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Autore: Jultine    12/07/2014    1 recensioni
[QUARTA STORIA DEL CICLO "INFERNO!"]
"Quello che sento in bocca è un sapore particolare. Credo che se la morte potesse essere saggiata, saprebbe di questo. Di sangue e terra, di questo leggero pulviscolo rossastro che si annida tra i solchi dei miei palmi."
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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(forse è necessario riavviarla un paio di volte, la lettura è un po' lunga).


MADONNA



Quello che sento in bocca è un sapore particolare. Credo che se la morte potesse essere saggiata, saprebbe di questo. Di sangue e terra, di questo leggero pulviscolo rossastro che si annida tra i solchi dei miei palmi. Non sono certo di riuscir a percepire ancora la compattezza del suolo sulla mia schiena, né sono sicuro che il cielo che mi sovrasta, volto all'imbrunire, infuocato, sia reale. Cerco di allungare un braccio verso il mio spadone, ma è troppo lontano perché i miei muscoli stanchi, improvvisamente deboli come quelli di un vecchio, possano raggiungerlo ed afferrarlo.
Giaccio per terra ancora un po', illudendomi di potermi rialzare tra qualche istante e scrollarmi di dosso ogni preoccupazione, di poter dimenticare il dolore di ciascuna ferita. 
Costretto per una volta ad osservare le nubi, data la mia condizione, mi rendo conto di quanto esse riescano ad infondere pace nell'animo logorato di un milite. Un milite ignoto, ma ancora vivo.
Sono proprio questi nembi, questi che mi scorrono di fronte, a spingermi a comprendere di essere un sopravvissuto. Per un istante mi balena in mente il dolce viso della mia sposa; è così bianco, così casto, ancora virginale, persino dopo le nozze. Nei miei pensieri più nascosti, celati probabilmente per timor di Dio, lei è sempre stata la Madonna, la mia Immacolata.
Temo per lei ora che mi trovo abbandonato sul campo di battaglia, e con amarezza mi sorprendo a pensarla come un ricordo ormai lontano, come una creatura mai esistita. 
No, perdio, mai! Se è vero che lei è tanto vivida nei miei pensieri, è altrettanto vero ch'io mi leverò dallo sterro per riuscire ad averla ancora con me, tra le mie braccia. 
Non respiro. Il mio petto non si muove al ritmo naturalmente dettato dalla vita, eppure non provo alcuna traccia d'inquietudine o paura. Non riesco a percepire i battiti ritmici del mio cuore, ma anche questo mi appare più consueto che mai. Forse... Forse Dio onnipotente mi ha scelto, donandomi una forma incorruttibile. Forse ha designato la mia umile persona come la perla della propria milizia. Vuole ch'io continui la Sua lotta alla demoniaca presenza infedele sulla Terra.
Animato dal solenne prestigio del mio compito e dall'intenso desiderio di rivedere la mia Madonna, puntello a fatica i gomiti contro il terriccio rossastro e friabile. Il mio sguardo cade affaticato e tremulo sul mio costato. Noto solo adesso che l'armatura è schiantata, e che dalla crepa, inzaccherata da sangue (il mio sangue!) ormai rappreso, scuro e secco, riesco ad intravedere una profonda ferita, una cavità mostruosa nella carne. 
Con macabra curiosità tasto i bordi irregolari della lesione e, sorprendentemente senza provare alcuna sofferenza, mi accerto della sua profondità. Nessun uomo avrebbe potuto sopravvivere alle conseguenze di un tale squarcio, eppure i miei occhi sono aperti, le mie membra riescono a muoversi con maggiore fluidità, e pare persino che stiano acquistando forza e vigore.
Sì, è senz'altro questo: Dio mi ha scelto, sono il suo figlio prediletto. 
Riesco a reggermi sulle gambe, che ora percepisco in tutta la propria robustezza. Afferro il mio spadone e lo depongo nella guaina, poi mi guardo attorno. Sono confuso. 
Attorno a me si estende un'ampia pianura di terra vermiglia, sollevata dal vento in piccoli vortici. Non assomiglia al campo di battaglia che ricordavo. A dire il vero, questo luogo non pare affatto il teatro di un combattimento. I corpi di alleati e nemici sono come svaniti, così come armi, corazze, scudi, cavalli. In realtà, l'ultima cosa che ricordo prima di essermi destato, è l'erba tenera e fresca che mi solleticava la nuca. Eppure, ciò che adesso si estende di fronte ai miei occhi increduli è più simile ad un deserto od un campo incolto e trascurato. 
Decido di proseguire per la mia strada, turbato. Per scacciare l'angoscia, mi figuro in mente il viso della mia bella sposa, ancora una volta. Oh, quanta purezza, quanta rettitudine d'animo! Sarebbe un'ottima madre per il figlio che porta in grembo, il mio erede. Chissà se è già venuto al mondo.
Il paesaggio inconsueto e inquietante mi distrae nuovamente dai dolci pensieri. Quelli che dovrebbero essere alberi accompagnano il mio cammino. Mi osservano muti, nelle proprie fattezze carbonizzate e rinsecchite, ustionate dalle fiamme eppure non consumate. Il terreno arido non porta traccia di incendi recenti o passati, e mi chiedo cosa sia successo realmente. Il terrore mi prende al pensiero dell'inferno: sicuramente è opera degli infedeli, che, richiamati i loro demoni dalle viscere della terra, hanno distrutto la bella apparenza del Creato.
Prendo a pregare con fervore, ad invocare a mio sostentamento il corpo e il sangue di Cristo, eppure il terrore non svanisce. Temo per la mia anima e per la mia amata donna, ed ogni cosa che mi sorprende durante il cammino mi pare sempre più una creazione del demonio.
Delle strambe costruzioni malridotte, simili a carri per la presenza di bizzarre ruote, giacciono al suolo. Giuro su me stesso di non aver mai visto una tale stregoneria. Nulla è fatto di legno, ma di un materiale simile al metallo della mia spada. Delle vetrate infrante (che mai avevo visto, mai, persino alla Cattedrale), ho potuto gettare l'occhio all'interno di questi mezzi sconosciuti. Vi sono dei marchingegni che solo il diavolo avrebbe potuto ideare. Mi segno, allarmato e inquieto, poi proseguo lungo la mia strada, con le membra che mi tremano visibilmente.
Dopo aver camminato per qualche tempo, noto all'orizzonte le rovine di una qualche cittadella, seppure davvero differente da ciò a cui sono abituato. Rivolgo una rapida occhiata al circondario, e più mi avvicino alla cittadina distrutta, più mi si parano di fronte i corpi carbonizzati di tantissimi uomini, donne e persino bambini, colti nell'atto di proteggersi il viso con le braccia , di urlare a fauci spalancate, oppure di proteggere i propri cari. Ciò che tuttavia mi agghiaccia più d'ogni altra cosa, è che la loro ombra (si, proprio così!) è impressa sul terreno come un dipinto dai contorni di carbone. È senz'altro opera della stregoneria. Spaventato oltre ogni immaginazione (nonostante il mio cuore muto non palpiti) corro verso l'agglomerato di abitazioni o chissà cos'altro, intento a ritrovare eventuali sopravvissuti cristiani. I resti di terrificanti abitazioni alte fino al cielo e butterate da specchi mi sovrastano. Il suolo è irregolare e nero, nerissimo, marchiato da simboli e scritte bianche. Mi trovo forse in un luogo esoterico, abitato da demoni? A gran voce invoco il Padre celeste, lo prego e l'imploro di venirmi in ausilio. Ecco, ecco un segno.
Una giovane donna con indosso strane vesti si aggira a pochi metri da me, poi si volta.
È lei, è lei! La mia Madonna, la mia dolce moglie immacolata, il mio angelo casto. Non ha ancora partorito ed il suo ventre è ampio. Per un istante credo che il suo bel volto e la sua agognata presenza siano uno scherzo del maligno, ma come può un demone anche soltanto imitare la luce della mia sposa? Le corro dunque incontro, chiamando il suo nome a gran voce. La raggiungo, vorrei abbracciarla, ma si scansa bruscamente con una bestemmia. Trasalisco, terrorizzato.
Mi rivolge occhiate feroci e aggressive, da bestia, e con il volto che solo ora noto essere sudato e pallidissimo, la osservo intenta a piegarsi in due dal dolore. 
Non ho il tempo di reagire, in ogni caso. Con un gesto indecente si solleva l'abito corto e apre le gambe, spingendo, in piedi. E più contrae i muscoli del ventre, più bestemmia e bercia parole indecenti, che mai la mia serena e posata sposa avrebbe pronunciato con quelle sue belle labbra.
Con un tonfo molle e liquido, la creaturina che serbava dentro di sé si spiaccica al suolo. Non emette suono e il suo volto paffuto ma distorto è violaceo. E' nato morto. 
Cado in ginocchio e con tutte le forze innalzo grida acutissime, e rivolgo al signore tutto il mio risentimento. Perché, perché? Qual è lo scopo del tuo disegno, o Signore? Per quale motivo mi hai donato questa forma intoccabile dal tempo e dalla battaglia, per poi portarmi via mio figlio e lasciare che la mia pallida donna venisse corrotta dal demonio?
Scoppio in lacrime silenziose, celandomi la vista con le mani ancora inzaccherate dal terriccio rossastro. Non m'importa di vedere, non m'importa di capire. 
Apro gli occhi e vedo quella che un tempo era la donna della mia vita, nutrirsi delle carni di mio figlio. All'improvviso il suo volto appare scavato, segnato dagli stenti, e le labbra voraci secche e inzaccherate di sangue innocente. 
E' un diavolo, non è la mia Madonna! Non è la mia immacolata compagna! 
Urlo al sacrilegio, e con entrambe le mani le afferro forte il collo e lo stringo in una presa di ferro, fino a spezzarlo. Ma una volta consumato l'atroce delitto, quello che vedo tra le mie braccia non è un demone, ma il viso nuovamente pieno e roseo della mia tenera sposa. 
Luce della mia vita, sole, mia volta celeste! Cosa ti ho fatto, perché? Quale spirito maligno ha guidato le mie braccia, quale forza demoniaca ne ha accresciuto la forza?
Stringo il bel corpo ormai spento tra le mie braccia, ancora una volta, per l'ultima volta. Poi lo depongo al suolo e distolgo lo sguardo, rivolgendolo verso l'orizzonte rossastro in un eterno imbrunire. Ardono fuochi lontani, e la loro luce accecante mi confonde, annebbiandomi la vista.
Prego un po', per l'ultima volta. Afferro la mia daga, la benedico, poi la bacio e chiedo perdono al Padre. Faccio scorrere la lama sulla mia gola e mi abbandono al suolo nero come la notte.

Mi risveglio con un sapore familiare tra le labbra. E' ferroso e asciutto, come sangue mischiato alla terra. Mi sento debole, ma non provo alcun dolore, eccetto un angosciante senso di vuoto al costato e alla gola. Provo ad emettere un rantolo, ma la mia voce non mi risponde. 
A fatica mi sollevo da terra. Tutto è stranamente deserto, diverso. Dopo pochi passi intravedo una pozza di acqua torbida, ma la sete è troppo acuta per poter essere schizzinoso. 
Prima di bere, osservo la mia immagine nello specchio immobile e liquido, per sciacquarmi il volto. 
E' allora che noto un taglio profondo e irregolare, ampio, che mi attraversa la gola.

Cerco di gridare, ma le mie urla mute si perdono nel silenzio.



JULTINE REESE - LA VOCE CHE VIENE DAL POZZO
   
 
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