Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: graciousghost    12/07/2014    5 recensioni
[Seconda classificata al contest "Segui la corrente" indetto da AmahyP sul Forum di EFP]
[Rivetra; introspettiva, malinconica]
A volte, aggrapparsi ai ricordi è l'unico modo che abbiamo per respingere la morte, per combattere la mancanza.
Vederla piangere lo colse alla sprovvista, non credeva che i suoi occhi fossero capaci di lacrime.
Era seduta per terra, la vita le scorreva attorno – un brulichio di passi indefiniti, gli altri andavano avanti –, ma la morte la tratteneva indietro – il cuore le batteva forte, le mani sporche di sangue non suo.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hanji, Zoe, Petra, Ral
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Tra le crepe e gli spazi '
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Deriva

- but turn the light on -


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Precipito
nell'abisso
dell'assenza.

Non sento la tua risata
risuonar nell'eco,
sono ebbro di silenzi.

M'imponi
il dolore
del ricordo.
Ti rivedo.

Ambrosia rivolta
all'eterno;
ciò che rimane
dei tuoi occhi stanchi.

Sorriso
piegato
all'ingiù.

Sfrigolio tra il legno
e il corpo
- detestabile stridio. -
Scivoli
sempre più in basso.

Rosso
s
ul viso
sul tronco
- siete tutt'uno. -

Solo,
io
rimango qui.

Precipito.

 

Rivaille posò la penna e tornò a esaminare scrupolosamente quelle poche righe, vergate con eleganza, che macchiavano il candore del foglio con inchiostro più nero del cielo notturno.
Il suo sguardo spigoloso si soffermò su ogni lettera maiuscola; leggeri tratti sbiaditi che scivolavano dai margini della pagina, spire infernali che avvolgevano le altre parole nel baratro della morte. Lesse più e più volte quanto aveva appena scritto, quasi a voler sondare la musicalità di ogni frase: con precisione maniacale, cancellò i termini che non lo convincevano, aggiunse una virgola – minuscolo nulla che lo separava da lei – dopo quel solo che si apriva come una voragine.
Sperava che quel niente, quel tratto di penna appena accennato, lo arginasse da se stesso, distinguendo il caporale dall'uomo. Io, quell'unica sillaba riecheggiava potente nel vuoto del foglio, riempiendolo dell'urlo di solitudine che lacerava le pareti dell'anima di Rivaille.

«Al diavolo», biascicò furioso, mentre le sue mani curate si sfogavano sulla pagina, accartocciandola tra le dita, senza riguardo per ciò che quel pezzo di carta serbava gelosamente all'interno: il suo cuore.
Si allontanò dallo scrittoio, levandosi brusco la camicia e gettandola sul lume; l'unica fonte di luce continuò però ad emanare deboli bagliori sotto la fitta trama di cotone che la avvolgeva.
Lo sguardo di Rivaille cadde sulle brevi intermittenze dorate che si ostinavano a rischiarare la camera – fiammelle di fede che non si decidevano a estinguersi nelle tenebre.
«A che scopo?», sussurrò il caporale, «perché brillare ancora? Lei è morta».
Si sentì un perfetto idiota, in piedi davanti al tavolo a rivolgere la parola ad un oggetto inanimato. Drizzò le spalle per riappropriarsi della propria autorità – l'unica veste che ricoprisse la sua pelle nuda - “ma che cosa mi prende?”
Si lasciò cadere sul letto, con arrendevolezza, soccombendo al peso del suo stesso corpo; poteva sentire il lamento delle articolazioni che, poco alla volta, cedevano alla superficie morbida del materasso, poteva percepire lo scricchiolio delle ossa che trovavano conforto nella dolce incoscienza del riposo. Ogni brandello di carne reclamava pietà; abbandonati al sonno, Rivaille. Ogni cicatrice che gli tatuava il petto si snodava sulla sua pelle per arrivare dritta al cuore; adesso basta ricordare.
«Va via dalla mia testa, Petra».
Ma era tutto inutile; per quanto si sforzasse, ogni frammento di lei – il suo corpo, il suo sorriso - gli era entrato dentro e a nulla serviva chiudere gli occhi, il flusso dei ricordi si snodava con arroganza tra i suoi pensieri.

 

Uno sguardo che non vacillava era difficile da trovare in quella marea di disperazione in cui annegava Rivaille, mentre passava in rassegna le reclute delle Legione Esplorativa.
Le mani di tutti tremavano, mentre si ancoravano alla stoffa della divisa, i loro occhi saettavano come impazziti, incapaci di trovare quiete, il volto contratto in un'espressione funerea.
Non fu semplice scorgere quelle pagliuzze dorate che illuminavano il viso della giovane cadetta in quarta fila – voleva confondersi con gli altri, essere una dei tanti, lei che non sapeva di essere così fuori dall'ordinario. Credeva di essere una vittima sacrificabile – carne al macello – per il bene dell'umanità, sapeva di non poter stimare la sua vita più di quella degli altri.
La mia esistenza non mi appartiene più”, questo dicevano i suoi occhi, saldi, mentre ascoltava con attenzione il discorso di Erwin.
Uno sguardo che non vacillava; il suo.

 

La prima volta che la sentì ridere Rivaille pensò che un suono così non poteva essere umano.
Le giornate di addestramento erano dure; si assisteva a continue defezioni, lo scoraggiamento dilagava tra le giovani reclute – “ma io cosa ci faccio qui?”.
Petra osservava scrupolosamente le esercitazioni degli altri con la manovra tridimensionale; non voleva fallire sotto gli occhi del caporale e annotava mentalmente tutti gli accorgimenti di cui si servivano i suoi compagni per gestire al meglio l'attrezzatura.
Quando toccò a lei, non disse nulla, si lasciò mettere l'imbracatura e chiuse gli occhi: la sensazione confortevole della terra sotto ai piedi sparì di colpo e l'incostanza dell'aria l'avvolse.
Ma Rivaille sapeva che lei apparteneva al cielo più che al fango e non si stupì di vederla conservare un equilibro perfetto, sospesa a mezz'aria.
Solo allora - quando fu a qualche metro di distanza dagli altri - Petra si decise ad aprire le palpebre: si sentì leggera e rise, a bassa voce, per non farsi udire da coloro che la guardavano, ammirati e invidiosi – era altruista, Petra.
La prima volta che la sentì ridere Rivaille se ne innamorò.

 

Vederla piangere lo colse alla sprovvista, non credeva che i suoi occhi fossero capaci di lacrime.
Era seduta per terra, la vita le scorreva attorno – un brulichio di passi indefiniti, gli altri andavano avanti –, ma la morte la tratteneva indietro – il cuore le batteva forte, le mani sporche di sangue non suo.
Rivaille non fiatò, le parole sapevano essere davvero superflue a volte.
Il mondo continuava a ruotare intorno al proprio asse e il tempo scorreva esattamente allo stesso modo, ma ai margini dell'universo, un'attrazione più forte di quella gravitazionale si stava mettendo in moto.
Un uomo e una donna, seduti l'uno accanto all'altra, con lo sguardo perso nel vuoto – vista appannata che non riusciva a scorgere nulla oltre il velo del dolore: non si erano sfiorati, né guardati, ma entrambi avvertivano la presenza di un compagno, al proprio fianco.
Vederla piangere lo spinse a non essere più solo.


Di Petra, solo fugaci ricordi, immagini sbiadite dal tempo.
Di Rivaille, solo un cuore decadente.

 

Riprese il foglio stropicciato, dispiegandolo di nuovo sul tavolo; le lettere tornarono a delinearsi in verticale, ordinatamente disposte l'una accanto all'altra.
«Non è ancora finita», mormorò, afferrando la penna.
Non ci dovette pensare a lungo; l'immagine di Petra – quella viva, quella che gli sorrideva imbarazzata quando si incrociavano nei corridoi della Legione, quella che spazzava mille volte il pavimento per non essere rimproverata, quella che rimaneva alzata fino a tardi per ascoltare una logorroica Hanji blaterare qualcosa sui titani – guidava la sua mano.
Petra, soltanto il suo nome, tanto gli bastava per ritrovare la speranza.
 

Son già saturo
di te.

Invadi
corpo e anima.

Nettare per il cuore,
sei miele
sulle ferite.

In me
riaccendi
la fede.


Gli serviva ancora un titolo, quella riga immaginaria colmava di silenzio l'intestazione della poesia, ma Rivaille non era un tipo da trovare titoli. Avrebbe voluto lasciare quello spazio vuoto, ma temeva che le sue parole sarebbero sprofondate nell'oblio dell'eterno, se non fossero state precedute da un'etichetta, da un nome che le racchiudesse e non le lasciasse precipitare.
Si rigirò la stilo tra le dita affusolate, prestando attenzione a non sporcare con un gesto accidentale il foglio già macchiato dalla sua fragilità – erano dovute alle lacrime quelle onde che increspavano la superficie?
Una prima parola già si era fatta strada dentro la sua mente – deriva – quella in cui naufragava, in cui si perdeva, in bilico tra i ricordi e il dolore.
La scrisse di getto, ma subito capì che non poteva bastare, non le rendeva giustizia.

 

«La tua amica è morta, Petra. Sicura di non avere ripensamenti?»
«Nessun dubbio, Eichou. Il mio posto è qui».
«Come fai a esserne così certa?».
«Perché l'umanità vincerà questa guerra, un giorno. E io ho lei a guidarmi, non ho bisogno di credere in nient'altro».
«Perché non in te stessa?»
«Oh certo, potrei fare affidamento sulle mie forze e sopportare tutto questo da sola. Ognuno può scegliere se fidarsi di se stesso o della sua squadra. Io ho già fatto la mia scelta» (*)
«E se la tua squadra dovesse fare un errore? Non preferiresti aver ragionato di testa tua, piuttosto che morire per aver seguito gli ordini di qualcun altro?»
«Per lei darei volentieri la vita, Eichou. È lei il mio credo».

 

Ci aggiunse: e fede.

 

Queste?... Queste sono due,
come le vostre e le tue,
due nostre lagrime amare
cadute nel ricordare!

{La Tovaglia; G. Pascoli}

 

* * *


«Perché diavolo sei qui fuori ad ammorbarmi l'aria di prima mattina?», sbuffò Rivaille, ritrovandosi la faccia contrita di Hanji non appena mise piede fuori dalla sua stanza.
«Volevo solo dirti che mi dispiace, sai, per la tua squadra e tutto il resto», iniziò la donna, interdetta quasi quanto lui quando si trattava di trovare le parole adatte per situazioni come quella, lei che non si lasciava intimidire da nessuno, umano o gigante che fosse.
«Sì, come ti pare», il caporale la superò incurante, zittendola con un gesto secco della mano.
«Il solito stronzo!», sbottò Hanji, ritrovando in un istante tutto il suo caratterino.
«La solita logorroica».

 

La normalità trovava sempre il modo di fare il suo corso; ecco qualcosa per cui essere grati.
Qualcosa per cui la luce possa continuare a brillare.
Qualcosa in cui avere fede.


 

(*) Questa frase – che io ho parafrasato – la dice Rivaille ad Eren quando quest'ultimo vorrebbe trasformarsi in titano per aiutare Petra e gli altri. Ho immaginato che la frase originale fosse stata pronunciata da Petra che, ancora una volta, si dimostra essere fonte di speranza per Rivaille.

* * *

Note Autrice:

La storia è stata betata da emmevic che ringrazio di cuore.
Il contest a cui partecipo ha come obiettivo quello di tentare di avvicinarsi allo stile di uno scrittore o di un poeta e io ho scelto Pascoli.
Ciò che ho voluto riprodurre di pascoliano in questa storia – oltre al tentativo di poesia – è la scrittura per immagini: Rivaille si abbandonerà al flusso dei pensieri che, come le istantanee che Pascoli riesce a raffigurare con poche parole, gli fanno tornare in mente Petra.
Nella poesia ci sono le immagini di morte, gli ultimi istanti in cui ha visto Petra; in prosa, invece, le immagini di vita – se così si può dire – ovvero alcuni momenti significativi passati insieme.
L'altro aspetto di Pascoli che ho voluto esaminare è la sua appartenenza al filone del Decadentismo: Rivaille si sente alla deriva dopo aver perso la sua squadra, ma una fiammella di luce – e fede – riuscirà a scuoterlo dall'altrimenti insopportabile dolore.
Altra piccola nota per quanto riguarda l'IC di Rivaille: potrebbe sembrare strano che un uomo d'azione come lui si soffermi a scrivere, ma sono arrivata a questa conclusione dopo un'attenta riflessione. Ecco, Rivaille non è propriamente un uomo di molte parole, dunque ho pensato che buttare su carta – dove nessuno potrà mai spiare la sua interiorità – ciò che prova sarebbe un comportamento da lui. Inoltre, ritengo che, se proprio deve prendere una penna in mano, comincerebbe scrivendo poesie: è un genere criptico, pregnante, utilizzato per condensare in pochi versi molte emozioni. Le poesie sono enigmatiche, un po' come Rivaille. Quindi, ho provato a entrare nel suo cervellino e a scrivere come farebbe lui – senza troppi fronzoli, andando dritto al sodo. Sono consapevola che non ho adottato uno stile pascoliano nella poesia – almeno nelle scelte lessicali e di musicalità – ma non me la sono sentita di sacrificare l'IC di Rivaille che, come mi è stato fatto notare dalla mia beta, si esprimerebbe piuttosto in stile ungarettiano.
Spero che la storia vi sia piaciuta e che mi farete sapere cosa ne pensate :)

Ayumu

   
 
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