciglio alzato e le braccia incrociate sotto al seno. È bella, la sua Pepper, anche quando lo guarda come fosse l'ultimo dei babbei.
«È qualcosa di risolvibile?» gli chiede e Tony gonfia le guance e scuote la testa.
Poi butta fuori l'aria e si lascia cadere con le spalle al letto aprendo le braccia.
«Cambierà la mia vita...» sospira guardando il soffitto. «La nostra vita.»
Pepper gli chiede se ha messo incinta qualcuna, se ha venduto le sue quote della holding, se ha deciso di accettare la proposta di Doom e passare dalla sua parte.
Tony risponde a tutto con un lungo silenzio.
Sente un peso sul materasso e sa che Pepper è seduta accanto a lui.
«Risolveremo anche questo» lo rassicura e gli accarezza un ginocchio.
Tony sa che Pepper non mente mai, che anche se fa male gli dirà sempre la verità.
Tony la ama per questo, Tony l'amerà sempre.
Tony si è innamorato una sola volta nella sua vita, ed è sicuro che non potrà farlo mai più.

Eppure guarda il soffitto e tace. E Pepper ascolta il suo tacere.
Il soffitto è bianco, troppo bianco.
Tony vuole che sia azzurro.









Fin.


  
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